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Linee guida

TROMBOEMBOLISMO VENOSO NEI PAZIENTI CON TUMORI SOLIDI

Edizione 2015

(2)

2

Coordinatore Sandro Barni Oncologia Medica - A.O. Treviglio-Caravaggio - Treviglio (BG) Segretario Maria Cristina

Petrella

Unità di Oncologia Medica – Ospedale Unico della Versilia – Lido di Camaiore

Estensori Anna Falanga Immunoematologia e Medicina Trasfusionale - Ospedali Riuniti - Bergamo

Mario Mandalà Oncologia Medica - Ospedali Riuniti - Bergamo

Andrea Piccioli Centro Multidisciplinare Day Surgery - Azienda Ospedaliera di Padova

Revisori Augusto Federici SIE Immunoematologia e Medicina Trasfusionale - Ospedale Luigi Sacco - Milano

Davide Imberti SISET Medicina Interna ERI - Ospedale Guglielmo da Saliceto - Piacenza

Roberto Labianca AIOM Dip. di Oncol. ed Ematologia - Ospedali Riuniti - Bergamo

Felice Vito Vitale AIOM Oncologia Medica - P.O. S.Vincenzo - Taormina (ME)

(3)

3

Indice

1. Epidemiologia ... 6

2. Patogenesi ... 7

3. Tromboembolismo venoso idiopatico. screening per cancro occulto nei pazienti con tromboembolismo venoso idiopatico ... 8

4. Profilassi antitrombotica nei pazienti con cancro: ... 9

4.1. Profilassi in chirurgia oncologica ... 9

4.2 Profilassi in corso trattamenti antitumorali farmacologici (chemio/ormonoterapia) ... 11

4.3. Profilassi delle trombosi da catetere ... 13

4.4 Paziente ospedalizzato per cause internistiche ... 13

5. Terapia della trombosi venosa profonda ... 14

5.1. Terapia della fase acuta ... 14

5.2 Quale durata del trattamento anticoagulante nei pazienti neoplastici? ... 15

5.3. Terapia a lungo termine del TEV nel paziente oncologico ... 15

5.4. Quale terapia nelle recidive? ... 16

5.5. Quando utilizzare il filtro cavale? ... 17

6. Anticoagulanti e prognosi della malattia neoplastica ... 17

7. Ruolo dei nuovi anticoagulanti orali (NOAC) ... 18

8. Figure ... 20

9. Bibliografia ... 26

(4)

4

Formulazione dei quesiti e delle raccomandazioni SIGN

La formulazione del quesito sul quale si andrà a porre la raccomandazione clinica non dovrebbe essere generico (del tipo: “qual è il ruolo di xxx nel trattamento…”), bensì aderente alla strutturazione P.I.C.O. e cioè:

“Nei pazienti con (menzionare le specifiche caratteristiche di malattia, stadio, ecc.)………..

il trattamento con (descrivere l’intervento terapeutico oggetto del quesito)……….

è suscettibile di impiego in alternativa a….. (descrivere il trattamento altrimenti considerato in alternativa all’intervento in esame)?”

Le raccomandazioni vengono presentate in tabelle.

Nel caso delle raccomandazioni prodotte con metodologia SIGN (Scottish Intercollegiate Guidelines Network), la riga d’intestazione della tabella è verde, mentre è in arancione nel caso di applicazione del metodo GRADE (v. capitolo specifico).

Qualità dell’evidenza

SIGN (1) Raccomandazione clinica (3)

Forza della raccomandazione

clinica (2)

B

Nel paziente oncologico in fase avanzata di malattia, con dolore di diversa etiologia, la somministrazione di FANS e paracetamolo dovrebbe essere effettuata per periodi limitati e con attenzione ai possibili effetti collaterali.

Positiva debole

(1) Qualità dell’evidenza SIGN

Nell’approccio SIGN, la qualità delle evidenze (singoli studi / metanalisi…) a sostegno della

raccomandazione viene valutata tenendo conto sia del disegno dello studio sia di come esso è stato condotto:

il Livello di Evidenza viene riportato nel testo a lato della descrizione degli studi ritenuti rilevanti a sostegno o contro uno specifico intervento. I livelli di evidenza dovranno essere precisati (e riportati nel testo) solo per le evidenze (studi) che sostengono la raccomandazione clinica e che contribuiscono a formare il giudizio della Qualità delle Evidenze SIGN.

Livelli di Evidenza SIGN

1 Revisioni sistematiche e meta-analisi di RCT o singoli RCT 1 ++ Rischio di bias molto basso.

1 + Rischio di bias basso.

1 - Rischio di Bias elevato -> i risultati dello studio non sono affidabili.

2 Revisioni sistematiche e meta-analisi di studi epidemiologici di caso/controllo o di coorte o singoli studi di caso/controllo o di coorte.

2 ++ Rischio di bias molto basso, probabilità molto bassa di fattori confondenti, elevata probabilità di relazione causale tra intervento e effetto.

2 + Rischio di bias basso, bassa probabilità presenza fattori di confondimento, moderata probabilità di relazione causale tra intervento e effetto.

2 - Rischio di Bias elevato -> i risultati dello studio non sono affidabili, esiste un elevato rischio che la relazione intervento/effetto non sia causale.

3 Disegni di studio non analitici come report di casi e serie di casi.

4 Expert opinion.

(5)

5

La Qualità Globale delle Evidenze SIGN viene quindi riportata con lettere (A, B, C ,D) che sintetizzano il disegno dei singoli studi, unitamente all’indicazione sulla diretta applicabilità delle evidenze e alla eventuale estrapolazione delle stesse dalla casistica globale.

Ogni lettera indica la “fiducia” nell’intero corpo delle evidenze valutate che sostengono la

raccomandazione; NON riflettono sempre l’importanza clinica della raccomandazione e NON sono sinonimo della forza della raccomandazione clinica

Qualità Globale delle Evidenze SIGN

A

Almeno una meta-analisi o revisione sistematica o RCT valutato 1++ e direttamente applicabile alla popolazione target oppure

Il corpo delle evidenze disponibili consiste principalmente in studi valutati 1+ direttamente applicabili alla popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto

B

Il corpo delle evidenze include studi valutati 2++ con risultati applicabili direttamente alla popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto.

Evidenze estrapolate da studi valutati 1++ o 1+

C

Il corpo delle evidenze include studi valutati 2+ con risultati applicabili direttamente alla popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto.

Evidenze estrapolate da studi valutati 2++

D

Evidenze di livello 3 o 4

Evidenze estrapolate da studi valutati 2+

(2) LA RACCOMANDAZIONE CLINICA

Deve esprimere l’importanza clinica di un intervento/procedura. Dovrebbe essere formulata sulla base del P.I.C.O. del quesito (popolazione, intervento, confronto, outcome). In alcuni casi può contenere delle specifiche per i sottogruppi, indicate con il simbolo √.

La forza della raccomandazione clinica viene graduata in base all’importanza clinica, su 4 livelli:

Forza della raccomandazione

clinica

Terminologia Significato

Positiva Forte

“Nei pazienti con (criteri di selezio-ne) l’intervento xxx dovrebbe es-sere preso inconsiderazione come opzione terapeutica di prima inten-zione”

L’intervento in esame dovrebbe essere conside-rato come prima opzione terapeutica (evidenza che i benefici sono prevalenti sui danni)

Positiva Debole

“Nei pazienti con (criteri di selezione) l’intervento xxx può essere preso in considerazione come opzione terapeutica di prima intenzione, in alternativa a yyy”

L’intervento in esame può essere considerato come opzione di prima intenzione, consapevoli

dell’esistenza di alternative ugualmente proponibili (incertezza riguardo alla prevalenza dei benefici sui danni)

Negativa Debole

“Nei pazienti con (criteri di selezione) l’intervento xxx non dovrebbe essere preso in considerazione come opzione terapeutica di prima intenzione, in alternativa a yyy”

L’intervento in esame non dovrebbe essere

considerato come opzione di prima intenzione; esso potrebbe comunque essere suscettibile di impiego in casi altamente selezionati e previa completa condivisione con il paziente (incertezza riguardo alla prevalenza dei danni sui benefici)

Negativa Forte

“Nei pazienti con (criteri di selezio-ne) l’intervento xxx non deve es-sere preso inconsiderazione come opzione terapeutica di prima inten-zione”

L’intervento in esame non deve essere in alcun caso preso in considerazione (evidenza che i danni sono prevalenti sui benefici)

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6

1. Epidemiologia

Esistono solide evidenze che supportano la correlazione tra cancro e trombosi:

Gli studi autoptici hanno documentato una incidenza anche maggiore, rispetto agli studi ante mortem, di trombosi venosa profonda (TVP) e di embolia polmonare (EP), nei pazienti oncologici rispetto ai pazienti non oncologici (1).

Anche il rischio di recidiva della trombosi è più elevato nei pazienti con cancro rispetto ai pazienti senza cancro (2).

Inoltre, nella popolazione generale, i pazienti con una trombosi ‘idiopatica’ hanno un aumentato rischio di sviluppare una neoplasia fino ad un anno dopo l’evento trombo embolico (3)

Nella popolazione generale l’incidenza annuale di un evento trombo-embolico è di circa 117 casi ogni 100.000 abitanti. La presenza di una neoplasia aumenta di circa quattro volte tale rischio, mentre nei pazienti che ricevono la chemioterapia il rischio è aumentato di circa sette volte (4).

Le complicanze tromboemboliche influenzano significativamente la morbilità e la mortalità della malattia neoplastica. Le alterazioni dei test di laboratorio dell’emostasi sono presenti in circa il 90% dei pazienti (5), mentre l’1-15% di loro sviluppa un quadro clinico manifesto, che può variare dalla trombosi venosa profonda, che è tipicamente associata ai tumori solidi, alla sindrome da coagulazione intravascolare disseminata, più frequente nelle leucemie acute e nelle neoplasie solide in fase avanzata. Il rischio trombotico è ulteriormente aumentato dagli interventi chirurgici, dalla somministrazione della chemioterapia e dell’ormonoterapia, e dalla presenza di cateteri venosi centrali.

I primi dati clinici relativi all’incidenza del tromboembolismo venoso (TEV) derivano da studi eseguiti in pazienti affette da carcinoma della mammella. Negli Studi NSABP-14 e NSABP-20, che valutavano donne affette da carcinoma della mammella con recettori estrogenici positivi e linfonodi negativi, l’incidenza a 5 anni nelle pazienti che assumevano placebo, tamoxifene o tamoxifene e chemioterapia era pari allo 0.2, 0.9 e 4.3% rispettivamente (6, 7). Nelle donne con linfonodi positivi che ricevono la chemioterapia l’incidenza varia dall’1 al 10%; l’incidenza è risultata maggiore nelle donne in post-menopausa (8). Indipendentemente dalla neoplasia di base, la maggioranza delle pazienti sviluppa un TEV nel periodo del trattamento (9). I pazienti con neoplasia del tratto gastrointestinale, del polmone, o affetti da gliomi maligni hanno un’elevata incidenza (10-30%) di sviluppare TEV, così come i pazienti con neoplasie onco-ematologiche: il 10% dei pazienti con linfoma di Hodgkin o non-Hodgkin sviluppano un TEV (10).

Un rischio particolarmente elevato è stato riportato nei pazienti trattati con polichemioterapia in combinazione alla terapia antiangiogenica. La talidomide in combinazione con steroidi ad alto dosaggio e alla chemioterapia con antracicline incrementa il rischio di sviluppare un TEV nei pazienti con mieloma multiplo (28%) e nei pazienti affetti da carcinoma renale (43%) (11, 12). Il Bortezomib in combinazione alla talidomide o alla lenalidomide sembrerebbe essere invece protettivo sullo sviluppo di TEV. Recenti dati sottolineano un rischio elevato di sviluppare trombosi venose e arteriose in pazienti con adenocarcinoma del colon-retto e nel carcinoma del polmone non a piccole cellule in fase avanzata, trattati con chemioterapia in combinazione a bevacizumab, un anticorpo monoclonale anti-VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor), con spiccata attività antiangiogenica (13).

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7

2. Patogenesi

I meccanismi fisiopatologici alla base dell’insorgenza delle trombosi venose profonde nei tumori solidi rientrano nella cosiddetta triade di Virchow, che include le alterazioni dell’emostasi, le alterazioni della parete vasale e la stasi ematica. A questi vanno aggiunte le alterazioni funzionali e numeriche delle piastrine e dei leucociti.

I pazienti neoplastici, come è noto, presentano uno stato di ipercoagulabilità di base, anche in assenza di trombosi clinicamente manifeste. Tale stato è caratterizzato da anomalie di uno o più test di laboratorio dell’emostasi, che dimostrano diversi gradi di attivazione subclinica della coagulazione in associazione alla crescita tumorale. Un ruolo importante nella patogenesi dello stato di ipercoagulabilità presente nelle neoplasie è attribuito alle proprietà protrombotiche delle stesse cellule tumorali (14, 15). Tali cellule possono attivare la cascata coagulativa con un meccanismo diretto, mediante la produzione di sostanze procoagulanti come: 1) il “tissue factor” o tromboplastina tessutale, che è espressa costitutivamente da queste cellule e che forma un complesso con il fattore VII per attivare la cascata coagulativa; e 2) il “cancer procoagulant”, che è una cistein-proteasi identificata nelle cellule tumorali e nei tessuti fetali, ma non nei tessuti maturi differenziati, che attiva il fattore X in assenza del fattore VII.

Le cellule tumorali possono, altresì, attivare il sistema coagulativo, attraverso meccanismi indiretti, determinando l’attivazione di altre cellule ematiche, come i monociti, le piastrine e le cellule endoteliali, inducendo l’espressione di un fenotipo procoagulante in queste cellule. Infatti monociti, piastrine e cellule endoteliali entrano comunemente a far parte del network infiammazione-immunità e sono suscettibili di attivazione da parte delle citochine (IL-1, VEGF, TNF) prodotte dalle cellule tumorali. L’attivazione del complemento e la formazione di immunocomplessi possono anch’essi partecipare alla stimolazione dei monociti, che una volta attivati sono in grado di esporre il “tissue factor” sulla loro superficie ed indurre a loro volta i meccanismi della coagulazione. Infine le cellule tumorali posseggono molecole di adesione di superficie, con le quali possono aderire direttamente ai leucociti, alle piastrine e alle cellule endoteliali, attivando tali cellule ed inducendo localmente la produzione di fibrina. Tutto ciò, insieme ad altri fattori generali, come la stasi da compressione da parte delle masse tumorali, la presenza di uno stato infiammatorio, la disprotidemia, le infezioni, e l’allettamento, contribuiscono allo stato di ipercoagulabilità di questi pazienti, come evidenziato dall’incremento dei marker circolanti di attivazione della coagulazione.

Tuttavia nonostante le alterazioni di tali markers siano presenti nella maggioranza dei pazienti con cancro, non è stato ad oggi dimostrato il valore predittivo di trombosi di alcuno di questi test nei pazienti oncologici.

Lo scopo di queste linee guida è quello di documentare le relazioni clinico-epidemiologiche fra la patologia trombotica e quella delle neoplasie solide, facendo il punto sulle acquisizioni ad oggi trasferibili nella pratica clinica, limitatamente ai seguenti aspetti:

A. Screening per cancro occulto nei pazienti con tromboembolismo venoso idiopatico.

B. Profilassi della trombosi venosa nei pazienti neoplastici sottoposti ad interventi chirurgici o a terapie mediche (chemioterapia, ormonoterapia).

C. Terapia della trombosi venosa conclamata in questo tipo di pazienti.

D. Anticoagulanti e prognosi dei pazienti con cancro

(8)

8

3. Tromboembolismo venoso idiopatico. screening per cancro occulto nei pazienti con tromboembolismo venoso idiopatico

Una valutazione complessiva della serie di studi comparsi in letteratura nelle decadi passate, ha evidenziato che il rischio di neoplasie maligne occulte nel follow-up di pazienti con tromboembolismo venoso idiopatico è assai maggiore rispetto a quello evidenziato in pazienti con TEV secondario (16). Studi di “popolazione”

pubblicati nel corso degli ultimi dieci anni in letteratura hanno messo in evidenza che i pazienti con TEV e principalmente quelli con TEV idiopatico (cioè non secondario ad alcuna causa riconoscibile) hanno un maggior rischio di avere una diagnosi di neoplasia nel corso follow-up successivo all’evento tromboembolico (17,18,19) Una recente revisione della letteratura e meta-analisi ha confermato il dato (20).

Tale rischio aumenta fino a dieci volte nel caso che le trombosi idiopatiche siano bilaterali (21) e recidivanti (due o più episodi) (16,18,19,20).

Quale screening?

Oggigiorno, in assenza di dati definitivi che dimostrino un vantaggio in termini di sopravvivenza, mediante l’utilizzo di uno screening estensivo, l’atteggiamento clinico nei confronti di pazienti con TEV idiopatico, in assenza di specifiche linee guida sull’argomento, è molto variabile e differisce a seconda delle convinzioni prevalenti dei singoli curanti.

I pazienti che si possono giovare maggiormente dello screening estensivo sono quelli in cui uno screening routinario iniziale, eseguito al momento della diagnosi della TVP idiopatica, non abbia rilevato alcuna neoplasia. Infatti in caso di positività di questi test la neoplasia appare già sintomatica e facilmente identificabile. I soggetti in cui una neoplasia sia evidenziata dalla sola routine sono pazienti in cui la trombosi è secondaria ad una neoplasia nota e pertanto non rappresenta un epifenomeno di una neoplasia ancora occulta. Questa differenza può risultare di particolare importanza per l’outcome del paziente. Lo screening routinario iniziale è quello che normalmente i pazienti eseguono quando vengono ammessi in ospedale e comprende una esauriente storia clinica, un attento esame obiettivo, gli esami ematochimici di base ed una radiografia del torace. Attualmente, a seconda delle istituzioni, la richiesta di altri esami, come ecografia dell’addome e della pelvi, la TAC, l’endoscopia digestiva, i marcatori tumorali, viene più o meno applicata. Questi test aggiuntivi vengono particolarmente impiegati nei sottogruppi di pazienti considerati più a rischio (vedi soprattutto soggetti di età avanzata senza trombofilia nota, pazienti con TVP idiopatica bilaterale, pazienti con TVP idiopatiche recidivanti).

Monreal e coll in uno studio prospettico del 2004 ha evidenziato come grazie all’aggiunta allo screening routinaro iniziale di una ecografia dell’addome e della pelvi associata ai marker tumorali, si sia in grado di evidenziare circa il 50% delle neoplasie occulte (22).

Uno studio prospettico (SOMIT, Screening for Occult Malignancy in Patients with Symptomatic Idiopathic Venous Thromboembolism) è stato intrapreso con lo scopo di valutare se la diagnosi precoce migliori le possibilità terapeutiche e la prognosi in questo tipo di pazienti (23). Tale studio dimostra che uno screening estensivo è efficace nell’identificare precocemente una neoplasia occulta in maniera significativa rispetto ad uno screening non estensivo. Data tuttavia la dimensione del campione non ha potuto fornire dati certi circa l’impatto sulla “cancer related mortality”. In questo studio il test che ha dimostrato il miglior successo diagnostico è stata la TAC addomino-pelvica che, con l’aggiunta di un’indagine gastroenterica (in prima battuta il sangue occulto), sembra essere la combinazione migliore.

Sulla base di queste evidenze un’altro studio ha valutato se la TAC toraco addominale in aggiunta ad uno screening routinario iniziale possa rappresentare lo “screening ideale” in pazienti con tromboembolismo venoso idiopatico. I risultati hanno messo in evidenza che una TAC toraco-addominale in aggiunta ad uno screening routinario non fornisce valore aggiunto sia in termini di significative ulteriori neoplasie evidenziate sia in termini di miglioramento della sopravvivenza (24).

Sono in corso alcuni ulteriori studi per fare luce su questa tematica.

(9)

9

Allo stato attuale delle evidenze, sebbene non vi siano raccomandazioni spendibili, sembra utile suggerire ai curanti di mantenere una elevata soglia di sospetto per neoplasie occulte in pazienti con TEV idiopatico e di associare all’esecuzione di uno screening routinario iniziale alcuni ulteriori test sulla base della loro esperienza e pratica clinica e sulla base degli studi finora disponibili (per esempio una ecografia dell’addome e della pelvi oppure altri test che siano ritenuti di potenziale utilità). Per di più, sulla base delle ultime linee guida internazionali, l’evidenziazione di una neoplasia maligna occulta ha il potenziale di identificare quei pazienti che possono beneficiare di un trattamento a lungo termine con dosaggi subterapeutici di EBPM invece di embricare con warfarina o analoghi. (Livello di evidenza 4)

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica D*

In assenza di dati definitivi che dimostrino un vantaggio in termini di sopravvivenza mediante l'utilizzo di uno screening estensivo, l'atteggiamento clinico nei pazienti con TEV idiopatico è variabile ed è affidato ai singoli curanti.

Positiva debole

*Opinione espressa dal panel

4. Profilassi antitrombotica nei pazienti con cancro:

1. Profilassi della trombosi postoperatoria

2. Profilassi della trombosi in corso di chemioterapia e ormonoterapia 3. Profilassi delle trombosi da catetere

4. Profilassi nel paziente medico Ospedalizzato per evento medico acuto

4.1. Profilassi in chirurgia oncologica

La metanalisi dei lavori sulla profilassi eparinica in chirurgia non oncologica dimostra una riduzione significativa del rischio di trombosi postoperatoria in pazienti che ricevono profilassi con eparina (13.6%)rispetto al placebo(30.6%)[25] (Livello di evidenza 1+).

Attualmente l’approccio standard alla profilassi perioperatoria si avvale dell’uso di mezzi fisici (calze elastiche) e della profilassi con eparina [eparina non frazionata (ENF), somministrata a basse dosi (5000 IU), iniziata 2 ore prima dell’intervento e proseguita ogni 8-12 ore dopo, oppure eparina a basso peso molecolare (EBPM) a dose fissa in monosomministrazione, ogni 24 ore].

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica B Nei pazienti sottoposti a chirurgia oncologica deve essere

raccomandata la profilassi con eparina. (25) Positiva forte E’ altresì stato evidenziato da studi comparsi in letteratura nello scorso decennio che i pazienti con cancro, sottoposti ad intervento chirurgico presentano un rischio di sviluppare un evento tromboembolico doppio rispetto ai pazienti non oncologici (37% VS 20%), mentre il rischio di embolia polmonare fatale risulta circa quadruplicato. Per quanto riguarda la chirurgia oncologica, diversi studi, sebbene non disegnati ad hoc per questi pazienti, suggeriscono che le EBPM hanno un’efficacia pari a quella della ENF nella profilassi perioperatoria [26-30].

(10)

10

Questi risultati sono stati confermati da uno studio prospettico, randomizzato, multicentrico, denominato

“ENOXACAN”, disegnato ad hoc per confrontare l’efficacia e la sicurezza della EBPM enoxaparina 40 mg/die versus ENF a basse dosi, nella profilassi in chirurgia oncologica addominale o pelvica in elezione (31) (Livello di evidenza 1++). L’incidenza di TVP, valutata flebograficamente è stata del 18.2% nei pazienti in profilassi con ENF rispetto al 14.7% nel gruppo in profilassi con enoxaparina, indicando una sovrapponibilità dei due trattamenti. Anche la sicurezza, valutata in termini di complicanze emorragiche, è risultata sovrapponibile fra le due eparine. Per tale motivo e per i loro diversi vantaggi (come ad es., la monosomministrazione giornaliera, il profilo farmacologico più favorevole e la minore associazione con la trombocitopenia da eparina), le EBPM sono oggi sempre più utilizzate rispetto alla ENF in questo settore.

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica A

Nei pazienti sottoposti a chirurgia oncologica deve essere raccomandata la profilassi con eparina a basso peso molecolare (31)

Positiva forte

L’efficacia delle EBPM nei pazienti sottoposti ad interventi di neurochirurgia è stata dimostrata da due studi randomizzati, i cui risultati mostrano la riduzione significativa degli eventi trombotici postoperatori in pazienti in profilassi con EBPM + calze elastiche verso i pazienti con sole calze elastiche [32, 33]. Nei due studi citati i pazienti oncologici rappresentavano circa l’85% della popolazione trattata.

Quale dose di EBPM nella profilassi perioperatoria?

Uno studio multicentrico, prospettico, randomizzato in doppio cieco [34] (Livello di evidenza 1++) ha confrontato l’efficacia e la sicurezza della EBPM dalteparina 5000 UI/die versus 2500 UI/die in pazienti sottoposti a chirurgia addominale in elezione (2097 pazienti arruolati, di cui il 65% con neoplasie).

L’incidenza di trombosi era del 14.9% nei pazienti che ricevevano la dose 2500 UI/die rispetto all’8.5% di quelli che ricevevano la dose 5000 UI/die. Tale differenza era statisticamente significativa e non era associata ad incremento, con la dose, delle complicanze emorragiche in questi pazienti. Questo studio ha dimostrato per la prima volta, in maniera diretta, che i pazienti oncologici necessitano di una profilassi con dosaggio più elevato di EBPM.

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica B

Nella profilassi preoperatoria, i pazienti sottoposti a chirurgia oncologica necessitano di dosaggi più elevati di EBPM. (34)

Positiva forte

Quale durata della profilassi perioperatoria?

La durata standard della profilassi perioperatoria, a parte alcune alcune eccezioni (come ad esempio la chirurgia ortopedica), è di circa una settimana dopo l’intervento, o, in genere, fino alla dimissione.

Recentemente si è visto che l’incidenza di TVP confermata con flebografia viene molto ridotta estendendo la profilassi dopo la dimissione ospedaliera. Infatti uno studio recente ha paragonato l’efficacia della EBPM enoxaparina 4000 UI/die somministrata per una settimana verso la stessa dose prolungata per quattro settimane dopo l’intervento, per la profilassi della trombosi in chirurgia oncologica addominale e pelvica in elezione. Tale studio, denominato “ENOXACAN II” dimostra che la somministrazione di enoxaparina (40 mg sottocute) per quattro settimane è più efficace nel ridurre le trombosi postoperatorie rispetto alla somministrazione per una sola settimana dopo l’intervento, e tale vantaggio persiste nei tre mesi successivi di follow-up [35].

(11)

11

La riduzione delle TVP è risultata statisticamente significativa passando dal 12% al 4.8% nei pazienti con profilassi estese (riduzione del 59% del rischio relativo). Tali dati sono stati confermati da uno studio analogo, conclusosi di recente, denominato “FAME”, che ha utilizzato la EBPM dalteparina (36), e confermano i dati di uno studio prospettico precedentemente pubblicato, in cui i pazienti con cancro rappresentavano il 68.7% della casistica totale (37). In un recente studio clinico prospettico Kakkar et al.

hanno arruolato 625 pazienti a ricevere a 3500 UI di bemiparina per via sottocutanea una volta al giorno per 8 giorni, quindi i pazienti sono stati randomizzati a ricevere bemiparina o placebo per altri 20 giorni. E’ stata quindi eseguita la venografia al ventesimo giorno. E’ stata eseguita la valutazione degli eventi tromboembolici maggiore (Trombosi venosa profonda prossimale, embolia polmonare non fatale e morti correlate al TEV). L’incidenza di episodi tromboembolici maggiore era statisticamente differente sia durante il periodo di trattamento in doppio cieco che durante il follow-up (4.6% e 1.2% nel gruppo trattato con placebo e bemiparina rispettivamente). Non vi era differenza nel sanguinamento maggiore e minore (38).

Recentemente Bottaro et al. hanno presentato i dati di una metanalisi degli studi finora pubblicati (39) (Livello di evidenza 1++). I dati disponibili dimostrano che una profilassi per 4-5 settimane sia in grado di ridurre l’incidenza di trombosi venose profonde del 53% (dal 12.6% al 5.9%), mentre l’incidenza di trombosi venose prossimali è ridotta del 75% (dal 4.9% all’1.2%) rispetto a quanto osservabile nel grupo tattato per una settimana. Il rischio emorragico rimane identico. Pertanto la profilassi prolungata è candidata a costituire un nuovo standard in questo tipo di chirurgia.

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica A

La profilassi prolungata con EBPM per 4 settimane è più efficace nel ridurre le trombosi postoperatorie rispetto alla somministrazione per una sola settimana dopo l'intervento. (39)

Positiva Forte

PAZIENTE AMBULATORIALE

4.2 Profilassi in corso trattamenti antitumorali farmacologici (chemio/ormonoterapia)

La chemioterapia può aumentare il rischio tromboembolico attraverso almeno tre meccanismi (14):

1. Danno acuto sulla parete vasale come può avvenire con la bleomicina, la carmustina e gli alcaloidi della vinca.

2. Danno ritardato sull’integrità dell’endotelio vasale (adriamicina).

3. Riduzione delle proteine regolatrici del processo coagulativo, come la diminuzione dei livelli di proteina C ed S con lo schema CMF (Ciclofosfamide, 5-Fluorouracile, Methotrexate), ovvero la riduzione dei livelli di ATIII in pazienti trattati con Asparaginasi.

I dati clinici più significativi vengono dal tumore della mammella. In questa particolare neoplasia, gli studi analizzati hanno dimostrato che la terapia ormonale con tamoxifene, la chemioterapia, la terapia combinata (chemioterapia + tamoxifene), lo stadio della malattia e lo stato menopausale, hanno un impatto significativo (sebbene diverso) sull’incidenza del TEV. Tale incidenza è valutabile tra il 5% e il 17%, a seconda dello stadio della malattia e del tipo di terapia. La maggior incidenza è riscontrata nelle pazienti con malattia metastatica, verosimilmente per la presenza di fattori di comorbidità, quali l’immobilità (es. dovuta a fratture ossee patologiche, presenza di versamenti neoplastici, astenia), la presenza di versamenti neoplastici e la compressione venosa ab estrinseco (40).

Recentemente Khorana et al. hanno riportato i risultati di uno studio osservazionale, prospettico, multicentrico (41). Gli autori hanno riscontrato una elevata incidenza di TEV in pazienti obesi, con neoplasia del tratto gastroenterico, del polmone e nei pazienti con linfoma, un valore di piastrine >350.000/l, la leucocitosi, l’utilizzo di eritropoietine erano associati allo sviluppo di trombosi all’analisi multivariata.

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12

Questi risultati sono stati recentemente validati (42). Questi dati saranno utili nel disegno di studi futuri di tromboprofilassi nei pazienti ambulatoriali che ricevono chemioterapia,

La chemioterapia e/o l’ormonoterapia adiuvante aumentano il rischio di eventi tromboembolici nelle pazienti affette da carcinoma mammario e del tratto gastroenterico (43).

Uno studio classico, prospettico randomizzato, ha dimostrato l’efficacia della Warfarina a basse dosi (range INR tra 1.3 e 1.9) nel ridurre in maniera significativa il rischio di TEV in pazienti affette da carcinoma mammario metastatico in corso di chemioterapia (44). L’incidenza di TEV si è confermata, in questa condizione, relativamente bassa (4.4% vs 0.6%, rispettivamente, nei gruppi senza e con profilassi). Pertanto tale profilassi, peraltro piuttosto complessa da attuare nella gestione generale di queste pazienti.

Da allora vi è stato grande interesse in questo ambito, soprattutto in relazione all’ impiego delle EBPM nella tromboprofilassi in corso di chemioterapia. Tale interesse è dovuto ai vantaggi già menzionati di queste molecole.

Inoltre si sono recentemente conclusi almeno due studi clinici (“MALT”, “FAMOUS”)(che avevano come obiettivo primario la sopravvivenza) ed uno studio, il “CLOT” (che aveva come obiettivo primario l’efficacia della terapia del TEV verso il trattamento convenzionale con anticoagulanti orali), i quali hanno chiaramente dimostrato la fattibilità e la sicurezza dell’uso a lungo termine delle EBPM (45-47). Recentemente si sono conclusi quattro trial clinici di tromboprofilassi con EBPM in pazienti ambulatoriali trattati con chemioterapia. Lo studio multicentrico PRODIGE ha valutato l’efficacia della EBPM dalteparina in pazienti con glioblastoma cerebrale, stadio 3 e 4 (48). I pazienti hanno ricevuto il trattamento chemioterapico nei 6- 12 mesi successivi alla exeresi chirurgica del tumore. Lo studio è stato recentemente interrotto in quanto l’arruolamento è risultato molto lento. L’incidenza di TEV riportata è stat pari all’11% e al 17%

rispettivamente nei pazienti trattati con EBPM e placebo. La differenza non è risultata statisticamente significativa. Lo studio, dato l’accrual inferiore alle aspettative, non è in grado di escludere in maniera univoca l’utilità della profilassi, in quanto non ha una potenza statistica adeguata. Due studi, che utilizzano la EBPM certoparina, si sono recentemente conclusi. Tali studi, denominati “TOPIC I” e “TOPIC II”, hanno valutato l’efficacia della EBPM certoparina durante chemio e radioterapia in pazienti affetti, rispettivamente da carcinoma della mammella e carcinoma a piccole cellule del polmone (49). Lo studio TOPIC 1 e’ stato interrotto dopo che un’analisi ad interim non ha dimostrato un vantaggio dalla profilassi rispetto al placebo.

L’incidenza di TEV sintomatici e asintomatici è risultta inferiore alle attese, pari al 4% nel gruppo trattato con EBPM, e pari al 3,9% in quello randomizzato al placebo. Lo studio TOPIC II, che ha utilizzato la certoparina in pazienti con carcinoma del polmone non a piccole cellule in fase localmente avanzata o metastatica. Il trial ha ottenuto risultati sovrapponibili al precedente. Tale dato può essere attribuito in parte alla bassa incidenza di eventi, registrati durante lo studio. Un’analisi post-hoc, non prevista dal protocollo, ha documentato una riduzione degli eventi nei pazienti con malattia metastatica trattati con EBPM (10.1% vs 3.5%) Infine uno studio, denominato “PROTECHT”, è stato recentemente concluso (50). Esso ha incluso 1200 pazienti. L’endpoint principale dello studio è stato quello di valutare la riduzione del TEV e delle trombosi arteriose mediante l’utilizzo della EBPM nadroparina in pazienti trattati con chemioterapia per tumore in stadio localmente avanzato o metastatico in diversi sedi anatomiche: polmone, mammella, tratto gastrointestinale, ovaio, testa-collo. Lo studio documenta una riduzione del 50% (dal 4% al 2%) dell’incidenza di TEV e delle trombosi arteriosa mediante l’utilizzo della nadroparina 3800 UI die s.c. per 4 mesi in pazienti ambulatoriali affetti da carcinoma del polmone, mammella, tratto gastrointestinale, ovaio, testa-collo, che ricevono chemioterapia palliativa per una malattia localmente avanzata o metastatica. La riduzione degli eventi è stata particolarmente rilevante nei pazienti affetti da carcinoma del polmone (8.8%

versus 3.5%).

Agnelli et al. hanno riportato i risultati di uno studio prospettico randomizzato in doppio cieco, che ha valutato l’efficacia di un’eparina a bassissimo peso molecolare, la semuloparina, per la prevenzione del tromboembolismo venoso in pazienti con cancro localmente avanzato o metastatico che ricevevano la chemioterapia(51). I pazienti sono stati randomizzati a ricevere semuloparina 20 mg o placebo una volta al giorno, per via sottocutanea, fino al cambio di trattamento chemioterapico. La durata mediana del trattamento è stata di 3.5 mesi.

(13)

13

Il tromboembolismo venoso si è verificato in 20/1608 pazienti (1.2%) che hanno ricevuto la semuloparina, e in 55/1604 (3.4%)pazienti che hanno ricevuto placebo. L’incidenza di sanguinamento clinicamente rilevante si è verificato nel 2.8% e nel 2.0% dei pazienti trattati rispettivamente con semuloparina o placebo. I sanguinamenti maggiori si sono verificati in 19/1589 pazienti (1.2%) che hanno ricevuto la semuloparina e in 18/ 1583 (1.1%) che hanno ricevuto placebo. L’incidenza di eventi in questi due studi è risultata relativamente bassa.

Una recente metanalisi ha confermato che vi è un effetto della profilassi primaria nei pazienti con cancro che ricevono la chemioterapia con un regime ambulatoriale (52) (Livello di evidenza 1+). La stessa metanalisi che non comprendeva lo studio Save Onco (51), suggerisce ulteriori studi clinici per definire meglio l’utilità e l’identificazione dei pazienti ad alto rischio.

Sulla base dei dati attualmente disponibili la profilassi nei pazienti ambulatoriali sottoposti a chemioterapia non viene consigliata routinariamente, ma, a giudizio clinico, è opportuno che venga considerata in rapporto alla valutazione del rischio per TEV dei singoli pazienti.

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica B

Nei pazienti ambulatoriali l'utilizzo della profilassi primaria è da considerare e da discutere con i pazienti ad alto rischio di sviluppo di TEV. (52)

Positiva debole

4.3. Profilassi delle trombosi da catetere

Nel 1990 uno studio prospettico, randomizzato, ha suggerito l’utilità della profilassi con warfarina a dosi fisse di 1 mg/die per la prevenzione delle trombosi venose correlate ai cateteri venosi centrali (53) (Livello di evidenza 1+). Successivamente un altro studio ha dimostrato l’efficacia della profilassi con EBPM nel prevenire le trombosi venose catetere-correlate, rilevate con metodica strumentale (venografia)(54) (Livello di evidenza 1-). Tale studio è stato sospeso prematuramente ed ha arruolato un numero limitato di pazienti.

I dati di questi due studi non sono stati confermati da studi successivi (55-58) (Livello di evidenza 1+).

La possibile spiegazione della discrepanza di dati tra i vecchi e i nuovi studi può essere dovuta al fatto che l’introduzione di nuovi cateteri ed un miglioramento delle tecniche di inserimento dei cateteri stessi possa aver ridotto il rischio di TVP.

Pertanto, almeno al momento, non vi è indicazione per una profilassi generalizzata in pazienti neoplastici con catetere venoso centrale.

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica A

Al momento non vi è indicazione per una profilassi generalizzata in pazienti neoplastici con catetere venoso centrale. (55-58)

Negativa forte

4.4 Paziente ospedalizzato per cause internistiche

L’utilizzo della profilassi per la trombosi venosa è basato su consolidate evidenze scientifiche nella chirurgia oncologica e in specifiche situazioni cliniche in medicina interna. Senza profilassi l’incidenza di TEV in pazienti ospedalizzati varia dal 10 al 40%. Si stima che il 10% dei decessi ospedalieri è attribuibile ad embolia polmonare. E’ importante notare che buona parte di tali eventi si verifica dopo la dimissione dei pazienti. Le esacerbazioni della broncopneumopatia cronica ostruttiva, l’insufficienza cardiaca classe NYHA

(14)

14

III e IV, la sepsi, l’età avanzata, l‘anamnesi positiva per TEV, il cancro e l’allettamento sono tutti fattori di rischio per lo sviluppo di TEV nei pazienti ospedalizati. Ad oggi sono stati pubblicati tre studi clinici che hanno valutato l’efficacia della profilasi primaria nei pazienti ospedalizzati per una patologia acuta. Lo studio MEDENOX (59) (Livello di evidenza 1+) e lo studio PREVENT (60) (Livello di evidenza 1+) hanno utilizzato rispettivamente l’enoxaparina e la dalteparina, mentre lo studio ARTEMIS ha utilizzato il fondaparinux (61) (Livello di evidenza 1+). I pazienti oncologici inclusi è risultata pari al 10-15% della casistica. Tutti e tre gli studi hanno dimostrato che la profilassi è parimenti favorevole in questi pazienti come nei pazienti senza cancro. Nello studio Medenox enoxaparina a 20 o 40 mg/die è stata confrontata con il placebo in 1102 pazienti medici ospedalizzati, la maggior parte dei quali con scompenso cardiaco, insufficienza respiratoria acute o infezione in atto. Enoxaparina 40 mg/die s.c. è stata in grado di ridurre l’incidenza di TEV al 5,5% dei casi rispetto al 15% in quelli trattati con placebo o enoxaparina 20 mg.

Risultati simili sono stati riportati negli altri due studi. Nello studio MEDENOX è stata eseguita un’analisi specifica nel sottogruppo di pazienti con cancro. Tale analisi ha dimostrato che l’impiego di enoxaparina 40 mg/die s.c. consente di ridurre di circa il 60% il TEV, con effetto sovrapponibile nella popolazione di pazienti con cancro. Sebbene tali studi non sono stati disegnati ad hoc, è opinione comune che sulla base di tali studi i pazienti oncologici ospedalizzati debbano ricevere una profilassi del TEV con anticoagulanti, a meno che non coesistano controindicazioni di tipo emorragico. La durata massima della profilassi negli studi citati è stata pari a 14 giorni. Recentemente uno studio clinico denominato EXCLAIM (Extended Clinical Prophylaxis in Acutely Ill Medical Patients) ha dimostrato che la somministrazione protratta della profilassi con enoxaparina fino a 28 ± 4 giorni sembrerebbe più efficace rispetto ai classici 10 ± 4 giorni (62).

Un’analisi nei pazienti con cancro ha confermato il vantaggio anche in tale gruppo di pazienti. Lo studio non è stato ancora riportato in estenso, per cui il problema della durata della profilassi dei pazienti ospedalizzati con cancro rimane ancora non risolto.

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica B Nei pazienti ospedalizzati l'utilizzo della profilassi

primaria è fortemente raccomandata. (59,60,61) Positiva forte

5. Terapia della trombosi venosa profonda

5.1. Terapia della fase acuta

Il trattamento standard del TEV in pazienti con cancro, in assenza di controindicazioni note, non differisce da quello dei pazienti senza cancro e consiste in una fase iniziale in cui si somministra eparina (ENF o EBPM), seguita dall’anticoagulazione con anticoagulanti orali. L’ENF sodica viene somministrata in un bolo iniziale di 5000 UI seguito dall’infusione endovenosa continua di dosi variabili, aggiustate in modo da ottenere, e mantenere, un allungamento del tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT) pari a 1.5-2.5 volte il valore basale. Le EBPM vengono invece somministrate in dosi fisse, aggiustate al peso corporeo, per via sottocutanea due volte al giorno. Esse hanno la stessa efficacia e sicurezza dell’ENF nel trattamento iniziale del TEV (63-65) (Livello di evidenza 1+). Possibilmente entro 24 ore dall’inizio dell’eparina va iniziata l’embricatura con l’anticoagulante orale. Al raggiungimento del range terapeutico di anticoagulazione (INR 2-3) per almeno 2 giorni consecutivi, l’eparina viene sospesa, e viene continuato solo l’anticoagulante orale. Oggigiorno le EBPM possono essere considerate il nuovo standard terapeutico per la terapia iniziale della trombosi. Anche nei pazienti oncologici i due trattamenti, EBPM versus ENF, nella fase iniziale, risultano sovrapponibili nel prevenire le recidive trombotiche. Infatti, con tali schemi, l’outcome a breve termine nei pazienti oncologici non è diverso da quello osservato nei pazienti con TEV non oncologici è parimenti favorevole in questi pazienti come nei pazienti senza cancro.

(15)

15

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica

A

Il trattamento standard del TEV in pazienti con cancro, in assenza di controindicazioni note, non differisce da quello dei pazienti senza cancro e consiste in una fase iniziale in cui si somministra eparina (ENF o EBPM), seguita dall'anticoagulazione con anticoagulanti orali. (63-65)

Positiva Forte

5.2 Quale durata del trattamento anticoagulante nei pazienti neoplastici?

Il trattamento anticoagulante standard a lungo termine con gli anticoagulanti orali (inibitori della vitamina K), al range terapeutico (INR 2-3), si è dimostrato inequivocabilmente efficace nella prevenzione delle recidive del TEV. La durata di tale trattamento dopo un unico episodio di TEV rimane ancora dibattuta. E’

stato, comunque, chiaramente evidenziato che, tra i pazienti con tromboembolismo venoso, il rischio di sviluppare una recidiva tromboembolica durante il follow-up è particolarmente spiccato nei pazienti neoplastici con un rischio relativo pari a 1.7 rispetto ai non neoplastici.

Tale rischio è ancora maggiore rispetto ai pazienti con trombofilia ereditaria. La durata dell’anticoagulazione appare quindi da prolungarsi almeno per tutto il tempo in cui il cancro sia in fase attiva o vi sono terapie antitumorali in corso, a meno che non sussistano delle controindicazioni (es. diatesi emorragica) (Livello di evidenza 4). Il ruolo del trombo residuo valutato mediante metodica ultrasonografica è argomento di ricerca.

Pertanto, la presenza o l’assenza del trombo residuo dopo 6 mesi di terapia anticoagulante standard con EBPM non dovrebbe influenzare la decisione clinica relativamente alla durata della terapia anticoagulante.

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica D*

La durata dell'anticoagulazione va prolungata almeno per tutto il tempo in cui il cancro sia in fase attiva o vi sono terapie antitumorali in corso, a meno che non sussistano controindicazioni.

Positiva debole

*Opinione espressa dal panel

5.3. Terapia a lungo termine del TEV nel paziente oncologico

I pazienti neoplastici con TEV, durante il trattamento anticoagulante orale, sono esposti ad un rischio significativo sia di recidive trombotiche che di complicanze emorragiche, rispetto a pazienti non neoplastici con TEV (2, 66). Nonostante un’adeguata anticoagulazione infatti circa il 5-7% dei pazienti con cancro sviluppa una recidiva di TEV. La condotta terapeutica da far seguire deve pertanto tener conto sia dell’elevato rischio di recidiva sia anche del rischio emorragico in questi pazienti. Pertanto si sta oggigiorno valutando la possibilità di trattamenti alternativi, più efficaci, per la terapia del TEV a lungo termine nelle neoplasie.

Uno studio recente ha valutato l’efficacia della EBPM dalteparina verso la terapia anticoagulante orale nella prevenzione secondaria della trombosi in pazienti neoplastici. I pazienti, dopo un episodio di TEV, erano randomizzati a ricevere: 1. trattamento standard con EBPM (dalteparina 200 UI/Kg/die) per 5-7 giorni embricata con l’anticoagulante orale per 6 mesi (INR 2-3), oppure 2. dalteparina 200 UI/Kg/die per un mese, seguita da una dose pari al 70-80% della dose iniziale per i rimanenti 5 mesi. Il trattamento prolungato con EBPM per 6 mesi ha ridotto le recidive tromboemboliche dal 17% al 9% (p=0.0017), rispetto alla terapia standard con dicumarolici, senza aumentare il rischio di sanguinamento (67) (Livello di evidenza 1+).

(16)

16

I dati di buona tollerablità e sicurezza sono stati confermati da un altro studio condotto da Meyer e coll (68) (Livello di evidenza 1+). Questi autori hanno valutato pazienti con TEV acuto e li hanno randomizzati a ricevere 3 mesi di warfarina ad INR tra 2 e 3 o enoxaparina. Lo studio ha valutato un outcome combinato di emorragie maggiori e recidive trombotiche. Nel gruppo di pazienti che assumeva warfarina l’outcome degli eventi era del 21% versus il 10.5% dei pazienti che avevano assunto enoxaparina. Questa differenza (p=0.09) era dovuta particolarmente alla differenza di emorragie maggiori. In base ai dati forniti da questi studi la EBPM dovrà essere considerata, nel prossimo futuro, la terapia standard nella profilassi secondaria del TEV nei pazienti neoplastici. La terapia warfarinica è infatti particolarmente complicata nei pazienti con tumore per varie ragioni: è spesso molto difficile mantenere l’INR entro il corretto range in quanto i pazienti con cancro soffrono spesso di vomito, possono avere inappetenza o dieta obbligata, oppure alterazioni dell’assorbimento intestinale e/o della funzionalità epatica. Per di più le interazioni farmacologiche delle terapie concomitanti possono ampiamente interagire con i farmaci vitamina K-dipendenti. Infine un altro fattore limitante è dovuto al fatto che si è spesso costretti ad interrompere la terapia anticoagulante per la necessità di procedure microinvasive (toracentesi, biopsie o altro) o piastrinopenia intercorrente.

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica

A

Nei pazienti con TEV l’utilizzo della profilassi secondaria con eparina a basso peso molecolare riduce il rischio di recidive senza aumentare gli episodi di sanguinamento rispetto ai dicumarolici. La profilassi va considerata per almeno 3-6 mesi. Nei pazienti con malattia attiva va considerata la profilassi a lungo termine. (67,68)

Positiva Forte

5.4. Quale terapia nelle recidive?

In generale nei pazienti con trombosi in trattamento con anticoagulante orale, se una recidiva avviene con un INR non in range terapeutico, l’intervento terapeutico consiste nell’adeguamento della dose in modo da riportare l’INR in tale range (INR tra 2 e 3). Nel caso la recidiva avvenga mentre in range terapeutico, l’indicazione è di valutare il passaggio ad altri farmaci, come l’ENF sottocute con aPTT in range terapeutico (aPTT ratio fra 1,5 e 2,5), oppure le EBPM con dose fissa giornaliera, calcolata in base al peso oppure aumentare l’INR (es. target 3.5).

Nel caso in cui la recidiva avvenga durante la fase di mantenimento della EBPM (75-80% della dose iniziale), vi è evidenza che la ri-somministrazione della EBPM a dose piena possa risultare efficace in più del 90% dei pazienti (69) (Livello di evidenza 3).

Qualità dell’evidenza

GRADE

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica

D

In caso di recidiva sotto terapia anticoagulante orale adeguare la dose riportandola al range di INR (tra 2 e 3). Se la recidiva avviene con INR nel range valutare l’utilizzo di altri farmaci. Se avviene in terapia con EBPM risomministrare l’EBPM a dose piena. (69)

Positiva debole

(17)

17

5.5. Quando utilizzare il filtro cavale?

L’utilizzo del filtro cavale nelle trombosi prossimali non sembra ridurre la mortalità nei pazienti non oncologici.

Esso infatti riduce il rischio di EP a breve termine, ma è associato ad un aumentato rischio di recidive a lungo termine anche nonostante un’adeguata anticoagulazione (70) (Livello di evidenza 1+).

L’utilizzo del filtro cavale dovrebbe essere preso in considerazione nei pazienti ad alto rischio di estensione della trombosi venosa prossimale, in cui la terapia anticoagulante sia controindicata (pazienti con sanguinamento attivo o con trombocitopenia prolungata e clinicamente importante) e/o nei pazienti con tromboembolismo ricorrente nonostante una adeguata terapia anticoagulante. La stessa indicazione va applicata anche ai pazienti oncologici.

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica

A

L’utilizzo del filtro cavale dovrebbe essere preso in considerazione solo nei pazienti ad alto rischio di estensione della trombosi venosa prossimale, non oncologici, in cui la terapia anticoagulante sia controindicata (pazienti con sanguinamento attivo o con trombocitopenia prolungata e clinicamente importante) e/o nei pazienti con tromboembolismo ricorrente nonostante una adeguata terapia anticoagulante. (70)

Positiva debole

6. Anticoagulanti e prognosi della malattia neoplastica

Le ricerche di base negli ultimi 30 anni hanno dimostrato quanto segue: 1. le cellule tumorali sono in grado di attivare la cascata coagulativa; 2. vi è una correlazione tra capacità di influenzare il processo coagulativo e fenotipo trasformato; 3. diverse evidenze sperimentali documentano una stretta relazione tra la cascata coagulativa e la capacità di crescita locale e di disseminazione metastatica delle cellule tumorali. Infine vi sono dati che suggeriscono come ci sia la possibilità di inibire, nei modelli sperimentali, la crescita e la disseminazione tumorale mediante l’utilizzo della terapia anticoagulante (14, 15, 68). Negli ultimi 25 anni una serie di studi prevalentemente retrospettivi hanno valutato l’impatto dei farmaci antagonisti della vitamina K e della eparina non frazionata sulla sopravvivenza dei pazienti tumorali. Due revisioni sistematiche degli studi più significativi, pubblicati in letteratura, hanno evidenziato risultati contraddittori circa il ruolo della eparina non frazionata o degli antagonisti della vitamina K nei pazienti con cancro (71, 72,73). Al contrario una metanalisi degli studi che hanno valutato l’efficacia della eparina non frazionata e della EBPM in pazienti con TEV, ha documentato una riduzione della mortalità nei pazienti che hanno ricevuto la EBPM (74). Recentemente tre studi prospettici, disegnati ad hoc, (lo studio MALT, lo studio FAMOUS, e lo studio di Altinbas et al. sul carcinoma a piccole cellule del polmone), avvalorano questa ipotesi (45, 46, 75) (Livello di evidenza 1+). Una valutazione complessiva di questi trials sembra suggerire che la EBPM potrebbe influenzare la prognosi dei pazienti neoplastici, soprattutto di quei pazienti con malattia in stadio non avanzato. Anche lo studio CLOT ha documentato (in un’analisi a posteriori, ma già presente nel disegno iniziale dello studio) che la EBPM, utilizzata nella profilassi secondaria della trombosi, migliora la prognosi dei pazienti con malattia in stadio iniziale, rispetto agli antagonisti della vitamina K (47) (Livello di evidenza 1+). Recentemente lo studio IMPACT non ha dimostrato alcun beneficio delle EBPM (76) (Livello di evidenza 1+).

(18)

18

In ogni caso esistono numerose criticità circa gli studi finora pubblicati riguardo all’uso degli anticoagulanti per migliorare la prognosi dei pazienti con cancro:

1) La classificazione TNM della malattia, il performance status e altri fattori prognostici clinici non sono riportati in tutti gli studi. Diversi autori hanno riportato i risultati clinici prendendo in considerazione due gruppi di pazienti: quelli con limitata e quelli con malattia metastatica. Questo tipo di classificazione non è informativa e il TNM o il sistema di stadiazione AJCC dovrebbe essere utilizzato per confrontare pazienti con parametri basali simili. Questi parametri possono essere importanti fattori confondenti poiché il performance status e lo stadio della malattia di per sé sono prognostici nei pazienti affetti da cancro.

2) Il programma di chemioterapia non è ben descritto in tutti gli studi pubblicati e questo introduce un bias potenziale nella interpretazione dei risultati clinici, dal momento che per i tumori testa e collo, cancro colorettale, il cancro gastrico, del pancreas e delle vie biliari i malati di cancro trattati con determinati regimi chemioterapici hanno una prognosi migliore.

3) Il dosaggio della EBPM è diverso nei vari studi pubblicati e l'interpretazione clinica dei risultati è problematica, poiché il dosaggio eterogeneo non può essere considerato come una singola entità terapeutica.

4) La durata del trattamento è diverso e questo complica la scelta circa la migliore schedula di somministrazione dell’anticoagulante. Comunque il ruolo delle eparine a basso peso molecolare in questo ambito rimane ancora da definire. Ulteriori studi sono in corso per meglio delineare la questione.

Qualità dell’evidenza

SIGN

Raccomandazione clinica

Forza della raccomandazione

clinica B Le EBPM non devono essere utilizzate nella pratica clinica

per migliorare la prognosi dei pazienti con cancro. (76) Negativa forte

7. Ruolo dei nuovi anticoagulanti orali (NOAC)

Il profilo farmacodinamico di warfarin e VKA (Antagonisti della Vitamina K) non è prevedibile, pertanto i pazienti devono costantemente sottoporsi al monitoraggio ematico per la valutazione dell’INR. Per assicurare efficacia terapeutica e limitare i rischi di sanguinamento maggiore, l’INR deve essere mantenuto in un range terapeutico compreso tra 2 e 3. Nel tentativo di migliorare il rapporto rischio beneficio della terapia anticoagulante con VKA e la qualità di vita dei pazienti, sono state commercializzate altre due classi di anticoagulanti orali: la classe degli inibitori diretti della trombina (dabigatran) e la classe degli inibitori diretti del fattore X attivato (apixaban e rivaroxaban) (Tabella 1). Diversamente da warfarin, i NOAC sono caratterizzati da un profilo farmacodinamico prevedibile, motivo per cui non necessitano del monitoraggio di routine, e presentano un numero relativamente limitato di interazioni con alimenti o farmaci.
 A differenza di warfarin, che inibisce la sintesi vitamina K-dipendente dei fattori della coagulazione II, VII, IX e X, i NOAC inibiscono la coagulazione attraverso il legame diretto e specifico con il sito attivo della trombina (dabigatran) o del fattore Xa (apixaban, rivaroxaban).

Ad oggi non ci sono dati, derivanti da studi prospettici randomizzati di fase III, sull’efficacia dei NOAC nella profilassi primaria dei pazienti oncologici ambulatoriali oppure ospedalizzati con malattia attiva in trattamento chemioterapico.

In 6 studi clinici che hanno paragonato i NOAC al Warfarin nella terapia della TVP o della EP (RECOVER I-II, EINSTEIN-TVP e EINSTEIN-TEP, AMPLIFY, HOKUSAI TEV) la percentuale di pazienti con cancro inclusi negli studi è molto bassa, pari al 4-6%.

(19)

19

Ad oggi, sulla base dei dati disponibili, i NOAC non sono indicati, nei pazienti con cancro, per la profilassi scondaria dopo TEV per i seguenti motivi:

1. I NOAC sono risultati non inferiori a warfarin nei pazienti senza cancro, ma ci sono dati insufficienti per dimostrare che non sono inferiori a warfarin nei pazienti con cancro.

2. Non vi è alcuna evidenza che dimostri che i NOAC siano ugualmente efficaci o superiori alle EBPM nei pazienti con cancro.

3. La percentuale di pazienti oncologici inclusi nei trial clinici non solo è bassa, ma i pazienti arruolati in tali studi sono molto selezionati per cui risulta difficile estrapolare i dati alla popolazione generale oncologica.

4. Inoltre negli studi suddetti vi sono poche informazioni, nei pazienti oncologici arruolati, sul tipo di neoplasia, lo stadio clinico, il tipo di trattamento chemioterapico. Inoltre la definizione di ‘cancro attivo’ differisce da uno studio all’altro.

5. Data la superiorità della EBPM sul warfarin nella terapia del TEV nei pazienti oncologici, uno studio prospettico randomizzato è in corso al fine di paragonare EBPM e NOAC.

6. I dati di sicurezza nella popolazione con insufficienza renale ed epatica non permettono di escludere problemi di accumulo nei pazienti con cancro.

7. Gli inibitori e gli induttori del CYP-3A4, rispettivamente, aumentano e riducono le concentrazioni dei NOAC, per cui l’uso di questi farmaci è gravato da interferenze farmacologiche non trascurabili con chemioterapici, inibitori delle tirosinchinasi e altri farmaci utilizzati in terapia di supporto nei pazienti con cancro.

Tabella 1

Farmaco Dabigratan Rivaroxaban Apixaban

Dosaggio 110 mg

150 mg

15 mg 20 mg

15 mg 20 mg

5 mg 2,5 mg Indicazione terapeutica Prevenzione di ictus e

embolia sistemica in pazienti adulti con fibrillazione atriale non valvolare (FANV) con uno o più fattori di rischio

Prevenzione dell'ictus e dell'embolia sistemica nei pazienti adulti affetti da (FANV) con uno o più fattori di rischio

Trattamento della trombosi venosa profonda (TVP) e dell'embolia polmonare (EP) e prevenzione delle recidive di TVP ed EP nell'adulto

Prevenzione di ictus e embolia sistemica in pazienti adulti con FANV e uno o più fattori di rischio

Parametro

Biodisponibilità 3-7% 66% senza cibo

100% con cibo

50%

Tempo di picco massimo 3 ore 3 ore 3 ore

Eliminazione 80% renale 75% epatica

25% renale

25% renale 75% fecale

Emivita 12-17 ore 11-13 ore 9-14 ore

(20)

20

8. Figure

FIGURA 1: PROFILASSI DEL PAZIENTE CHIRURGICO CHIRURGIA MAGGIORE ADDOMINALE, PELVICA, TORACICA NON CONTROINDICAZIONE ALLA TROMBOPROFILASSI

EPARINA A BASSO PESO MOLECOLARE AD ALTO DOSAGGIO* METODI MECCANICI COME LA COMPRESSIONE PNEUMATICA POSSONO ESSERE ESSEREAGGIUNTI ALLA TROMBOPROFILASSI MEDICA MA NON UTILIZZABILI COME MONOTERAPIA A MENO CHE LA TROMBOPROFILASSI SIA CONTROINDICATA: ES. SANGUINAMENTO ATTIVO

PROLUNGARE LA PROFILASSI FINO A 4-5 SETTIMANE DALL’INTERVENTO *EBPM AD ELEVATO DOSAGGIO: ES. ENOXAPARINA 4000 UI ANTI Xa, DALTEPARINA 5000 UI ANTI Xa

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