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Il risarcimento del danno da lesione del possesso - Judicium

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Michele Fornaciari

Il risarcimento del danno da lesione del possesso

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Gli aspetti problematici. – 3. Tipologia dei danni e prima messa a fuoco del problema.

– 4. Segue: il valore del possesso. – 5. La questione centrale: lesione del possesso risarcibile in quanto tale o in collegamento con il diritto. – 6. Segue: specificazione del significato della risarcibilità della lesione del possesso solo in collegamento con il diritto; la conferma fornita in proposito dalle rationes della tutela del possesso. – 7. Segue: le modalità del coordinamento fra la prospettiva possessoria e quella petitoria. – 8. Le ricadute della ricostruzione fornita: in particolare il titolo della responsabilità e la quantificazione del risarcimento. – 9. Il danno da lesione della detenzione.

1. – In un recente lavoro monografico1, ho tentato di delineare i tratti generali della tutela del possesso ragionando sulla base delle rationes sottese a tale tutela.

Rapidamente sintetizzando i tratti salienti di tale tentativo, premessa la necessità di far riferimento al singolo ordinamento, il possesso essendo un istituto assai mutevole sia nel tempo che nello spazio, tre sono le rationes che ho ritenuto dover essere prese in considerazione: 1) evitare la violazione della sfera di disponibilità materiale altrui; 2) disciplinare un conflitto non regolato, nel senso di dare tutela al soggetto che, pur non avendone titolo, nell’assenza/inerzia del titolare del diritto si prende cura del bene; 3) introdurre un’agevolazione probatoria a favore del titolare del diritto.

Sulla base di tali rationes, ho quindi creduto di poter affermare che la tutela possessoria rimane tendenzialmente esclusa con riferimento alle situazioni obbligatorie, e dunque alla detenzione (in questione, più in generale, è qualunque controversia che concerna tale posizione e dunque non solo quelle che vedono il detentore quale soggetto asseritamente leso, vuoi da parte del possessore mediato vuoi da parte di terzi, ma anche quelle che vedono quale soggetto asseritamente leso il possessore mediato da parte del detentore). Più specificamente, ho sostenuto che, con riferimento a quest’ultima, la tutela possessoria risulta applicabile solo in presenza di una violazione della sfera di disponibilità materiale e non anche in presenza di altri tipi di lesioni [ciò che consente dunque, a dispetto delle frequenti critiche rivolte alla disciplina positiva, di approvare senz’altro il fatto che questa conferisca al detentore la sola azione di spoglio (da intendere peraltro estesa a qualunque violazione della suddetta sfera) e che è piuttosto il generalizzato conferimento dell’azione di manutenzione al possessore che deve essere restrittivamente riferito ai soli rapporti con i terzi e non anche a quelli con il detentore].

Per quanto concerne poi i presupposti della tutela, ho parimenti distinto fra violazione della sfera di disponibilità materiale ed altre lesioni, nel primo caso essendo sufficiente dimostrare la disponibilità materiale del bene, ed anzi direttamente quest’ultima dovendo essere ritenuta, già sul piano del diritto sostanziale, la situazione protetta (ciò rende fra l’altro la tutela avverso queste lesioni estremamente semplice e rapida, in linea con l’esigenza di pronta reazione, che esse effettivamente presentano), nel secondo essendo viceversa necessario dimostrare il possesso, e più specificamente la tipologia di quest’ultimo (la tutela avverso queste lesioni è dunque meno semplice e rapida di quella avverso la violazione della sfera di disponibilità materiale; ciò non rappresenta peraltro un problema, dato che in presenza di queste lesioni non si avverte una particolare esigenza in tal senso, maggiore di quella che sussiste per la tutela giurisdizionale di qualunque altra situazione protetta).

1 Il possesso e la sua tutela. Lineamenti generali, Torino 2012, capp. III ss.

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Quanto infine agli strumenti di tutela, ho ritenuto che non vi siano limitazioni particolari e che dunque, al di là delle azioni tipiche di reintegrazione e di manutenzione, anche altri tipi di azioni – e segnatamente quella di danni – siano senz’altro possibili.

Questi essendo i passaggi essenziali e gli approdi del tentativo operato nel riferito lavoro, l’utilità di tale impostazione non si esaurisce peraltro, se non m’inganno, a tale stadio. Continuando a riflettere sul problema, mi sembra infatti di poter affermare che l’approccio in questione, e segnatamente il riferimento alle rationes della tutela del possesso, si riveli interessante e sia destinato a risultare proficuo, anche per quanto più specificamente concerne la tutela risarcitoria2, che, come si sa, rappresenta uno dei punti nevralgici della materia.

2. – Per la verità, in linea di principio, che la lesione del possesso sia risarcibile rappresenta, in sé, un dato senz’altro acquisito, sia, pressoché unanimemente, in giurisprudenza3, sia anche, per quanto con qualche maggiore oscillazione, in dottrina4.

Questo vale però appunto solo in linea di principio, perché poi, scendendo alle applicazioni concrete, tutto si riscontra, fuorché uniformità di vedute, certezze e punti fermi. In effetti, vuoi sul versante sostanziale vuoi su quello processuale, la materia è fonte di numerosissimi contrasti e interrogativi, variamente collegati fra loro, che, schematizzando, si potrebbero raggruppare come segue:

- innanzitutto quello di fondo, relativo alla natura ed al fondamento del risarcimento in discorso, se esso sia da ricollegare direttamente alle norme che accordano tutela avverso lo spoglio e le molestie, oppure discenda dalla normativa generale di cui agli artt. 2043 ss.;

- a seguire, poi, quello circa la necessità o meno dell’elemento psicologico del dolo o della colpa e circa i rapporti di tale elemento con l’animus spoliandi/turbandi (a proposito del quale è a sua volta, più in generale, incerto se si tratti di un requisito effettivamente necessario ai fini delle azioni possessorie tipiche e comunque se esso debba essere specificamente dimostrato oppure debba ritenersi implicito nella lesione del possesso);

- quello circa la risarcibilità sia del danno “integrativo” della reintegra/manutenzione, sia di quello

“sostitutivo” della stessa, nel caso di distruzione/consumazione del bene, oppure solo del primo;

2 Sul punto v. in part. infra, n. 6.

3 Cfr. da ultimo (talvolta solo incidentalmente o implicitamente, ma comunque nell’ottica della scontata risarcibilità) Cass., 12 gennaio 2011, n. 534, in Foro it., 2011, I, c. 1126; Cass., 12 ottobre 2010, n. 21011; Cass., 18 febbraio 2008, n.

3955; Cass., 5 luglio 2007, n. 15233, in Giust. civ., 2008, I, p. 411, con nota di COSTANZA, Possesso e risarcimento del danno; Cass., 5 dicembre 2006, n. 25899; Cass., 29 novembre 2006, n. 25241; Cass., 23 febbraio 2006, n. 4003, in Giur.

it., 2007, p. 1399, con nota di ROSSATO, La Cassazione conferma la risarcibilità del danno subito dal possessore, Resp.

civ. e previdenza, 2006, p. 1252, con nota di CICERO, Lesione del possesso e responsabilità possessoria, La nuova giur.

civ. comm., 2006, p. 1027, con nota di BENEDETTI, Legittimazione ad agire, possesso di autovettura e risarcimento del danno, Arch. giur. circ. sinistri, 2006, p. 475; Cass., 27 ottobre 2005, n. 20875; Cass., 20 febbraio 2004, n. 3400; Cass., 29 novembre 2001, n. 15130; Cass., 2 agosto 2001, n. 10572. Isolatamente contrarie Trib. Sup. Acque Pubbl., 19 gennaio 1963, n. 1, in Foro it. Rep., 1963, voce Acque pubbliche e private, 61, e, nella giurisprudenza di merito, Pret.

Torino, 3 aprile 1995, in Giur. it., 1995, I, 2, c. 686; Pret. Caulonia, 30 settembre 1991, in Giur. merito, 1994, p. 300.

4 V. per tutti TENELLA SILLANI, Il risarcimento del danno da lesione del possesso, Milano, 1989, in part. p. 153 ss.

(ulteriormente v. poi le opere citate nella nota 5). In senso contrario, quantomeno con riferimento al risarcimento

“sostitutivo”, BARASSI, Diritti reali e possesso, II, Il possesso, Milano, 1952, p. 362 ss.; BIANCA, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1994, p. 598 ss.; GRECO, Appunti su diritto e processo nella tutela possessoria, in Foro it., 1989, I, c. 2650 s.; MESSINETTI, Danno giuridico, in Enc. dir., agg., I, Milano 1997, p. 471 nota 2; SACCO-CATERINA, Il possesso2, in Trattato di diritto civile e commerciale già diretto da Cicu-Messineo, continuato da Mengoni, VII, Milano, 2000, p. 380 ss. (salvo il risarcimento del danno cagionato dalla ragion fattasi, vale a dire dalle modalità arbitrarie dell’aggressione, e prospettando poi un sistema fondato sul titolo migliore, tale cioè che il possessore si rivolga all’autore della lesione ed il proprietario si rivolga poi al possessore); SCHERMI, In tema di risarcimento del danno causato da atto di spoglio o di turbativa, in Giur. agr. it., 1960, p. 106 ss.

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- quello se la domanda risarcitoria debba essere specificamente ed espressamente formulata o se, viceversa, essa debba ritenersi implicita ed automaticamente contenuta in quella di reintegrazione/manutenzione, il risarcimento del danno dovendosi ritenere componente intrinseca della tutela del possesso, quale misura volta a consentirne l’effettiva e piena esplicazione;

- quelli, direttamente dipendenti dal precedente, circa la possibilità di riconoscere il risarcimento anche in assenza di una specifica domanda, circa la possibilità di esplicitare quest’ultima anche oltre la barriera delle preclusioni e se del caso anche in appello, e per converso, circa il fatto che, disposta la reintegrazione/manutenzione senza espressa pronuncia sul risarcimento, la proposizione di una successiva domanda con riferimento a quest’ultimo incontri o meno l’ostacolo del giudicato;

- quello se anche l’azione di danni sia sottoposta al termine decadenziale annuale previsto per quelle di spoglio/molestie, oppure se essa sia soggetta unicamente all’ordinario termine prescrizionale quinquennale;

- quello se per l’azione di danni valgano le regole sulla competenza e sul modello processuale sancite per le azioni possessorie tipiche oppure quelle ordinarie;

- quello se l’azione di danni e quella di spoglio/molestie possano – o debbano – essere proposte all’interno del medesimo processo (davanti a quale giudice e con quale rito, in caso di difformità) oppure debbano – o possano – essere proposte separatamente;

- quelli, attinenti ai rapporti fra l’azione di danni e quelle di spoglio/molestie, per un verso circa la proponibilità/proseguibilità della prima allorché le seconde non siano più possibili, il bene essendo stato distrutto/consumato, o, viceversa, non abbiano più ragion d’essere, il bene essendo stato restituito o la molestia essendo cessata, e circa la convertibilità delle seconde nella prima, nelle stesse ipotesi (o quantomeno nel caso di distruzione/consumazione del bene), per altro verso circa gli effetti sulla prima dell’accoglimento/rigetto delle seconde;

- quelli, concernenti i confini fra la tutela risarcitoria e quella restitutoria, per un verso circa cosa, configurando una riduzione in pristino della situazione possessoria alterata, può se non altro ipotizzarsi rientrare nella seconda, e cosa invece rappresenti una misura risarcitoria vera e propria, come tale rientrante senz’altro nella seconda, per altro verso circa il discrimine, che potrebbe talvolta risultare difficile da individuare in concreto, fra i frutti che avrebbero potuto essere percepiti usando l’ordinaria diligenza, rientranti nella seconda, ed il vero e proprio lucro cessante, rientrante invece nella prima5.

5 Su tutte queste problematiche, anche per ulteriori indicazioni, v. in dottrina, fra i contributi più recenti, BIANCA, Diritto civile, cit., p. 598 ss.; BREGANTE, Le azioni a difesa della proprietà e del possesso, II, Le azioni a tutela del possesso, Torino, 2007, p. 128 ss., 218 ss. e 310 s.; CARINGELLA, Studi di diritto civile, II, Proprietà e diritti reali, Milano, 2007, p. 59 ss.; CATERINA, Il possesso, in Trattato dei diritti reali, diretto da Gambaro-Morello, I, Proprietà e possesso, Milano, 2008, p. 469 ss.; DOGLIOTTI-FIGONE, La lesione dei diritti reali e del possesso, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di Cendon, La responsabilità civile, VIII, Responsabilità extracontrattuale, Torino, 1998, p.

121 ss.; FOSSATI, Il problema della risarcibilità del danno da lesione possessoria, in Rass. dir. civ. 1991, p. 15 ss.;

FRANZONI, Fatti illeciti. Art. 2043, 2056-2059, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 2004, p. 267 ss.; ID., L’illecito2, in Trattato della responsabilità civile, diretto da Franzoni, I, Milano, 2010, p. 1057 ss.; GALLO-NATUCCI, Beni proprietà e diritti reali, in Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, VII, II, Torino, 2001, p. 238 ss.; GRASSI, La tutela esterna del possesso. Contributo allo studio delle fattispecie a qualificazione plurima, Napoli, 2006, p. 197 ss.; GUALANO, Tutela aquiliana del possesso, in Il danno risarcibile, a cura di Vettori, I, Padova, 2004, p. 191 ss.; MASI, Il possesso e la denuncia di nuova opera e di danno temuto, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 8, Proprietà, II2, Torino, 2002, p. 589 ss.; MORETTI, La domanda di risarcimento del danno da lesione del possesso, in Riv. dir. proc. 1995, p. 703 ss.; SELLA, La responsabilità civile nei nuovi orientamenti giurisprudenziali, I, Milano, 2007, p. 589 ss.; TENELLA SILLANI, Il risarcimento del danno da lesione del possesso, cit., p. 1 ss.; TOMASSETTI, Il possesso, Torino, 2005, p. 347 ss.; ID., Lesione del possesso e risarcimento del danno, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di Cendon, I danni risarcibili nella responsabilità civile, V, I singoli danni, Torino, 2005, p. 361 ss.; TRIVELLONI, Possesso. VIII) Tutela risarcitoria del possesso, in Enc. giur., Roma, 2007; TROISI-CICERO, I possessi, in Trattato di diritto civile Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da Perlingieri, III, 9, Napoli, 2005, p. 308 ss.; VILLECCO, Il procedimento possessorio e di

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Ma non si tratta solo di questo. In realtà, infatti, anche l’an del risarcimento, per quanto, come detto, sostanzialmente pacifico, continua a risultare assai problematico ed a porre, all’interprete non occasionale e sbrigativo, interrogativi tutt’altro che banali.

Finché in questione sia il caso più tipico e semplice del risarcimento per il mancato uso del bene fino alla sua restituzione, laddove per un verso chi lo ha sottratto non vanti su di esso particolari diritti, per altro verso la situazione del possessore non sia altrimenti contrastata (il possessore potrebbe identificarsi con il proprietario, oppure il proprietario potrebbe essere assente o inerte, vuoi in quanto disinteressato, vuoi in quanto consenziente), in effetti non si pongono particolari problemi. Immaginiamo però il caso nel quale lo spoglio sia stato commesso dal proprietario a danno del ladro, e magari il bene non possa essere restituito, in quanto distrutto/consumato (in verità, in questa ipotesi i dubbi si pongono anche laddove il bene possa essere restituito ed in questione sia dunque il risarcimento del mancato uso, ma con il bene distrutto/consumato la cosa risulta ancora più evidente): certo, può anche pensarsi che il risarcimento spetti comunque, salva poi se del caso la ripetizione in sede petitoria6; ma è se non altro lecito il dubbio che forse, proprio perché la definitiva regolamentazione della fattispecie, anche per quanto concerne il risarcimento, dovrà avvenire in tale seconda sede, forse è tout court su tale piano che deve porsi il problema; che la spettanza o meno del risarcimento dipenda cioè dal fatto che il soggetto abbia o meno un diritto sul bene e che dunque il possesso, in sé, non sia risarcibile. Analogamente, si pensi al caso nel quale, risarcito il possessore spogliato, anche il proprietario – che non si identifichi con il possessore – chieda a sua volta il risarcimento: di nuovo, può senz’altro teorizzarsi che l’autore dello spoglio non possa essere costretto a pagare due volte e che dunque il proprietario debba a tal punto rivolgersi al possessore per farsi “girare” il risarcimento7; ma – a parte che anche tale soluzione, per quanto intuitiva, va nondimeno argomentata giuridicamente – è sensato anche ipotizzare che, proprio perché può verificarsi un’evenienza di questo genere ed in tale ipotesi il risarcimento alla fine spetta al proprietario, o comunque (laddove il possessore abbia un titolo e dunque anche a lui spetti una parte di risarcimento) è questione che in via definitiva deve essere risolta sul piano petitorio, è per l’appunto su quest’ultimo che essa deve essere fin dall’inizio affrontata, ancora una volta negandosi dunque la risarcibilità del possesso in sé.

Fondamentalmente, poi, continua a porsi il problema della quantificazione. Anche a questo proposito, finché si pensi al caso del risarcimento per il mancato uso del bene fino alla sua restituzione, non si danno, di massima, particolari difficoltà. Laddove però il bene non possa essere restituito, ecco che queste viceversa insorgono. Cosa – e dunque quanto – si risarcisce, infatti, in tale ipotesi? Ipotizzando di rifondere senz’altro il valore del bene, questo ci riporta evidentemente in pieno alle considerazioni appena svolte in punto di an. Ipotizzando invece, come in effetti sembrerebbe a prima impressione più ragionevole, di risarcire il valore del possesso, si finisce – o quantomeno così sembrerebbe – in un vicolo cieco. Per quantificare il valore del possesso occorre infatti conoscere fino a quando il possessore avrebbe potuto godere del bene e per far questo non si può che far riferimento al titolo del possesso, il che di nuovo ci riconduce però sul piano dell’an, perché in tale ottica intanto nessun riconoscimento può essere riconosciuto al ladro, e più in generale al possessore privo di titolo, ma soprattutto è chiaro che ciò che viene risarcito non è il possesso, bensì il diritto.

Questo essendo, in estrema sintesi (quelli appena svolti con riferimento all’an del risarcimento ed alla quantificazione sono ovviamente solo primi, rapidi, cenni, sui quali dovrà nel prosieguo più approfonditamente tornarsi), il quadro problematico, e fermo restando che ciò che

nunciazione, Torino, 1998, p. 84 ss.; VISINTINI, Trattato breve della responsabilità civile. Fatti illeciti. Inadempimento.

Danno Risarcibile3, Padova, 2005, p. 557 ss.

6 Questa è in effetti la soluzione alla quale perverremo (v. infra, nn. 6 e 7).

7 Questa, parimenti, la soluzione alla quale perverremo (v. i medesimi paragrafi citati nella nota 6).

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con la presente indagine ci si ripropone non è, ovviamente, di affrontare in dettaglio e di risolvere tutte le singole questioni poste, ma, più limitatamente, di cercare di venire a capo, nella prospettiva sopra ventilata (quella di ragionare sulla base delle rationes della tutela del possesso), di quelle fondamentali, per far ciò è dalla tipizzazione dei danni che occorre a mio avviso prendere le mosse.

3. – I danni che possono derivare dalla lesione del possesso sono di vario tipo. Come prima cosa, essi vanno dunque distintamente individuati ed a tale proposito si danno, se non m’inganno, quatto categorie: a) spese sostenute per il recupero/ripristino del possesso; b) danneggiamento del bene; c) mancato o diminuito uso di questo; d) sua distruzione/consumazione.

Già una prima, sommaria, disamina di tali quattro categorie consente, se non m’inganno, di fissare alcuni punti fermi e di semplificare il quadro problematico.

a) Per quanto concerne le spese sostenute per il recupero/ripristino del possesso, è abbastanza facile rendersi conto che esse non integrano in realtà un danno. Non, beninteso, nel senso che non siano ripetibili. Al contrario, nel senso che lo sono senz’altro, solo che sussistano gli estremi dello spoglio o della molestia, senza necessità di riscontrare la sussistenza degli altri requisiti – segnatamente il dolo o la colpa – che, quantomeno nell’ottica dell’art. 2043 c.c., risultano necessari.

La restituzione/ripristino del possesso rappresenta infatti il contenuto tipico dell’obbligazione dell’autore dello spoglio o della molestia. Quelle in questione sono dunque spese che fanno carico a tale soggetto per il solo fatto di essere tenuto a tale restituzione/ripristino. Sono cioè spese che questi, e non il possessore, dovrebbe sostenere. Ben si comprende allora che, laddove, nella sua inerzia, esse siano sostitutivamente sostenute dal possessore, questi abbia per ciò solo diritto a ripeterle, senza necessità di dimostrare altro (altrettanto vale del resto, anche in ambito petitorio, per le analoghe spese di recupero/ripristino del bene eventualmente sostenute dal proprietario).

Dovendocisi occupare del risarcimento del danno provocato dalla lesione del possesso, è conseguentemente evidente che tali spese debbono essere messe da parte.

b) Passando al danneggiamento del bene, laddove il possessore abbia concretamente sopportato la spesa per la sua riparazione, o abbia concretamente indennizzato il proprietario8, sembrerebbe scontato che esse siano ripetibili. Il punto è semmai, anche in questo caso, se lo siano a titolo di risarcimento del danno, e soprattutto se, in relazione a tale ripetizione, assuma rilevanza la qualifica di possessore del bene danneggiato, domande queste che meritano, a mio avviso, risposta negativa.

Per convincersene, occorre considerare che colui, il quale abbia danneggiato un bene, è ovviamente tenuto a risarcire il danno al proprietario. Egli è cioè obbligato a versare a tale soggetto la somma di denaro necessaria per la riparazione. Premesso questo, si tratta allora di riflettere sul fatto che chiunque versi tale somma in sua vece ex art. 2036, comma 3°, c.c. può poi ripeterla dal danneggiante. Ed altrettanto vale ovviamente, se non altro per la via dell’arricchimento senza causa, laddove egli, anziché versare la somma in questione al proprietario, sostenga direttamente la spesa necessaria per la riparazione. Dunque, non c’è dubbio che ciò valga anche per il possessore, il quale abbia concretamente indennizzato il proprietario o sostenuto la suddetta spesa. A tale proposito, è però evidente che la qualifica di possessore rimane irrilevante. Altrettanto varrebbe infatti, come detto, per qualunque altro soggetto. A questi fini, egli viene dunque in considerazione non quale possessore, bensì quale soggetto che, quale che sia la sua qualifica e il suo ruolo, si inserisce fra il

8 Nel senso della possibilità di chiedere il risarcimento per la distruzione o il danneggiamento del bene, in via di surrogazione legale ex art. 1203 n. 3 c.c., solo previo risarcimento del proprietario, BIANCA, Diritto civile, cit., p. 601 e, in giurisprudenza (senza peraltro riferimento alla surrogazione), Cass., 26 ottobre 2009, n. 22602, in Foro it., 2010, I, c.

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proprietario ed il danneggiante, indennizzando il primo o sostenendo la spesa per la riparazione, e che per ciò solo diventa creditore della restituzione della somma sborsata nei confronti del danneggiante.

Il vero banco di prova della risarcibilità della lesione del possesso, per quanto concerne il danneggiamento del bene, non è dunque l’ipotesi nella quale il possessore abbia sopportato la spesa per la riparazione o indennizzato il proprietario, bensì quella nella quale ciò non sia avvenuto.

Con riferimento a tale ipotesi, in effetti il discorso è assai meno univoco.

A primo istinto verrebbe fatto di dire che il risarcimento spetta esclusivamente laddove il possessore dimostri di avere un titolo che gliene conferisca il diritto. Ciò è però con tutta evidenza quanto dire che ciò che si risarcisce non è la lesione del possesso, bensì quella del diritto.

Ipotizzando invece di risarcire senz’altro il possessore, sia egli o meno titolato, per un verso si risolve senz’altro il problema, per altro verso se ne pongono però altri, e segnatamente i due, nient’affatto banali, già sopra incontrati9. Per un verso bisogna infatti chiedersi cosa accade allorché, risarcito il possessore, il proprietario chieda a sua volta il risarcimento. Per altro verso, occorre poi mettere in conto l’ipotesi nella quale la lesione sia stata posta in essere dal proprietario a danno del ladro, o più in generale a danno di un possessore non titolato (in effetti, l’ipotesi è fonte di dubbi anche laddove la lesione provenga da un terzo; allorché essa provenga dal proprietario i dubbi risultano però particolarmente evidenti)10.

E’ dunque evidente che la fattispecie necessita di essere approfondita.

c) Il danno da mancato/diminuito uso è quello la cui disamina risulta più semplice. Delle due infatti l’una: o il possesso ad un certo punto viene restituito/ripristinato, oppure, se il bene viene distrutto/consumato, ciò diventa impossibile.

Nel primo caso non si danno, quantomeno a prima impressione, particolari problemi. Il mancato/diminuito uso nel periodo intermedio sembrerebbe infatti senz’altro risarcibile (per quanto, in caso di lesione patita dal ladro, o più in generale da un possessore non titolato, a maggior ragione se ad opera del proprietario, qualche dubbio è se non altro lecito porselo).

Nel secondo caso, poi, in questione non è più semplicemente il mancato uso (a questo punto solo appunto di mancato uso può evidentemente trattarsi), bensì la diversa fattispecie sub d).

Fattispecie, beninteso, effettivamente problematica, come subito vedremo, ma appunto diversa, e tale, in particolare, che il mancato uso, che pure anche in tal caso si determina, rimane assorbito dalla più intensa e definitiva privazione, che la distruzione/consumazione del bene determina.

d) In caso di distruzione/consumazione del bene, occorre distinguere, analogamente a quanto fatto sub b), con riferimento al danneggiamento, a seconda che il possessore abbia concretamente rimpiazzato il bene, o indennizzato il proprietario della perdita, oppure no.

Quanto alla prima ipotesi, vale in toto, mi pare, quanto detto per il caso nel quale, in presenza di un danneggiamento del bene, il possessore abbia concretamente sopportato la spesa per la riparazione o indennizzato il proprietario del danno: la somma è sicuramente ripetibile e però questo non riveste particolare rilevanza, la cosa essendo spiegabile anche in termini non risarcitori e senza che in relazione ad essa assuma rilievo la qualifica di possessore del bene distrutto/consumato (le ragioni di tale conclusione sono del tutto analoghe, mutatis mutandis, a quelle illustrate sopra;

senza necessità di ripeterle, si rinvia dunque senz’altro ad esse).

Quanto poi alla seconda ipotesi – che anche in questo caso rappresenta dunque quella realmente rilevante per stabilire la risarcibilità della lesione del possesso in questa fattispecie – vale parimenti quanto detto con riferimento al danneggiamento, vale a dire: per un verso la prima soluzione che verrebbe fatto di dare è nel senso di accordare il risarcimento esclusivamente in presenza di un titolo, ciò che però equivale a dire che il risarcimento si riferisce al diritto e non al

9 V. retro, n. 2.

10 Si tratta, come subito constateremo, di problemi che ritroveremo anche sub c) (il secondo) e sub d) (entrambi).

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possesso; per altro verso, anche pensando di risarcire senz’altro il possessore, occorre comunque fronteggiare l’ipotesi nella quale, una volta che questo sia avvenuto, anche il proprietario chieda il risarcimento, nonché quella della lesione subita dal ladro, o più in generale dal possessore non titolato, in particolare laddove essa sia stata posta in essere dal proprietario.

Per quanto concerne la presente fattispecie il discorso non può peraltro chiudersi qui, sia pure interlocutoriamente. A fronte della distruzione/consumazione del bene esiste infatti, quantomeno in astratto, anche un’ulteriore possibilità, vale a dire quella di risarcire non il valore del bene tout court, bensì il – minore – valore del possesso11. Anche tale possibilità deve dunque essere presa in considerazione, ed anzi con riferimento ad essa occorre prestare particolare attenzione ed essere estremamente chiari, perché in questione è un concetto – quello appunto di valore del possesso –ambiguo, potenzialmente fuorviante ed in relazione al quale si rischia pertanto di fare confusione.

4. – Procedendo con ordine, va innanzitutto esplicitato, per quanto si tratti di una considerazione del tutto ovvia, che, allorché si parla di valore del possesso quale diverso dal valore del bene – ed evidentemente minore rispetto ad esso – ciò si riallaccia evidentemente alla contrapposizione fra la figura del possessore e quella del proprietario.

Tale contrapposizione – e qui sta la fonte dei problemi – può peraltro essere intesa in due modi assai differenti fra loro. Da un lato può infatti farsi riferimento al fatto che in questione è una posizione meno piena – e pertanto più limitata, sia quanto ad intensità sia quanto a durata – di quella del proprietario, quale ad esempio quella dell’usufruttuario. Dall’altro può invece farsi riferimento al fatto che in questione è una situazione di fatto, che, come tale, è per definizione precaria e soggetta a venire meno in qualunque momento. Che si tratti di concetti differenti è in effetti abbastanza ovvio. Eppure, proprio allorché in questione è l’ipotesi di risarcire il valore del possesso, si rischia, inavvertitamente, di scivolare dall’uno all’altro e, così facendo, di concepire la prospettiva del risarcimento del valore del possesso quale soluzione plausibile, laddove viceversa, ragionando rigorosamente, vale a dire prendendo distintamente in considerazione le due accezioni, essa è destinata a rivelarsi fallace ed inconcludente.

Per comprendere la cosa, iniziamo subito dal chiarire perché, come appena detto, ragionando rigorosamente, la prospettiva risulta infruttuosa. Ciò dipende dal fatto che, per poter essere proficua, dovrebbero sussistere due condizioni e che nessuna delle due ottiche in discorso (valore del possesso diverso dal valore del bene in quanto in questione è una posizione meno piena di quella del proprietario; valore del possesso diverso dal valore del bene in quanto in questione è una situazione di fatto) riesce a soddisfarle entrambe (più esattamente, esse danno luogo, come vedremo, ad una sorta di incastro – che è poi la ragione per la quale la loro mancata distinzione rende la prospettiva apparentemente percorribile – tale che ciascuna delle due risulta carente con riferimento alla condizione, che l’altra viceversa soddisfa).

Quali siano tali due condizioni è presto detto: da un lato occorre – e fin qui non si pongono particolari problemi – che il valore del possesso sia quantificabile; dall’altro occorre poi – e qui si

11 La considerazione, secondo la quale il risarcimento va rapportato non al valore del bene, bensì alla perdita del possesso od al mancato godimento di esso (od altre espressioni equivalenti), è abbastanza comune: v. ad es. MONTEL, In tema di danni da lesione del possesso, in Foro pad., 1950, I, p. 1222; ID., Ancora (per l’ultima volta?) in tema di danni da lesione del possesso, in Arch. resp. civ., 1960, p. 779, e Postilla, ibidem, p. 780; DE MARTINO, Del possesso. Della denunzia di nuova opera e di danno temuto. Artt. 1140 – 11725, in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja- Branca, Libro Terzo – Della Proprietà, Bologna-Roma, 1984, p. 139; TOMASSETTI, Il possesso, cit., p. 366. Critico, data l’inevitabile implicazione, nella valutazione del valore del possesso, di profili petitori, DEJANA, Il diritto al risarcimento dei danni in caso di lesione del possesso, in Giur. compl. cass. civ., XXII, tomo I (1946, II semestre), p. 59 ss.

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richiederà invece, come vedremo, qualche chiarimento – che tale valore sia effettivamente diverso da quello del bene.

Queste essendo le condizioni, per quale motivo la seconda ottica non risulti risolutiva è del tutto evidente. Per quanto non vi sia dubbio che il valore del possesso, quale situazione di fatto, sia diverso da quello del bene (e segnatamente inferiore ad esso), e che la seconda condizione risulti pertanto soddisfatta, il punto è infatti che non vi è modo di quantificare tale valore, ciò che osta dunque all’integrazione della prima.

Per quanto concerne invece la prima ottica, il discorso è meno intuitivo. Ciò dipende dal fatto che il realtà, come anticipato, la seconda condizione, per come formulata, non è del tutto perspicua ed è proprio ragionando sull’ottica in esame che essa potrà essere meglio precisata.

Fondamentalmente, il problema dipende dal fatto che, quando si contrappone l’assetto petitorio a quello possessorio, o anche solo si distingue fra l’uno e l’altro, quanto al primo il pensiero corre, semplificantemente, alla proprietà, quale situazione che al più alto grado esprime tale assetto. E’ precisamente per questo che, parlando di valore del possesso, viene istintivo ed automatico contrapporre tale valore a quello del bene, inteso appunto quale valore della proprietà di esso. Ed è per questo che la prima ottica, in quanto contrappone il possessore al proprietario in ragione del suo essere investito di una posizione (es.: usufrutto) meno piena di quella del secondo, ed in quanto parametra dunque il valore del possesso a quello a quello di tale, meno piena, posizione, sembrerebbe a prima vista soddisfare entrambe le condizioni enunciate, vale a dire sia quella per la quale deve essere in questione un valore quantificabile, sia quella per la quale tale valore deve essere diverso (minore) rispetto a quello (della proprietà) del bene.

Individuato il punto critico, diventa però facile, per un verso mettere più esattamente a fuoco la condizione, per altro verso comprendere per quale ragione anche questa prima ottica non risolva il problema. Dal primo punto di vista, per quanto concerne cioè il termine di paragone del valore del possesso, è abbastanza facile rendersi conto che tale termine di paragone deve essere in realtà rappresentato non dal valore (della proprietà) del bene, bensì, più esattamente, dal valore del diritto, ad immagine del quale è il possesso del quale si tratta (in sostanza: laddove in questione sia un possesso a titolo di usufrutto, il paragone deve concernere il valore dell’usufrutto ed è da questo, non dal valore della proprietà, che deve differire il valore del primo per potersi ritenere soddisfatta la seconda condizione). Dal secondo punto di vista, poi, quanto cioè al fatto che l’ottica in esame soddisfi o meno ad entrambe le condizioni, diventa a tal punto agevole realizzare che essa non riesce a farlo; che, più esattamente, in tale ottica, all’opposto, come si era anticipato, di quanto accade nell’altra, si soddisfa bensì la prima condizione, vale a dire quella concernente la quantificabilità del valore del possesso, ma non anche la seconda, correttamente riformulata, dato che tale valore, proprio in quanto parametrato al diritto, del possesso ad immagine del quale si tratta, risulta [bensì diverso dal valore (della proprietà) del bene, ma] esattamente identico a quello di tale diritto.

In buona sostanza, mentre nella seconda ottica viene in considerazione un valore che, dipendendo dalla natura di situazione di fatto del possesso, è bensì differente [non solo dal valore (della proprietà) del bene, ma anche] da quello del corrispondente diritto, ma non è quantificabile, nella prima viene in considerazione un valore che è bensì quantificabile, ma [pur differendo – beninteso, quando in questione è il possesso ad immagine di un diritto reale minore – da quello (della proprietà) del bene] non differisce in alcun modo da quello del suddetto diritto.

In effetti, trattandosi di dare al possesso un proprio specifico valore, al quale far riferimento per il risarcimento spettante al possessore in caso di distruzione/consumazione del bene, l’ottica corretta è ovviamente la seconda. Solo essa configura infatti un siffatto, specifico, valore, riferito alla peculiarità del possesso, in quanto situazione di fatto, contrapposta a quella di diritto; laddove la prima, per converso, ne configura viceversa uno che, essendo identico a quello della corrispondente situazione di diritto, prescinde completamente da tale peculiarità [in sostanza, il

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punto è il seguente: in tale ottica, il valore in questione risulta bensì diverso da quello (della proprietà) del bene; ciò avviene però non in quanto in questione è il possesso anziché la proprietà, bensì in quanto in questione è una situazione – indifferentemente se possessoria o petitoria – diversa dallo schema proprietario]. E però, come visto, tale seconda ottica non conduce da nessuna parte, dato che il suddetto, specifico, valore, rimane non quantificabile.

Chiarito quanto precede, diventa a tal punto abbastanza agevole, mi pare, comprendere com’è, nonostante tale conclusione, che, ove non sia chiara e consapevole la distinzione fra le due ottiche, la loro inavvertita sovrapposizione, o meglio l’inavvertito passaggio dall’una all’altra, possa far apparire plausibile la prospettiva di ancorare la liquidazione del danno conseguente alla distruzione/consumazione del bene al valore del possesso. Ciò che si verifica è infatti che, pur partendosi dalla corretta idea di un valore riferito alla peculiarità della situazione possessoria, in quanto situazione di fatto, poi, complice il fuorviante riferimento, quale termine di raffronto, al valore (non già del corrispondente diritto, bensì) del bene, vale a dire della proprietà di questo, e considerato che anche il valore del possesso parametrato su quello di un diritto reale minore è diverso da tale valore, diventa possibile – laddove in questione sia appunto un possesso ad immagine di un diritto reale minore – operare una quantificazione che, risultando inferiore rispetto al valore (della proprietà) del bene, rende apparentemente plausibile, come si diceva, la prospettiva di un risarcimento del valore del possesso.

In realtà, però, tale plausibilità è appunto solo apparente: una volta che per un verso il problema vengo posto correttamente, per altro verso si riesca a cogliere esattamente la differenza fra le due ottiche delle quali si è detto e si eviti pertanto di cadere nell’errore appena descritto, risulta assolutamente chiaro che in realtà la prospettiva in discorso risulta impraticabile e va dunque senz’altro scartata.

5. – Alla luce delle considerazioni appena compiute, ed operando una prima sintesi, due dati possono dunque ritenersi acquisiti.

Il primo è quello per il quale esula dalla problematica del risarcimento del danno da lesione del possesso la ripetizione delle somme concretamente sborsate dal possessore danneggiato, si tratti di quelle [prese in esame sub a)] relative al recupero/ripristino del possesso, oppure di quelle [prese in esame sub b) e d)] relative alla riparazione del bene danneggiato o al rimpiazzo del bene distrutto/consumato, oppure all’indennizzo al proprietario per il danno o per la perdita. Questo non significa, beninteso – si tratta di un punto già chiarito, ma che è bene ribadire – che tali somme non siano ripetibili. Al contrario, lo sono senz’altro, per il solo fatto della sussistenza di uno spoglio o di una molestia e senza necessità di alcuna condizione ulteriore. E però, proprio per questo, non integrano un danno in senso tecnico. Nell’analisi in merito a quest’ultimo, esse devono dunque essere senz’altro accantonate, in quanto potenzialmente fuorvianti.

Il secondo dato, che può ritenersi acquisito, è poi quello per il quale dobbiamo parimenti accantonare, questa volta per ragioni opposte, la prospettiva per la quale, in caso di distruzione/consumazione del bene, il problema del risarcimento al possessore sia risolvibile attribuendo a tale soggetto una somma corrispondente al valore del possesso. Come visto, tale prospettiva risulta impraticabile, dato che il valore del possesso, ove correttamente inteso (facendo cioè riferimento al differente valore della situazione di fatto rispetto a quella di diritto corrispondente) risulta non quantificabile.

Posti questi primi punti fermi, quello sul quale dobbiamo a questo punto concentrare l’attenzione è un passaggio veramente basilare e, come tale, di importanza fondamentale per la comprensione della materia. Ciò che occorre chiarire è infatti se la lesione del possesso, ammesso che sia risarcibile (lasciamo per il momento in sospeso la questione, destinata, come vedremo, a

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chiarirsi nel prosieguo del discorso), venga risarcita in quanto tale, oppure in ragione di un qualche collegamento, che se del caso andrà poi ovviamente definito, con la situazione di diritto.

Le ragioni dell’importanza dell’interrogativo sono intuitive, ed anzi può senz’altro dirsi che questo rappresenti, in materia, il problema dei problemi. Da un lato si ha infatti l’idea che il possesso, a prescindere dal fatto di essere assistito da un titolo, sia una posizione meritevole di risarcimento in sé, dall’altro invece quella che il possesso svolga in proposito un ruolo meramente servente, sussidiario, sostitutivo, o comunque non autonomo, rispetto alla situazione di diritto. Ben si comprende, dunque, che, mentre nella prima ottica il risarcimento viene riconosciuto al possessore in via definitiva, nella seconda, viceversa, esso, anche ammesso che venga per intanto riconosciuto, è comunque suscettibile di ripetizione, trasferimento, o comunque revisione, in sede petitoria.

Nè, si aggiunga, tale differente visione assume rilevanza esclusivamente con riferimento al profilo, pur rilevantissimo, del seguito petitorio della vicenda. Al contrario, essa rileva anche all’interno dello stesso giudizio possessorio. Per non portare in proposito che un solo esempio, e riallacciandosi alla tematica appena analizzata, è abbastanza evidente che solo nella prima ottica ha senso prospettare (per quanto, come visto, fallacemente) una commisurazione del risarcimento al valore del possesso, laddove per converso, nella seconda, è molto più logico riconoscere senz’altro al possessore un risarcimento pieno, commisurato a quello che spetterebbe al titolare del diritto. A maggior ragione la questione necessita inoltre di essere chiarita, dal momento che in merito ad essa non mi pare che vi sia, non solo una soluzione certa, ma in realtà, quantomeno diffusamente, neppure un’effettiva, piena, consapevolezza.

A dispetto dell’importanza dell’interrogativo, la risposta risulta peraltro, o quantomeno così mi pare, tanto semplice quanto univoca nel secondo senso, vale a dire in quello per il quale la lesione del possesso, ammessane la risarcibilità, non viene risarcita in quanto tale, e pertanto definitivamente, bensì in collegamento con la situazione di diritto, sì che, anche disposto il risarcimento, la partita è comunque suscettibile di essere riaperta in sede petitoria. Per convincersi che le cose stanno effettivamente in tali termini è a mio avviso sufficiente pensare al caso paradigmatico, già varie volte evocato, nel quale la lesione sia posta in essere dal proprietario nei confronti del ladro. Che in un’ipotesi del genere al possessore possa essere riconosciuto un risarcimento in via definitiva è in effetti una prospettiva alla quale il buon senso si ribella ed alla quale non mi pare, francamente, che si possa ragionevolmente accedere12. Questo non significa, si noti bene, che in sede possessoria il risarcimento debba essere escluso tout court: come detto, il problema in esame non è questo; il problema è quello se tale risarcimento, ammessane la pronunciabilità, possa essere ritenuto definitivo, tale cioè che, anche una volta appurato, in sede petitoria, che il possessore non aveva alcun diritto, esso rimanga nondimeno fermo, quale conseguenza della lesione possessoria in quanto tale13. E francamente non vedo come potrebbe essere argomentato che il proprietario, pur condannato in sede possessoria, una volta dimostrato, in sede petitoria, di essere appunto proprietario e che il possessore è un ladro, non abbia titolo per ripetere il risarcimento sborsato14.

12 Per la non risarcibilità del ladro v. FRANZONI, Fatti illeciti, cit., p. 276 s.; ID., L’illecito, cit., 1065 s.; SACCO- CATERINA, Il possesso, cit., p. 383.

13 Parimenti non rileva il fatto che il ladro abbia verosimilmente diritto alla ripetizione delle spese eventualmente sostenute per la riparazione o il rimpiazzo del bene, e forse anche di quelle incontrate per il recupero/ripristino del possesso: come detto, tale ripetizione esula dalla tematica del risarcimento del danno.

14 Contra, nel senso che, in generale (senza specifico riferimento cioè al caso del ladro), l’accertamento, in sede petitoria, di un diritto sulla cosa in capo all’autore dello spoglio non fa venire meno il suo obbligo risarcitorio nei confronti del possessore (peraltro limitatamente alle perdite ed ai mancati guadagni causati dallo spoglio e con esclusione invece, in quanto non spettante al possessore, del valore del bene), MORETTI, La domanda di risarcimento del danno da lesione del possesso, cit., p. 718 e 723.

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La cosa è a mio parere, come già detto, scontata. Ad ogni modo, volendone fornire una dimostrazione, il punto è, molto semplicemente quello per il quale è inconcepibile che la situazione – il possesso – conseguente ad un illecito – il furto – possa ricevere un qualsivoglia riconoscimento giuridico, quale sarebbe appunto il fatto che la sua lesione, da parte della vittima del predetto illecito, possa essere fonte di un diritto a ricevere, in via definitiva, un risarcimento. Del resto, non c’è dubbio che il possesso del ladro, in quanto illecito, sia fonte di un obbligo risarcitorio nei confronti del proprietario. E non c’è dubbio, si aggiunga, che questo per un verso avrebbe continuato a valere anche laddove il proprietario non si fosse ripreso il bene, per altro verso sia destinato a valere di nuovo una volta che il ladro, spogliato dal proprietario, abbia ottenuto la reintegrazione. Non si vede dunque come la lesione di tale possesso possa, oltre ad interrompere, per così dire, la produzione del danno nell’intervallo fra lo spoglio ad opera del proprietario e la reintegrazione a favore del ladro spogliato, essere a sua volta fonte di un danno per quest’ultimo;

vale a dire per un soggetto che, se non spogliato, avrebbe dovuto lui, a causa del proprio possesso, risarcire il danno all’autore dello spoglio. In questo modo si avrebbe infatti che il possesso del bene, sia esso in capo al ladro, sia esso in capo al proprietario, risulterebbe essere in ogni caso fonte di un obbligo risarcitorio di uno di tali due soggetti nei confronti dell’altro, il che è evidentemente assurdo.

Se quanto precede è vero – e francamente, ripeto, non vedo come potrebbe essere negato – la dimostrazione che se ne ricava è però allora di carattere generale. Il possesso, in quanto tale, è infatti sempre uguale a se stesso, a prescindere dai profili petitori. Proprio questa è infatti la sua caratteristica: l’irrilevanza, sul piano possessorio, della titolarità o meno di diritti in capo al possessore. Dimostrato che, quantomeno in un caso, il risarcimento della lesione del possesso, ammesso che sia pronunciabile, non è definitivo, ciò significa dunque che, in generale, la lesione del possesso non viene risarcita in quanto tale, bensì in collegamento con la situazione di diritto;

che è da tale collegamento che dipende cioè l’effettiva spettanza del risarcimento; che, detto ancora altrimenti, pur ammessa la possibilità di una condanna al risarcimento in sede possessoria, è comunque poi sul piano petitorio, a seconda dell’assetto dei diritti sul bene, che dovrà dirsi l’ultima parola in proposito.

6. – Chiarito quanto precede, il problema è peraltro solo parzialmente risolto. Appurato che la lesione del possesso, ammesso che sia risarcibile, non viene risarcita in quanto tale, ma solo in collegamento con la situazione di diritto, e dunque al più in via provvisoria, salvi poi gli sviluppi petitori della vicenda, a questo punto si tratta: innanzitutto di chiarire se, sia pur provvisoriamente, la lesione del possesso sia effettivamente risarcibile, o se, viceversa, la domanda debba essere proposta direttamente in sede petitoria; quindi, nel primo caso, di concretizzare il significato del suddetto collegamento.

La prima di tali questioni, per quanto logicamente pregiudiziale, non necessita peraltro di essere specificamente trattata. La sua soluzione discenderà infatti, come constateremo, dalla soluzione della seconda.

Passando dunque senz’altro a quest’ultima, e continuando ad ipotizzare che la lesione del possesso sia, se non altro provvisoriamente, risarcibile, ciò che occorre più specificamente chiedersi è: per un verso se il risarcimento spetti in via definitiva solo laddove il possessore sia anche titolare del diritto oppure siano identificabili anche altri tipi di collegamento, tali che il risarcimento possa essere ritenuto spettare in via definitiva anche al possessore non titolare; se, laddove non spetti in via definitiva, ciò significhi che esso viene comunque effettivamente riconosciuto, salve eventuali diverse determinazioni petitorie, od invece che già in sede possessoria lo stesso deve essere senz’altro escluso.

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Iniziando dal secondo quesito, con riferimento all’alternativa posta va innanzitutto chiarito che l’esclusione tout court del risarcimento, laddove esso non spetti in via definitiva, implica in realtà che più in generale, al fine di concedere o meno il risarcimento, occorre effettuare la verifica circa la “resistenza” petitoria di questo. Affermare che, in caso di esito negativo di tale verifica il risarcimento non spetta significa infatti, con tutta evidenza, che solo in caso di suo esito positivo esso può essere riconosciuto.

Ciò premesso, è però altrettanto evidente che subordinare il riconoscimento o meno del risarcimento ad una tale verifica non avrebbe senso, in quanto significherebbe, in sostanza, subordinare la pronuncia possessoria ad una valutazione petitoria. Dunque, l’alternativa vera non è fra l’ammettere senz’altro il risarcimento, salva poi la successiva verifica petitoria e l’ammetterlo solo a condizione che (esso spetti in via definitiva, vale a dire che) tale verifica – da compiere all’interno dello stesso giudizio possessorio – sortisca esito positivo, bensì fra l’ammetterlo senz’altro, salva poi la successiva verifica petitoria, e negarlo tout court, lasciando senz’altro la questione al giudizio petitorio.

Questa essendo l’alternativa, per scioglierla sembrerebbe dunque necessario verificare quale di tali due possibilità sia quella corretta, o comunque preferibile. A ben riflettere, non è però detto che ciò sia effettivamente necessario. A seconda di ciò che si ritenga in merito al primo quesito, potrebbe infatti anche darsi che in realtà una delle due possibilità sia destinata a rimanere esclusa, e che pertanto l’alternativa venga meno, a vantaggio dell’unica possibilità rimasta.

Mi spiego. La seconda prospettiva, vale a dire quella di escludere tout court il risarcimento in sede possessoria e di rimettere la questione al giudizio petitorio, in tanto risulta reale, in quanto il risarcimento per la lesione del possesso in via definitiva spetti solo laddove il possessore sia titolare del diritto, e dunque la risarcibilità per la lesione del possesso in via definitiva coincida con la risarcibilità sul piano petitorio. Qualora viceversa il risarcimento per la lesione del possesso in via definitiva spetti talora anche in assenza del diritto (per quanto in collegamento con esso: vedremo nel prosieguo quale possa essere tale collegamento), e dunque la risarcibilità per la lesione del possesso in via definitiva non coincida con la risarcibilità sul piano petitorio, essendo identificabili casi nei quali la prima deve essere ritenuta sussistente pur in assenza della seconda, la suddetta prospettiva è evidentemente fuori gioco. In questa ipotesi, rimettere la questione tout court al giudizio petitorio significherebbe infatti che nei casi in discorso il risarcimento non verrebbe riconosciuto. In tale ipotesi, è dunque evidente che l’unica possibilità che rimane è l’altra, vale a dire quella consistente nell’ammettere senz’altro il risarcimento, salva poi la successiva verifica petitoria.

Ciò chiarito, e posto che in effetti, come vedremo analizzando l’altro quesito (il primo), proprio quella appena descritta – vale a dire la sussistenza di casi, nei quali la lesione del possesso risulta risarcibile in via definitiva anche in assenza della risarcibilità petitoria – è la situazione che si riscontra, è evidente che per ciò solo, e senza necessità di ulteriori approfondimenti, il quesito in esame (il secondo) può trovare senz’altro risposta nell’ultimo senso – vale appunto a dire in quello, corrispondente alla seconda delle due possibilità ipotizzate in proposito, di ammettere senz’altro il risarcimento, salva poi la verifica petitoria.

Ciò dipende però per l’appunto dalla risposta da fornire al primo quesito. E’ ad esso che occorre dunque a questo punto passare.

Come detto, l’oggetto di tale quesito è quello se, fermo il dato acquisito, per il quale la lesione del possesso non è risarcibile in quanto tale, ma se del caso solo in collegamento con la situazione di diritto, tale collegamento consista senz’altro nella coincidenza del possesso con tale situazione, sì che, in sostanza, la lesione del possesso risulti risarcibile in via definitiva solo laddove il possessore sia anche titolare del diritto, o se, viceversa, possano darsi anche altri tipi di collegamento, tali che la lesione del possesso risulti talvolta risarcibile anche in assenza della suddetta coincidenza, e dunque senza che il possessore sia titolare del diritto. Ed è proprio a questo

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proposito che, come anticipato fin dall’inizio15, si rivela proficuo il riferimento alle rationes della tutela del possesso.

Per comprendere la cosa, occorre innanzitutto avere chiaro il quadro dei rapporti fra possesso e titolarità del diritto. A tale proposito possono darsi, per ciò che qui rileva, tre ipotesi: a) che il possessore sia anche titolare del diritto; b) che il possessore sia persona diversa dal titolare del diritto, ma questo risulti assente o inerte, sì che il possesso preluda in sostanza all’acquisto del diritto medesimo per usucapione; c) che il possessore sia persona diversa dal titolare del diritto e questi non sia assente o inerte.

Questo essendo il quadro di riferimento, sulla base di quanto sin qui emerso (vale a dire, è forse il caso di riassumerlo: esclusione della risarcibilità definitiva della lesione del possesso in quanto tale; sua eventuale risarcibilità definitiva solo in presenza di un collegamento con la corrispondente situazione di diritto; pacificità del fatto che tale collegamento sussiste in caso di coincidenza del possesso con la titolarità del diritto, il problema essendo, come visto, quello se possa darsi anche un qualche altro tipo di collegamento, che giustifichi la risarcibilità definitiva della lesione del possesso anche in assenza di tale titolarità), verrebbe da dire che, ammessa la risarcibilità, la lesione del possesso è: sicuramente risarcibile in via definitiva nella fattispecie sub a); sicuramente non risarcibile in via definitiva nella fattispecie sub c) (ritenere la risarcibilità in via definitiva in questa ipotesi significherebbe risarcire la lesione del possesso in quanto tale). Quanto poi alla fattispecie sub b), a istinto verrebbe da inclinare per la risposta affermativa. In fondo, il vero problema che presenta il risarcimento della lesione del possesso, è proprio quello del possibile conflitto fra il possessore ed il titolare del diritto, in tutte le sue varie manifestazioni, ivi compresa quella della possibile sovrapposizione delle pretese risarcitorie nei confronti del terzo danneggiante.

Laddove tale conflitto non sussista, vuoi, ovviamente, perché il possessore coincide con il titolare del diritto [si tratta della fattispecie sub a)], ma vuoi anche perché, pur non sussistendo tale coincidenza, il secondo rimane estraneo alla vicenda ed il vero ed unico interessato, non titolare del diritto ma nella prospettiva di diventarlo, è il possessore [si tratta appunto della fattispecie sub c)], nulla sembrerebbe ostare a riconoscere senz’altro a tale soggetto il risarcimento in via definitiva.

Bene, tutto questo, come detto, mi pare che trovi una conferma, tanto sorprendente quanto significativa, applicando, anche con specifico riferimento alla tutela risarcitoria, le rationes che presiedono in generale alla tutela del possesso.

La relativa dimostrazione è in effetti assai semplice e rapida. Come già riferito, nel riassumere i tratti essenziali della ricostruzione operata nel citato lavoro monografico, al quale le presenti considerazioni si riallacciano e del quale rappresentano una sorta di appendice16, la tutela del possesso risponde, fondamentalmente, alle seguenti tre rationes: 1) evitare la violazione della sfera di disponibilità materiale altrui; 2) disciplinare un conflitto non regolato, nel senso di dare tutela al soggetto che, pur non avendone titolo, nell’assenza/inerzia del titolare del diritto si prende cura del bene; 3) introdurre un’agevolazione probatoria a favore del titolare del diritto. Di tali rationes, la prima, in quanto si riferisce manifestamente alla tutela restitutoria, risulta, con riferimento a quella risarcitoria, ininfluente. Rimangono dunque le altre due ed è abbastanza evidente che esse si applicano rispettivamente: la seconda alla fattispecie sub b); la terza alla fattispecie sub a). Nessuna ratio risulta viceversa applicabile alla fattispecie sub c).

Su tale base, le conseguenze sono, mi pare, altrettanto evidenti: posto il riconoscimento del risarcimento, in via per così dire temporanea, in sede possessoria, nelle prime due fattispecie tale risarcimento risulta anche supportato da una più generale ragion d’essere, ed è pertanto destinato a rimanere senz’altro fermo; nella terza, viceversa, mancando un’analoga ragion d’essere, esso non

15 V. retro, n. 1.

16 V. retro, n. 1.

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gode di altrettale stabilità, ed è dunque suscettibile di venire meno, o comunque di subire delle modifiche, in sede petitoria.

Quello che ne risulta è cioè esattamente il medesimo assetto che era parso di poter configurare già sulla base di una prima valutazione. Questo per un verso conferma dunque senz’altro, come anticipato, tale assetto, per altro verso, e conseguentemente, conferma inoltre quanto si era a sua volta anticipato con riferimento al secondo quesito; vale a dire l’esistenza di casi nei quali il possesso risulta risarcibile in via definitiva anche in assenza, in capo al possessore, della titolarità del diritto [ciò si verifica, come visto, nella fattispecie sub b)] e dunque la risposta a tale quesito nell’unico senso a tal punto possibile, vale a dire quello – che, chiudendo il cerchio e come ulteriormente anticipato, fornisce a tal punto anche la soluzione della questione pregiudiziale circa l’effettiva risarcibilità, sia pur provvisoria, della lesione del possesso – di ammettere senz’altro tale risarcibilità, salva poi appunto la successiva verifica petitoria [esplicitando: il fatto che vi siano ipotesi – quelle appunto di cui alla fattispecie sub b) – nelle quali il possesso deve ritenersi risarcibile in via definitiva anche in assenza del diritto, implica che il risarcimento non può essere rimesso puramente e semplicemente al giudizio petitorio, perché in tal caso le ipotesi in discorso rimarrebbero prive di tutela (in assenza del diritto, in sede petitoria il risarcimento non potrebbe venire riconosciuto); dunque, rimane solo l’altra possibilità, vale a dire quella di ammettere, sia pure in via provvisoria, il risarcimento in sede possessoria; dal che a sua volta la conclusione nel senso dell’effettiva risarcibilità, per quanto appunto provvisoria, della lesione del possesso].

In buona sostanza, e ad ulteriore conferma della validità del suddetto assetto, il modello che si delinea – vale a dire quello di una tutela suscettibile di revisione in sede petitoria a vantaggio del titolare del diritto, ove diverso dal possessore – rispecchia in toto quello delle azioni di reintegrazione/manutenzione17 e si inserisce pertanto perfettamente nell’ottica di quella possessoria quale tutela non necessariamente definitiva e possibilmente recessiva rispetto a quella petitoria.

7. – Delineato il quadro che precede, il discorso non è peraltro ancora concluso. Chiariti, in generale, i rapporti fra la prospettiva possessoria e quella petitoria, rimangono infatti a questo punto da concretizzare i relativi meccanismi. A tale proposito, vediamo dunque intanto di identificare quali siano, con precisione, i problemi che possono insorgere.

Premesso che, come visto, la fattispecie in relazione alla quale può porsi un’esigenza di revisione della pronuncia possessoria è quella nella quale il possessore sia persona diversa dal titolare del diritto e questi non sia assente o inerte, e considerato che le ipotesi che per altro verso possono darsi sono due, vale a dire quella del danno provocato dal medesimo titolare del diritto e quella del danno provocato da un terzo, ciò che occorre chiedersi è: - come possa il titolare del

17 A questo proposito, è interessante citare Cass., 12 marzo 2010, n. 6048, in Giust. civ., 2010, I, p. 2785, con nota di COCUCCIO, Furto di autovettura e responsabilità dell’albergatore in forza di un contratto di deposito, secondo la quale, in caso di perdita del bene imputabile al depositario, il depositante, per ottenere l’equivalente, non ha necessità di dimostrare di essere proprietario, essendo sufficiente il fatto di essere l’autore del deposito. Si tratta, com’è evidente, della trasposizione, sul versante del diritto al risarcimento per la perdita del bene, della funzione dell’azione personale:

sussistendo un rapporto obbligatorio, in forza del quale ho diritto alla riconsegna di un bene, così come, per ottenere tale restituzione, non ho necessità di dimostrare la proprietà del bene, bastando all’uopo il vincolo derivante dal suddetto rapporto, altrettanto vale anche laddove, venuto meno il bene, si tratti di ottenere il relativo equivalente.

Ebbene, il motivo per il quale tale pronuncia risulta rilevante con riferimento alla tematica qui indagata è, mi pare, abbastanza evidente. Essa manifesta infatti che, anche con riferimento a tale tematica, ben può instaurarsi il parallelo fra azione personale ed azione possessoria, rispettivamente per il caso della perdita volontaria e per quello della perdita involontaria del bene, valido per l’azione restitutoria. In sostanza, l’osservazione per la quale, con riferimento alla restituzione del bene, l’azione possessoria svolge, con riferimento alla perdita involontaria del bene, una funzione (esonero dalla prova della proprietà) parallela a quella che, per la perdita volontaria, svolge l’azione personale (cfr. in proposito LUISO, La tutela possessoria dopo la riforma del processo civile, in Giust. civ. 1994, II, p. 609), vale evidentemente anche per l’azione di danni.

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