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Onu, ultima chiamataper la pace ad Aleppo MONDO

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Academic year: 2022

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Mattarella: non ci si può rassegnare al dramma della città martire

Il presidente scrive ai promotori della

Marcia Perugia Assisi: fermare le guerre è un «dovere

della comunità internazionale»

I CASCHI BIANCHI. Soccorso a un ferito nel centro di Aleppo (Epa)

TURCHIA

Golpe, finiscono in cella anche i capi della polizia

Ankara. Le autorità turche hanno spiccato mandati di ar- resto per 166 persone, tra cui capi della polizia in un’opera- zione legata al golpe fallito del 15 luglio. L’agenzia di stampa governativa ha riferito che il blitz era diretto soprattutto nel quartiere generale della poli- zia ma ha coinvolto 35 provin- ce colpendo persone che han- no usato in vario modo un’ap- plicazione di messaggistica su smartphone, Bylock.

NAZIONI UNITE

«Un’inchiesta in Etiopia sulla strage degli Oromo»

Ginevra. «C’è chiaramente bi- sogno di un’inchiesta indipen- dente su quanto realmente ac- caduto domenica» alla festa religiosa della comunità Oro- mo, in Etiopia, dove decine di persone (400 secondo l’oppo- sizione) sono rimaste uccise.

Lo ha detto il portavoce del- l’Alto commissario per i diritti umani, Rupert Colville, sotto- lineando l’impossibilità per gli

«osservatori indipendenti di a- vere accesso alle regioni Oro- mia e Amhara per incontrare tutte le parti e stabilire i fatti».

Beirut. Un’infanzia rubata a quei piccoli sciuscià siriani

LUCAFOSCHI BEIRUT

rrivano in gruppuscoli dalle viscere della periferia gli sciuscià siriani di Beirut. A- scoltano in cerchio intorno al veterano quando Hamra street è ancora deserta, poi si se- parano come concordato, cominciano la ronda con il banchetto di legno, le spazzole, gli stracci e i lucidi. Presto la via del commercio sarà un tor- mento di rumori, donne alle vetrine e uomini che fumano inchiodati ai tavoli dei caffè all’aperto.

Nel 2014 il ministero del Lavoro contava 180.000 minori siriani impegnati in attività lavorative, u- na moltitudine che contribuisce alla sopravvi- venza del milione e mezzo di rifugiati, un terzo dell’intera popolazione libanese, divisa dalle ci- catrici della guerra civile e minacciata dalle ten- sioni dell’anomia regionale.

L’esercito di bambini lavora chino nei campi a- gricoli della valle della Beqaa, tira carretti di frut- ta, è chiuso nelle fabbriche e nelle officine, è a

A

servizio nelle case o nei ristoranti dove sbuccia aglio per un dollaro al giorno. I più soli cadono nella rete della prostituzione.

Varcata la frontiera i risparmi familiari sono pre- sto andati in fumo, e i minori sono diventati par- te di una deriva sottoproletaria in terra stranie- ra. A Beirut, l’indigenza e un

mercato del lavoro informale che ha da tempo superato la sa- turazione si semplificano per molti fanciulli nello sconsolato teatro della strada. Ibrahim, un- dicenne originario di Homs, pe- sca dal secchio il ghiaccio lique- fatto dove galleggiano poche bottiglie d’acqua, si bagna il ca-

po, poggia gli occhi tristi sul serpente arroven- tato delle macchine in coda fra Sodeco e Place Sassine. Da tre anni nella capitale, vive con lo zio e i cugini. Il padre e la madre sono morti in un bombardamento nel 2013.

«La legge libanese sul lavoro dei rifugiati è mol-

to restrittiva, circoscrive l’impiego ad agricoltu- ra e costruzioni. Così spesso i bambini sostitui- scono i genitori, loro non corrono il rischio del- l’espulsione, con una multa di 30 dollari sono fuori dalla stazione di polizia», spiega Sara San- nouh, responsabile per l’International Rescue Committee del program- ma dedicato ai bambini di strada, operativo dal 2014.

Sara coordina l’attività di 20 venti giovani che pat- tugliano 24 ore su 24 Bei- rut e il Monte Libano, mantengono un contatto costante con 700 bambi- ni, organizzano per loro seminari su come sopravvivere ai pericoli della giungla urbana, agli uomini. «Sono soggetti a vio- lenze verbali e fisiche, che talvolta trascendono in abusi sessuali. Lavoriamo da cinque anni fra le strade di Beirut e sospettiamo l’esistenza di re- ti criminali che gestiscono il lavoro minorile, ma

è difficile scoprirle e pericoloso de- nunciarle», racconta Sara. Il pro- gramma offre supporto economico e psicologico alle famiglie, cerca di ri- durre il numero di ore trascorse per strada inserendo i bambini in con- testi lavorativi sicuri e remunerati, apre due volte a settimana un labo- ratorio dove possono ritrovare il gio- co. «La prima cosa che fanno se ci incontriamo per caso è chiedermi

del denaro o cercare di vendermi qualcosa. Ma basta fare riferimento al laboratorio perché cam- bino espressione perché tornino bambini».

Basta fermarsi un attimo per cogliere queste pic- cole epifanie: una macchina ferma all’incrocio di Sultan Ibrahim rifiuta al fanciullo le solite gom- me da masticare, i fazzoletti, e porge fuori dal fi- nestrino una scatola con farina, riso e dolci, che il fanciullo scarta seduto in un angolo guardan- dosi attorno perplesso, minuscolo nell’imbruni- re della metropoli. “Ibn al-sharea”, “figlio della

Sono almeno 180.000 i minori impegnati in attività

lavorative. Molti finiscono nella rete del crimine

LUCAMIELE

il «momento della verità», ha det- to ieri il ministro degli Esteri di Pa- rigi, Jean-Marc Ayrault. Siamo al- l’ultima spiaggia per evitare «la distru- zione totale» di Aleppo che si consume- rebbe in appena due mesi, aveva vatici- nato due giorni fa l’inviato speciale del- l’Onu Staffan de Mistura. Ma l’ultima i- niziativa diplomatica – che sarà votata oggi dal Consiglio di sicurezza dell’Onu – rischia di schiantarsi, ancora una vol- ta, sul muro degli opposti veti. E sulla con- troffensiva lanciata, ieri, dal segretario di Stato Usa, John Kerry che ha puntato l’in- dice contro Damasco e Mosca, accusati di «crimini di guerra». Riuscirà – am- messo che superi lo scoglio della vota- zione – la bozza di risoluzione per il ces- sate il fuoco a fare tacere davvero le armi ad Aleppo? Resta il j’accuse durissimo mosso da de Mistura: «Dal 25 settembre al 5 ottobre 376 persone sono state ucci- se nella parte orientale di Aleppo, di cui un terzo erano bambini. E altri 1.266 ci- vili sono rimasti feriti». E l’appello: «Bi- sogna agire, e agire ora, per evitare un’al- tra Srebrenica o un altro Ruanda».

La prima risposta è arrivata dai miliziani del Fronte Fatah al-Sham (ex al-Nusra).

La proposta, targata Nazioni Unite, di ab- bandonare Aleppo in cambio della fine dei raid russo-siriani? Bocciata. Senza ap- pello. Un portavoce del gruppo, Hossam al-Shafai, ha scritto su Twitter che i suoi miliziani – in totale un esercito di circa no- vecento uomini – sono «determinati a spezzare l’assedio» nella parte orientale della città. Altrettanto dura la reazione russa. L’ambasciatore di Mosca all’Onu, Vitali Churkin ha detto che la bozza per la tregua ad Aleppo, che chiede anche di fermare gli attacchi aerei, «è fatta per cau- sare il veto russo». «Non sono fiducioso che si trovi l’unità all’interno del Consi- glio di sicurezza», ha aggiunto. Da parte sua, il vice ministro degli Esteri russo, Gennadi Gatilov aveva sostenuto, in pre- cedenza, che la bozza delle Nazioni Uni- te «contiene una serie di punti inaccet- tabili e politicizza la questione degli aiu- ti umanitari».

L’altro fronte – quello dell’antagonismo a distanza tra Usa e Russia – resta altret- tanto incandescente. John Kerry ha, an- cora una volta, puntato il dito contro il re-

È

gime siriano di Assad e contro il suo spon- sor – e custode – russo. Colpevoli, a suo dire, di «crimini di guerra». «Il regime ha attaccato nuovamente un ospedale: ven- ti persone sono rimaste uccise e cento ferite. La Russia e il regime devono al mondo più di una spiegazione sui moti- vi per cui non smettono di colpire ospe- dali, infrastrutture mediche, bambini e donne», ha detto Kerry in un incontro

con la stampa assieme al suo omologo francese Ayrault, in cui ha chiesto «una in- chiesta appropriata per crimini di guer- ra». «Coloro che commettono atti di que- sto genere dovrebbero essere ritenuti re- sponsabili delle loro azioni. Qui si va mol- to al di là dell’incidente», ha aggiunto il capo della diplomazia Usa. L’accusa di Kerry è arrivata nella stessa giornata in cui l’intelligence Usa e il dipartimento per la Sicurezza interna hanno accusato formalmente il governo russo di aver or- chestrato i recenti attacchi hacker per «in- fluenzare» le presidenziali.

Secondo Medici senza Frontiere, dall’i- nizio dell’assedio ad Aleppo, «ci sono sta- ti almeno 23 attacchi documentati con- tro le strutture sanitarie e solo otto ospe- dali sono ancora attivi». Le due princi- pali strutture medico-chirurgiche della zona est di Aleppo, supportate da Msf e altre organizzazioni, sono state danneg- giate cinque volte ciascuna, lasciandone una inutilizzabile dal primo ottobre.

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Sergio Mattarella (Ansa)

La Russia minaccia il veto alla risoluzione per la tregua. Il «no»

dei jihadisti del Fronte Fatah al-Sham: «Non smobilitiamo»

E Washington accusa formalmente Mosca: gli hacker

vogliono influenzare le elezioni IRAQ

Razzi del Daesh sparati sulla diga di Mosul

Miliziani del Daesh hanno lanciato nella notte quattro razzi contro la diga di Mosul, nel nord dell’Iraq. Lo hanno riferito fonti locali ad agenzia Nova, aggiungendo che i razzi hanno colpito la zona della diga senza provocare danni e non si registrano feriti. Il primo razzo ha centrato un campo di calcio che si trova nella zona residenziale vicino alla diga, mentre il secondo ha colpito il quartiere al Muhandisin. Il terzo razzo è caduto nella zona della sede della compagnia italiana Trevi, impegnata nei complessi lavori di messa in sicurezza della struttura, e il quarto e ultimo è caduto nell’acqua. È la prima volta che il Daesh colpisce la diga da quando ha lasciato la zona due anni fa. Subito dopo l’attacco sono intervenuti velivoli militari a difesa della diga che hanno aperto il fuoco contro gli aggressori.

on rassegnarsi alla tragedia siriana.

Alla vigilia della Marcia della pace di domenica da Perugia ad Assisi, Sergio Mat- tarella lancia un accorato appello in un messaggio agli organizzatori. «Fermare le guerre non è solo possibile ma, anzi, è un dovere della comunità internazionale», sot- tolinea il presidente della Repubblica nel messaggio alle associazioni e agli enti lo- cali promotori. «Tante vite spezzate, tante famiglie disperate e sconvolte, tanti bam- bini uccisi, anche in questi giorni, scuoto-

no la nostra coscienza. Non ci si può rasse- gnare alla strage e alle violenze di Aleppo».

Il capo dello Stato si rivolge in particolare

«ai giovani, che esprimono la loro speran- za di vedere cancellate le guerre, le violen- ze e le limitazioni dei diritti umani in ogni angolo del mondo» e ai quali «anzitutto tocca far sentire la loro voce». «La pace - di- ce Mattarella - è questione che non inter- pella solo i vertici delle Nazioni o ristrette classi dirigenti. I popoli subiscono le con- seguenze delle guerre. È da loro che può

venire una nuova stagione di cooperazio- ne, di sviluppo sostenibile, di rispetto re- ciproco».

Ad aprire la Marcia Perugia-Assisi sarà uno striscione con su scritto «Vinci l’indifferen- za»: «È arrivata l’ora di reagire – ha affer- mato il coordinatore nazionale della Tavo- la della pace, Flavio Lotti – non possiamo continuare ad assistere alle stragi» senza

«assumerci la responsabilità di dire basta e costruire la pace». All’appuntamento di do- menica – ha spiegato il Comitato promotore

– sono attese «decine di migliaia di perso- ne». Secondo Lotti le città che hanno con- fermato la loro presenza con delegazioni sono 466: «E 769 finora le adesioni di asso- ciazioni e istituzioni, tra cui 102 scuole».

«Abbiamo un bisogno disperato di una po- litica di pace e la Perugia-Assisi è la più gran- de manifestazione contro quello che sta ac- cadendo in Siria, la prima e purtroppo u- nica manifestazione in Europa. E questo è gravissimo, è uno scandalo». (L.Liv.)

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N

FEDERICAMARGARITORA

agro. Scavato in volto. Dimostra meno dei suoi 40 anni. Mazen Alhummada, origi- nario di Deir ez-Zor, nell’est della Siria, è stato arrestato tre volte, tra il 2011 e il 2012, du- rante le prime manifestazioni di piazza contro il regime di Bashar al-Assad. L’ultima volta è stata quella definitiva. Stava portando latte in polvere per i bambini nel sobborgo damasceno di Daraya, culla della rivoluzione non violenta.

«Un crimine imperdonabile», sottolinea sorri- dendo. Da quel momento, lo aspettavano un an- no e sette mesi di detenzione e torture. Incon- triamo Mazen al museo Maxxi di Roma, dove fi- no a domani sono esposte alcune delle 55.000 fo- tografie scattate da Caesar, pseudonimo di un ex ufficiale siriano, ai detenuti vittime di tortura. «I- nizialmente mi hanno disteso a terra e hanno co- minciato a calpestarmi. Erano quattro uomini del- la sicurezza molto grossi, mi hanno rotto tutte le costole. Poi mi hanno appeso per le braccia a 40 centimetri da terra, con le manette che mi stac- cavano la pelle dai polsi, gravati dal peso di tutto

il corpo». Mentre parla mima le sevizie subite, av- vicina la mano al pube e prosegue il racconto: «Ol- tre alle bruciature sulle gamme con un fil di ferro arroventato, ad un certo punto mi hanno inflitto sevizie sessuali».

Gli chiediamo il motivo, secondo lui, di tanto ac- canimento. «La loro unica preoccupazione era quella di farci confessare atti che giustificassero la nostra condanna a morte. Condanna che pe- raltro era già stata decisa». Anche Mazen ha di- chiarato ciò che i suoi aguzzini volevano sentirsi dire: «Nessuno può resistere a tali torture. Alla fi- ne gli dici ciò che vogliono. E loro possono dire di aver arrestato e punito pericolosi terroristi e pos- sono giustificare la risposta armata del regime».

Sballottato da un carcere ad un altro ad un certo punto Mazen Alhummada diventa un numero.

Nel gennaio 2013 lo portano in ospedale perché perdeva sangue dalle urine, ma prima di trasferirlo gli dicono che d’ora in poi lui è 1858. E glielo scri- vono in fronte. «In ospedale – ricorda Mazen – persino le infermiere ci picchiavano, si toglieva- no le pantofole e ce le davano in testa. La propa- ganda del regime aveva convinto anche loro che

noi fossimo dei terroristi che attentavano al po- polo siriano». Incurante del terreno bagnato dal- la recente pioggia, Alhummada si accuccia da- vanti a noi con le gambe rannicchiate: «Vedete – dice – anche quando stavamo in cella non pote- vamo stare sdraiati ma dovevamo metterci in que- sta posizione per entrarci tutti». Dopo cinque gior- ni di ospedale Mazen è stato trasferito nel carce- re di Adra, dove sono rinchiusi i detenuti in atte- sa di giudizio.

«Dio mi ha salvato – afferma Alhummada – quando mi hanno portato davanti ad un giudi- ce con un cuore e una coscienza. E sono stato rilasciato». Era luglio del 2013. «Ho cominciato a rilasciare interviste ad al-Arabiya, ad al-Jazee- ra, ma nessuno mi credeva. Finché non è usci- to fuori l’archivio di Caesar, allora hanno co- minciato a darmi ascolto». Ora vive in Olanda, dove ha ottenuto lo status di rifugiato politico e da lì cerca di portare avanti la causa: «Non vo- gliamo più dittatori, vogliamo la democrazia per la nostra Siria». Ci saluta con lo sguardo di chi sa che la speranza si allontana.

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M

Sabato 8 Ottobre 2016

12 M O N D O

Mazen Alhummada

Onu, ultima chiamata per la pace ad Aleppo

Oggi il voto, de Mistura: «Agire ora»

Kerry contro Mosca: crimini di guerra

La storia. «La mia caduta nell’inferno del regime»

L’orrore delle prigioni della Siria esposto al «Maxxi» di Roma nelle foto scattate ai detenuti vittime delle torture

Un bambino siriano nel cuore di Beirut (LaPresse/Reuters)

strada” è l’espressione che descrive in arabo chi ha appreso il vivere fuori dalla sfera protettiva della famiglia. Sono le mani nere di lucido, la bal- danza del passo, o l’espressione accigliata e il contrattare di Fatima, 6 anni, regina notturna di Mar Mikhail con i suoi mazzi di gardenie o di ro- se, le collane di conchiglie da vendere fra l’in- differenza o le carezze, un tunnel infinito fra gli ubriachi e la musica della strada dove Beirut cer- ca l’Occidente, e l’oblio.

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