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Il danno psichico nella giurisprudenza della Corte costituzionale

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Il danno psichico nella giurisprudenza della Corte costituzionale

Dr. Marco Rossetti

1. Premessa.

La Corte costituzionale è stata chiamata in numerose occasioni ad occuparsi della legittimità di norme che, in modo diretto od indiretto, disciplinavano la salute psichica e le conseguenza della sua lesione. Non sarebbe pertanto corretto, per analizzare la giurisprudenza costituzionale sul danno psichico, fare riferimento unicamente alle due pronunce, che tanto hanno fatto discutere, le quali si sono occupate espressamente della questione1.

Va detto subito - anticipando la conclusione del presente scritto - che dall’esame della giurisprudenza costituzionale emerge un atteggiamento “schizoide”, o - se si preferisce - una antinomia inespressa, così riassumibile:

(a) sul piano delle declamazioni di principio, la Corte ha sempre parificato e considerato equivalenti la salute fisica e quella psichica;

(b) sul piano, invece, di quella particolare forma di tutela successiva della lesione della salute che prende il nome di risarcimento, la Corte - sia pure con riferimento ad una ipotesi particolare - ha nettamente differenziato i presupposti del risarcimento del danno alla salute fisica, rispetto a quelli del danno alla salute psichica.

Esaminiamo ora più analiticamente questi aspetti.

2. Salute fisica e salute psichica nella giurisprudenza della Corte costituzionale.

Nessun dubbio può sussistere sul fatto che, almeno a livello teorico, il giudice delle leggi considerato la salute psichica come espressione di un diritto soggettivo perfetto, fondato sull’art. 32 cost., al pari della salute fisica. Questa concezione sottende numerosissime decisioni: nella sentenza n. 27 del 19752, ad esempio, la Corte ritenne costituzionalmente illegittimo l’allora vigente art. 546 c.p., nella parte in cui non prevedeva che la gravidanza potesse essere interrotta quando l’ulteriore gestazione poteva comportare danno o pericolo per la salute della madre. Nella motivazione della

1 : Si tratta, come noto, di Corte costit., 27-10-1994, n. 372, in Foro it., 1994, I, 3297, con nota di PONZANELLI, La corte costituzionale e il danno da morte, nonché in Corriere giur., 1994, 1455, con nota di GIANNINI, E’ risarcibile iure proprio il danno biologico a causa di morte?, in Giust. civ., 1994, I, 3029, con nota di BUSNELLI, Tre “punti esclamativi”, tre “punti interrogativi”, un “punto e a capo”, ed in Resp. civ.

prev., 1994, 990, con nota di Giannini, La vittoria di Pirrone; E DI Corte cost. (ord.) 22.7.1996 n. 293, in Foro it. 1996, I, 2963, con nota di De Marzo, Brevi note sulla nozione di danno psichico.

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2 sentenza si legge che la tutela del concepito non può prevalere su altri diritti costituzionalmente protetti, quali quello della gestante alla conservazione del “benessere fisico e dell’equilibrio psichico”.

Affermazione analoga, ma riferita a fattispecie tutt’affatto diversa, si legge nella sentenza n. 161 del 19853. In quel caso la Corte era stata chiamata a valutare la conformità a costituzione degli artt. 1 e 5 l. 14.4.1982 n. 164 (norme in materia di rettificazione di attribuzioni di sesso). Tali norme, secondo il giudice a quo, contrastavano con gli artt. 2, 3, 29 e 32 cost., in quanto consentivano il mutamento di sesso (anche chirurgicamente realizzato) non soltanto “nel caso di evoluzione naturale di situazioni originariamente non ben definite, ancorche' coadiuvate da interventi chirurgici diretti ad evidenziare organi gia' esistenti ed a promuoverne il normale sviluppo, ma anche “nel caso in cui, sulla base di una dichiarata psicosessualita' in contrasto con la presenza di organi dell'altro sesso, si intervenga con operazioni demolitorie e ricostruttive ad alterare gli organi esistenti per conferire al soggetto, la mera apparenza del sesso opposto”. Quindi, secondo il giudice rimettente (che nella specie, si badi, era la Corte di cassazione) il mutamento di sesso doveva ritenersi conforme a costituzione se necessitato da una base organica; non conforme a costituzione se necessitato dal benessere psichico del soggetto (transessualismo). La Corte costituzionale non aderì a questa impostazione, osservando il mutamento di sesso, previa autorizzazione del tribunale, è lecito ed ammesso non soltanto quando reso necessario da una componente organica; ma anche quando esso è reso necessario dalla tutela della salute psichica del transessuale. In questo caso, infatti, qualsiasi atto di disposizione del proprio corpo deve ritenersi lecito: “la natura terapeutica che la scienza assegna all'intervento chirurgico (…) ne esclude la illiceita', mentre le norme che lo consentono, dettate a tutela della persona umana e della sua salute (fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita') non offendono (…) i parametri costituzionali”.

Il problema di una ipotetica distinzione, quoad effectum, tra salute psichica e salute fisica non viene neppure sfiorato dalla “celebre” sentenza n. 184 del 19864: nel testo della motivazione, infatti, si parla indifferentemente di “menomazione bio-psichica”; di “salute in senso fisio-psichico”; di integrità “fisio-psichica” o “bio-psichica”. Nella apparentemente non sorvegliata variabilità delle formule, emerge tuttavia in modo chiaro come la Corte, nell’affermare la piena risarcibilità del

2 : Corte cost. 18.2.1975 n. 27, in Foro it. 1975, I, 515.

3 : Corte costit., 24-05-1985, n. 161, in Foro it., 1985, I, 2162, nonché in Giust. civ., 1985, I, 2420.

4 : Corte costit., 14-07-1986, n. 184, in Foro it., 1986, I, 2053, con nota di PONZANELLI, La corte costituzionale, il danno non patrimoniale e il danno alla salute, nonché in Nuove leggi civ., 1986, 6011, con nota di GIUSTI, Danno non patrimoniale e danno alla salute di fronte alla corte costituzionale; in Nuova giur.

civ., 1986, I, 534, con nota di ALPA, Danno biologico - Questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c.; in Giust. civ., 1986, I, 2324; in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1986, 1007; in Resp. civ., 1986, 520, con nota di SCALFI, Reminiscenze dogmatiche per il c. d. danno alla salute: un ripensamento della corte costituzionale.

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3 danno alla salute, abbia inteso evitare ogni distinzione tra integrità fisica ed integrità psichica: uno è infatti l’individuo, composto di soma e psiche; uno è lo stato di salute di cui è portatore; uno è il danno risarcibile in caso di lesione di questo stato di salute. Nella struttura della sentenza n. 184 del 1986, insomma, non ha senso distinguere tra salute fisica e salute psichica: non più di quanto ne avrebbe distinguere - ad esempio - tra salute dell’apparato osteoarticolare e salute dell’apparato digerente.

L’orientamento in esame trovò successiva conferma nella sentenza n. 455 del 19905. Nella motivazione di tale decisione (con la quale la Corte dichiarò non fondato il dubbio di legittimità costituzionale di una legge della provincia autonoma di Bolzano che aveva “contingentato” le prestazioni a carico dell’erario in favore di anziani non autosufficienti) si legge che “sotto il profilo della difesa dell'integrita' fisio-psichica della persona umana di fronte alle aggressioni o alle condotte comunque lesive dei terzi, il diritto alla salute e' un diritto erga omnes, immediatamente garantito dalla Costituzione e, come tale, direttamente tutelabile e azionabile dai soggetti legittimati nei confronti degli autori dei comportamenti illeciti”. Ancora una volta, dunque, la Corte fa riferimento alla “salute” nel senso più ampio ed omnicomprensivo del termine, inteso come genus nel quale rientrano sia il benessere fisico, sia quello psichico.

Né si pensi che l’equiparazione tra salute fisica e salute psichica sia stata affermata dalla Corte soltanto in bonam partem, vale a dire quando si tratti di riconoscere diritti od estenderne l’ambito.

Con l’ordinanza n. 458 del 19876, infatti, la Corte dichiarò manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2952 c.c., nella parte in cui, in tema di polizza infortuni, consentiva il decorso del termine di prescrizione anche nel caso in cui l’assicurato fosse fisicamente o psichicamente impedito, in conseguenza dell’infortunio subìto. La Consulta, riconosciuta al legislatore ampia autonomia nel disciplinare la durata dei termini di prescrizione, non operò alcuna distinzione tra impedimento di fatto all’esercizio del diritto, derivante da lesione dell’integrità fisica, ed impedimento di fatto derivante da lesione dell’integrità psichica: tutti e due, infatti, vennero ritenuti insuscettibili di legittimare una sospensione del termine di prescrizione.

3. La sentenza n. 50 del 1990, ovvero la larvata distinzione.

Una prima, larvata deviazione rispetto all’equazione assoluta tra la nozione di salute fisica e quella di salute psichica si ebbe con la sentenza n. 50 del 19907. In quel caso, era stata sospettata di

5 : Corte costit., 16-10-1990, n. 455, in Rass. avv. Stato, 1990, I, 418.

6 : Corte costit. (ord.) 3.12.1987 n. 458, in Giust. civ., 1988, I, 318.

7 : Corte costit., 02-02-1990, n. 50, in Foro it., 1990, I, 1107, con nota di DE LUCA, L'assunzione obbligatoria degli “invalidi psichici” dinanzi alla corte costituzionale: “storia” e prospettive di una pronuncia di accoglimento “annunciata”, nonché in Mass. giur. lav., 1989, 583; in Dir. e pratica lav., 1990, 629; in Arch.

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4 illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 4, 35 e 38 cost., la norma (art. 5 l. 2.4.1968 n. 482) la quale considerava invalidi civili, ai fini delle provvidenze per essi previste, i soggetti affetti da “minorazioni fisiche”. Come noto, l’interpretazione di tale norma aveva diviso la giurisprudenza. Secondo un primo orientamento, il suddetto art. 5 andava interpretato in modo estensivo, onde dovevano includersi nelle previdenze previste dalla l. 482/68 anche i minorati mentali8. Questo orientamento, in sostanza, non faceva che applicare il medesimo criterio di giudizio già tante volte utilizzato dalla Corte costituzionale nelle sentenze sinora esaminate: vale a dire, considerare in modo unitario la salute dell’individuo, ed equiparare ad ogni effetto il danno fisico a quello psichico.

L’art. 5 l. 482/68 venne invece letto in modo opposto da altra parte della giurisprudenza, secondo la quale il legislatore, nell'art. 5 l. n. 482 del 1968, aveva usato l'espressione “minorazioni fisiche” in modo restrittivo, sicché le provvidenze previste dalla legge citata (ed, in particolare, l’avviamento obbligatorio al lavoro) non potevano essere estese anche ai minorati psichici9: e fu quest’ultima interpretazione, tra l’altro, ad essere alla fine condivisa dalla Corte di cassazione10.

La Corte costituzionale, chiamata dunque a pronunciarsi sulla norma in questione, interpretata nel senso che i minorati psichici fossero esclusi dall’avviamento obbligatorio al lavoro, avrebbe avuto

civ., 1990, 353; in Notiziario giurisprudenza lav., 1990, 42; in Orient. giur. lav., 1990, fasc. 1, 62, con note di MINZIONI, La corte costituzionale e gli invalidi psichici: cronaca di una sentenza annunciata, e TOFFOLETTO, Assunzioni obbligatorie e invalidi psichici - Osservazioni alla sentenza della corte costituzionale 2 febbraio 1990, n. 50; in Riv. giur. lav., 1990, II, 3, con nota di COLELLA, Ancora sulla collocabilità ope legis degli irregolari psichici; in Riv. it. dir. lav., 1990, II, 269, con nota di AVIO; in Giust. civ., 1990, I, 1442; in Giur. it., 1990, I, 1, 863, con nota di COLAPIETRO, La vicenda del collocamento obbligatorio degli invalidi psichici: un nuovo modo di procedere nei rapporti corte-parlamento.

8 : In tal senso Pret. Como, 15-02-1980, in Orient. giur. lav., 1982, 320; Pret. Lodi, 29-04-1982, in Lavoro 80, 1982, 360; Trib. Milano, 05-05-1982, in Giur. it., 1982, I, 2, 653; Trib. Milano, 22-07-1982, in Lavoro 80, 1982, 949; Pret. Parma, 20-10-1982, in Foro it., 1983, I, 1159; Pret. Milano, 21-12-1982, in Orient. giur. lav., 1983, 600; Pret. Milano, 09-03-1984, in Lavoro 80, 1984, 474; Pret. Torino, 31-01-1986, in Lavoro 80, 1986, 825; Pret. Milano, 11-02-1986, in Orient. giur. lav., 1986, 697; Pret. Milano, 10-03-1986, in Lavoro 80, 1986, 823; Trib. Milano, 25-09-1985, in Lavoro 80, 1986, 131; Pret. Firenze, 05-12-1985, in Foro it., 1986, I, 1299, con nota di ROSSI.

9 : Così Pret. Iseo, 21-11-1981, in Orient. giur. lav., 1982, 67; Pret. Milano, 08-04-1982, in Orient. giur. lav., 1982, 755; Pret. Milano, 11-03-1982, in Notiziario giurisprudenza lav., 1982, 402; Pret. Milano, 01-07-1982, in Orient. giur. lav., 1982, 1211; Pret. Milano, 15-10-1982, in Orient. giur. lav., 1983, 112; Pret. Milano, 29- 11-1982, in Notiziario giurisprudenza lav., 1983, 222; Trib. Bologna, 17-02-1984, in Giur. it., 1984, I, 2, 653.

10 : Cass., 21-02-1986, n. 1072, in Foro it., 1986, I, 1299, con nota di ROSSI, Avviamento obbligatorio al lavoro dei c.d. invalidi psichici: nuovi contrasti giurisprudenziali all'indomani della sentenza n. 52 del 1985 della corte costituzionale; nonché in Arch. civ., 1986, 1097; in Giust. civ., 1986, I, 1921, con nota di MANCUSO, Inapplicabilità dell'assunzione obbligatoria al lavoro dei menomati psichici; in Lavoro e prev.

oggi, 1986, 1321, con nota di MENGHINI, Corte di cassazione e invalidi psichici: una incapacità naturale?; in Mass. giur. lav., 1986, 188, con note di ARDAU, L'invalido psichico non ha diritto al collocamento obbligatorio, e BARBIERI, Collocamento obbligatorio e minorazioni psichiche; in Orient. giur. lav., 1986, 361, con nota di BECCARIA e VON BERGER, La cassazione si pronuncia sull'avviamento degli invalidi psichici;

in Giur. it., 1987, I, 1, 79, con note di MISCIONE, Le presunzioni a danno dell'invalido psichico, e DONDI, Ancora sull'assunzione obbligatoria degli invalidi psichici; Cass., 27-08-1986, n. 5259, in Foro it. Rep. 1986, voce Lavoro (rapporto), n. 1210; Cass., 06-11-1986, n. 6519, in Foro it. Rep. 1986, voce Lavoro

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5 dinanzi in teoria due strade: quella della pronuncia interpretativa di rigetto, aderendo all’ermeneutica secondo cui per “menomazione fisica” doveva intendersi qualsiasi alterazione dello stato di salute, e quindi anche la menomazione psichica; oppure la strada della declaratoria di illegittimità costituzionale, sul presupposto che altro è la menomazione fisica, altro la menomazione psichica.

La prima strada non sarebbe stata preclusa dall’intervento della Corte cassazione: la Consulta ha infatti dimostrato, in più di un’occasione, grande “disinvoltura” verso la funzione nomofilattica della Cassazione, e comunque nel caso dell’art. 5 l. 482/68 vi era, come si è visto, un nutrito filone giurisprudenziale, anche successivo all’intervento della Cassazione, il quale aveva continuato ad applicare la norma suddetta anche in favore dei minorati psichici. Optando per la via dell’interpretativa di rigetto, la Consulta avrebbe confermato il principio già più volte affermato, e cioè quello della totale equiparazione tra lesione fisica e lesione psichica. Il giudice delle leggi, però, con la sentenza n. 50 del 1990 scelse una strada diversa, e dichiarò l’art. 5 l. 482/68 costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui escludeva dalla provvidenze della l. 482/68 i minorati psichici. Sia ben chiaro: la declaratoria di illegittimità costituzionale fu motivata proprio con la necessità di evitare sperequazioni tra gli affetti da minorazione psichica rispetti ai soggetti colpiti da invalidità fisica.

Nondimeno, a ben vedere, con quella motivazione la Corte introdusse - forse in modo inconsapevole - una sottile distinzione tra “minorazione” psichica ed “invalidità” fisica: che dovevano, sì, essere parificate quanto al trattamento di favore previsto dalle leggi, ma che purtuttavia restavano distinte e separate. Se, infatti, la minorazione psichica fosse stata concepita come una forma “normale” di lesione della salute, essa avrebbe potuto essere agevolmente sussunta in via interpretativa nel disposto dell’art. 5 l. 482/68, e quindi non ci sarebbe stato bisogno di una declaratoria di illegittimità costituzionale.

4. La sentenza n. 372 del 1994, ovvero la “svista” della Consulta.

Se con la sentenza n. 50 del 1990 la Corte introdusse una sottile, e probabilmente sfuggita ai più, distinzione tra salute fisica e salute psichica, la differenziazione tra la lesione dell’una e la lesione dell’altra sembrò divenire massima con la sentenza n. 372 del 1994. Con questa decisione la Corte dichiarò non fondato il dubbio di illegittimità dell’art. 2059 c.c., nella parte in cui - secondo la prospettazione del rimettente - non consentiva il risarcimento del danno biologico da morte, sia iure haereditario che iure proprio.

(collocamento), n. 247; Cass., 27-05-1987, n. 4751, in Foro it., 1987, I, 2729, con nota di LISO; Cass., 11- 01-1988, n. 86, in Giur. piemontese, 1988, 359.

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6 Si tratta di una decisione dalla motivazione di non agevole lettura, e che ha dato luogo a molteplici e talora divergenti interpretazioni. Per questo motivo, può forse essere utile ripercorrerne i passaggi salienti, ai limitati fini che qui ci occupano.

Dopo avere esaminato - e rigettato - il dubbio di legittimità costituzionale degli artt. 2043 e 2059 c.c., nella parte in cui non consentivano il risarcimento del danno alla salute iure haereditario, la Corte è passata ad esaminare il secondo profilo di censura mosso alle norme suddette: l’asserita carente previsione della risarcibilità del danno biologico da morte iure proprio: del danno alla salute, cioè, subìto in conseguenza della morte traumatica del proprio congiunto.

Il punto nodale è rappresentato dai §§ 3.2 e 3.3 del Considerato in diritto, nei quali la Corte articola il seguente sillogismo:

(a) l’essenza della colpa è la prevedibilità;

(b) nel caso di lesioni colpose che cagionino la morte di una persona, mentre può considerarsi astrattamente prevedibile la lesione del rapporto obbligatorio (patrimoniale) sussistente tra il defunto ed i suoi congiunti, non può considerarsi prevedibile, da parte del danneggiante, la lesione della salute del congiunto del leso, in quanto tale evento non consegue necessariamente all’estinzione del rapporto di coniugio o parentela;

(c) ergo, poiché il danno biologico causato dalla morte del congiunto non è prevedibile, esso non è risarcibile ex art. 2043 c.c.. Dunque, poiché il risarcimento del danno psichico da shock per la morte del congiunto non può avvenire ai sensi dell’art. 2043 c.c., la Corte concluse che tale risarcimento dovesse avvenire ai sensi dell’art. 2059 c.c. (§ 4 del Considerato in diritto).

La sentenza n. 372 del 1994 aprì, tra gli interpreti, più d’un interrogativo, e suscitò molte perplessità.

In primo luogo, non appariva condivisibile il principio secondo cui al danno alla salute (psichica) causato dalla morte di un congiunto non fosse applicabile l’art. 2043 c.c., per difetto di prevedibilità dell’evento dannoso: a tacer d’altro, infatti, è stato agevole osservare che anche la lesione d’un rapporto patrimoniale esistente tra il de cuius ed il suo congiunto non “consegue necessariamente”

(secondo le parole della Corte) alla morte dell’obbligato.

In secondo luogo, non era affatto vero che la giurisprudenza di merito, nel caso di shock psichico causato dalla morte del congiunto, applicasse “più o meno inconsapevolmente” lo schema risarcitorio di cui all’art. 2059 c.c.: al contrario, le numerose pronunce edite facevano espressamente riferimento all’art. 2043 c.c..

In terzo luogo, la sentenza in esame sembra affievolire uno dei tradizionali connotati del danno aquiliano, cioè la sua tipicità. In virtù di essa, infatti, la lesione della salute (al pari di qualsiasi altro danno ingiusto) ha da essere risarcito quale che sia il mezzo od il modo in cui viene inferta: e quindi

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7 sia nel caso di danno corpore corpori illatum (ad esempio, percosse); sia nel caso di danno corpore nec corpori illatum (ad esempio, nel caso di uccisione di un prossimo congiunto).

In definitiva, con la sentenza n. 372 del 1994, la Corte sembrò obliterare il principio costantemente affermato in precedenza, e cioè che la salute dell’individuo, oggetto di protezione ex art. 32 cost., è una soltanto, ed essa può essere lesa sia vulnerando il soma, sia vulnerando la psiche.

5. L’ordinanza n. 293 del 1996, ovvero l’ultima parola.

Le non sempre perspicue affermazioni contenute nella motivazione della sentenza n. 372 del 1994 indussero alcuni giudici di merito a sollevare nuovi dubbi di legittimità costituzionale sull’art. 2059 c.c.. In particolare, il tribunale di Bologna ipotizzò il seguente sillogismo:

(a) il danno psichico da morte del congiunto è un danno alla salute;

(b) tuttavia, secondo Corte cost. 372/94, esso va risarcito ex art. 2059 c.c., e non ex art. 2043 c.c.;

(c) l’art. 2059 c.c. limita la risarcibilità dei danni ivi previsti alle ipotesi in cui l’illecito costituisca reato;

(d) ergo, il danno alla salute psichica da morte del congiunto è risarcibile solo nelle ipotesi di reato, con conseguente violazione dell’art. 32 cost..

Questa volta la Corte ha provato a (ri)mettere ordine nei rapporti tra il danno morale ed il danno psichico, osservando che: (a) tutti e due costituiscono forme di danni non patrimoniali; (b) tutti e due sono risarcibili ai sensi dell’art. 2059 c.c.; (c) tuttavia il danno (psichico) alla salute è “assistito dalla garanzia dell’art. 32 cost.”, e quindi sempre risarcibile, a differenza del danno morale.

Anche l’ordinanza n. 293 del 1996, tuttavia, non ha soddisfatto pienamente gli interpreti, per due motivi principali: da un lato, perché - in contrasto patente con quanto affermato da Corte cost.

14.7.1986 n. 184 - ha affermato la natura non patrimoniale del danno alla salute, e la sua sussunzione nello schema di cui all’art. 2059 c.c.; dall’altro, perché non si è fatta carico di precisare - anche alla luce delle più moderne acquisizioni della medicina legale - l’esatta linea di confine tra danno psichico e danno morale, limitandosi ad affermare - sibillinamente - che il loro trattamento ha da essere “parificato sul presupposto della loro distinzione”.

6. Conclusioni.

Le conclusioni, alla luce di quanto brevemente esposto in precedenza, non possono a questo punto essere definitive: in tema di danno psichico, infatti, la giurisprudenza costituzionale non appare sempre del tutto coerente, ed è lecito attendersi ulteriori assestamenti.

Allo stato, tuttavia, le pronunce della Consulta in tema di tutela (anche risarcitoria) della salute psichica sembrano gettare l’interprete in una sindrome dissociativa, in quanto:

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8 -) in principio, si è affermato che la salute dell’individuo, fisica o psichica che sia, deve godere della medesima forma di tutela;

-) in relazione a singole fattispecie, si è invece affermato che la lesione della integrità psichica è risarcibile ex art. 2059 c.c., mentre quella dell’integrità fisica è risarcibile ex art. 2043 c.c..

Il superamento di questo apparente empasse deve passare, a parere di chi scrive, attraverso una rigorosa scansione di alcuni aspetti essenziali della materia, anche con l’ausilio della medicina legale. In particolare, appare opportuno prendere coscienza che:

-) altro è la lesione della salute, altro è la lesione della felicità;

-) un turbamento dell’animo può costituire sicuramente una lesione del benessere morale, ma non costituisce necessariamente una lesione della salute;

-) è compito della medicina legale, la quale dovrà fornire al giudice gli strumenti in tal senso, distinguere il mero turbamento dell’animo dal vero e proprio disturbo mentale;

-) l’uno e l’altro (danno morale e disturbo psichico), in quanto incidenti su beni distinti e separati (la salute, la felicità) giacciono su piani del tutto diversi, e possono sussistere l’uno indipendentemente dall’altro.

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