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INTRODUZIONE
L’obiettivo di questo capitolo è introdurre la problematica dei detriti spaziali e descrivere gli obiettivi del presente lavoro. Verrà, inoltre, illustrata l’organizzazione in capitoli della tesi.
1.1 Il problema dei detriti spaziali
Dal 1957, anno in cui l’uomo mandò in orbita il primo satellite artificiale, lo Sputnik 1 [1], centinaia di altri satelliti con funzioni militari, scientifiche, commerciali e di telecomunicazione sono stati messi in orbita attorno alla Terra.
Molti di questi (e.g., le costellazioni Iridium [2] e Cosmos [2]) risultano
oggi inattivi, ma ancora orbitanti senza alcuna possibilità di controllo. Questa classe di oggetti è quella che prende il nome di “detriti spaziali” che rappresentano un rischio per i satelliti attualmente operativi e per quelli futuri. Infatti, a causa delle alte velocità che i detriti spaziali possono raggiungere (fino a ~15 km/s in orbita bassa), anche i detriti di più piccole dimensioni (<1 cm), arrivano a possedere un’energia cinetica talmente elevata (dell’ordine di 10!𝐽 ) da
provocare seri danni alle piattaforme orbitanti. La crescita di rischio causata dai detriti spaziali fu confermata nel 2009, quando il satellite operativo americano Irridium-‐33 impattò con quello inattivo russo Cosmos-‐2251 [2]. L’enorme quantità di detriti, molti dei quali difficilmente rintracciabili, generati da tale collisione, costituisce ancor oggi una seria minaccia per le operazioni spaziali [3].
Allo scopo di ridurre i rischi da impatto un satellite può essere progettato in modo tale da non subire danni rilevanti nel caso in cui il detrito impattante abbia dimensioni inferiori a 1 mm, mentre per i detriti rintracciabili da terra, quelli con dimensioni maggiori di 10 cm, la soluzione migliore è quella di riposizionare la piattaforma in modo da
evitare una potenziale collisione [4]. Ciò ovviamente richiede la possibilità di controllo del satellite e il consumo di una certa quantità di propellente che deve esser messo in conto fin dalle prime fasi progettuali. I detriti con dimensioni comprese tra 1 mm e 10 cm rappresentano un pericolo ancor più elevato, in quanto, non rintracciabili da terra. In ogni caso il problema dei detriti spaziali genera un effetto valanga poiché nel caso di un impatto si possono generare nuovi detriti che acuiscono ulteriormente il problema [4].
Lo scopo del presente lavoro di tesi consiste nell’analisi preliminare di alcune missioni spaziali mirate alla rimozione di detriti di dimensione maggiore di 10 cm orbitanti in orbita terrestre bassa (Low Earth Orbit -‐ LEO). Il metodo di rimozione analizzato è basato sull’utilizzo di schiume che espandendosi sul detrito ne aumentano il rapporto area -‐ massa e quindi, la resistenza atmosferica che, infine, ne determina il deorbitamento [5].
In particolare, lo studio è focalizzato sugli stadi dei lanciatori, in quanto sono oggetti di grandi dimensioni (con massa che varia tra centinaia di chili ed alcune tonnellate) che si trovano in regioni orbitali occupate anche da numerosi satelliti attivi, dove la probabilità di collisione è quindi elevata [6].
Le orbite terrestri basse (160÷2000 km) sono quelle con la maggiore concentrazione di detriti, come mostrato in Fig. 1. Tra queste l’orbita eliosincrona (SSO – Sun-‐Synchronous Orbit), utilizzata come orbita operativa per molte tipologie di satelliti, è la regione che sarà tenuta
principalmente in considerazione in questa analisi. A tutt’oggi è operativa una rete di sensori ottici e radar denominata Space
Surveillance Network (SSN)[7], vedi Fig. 2, in grado di tracciare tutti gli
oggetti con dimensioni maggiori di 10 cm orbitanti ad altitudini maggiori di 35405 km.
Figura 2 – Distribuzione dei sensori ottici e dei radar dello Space Surveillence
Network [7]
Il motivo per cui l’attenzione del presente studio è concentrata sulla regione delle orbite basse è che il metodo di rimozione dei detriti analizzato, si basa sul cambiamento della quantità di moto dovuto all’aumento della resistenza atmosferica. Pertanto, orbite ad altitudini maggiori, alle quali la densità atmosferica è insufficiente, come per esempio le orbite tra 2000 e 30000 km, dette orbite medie (Medium
GEO) localizzata a 35786 km di quota, non saranno considerate nel presente studio.
La Figura 3 mostra l’evoluzione della popolazione di detriti tracciabili dall’inizio dell’esplorazione spaziale ad oggi [6]. Tale figura evidenzia come l’ambiente spaziale intorno alla Terra è dominato dalla presenza di frammenti che sono stati generati prevalentemente dalla collisione fra i satelliti Iridium 33 e Cosmos 2251 [6] e dalla distruzione del satellite Fenyun-‐1C [6]. Tali eventi hanno incrementato notevolmente (di circa il 124 %) il numero di detriti nella regione sotto i 1000 km di altitudine (vedi Fig. 4) [6].
Figura 4 -‐ Distribuzione degli oggetti catalogati dalla SSN nella regione LEO [6]
Ad oggi, in termini di massa, c’è un totale di circa 5900 tonnellate di materiale in orbita intorno alla Terra (escludendo la Stazione Spaziale
Internazionale -‐ ISS) e più del 40% di esso (~2500 tonnellate) risiede in
LEO. Come mostrato in Fig. 5, ci sono tre principali concentrazioni di massa in LEO: a 600 km, 800 km e 1000 km di altitudine. Stadi di lanciatori (Rocket Bodies – R/Bs) e satelliti (Spacecrafts – S/Cs) rappresentano circa il 97% della massa totale di detriti in tale regione.
Figura 5 -‐ Distribuzione della massa di detriti spaziali in LEO [6]
I detriti possono essere classificati in base alla loro dimensione in tre categorie:
• Piccoli: minori di 5 mm, considerati non tracciabili. • Medi: tra i 5 mm e 10 cm, non tracciabili.
• Grandi: maggiori di 10 cm, tracciabili.
La Tabella 1 mostra il numero, la classe e la pericolosità per le operazioni spaziali dei detriti ad oggi in LEO [10].
Categoria Numero Tracciabilità Pericolosità
Piccoli Milioni No Bassa
Medi ~500000 No Media
Grandi ~21000 Si Elevata
Tabella 1 -‐ Numero, classe e pericolosità dei detriti in LEO [8]
In generale, la pericolosità di un detrito spaziale non dipende solo dalle dimensioni, ma anche dalla sua velocità media e dalle dimensioni relative all’oggetto contro cui sta impattando. Per valutare l’entità di una collisione si considera il parametro EMS (Energy Mass Ratio)[8,9]:
𝐸𝑀𝑆 =𝑀!𝑣!"#! 𝑀
! (1)
dove 𝑀! è la massa del detrito, 𝑀! è quella dell'oggetto bersaglio, che può essere un satellite operativo o un altro detrito, e 𝑣!"# è la velocità
di impatto. Se il parametro EMS è maggiore di 40 kJ/kg, la collisione è considerata un evento catastrofico. L’impatto fra detriti classificati grandi è sempre un evento catastrofico, perché provoca un gran numero di piccoli nuovi frammenti orbitanti intorno alla Terra.
1.2 Obiettivi e presentazione del lavoro
Poiché la densità dei detriti spaziali continua ad aumentare, si rende necessaria la loro rimozione attiva oltre che l’elaborazione di linee guida per il deorbitamento a fine missione dei futuri satelliti.
Controllando e riducendo l’aumento di detriti pericolosi si renderanno più sicure le future attività spaziali. Quindi, lo sviluppo di un sistema idoneo a rimuovere tali oggetti orbitanti intorno alla Terra si presenta come una priorità.
In questo contesto, il lavoro svolto si propone di analizzare una serie di scenari di missione basati sulla propulsione elettrica, allo scopo di rimuovere i detriti spaziali utilizzando schiume poliuretaniche espandibili. Le missioni studiate prevedono il lancio di un veicolo trasportante la schiuma su un’orbita di parcheggio e il suo successivo trasferimento verso i detriti da deorbitare opportunamente scelti all’interno di un database. Il sistema primario di propulsione scelto per il trasferimento si basa su motori elettrici [11].
La propulsione elettrica è caratterizzata da valori dell’impulso specifico di un ordine di grandezza superiore rispetto a quelli ottenibili con la propulsione chimica[12]. Ciò consente una riduzione del consumo di propellente a parità di missione con conseguente possibilità di aumento del carico utile trasportabile dal veicolo spaziale. Oppure a parità di carico utile permette maggiori variazioni di velocità (Δv) e quindi l’esecuzione di missioni altrimenti infattibili con un propulsore chimico [12]. Le ridotte potenze attualmente disponibili nello spazio (qualche KW) consentono, però, solo basse spinte, dell’ordine di qualche decina di mN [11]. Pertanto, al fine di eseguire il trasferimento, il propulsore elettrico deve essere operato in modo continuativo per lunghi periodi. Quindi, l’uso della propulsione elettrica implica tempi di trasferimento maggiori e la necessità di controllare la spinta durante l’intero
trasferimento. Quest’ultima necessità risulta, però, nel vantaggio di ridurre i vincoli delle finestre di lancio permettendo una maggiore flessibilità delle missioni e un numero maggiore di obiettivi raggiungibili [13].
Il modello dinamico utilizzato per lo studio del moto del satellite e dei detriti è il modello a due corpi con perturbazioni (resistenza atmosferica, effetto della non sfericità della Terra, spinta del propulsore). Tale problema, però, non ammette soluzioni in forma chiusa [14], pertanto al fine di ottenere soluzioni approssimate, nelle analisi svolte sono state impiegate le equazioni di variazione secolare degli elementi orbitali, ricavate per integrazione a partire dalle equazioni di Lagrange nella forma di Gauss [15].
L’algoritmo sviluppato per lo svolgimento delle simulazioni è stato scritto e implementato in Matlab®, ambiente per il calcolo numerico e
l'analisi statistica che comprende anche l'omonimo linguaggio di programmazione creato dalla MathWorks [16].
1.3 Organizzazione della tesi
Il presente lavoro di tesi è composto da cinque ulteriori capitoli. Il Capitolo 2 descrive il modello dinamico utilizzato per lo studio del moto del satellite e dei detriti: il problema dei due corpi nel caso perturbato. Esso è affrontato utilizzando le equazioni di Lagrange, scritte in forma gaussiana [15], al fine di ricavare le variazioni secolari dei parametri
orbitali dovute all’effetto della resistenza atmosferica, della non sfericità della Terra e a quello della spinta del propulsore e descrivere così, in modo approssimato, la dinamica del satellite e dei detriti.
Il terzo capitolo descrive le varie metodologie proposte per la rimozione dei detriti spaziali, focalizzando l’attenzione sul metodo delle schiume espandibili, per il quale vantaggi e svantaggi sono valutati e la scelta dello specifico tipo di schiume (i.e., espandibili) è giustificata. In questo capitolo è anche riportato e descritto il database dei detriti selezionati per le simulazioni, motivando opportunamente le scelte fatte, e i modelli atmosferici utilizzati per stimare il valore della densità atmosferica alle quote di interesse.
Il Capitolo 4 è incentrato sulla descrizione dettagliata del codice realizzato in Matlab® per l’analisi dei trasferimenti della piattaforma da
un detrito al successivo. In particolare sono specificati i criteri di scelta automatici della sequenza di detriti da deorbitare e del tempo di attesa prima di accendere il propulsore ed eseguire il trasferimento motorizzato tra un detrito e il successivo .
Nel quinto capitolo, invece, sono illustrati i risultati ottenuti dalle simulazioni svolte per diversi scenari di missione con i codici sviluppati e descritti nel Capitolo 4. Inoltre, i vantaggi e svantaggi delle scelte fatte deducibili da tali risultati sono esposti e commentati.
Infine sono presentati, nel Capitolo 6, i vantaggi e gli svantaggi del tipo di analisi effettuata, i metodi alternativi che possono essere sviluppati
per schiumare il detrito e i problemi che potrebbero essere affrontati per migliorare la qualità dei risultati.