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Introduzione Il presente contributo si articola in due sezioni ben distinte, che sono caratterizzate da obiettivi differenti e richiedono una doppia competenza linguistica

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Introduzione

Il presente contributo si articola in due sezioni ben distinte, che sono caratterizzate da obiettivi differenti e richiedono una doppia competenza linguistica1: per questo motivo, l‘introduzione stessa è articolata in due parti, per focalizzare meglio il fine, i presupposti teorici e la metodologia di analisi. Ciò nonostante, i poli dell‘indagine sono, evidentemente, accomunati da un‘indubbia affinità tematica, determinata non solo dalla comunanza contenutistica del testo di partenza e dall‘identità dell‘ambito lessicale oggetto di indagine terminologica, ma anche e soprattutto dall‘inevitabile sinergia che, in uno studio di carattere traduttologico, coinvolge il testo di partenza e il codice linguistico di cui esso è espressione, al fine di consentire una migliore comprensione del suo corrispondente nella lingua replica.

1.1. Studio terminologico

È opportuno, innanzitutto, chiarire in che cosa consista lo studio terminologico, e in che misura sia corretto parlare di terminologia, a proposito di Platone. Il titolo scelto non intende evidentemente suggerire che sia individuabile, nel Timeo, dialogo ascrivibile all‘ultima fase della riflessione platonica2, una terminologia nomenclatoria «in cui ogni termine tecnico designa in modo non ambiguo e con definizione formale un concetto o un oggetto dell‘insieme attinente ai contenuti della lingua speciale», nella concezione di Berruto (1998: 156). Piuttosto, in linea con la Teoría Comunicativa de la Terminología proposta da Maria Teresa Cabré (v. ad es. Cabré, 2003), si valuterà la possibilità di riconoscere unità lessicali – e opposizioni morfologiche – che siano associate a un valore specializzato attivato dalle condizioni discorsive (cfr. Cabré, 2006).

A tal proposito, è utile ricordare alcune caratteristiche generali del dettato platonico, che costituiscono il necessario sfondo contestualizzante e/o contrastivo per la presente indagine. Come osserva Castelpietra (1997: 366), «il lessico filosofico di Platone (…) per meglio aderire all‘articolata complessità delle cose, non si preoccupa tanto di forgiare o usare un linguaggio tecnico filosofico, quanto del modo di usare sia i vari linguaggi tecnici a cui eventualmente si appoggia (…) sia il linguaggio comune». Ciò non è altro che il riscontro, dal punto di vista linguistico, del metodo filosofico di Platone per come esso si esplica nel Timeo; esemplari in proposito sono le osservazioni di carattere tematico e contenutistico delineate da Jowett (2004):

to bring sense under the control of reason; to find some way through the mist or labyrinth of appearances, either the highway of mathematics, or more devious paths suggested by the analogy of man with the world, and of the world with man; to see that all things have a cause and are tending towards an end—this is the spirit of the ancient physical philosopher. (…) He is hanging between matter and mind; he is under the dominion at the same time both of sense and of abstractions (…). He passes abruptly from persons to ideas and numbers, and from ideas and numbers to persons,—from the heavens to man, from astronomy to physiology; he confuses, or rather does not distinguish, subject and object, first and final causes, and is dreaming of geometrical figures lost in a flux of sense. He contrasts the perfect movements of the heavenly bodies with the imperfect representation of them (Rep.), and he does not always require strict

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Tutte le traduzioni dal greco e dall‘armeno presenti nella trattazione, salvo dove diversamente indicato, sono realizzate da chi scrive.

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La sua composizione è collocabile, secondo Fronterotta (2006: 21), nel decennio 360-350 a.C. Cfr.

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accuracy even in applications of number and figure (Rep.). His mind lingers around the forms of mythology, which he uses as symbols or translates into figures of speech.

La complessiva asistematicità a livello terminologico è dunque, nello specifico, risultato di una commistione di nozioni tratte da discipline diverse e usate in modo metaforico per veicolare contenuti di portata filosofica, tanto che è talora arduo delimitare «ciò che deve essere considerato come dottrina scientifica» da ciò che è «libero gioco di pensiero oppure (…) esposizione di mere verosimiglianze di vario ordine e grado» (Natorp, 1999: 429). Alla luce di queste osservazioni, uno studio che miri a riconoscere i fondamenti di un sottocodice3 filosofico laddove, programmaticamente, una settorializzazione tematica e linguistica non è rintracciabile potrebbe sembrare privo del necessario fondamento teorico-metodologico.

Tale attitudine epistemologica è tuttavia strettamente correlata alla distinzione fondante dell‘intero dialogo, poiché riguarda più la sfera del divenire e del mondo fenomenico che non quella dell‘essere: infatti «tutto ciò che concerne i principi eternamente permanenti deve avere a sua volta valore permanente e incontestabile» (ibidem) o, per ricorrere alla formulazione dello stesso Platone, Tim 29 c 3, «l‘essere è rispetto al divenire nello stesso rapporto in cui è la verità rispetto alla credenza»4. Coerentemente, in relazione all‘essere e alla sua alterità rispetto al divenire, Platone sembra sforzarsi, talora con riflessioni esplicite di carattere metalinguistico, di precisare la propria terminologia metafisica (cfr. Mariès, 1928: 111): significativo, in proposito, è il passo di 38 a ‒ b, in cui si contesta l‘uso del verbo per ―essere‖ in riferimento alla realtà fenomenica. Tali riflessioni, come altre avanzate nell‘ambito della speculazione filosofica greca5

, non costituiscono una critica mirante a una riforma del parlare quotidiano, ma sono rilevanti, appunto, per i risvolti ontologici, e funzionali all‘argomentazione all‘interno del dialogo. La preoccupazione non è di natura linguistico-normativa, ma filosofica in prima istanza e, secondariamente, terminologica ante litteram: lo scopo è quindi la costituzione e la riforma di una «metalingua filosofica esente dalle ambiguità e dalle contraddizioni logiche della lingua dell‘uso» (Berrettoni, 2001: 137), ovvero, appunto, un sottocodice, «che consentisse di parlare filosoficamente in maniera non contraddittoria e troppo inadeguata alla vera natura dell‘Essere» (ibidem: 151).

Cruciale, all‘interno del Timeo, è dunque la dicotomia tra ―essere‖ e ―divenire‖, che si estrinseca, linguisticamente, nell‘opposizione tra i verbi ee, di conseguenza, in sostantivi e aggettivi ascrivibili all'una o all‘altra dimensione. L‘opposizione non è, si noti, solo di natura semantica, ma anche azionale:  è infatti, un verbo intrinsecamente stativo, mentre  è trasformativo (Vendler, 1957 e 1967; cfr. Romagno, 2005).

Su tale opposizione di base, realizzata con strumenti lessicali, viene però impostata una ulteriore articolazione aspettual-azionale, che interagisce talora, come si vedrà, con la dimensione temporale, e sfrutta mezzi morfologici e sintattici, opponendo tra loro diverse forme di  Per la sua intrinseca polisemia, tale verbo, che ha in realtà una semantica molto più ampia dell‘italiano divenire, è infatti particolarmente adatto a veicolare le diverse manifestazioni che il mutamento in uno stato di esistenza assume: ―nascere‖, ―diventare x‖, ―essere soggetto a divenire‖ o anche, come si vedrà, ―essere‖ (per quanto lo stato in questione sia nettamente diverso da quello espresso da ). Il ricorso a strumenti non solo lessicali è

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Con sottocodice si intende un insieme di risorse selezionate a partire dalla lingua naturale, in relazione ad una tematica e ad una sfera di conoscenze specialistiche, secondo la definizione di Berruto (1974: 68).

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Fronterotta (2006: 183). 5

Ad es. il celebre paradosso licofroneo, che riguarda la proposta di abolizione di in funzione di copula: v. Aristotele, Fisica, 185 b.

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peraltro significativo, poiché conferma come un sottocodice si caratterizzi rispetto alla lingua naturale per un uso peculiare delle risorse selezionate a tutti i livelli dell‘analisi linguistica, e non solo per un lessico specifico6. I participi in particolare diventano comunque, a loro volta, elementi di un vocabolario filosofico, subendo una terminologizzazione, nella misura in cui pare di poter individuare una coerenza e uno sforzo di strutturazione almeno in questo settore del lessico del Timeo. Inoltre, il sostantivo che ricorre nel dialogo 57 volte (tutte al singolare) a fronte di un totale di circa 240 attestazioni platoniche7 ‒ ulteriore conferma della centralità di questa sfera semantica ‒ conosce, qui come in altre opere del filosofo, un processo di estensione semantica che lo porta a veicolare potenzialmente tutte le sfumature associabili al verbo.

Nel presente studio si procederà quindi, in un primo momento, a una puntualizzazione dei valori semantici, azionali e aspettuali di con particolare attenzione al perfetto che riveste un ruolo cruciale nel sottocodice filosofico del dialogo. In secondo luogo, si effettuerà uno spoglio sistematico di tutte le occorrenze, in isolamento e in opposizione ad , distinguendo gli esempi ascrivibili ad un impiego filosoficamente connotato o ‗tecnico‘ nel senso chiarito supra, dal normale uso linguistico che permea il tessuto del dialogo. L‘obiettivo è chiarire come Platone sfrutti le potenzialità del verbo in opposizione alla sua controparte stativa, e, possibilmente, in che modo l‘uso linguistico risulti funzionale a veicolare determinati contenuti, secondo modalità ben definite, in accordo con il metodo filosofico e le preoccupazioni di natura didattica dell‘autore.

1.2 Indagine traduttologia

Da un punto di vista generale, l‘utilità dell‘indagine traduttologica greco-armena per il linguista, e non solo per il filologo, è stata portata all‘attenzione della comunità scientifica in più occasioni (cfr. ad es. Sgarbi, 2001: 585). L‘obiettivo della seconda parte del presente studio è di effettuare dunque una ricognizione a campione della versione armena del Timeo, che miri a delineare alcune caratteristiche della sua tecnica traduttiva.

Una simile operazione è resa opportuna dalla particolare condizione degli studi relativi all‘opera in oggetto, e, in prospettiva più ampia, al Platone armeno nel suo complesso (sono conservate le traduzioni di altri quattro dialoghi: Eutifrone, Apologia di Socrate, Leggi, oltre allo pseudo-platonico Minosse). La bibliografia di settore si è concentrata infatti innanzitutto sull‘esame dei testi platonici armeni ai fini della ricostruzione filologica dei modelli greci, alla luce di una loro estrema letteralità che li renderebbe testimoni particolarmente affidabili in tal senso (questa valutazione riduttiva, tuttavia, è stata parzialmente corretta, per l‘Apologia, da Chiara Aimi, nell‘ambito di una Tesi di Laurea discussa recentemente presso l‘Università di Bologna). A tal proposito, la traduzione del Timeo è stata oggetto di due articoli di Mariapina Dragonetti (1986 e 1988), che costituiscono ad oggi i contributi specifici più recenti e, in realtà, gli unici ad occuparsi direttamente del testo.

In compenso, in più lavori non direttamente dedicati al dialogo ricorre la nozione che la traduzione del Timeo presenti caratteristiche differenti da quelle delle altre opere platoniche. Nel primo articolo dedicato da Frederick C. Conybeare al Platone armeno (1889) si evoca una presunta differenza ‗stilistica‘, senza che con questo si precisi se, a distinguere il Timeo, siano

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Sulla preponderanza della terminological investigation, che porta a trascurare gli aspetti morfo-sintattici e testuali dei testi specializzati, v. ad esempio Hoffmann (1979: 14); Cabré (1993: 132 ss.); Cabré (2004).

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Brandwood (1976: s.v.) ne segnala esattamente 240 (22 al plurale), se nel numero si includono anche i passi che conoscono varianti alternative.

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caratteristiche linguistiche, traduttologiche, o entrambe. Più preciso è il giudizio di Finazzi (1990a: 65), che, occupandosi delle Leggi, sottolinea ‒ senza peraltro addurre esempi, dato che ciò esulerebbe dallo scopo della sua ricerca ‒ come la versione del Timeo sia condotta in modo meno letterale, con espansioni e spiegazioni del testo.

Sulle caratteristiche della traduzione del Timeo, in particolare dal punto di vista lessicale, si esprime anche Mariès (1928: 90), alla luce di uno spoglio episodico, che riguarda proprio l‘espressione dell‘ambito lessicale dell‘essere, finalizzato a cercare elementi di confronto con l‘opera di Eznik Kołbacʿi: «malgré ses bizarreries et ses obscurités (…) à première vue, et pour ce que j‘en ai lu, cette traduction me paraît moins mécanique que la traduction des Catégories d‘Aristote par exemple. On peut admettre que l‘auteur (…) avait conservé (…) un certain sentiment des possibilités de la langue ancienne». L‘affidabilità di tale valutazione, tuttavia, è seriamente compromessa dalla constatazione che Mariès ha condotto la propria indagine sul testo come presentato dall‘edizione ottocentesca, a cura del Padre mechitarista Arsēn Sowkʿrean (Tramaxōsowtʿiwnkʿ, 1877), il quale è intervenuto massicciamente e spesso arbitrariamente su di esso, adeguandolo forzosamente al dettato greco (secondo una non meglio precisata edizione o versione), banalizzandone le peculiarità o, al contrario, introducendone di nuove.

Alla luce di tutto ciò, è evidente l‘utilità di uno studio che confermi o smentisca tali osservazioni preliminari e cursorie, alla luce di un‘analisi condotta sul testo così come è presente nel manoscritto (fatte salve eventuali emendazioni che si rivelino necessarie). L‘obiettivo è valutare se il giudizio di Mariès sia fondato, e chiarire se si possano riscontrare tracce di una tecnica traduttiva che tenga conto del testo come unità propria della traduzione (Sgarbi 2001: 588), tentando di salvare il senso a dispetto della corrispondenza meccanica verbum de verbo.

La selezione dell‘ambito semantico afferente all‘opposizione tra ―essere‖ e ―divenire‖ come settore privilegiato di indagine non è, evidentemente, casuale. Innanzitutto, tale dicotomia è, come noto, centrale all‘interno del dialogo; secondariamente, poiché il lessico dell‘essere nel Timeo è già stato oggetto di indagine parziale da parte di Mariès, le sue osservazioni costituiscono un utile elemento di confronto contrastivo, anche per i paralleli effettuati con altre opere della letteratura armena. Infine, e questa è la ragione fondamentale, data la sottigliezza delle distinzioni e la forte carica polisemica che caratterizza l‘uso linguistico platonico in riferimento alla dicotomia tra i due verbi, e soprattutto alle articolazioni interne al divenire, espresse tramite l‘impiego di forme di diversamente caratterizzate dal punto di vista temporale, azionale ed aspettuale, gli elementi afferenti all‘ambito lessicale in esame costituiscono, in isolamento e soprattutto nelle reciproche opposizioni, una sfida anche per il traduttore moderno. A maggior ragione, essi forniscono un utile banco di prova per valutare la competenza e il metodo del traduttore armeno.

Poiché gli articoli pur meritevoli di Dragonetti non sostituiscono, evidentemente, una ricognizione autoptica, in quanto non segnalano tutte le divergenze tra il manoscritto e l‘edizione a stampa, è stato necessario consultare direttamente la fonte: la base della presente indagine è quindi il ms. 1123 di S. Lazzaro, ad oggi codex unicus. Chi scrive ha avuto la fortuna di poterne prendere visione direttamente nel dicembre 2010, previa autorizzazione dell‘abate della Congregazione Mechitarista; per ovvi motivi di natura logistica, tuttavia, l‘analisi è stata condotta, inizialmente, sulla copia in formato digitale di un microfilm in possesso dell‘Università Cattolica di Milano e, in un secondo momento, su nitide riproduzioni fotografiche a colori. Tutte le sezioni del dialogo riprodotte in questa sede seguono, dove ciò è possibile e salvo indicazioni contrarie, il dettato del codice: emendazioni e interventi sul testo sono ridotti al minimo.

Per una corretta valutazione delle divergenze tra il testo armeno e il modello greco, oltre alla ricostruzione di un dettato il più possibile vicino all‘intento del traduttore, è

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indispensabile inoltre rapportarsi alla tradizione manoscritta greca nella prospettiva più ampia possibile: prima di attribuire una determinata discrepanza a una scelta autonoma, e servirsene come elemento di valutazione dell‘usus vertendi, si deve infatti escludere la dipendenza da un testo greco diverso da quello accolto in sede di edizione critica. Ciò è particolarmente vero per il Timeo, dialogo che ha conosciuto notevole fortuna, ed è preservato quindi in numerosi testimoni di tradizione diretta e indiretta, ma che è stato anche oggetto di precocissime emendazioni finalizzate ad orientare l‘interpretazione, per farla concordare con le posizioni teoriche del singolo utente o commentatore. A tal fine, si utilizzano gli apparati critici presenti nelle edizioni di Burnet (1902) e Rivaud (1963) e, soprattutto, l‘analisi della tradizione manoscritta del Timeo e del Crizia condotta da Jonkers (1989).

Una cospicua porzione del presente studio è inoltre dedicata a una revisione critica della bibliografia concernente il dibattuto tema della collocazione cronologica e attribuzione delle traduzioni platoniche armene, che sono anonime e non datate. In origine, ci si proponeva di fornire poche indicazioni, sufficienti a contestualizzare il testo in esame; nel corso dell‘indagine, tuttavia, è emersa con progressiva chiarezza l‘opportunità di procedere ad alcune puntualizzazioni, anche a costo di sottrarre tempo e spazio all‘indagine traduttologica e al suo necessario côté filologico. Molti contributi anche recenti sono infatti viziati dalla riproposizione di opinioni precedenti non verificate, alcune delle quali risalgono ai lavori ottocenteschi del già citato Conybeare. Ciò è determinato, in larga misura, dalla pur auspicabile commistione disciplinare, per cui studiosi di diversa formazione hanno modo di esprimere opinioni e trarre conclusioni senza disporre di tutte le informazioni necessarie; un ruolo significativo e deleterio giocano inoltre, inevitabilmente, barriere di natura linguistica, che rendono contributi anche fondamentali inaccessibili a studiosi occidentali. Chi scrive si propone pertanto, nel limite delle proprie competenze e possibilità, di evidenziare i punti di forza e le inconsistenze di alcune dimostrazioni, e di porre in nuova luce alcuni elementi significativi che non hanno ricevuto, in passato, la dovuta considerazione. Tanto l‘indagine linguistica e traduttologica quanto lo studio di carattere documentario proposti in questa sede vogliono costituire un contributo in vista di una valutazione complessiva della ‗questione platonica‘, che richiederà inevitabilmente la collaborazione di più persone e la realizzazione di edizioni moderne dei dialoghi, le quali forniscano solide basi per un‘analisi comparativa della tecnica di traduzione e, di conseguenza, per l‘individuazione di indizi in merito alla facies linguistica a cui i testi devono essere ascritti.

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