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5.1 Periodo perinatale 5. Discussione

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5. Discussione

5.1 Periodo perinatale

I livelli di 25-OH-D valutati su campioni cordonali sono risultati deficitari nell’82.5% dei casi, insufficienti nel 17.5% dei casi e in nessun caso sufficienti. Inoltre, i livelli di 25-OH-D erano nel range della deficienza severa (< 10 ng/ml) nel 35.0% di tutti i campioni cordonali . Poiché, come anticipato in precedenza, i valori cordonali rispecchiano lo stato vitaminico del neonato e sono in stretta relazione con lo stato della madre, questi risultati dimostrano una ampia prevalenza di deficienza vitaminica anche grave nella popolazione esaminata. Questo dato conferma i risultati ottenuti da Cadario e colleghi (n = 62, livelli cordonali di 25-OH-D < 20 ng/ml nel 55% dei soggetti) nell’unico lavoro italiano di rilevanza internazionale disponibile, effettuato su campioni cordonali. In generale, i risultati del presente studio sono in linea con altri lavori della letteratura internazionale nel ribadire la prevalenza diffusa di ipovitaminosi e deficienza vitaminica D in età neonatale [50, 84, 90]. In particolare, è notevole la prevalenza di deficit e ipovitaminosi D in campioni cordonali di neonati nati da madri che per la maggior parte, per quanto ci è stato possibile valutare attraverso intervista telefonica, assumevano supplementazione durante la gravidanza (75% delle madri intervistate). Da sottolineare il fatto che nessun campione

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63 cordonale mostrava livelli di 25-OH-D nel range della sufficienza. Sicuramente, l’arruolamento dei soggetti nei mesi primaverili ha determinato la valutazione dei livelli cordonali nel momento di maggiore deficit vitaminico rispetto ad altre stagioni. Tuttavia, l’utilizzo della supplementazione materna durante i mesi della gravidanza effettivamente determinava una differenza significativa nei livelli 25-OH-D cordonali, ma non era sufficiente ad elevare tali valori al di sopra della soglia della sufficienza. Anche questo risultato è in accordo con quanto affermato da diversi studi, che proporrebbero l’utilizzo di dosi di supplementazione più elevate in gravidanza per il raggiungimento di uno stato vitaminico ottimale [109].

Il presente contributo ha inoltre dimostrato come tra gli altri fattori potenzialmente influenzanti lo stato vitaminico materno, l’esposizione solare definita “adeguata” non influenzava in maniera significativa i livelli di 25-OH-D cordonali dei neonati delle madri intervistate, nemmeno nel sottogruppo delle madri non supplementate. Solamente l’aver effettuato un periodo di villeggiatura al mare comportava una differenza statisticamente significativa nei livelli di 25-OH-D cordonali. Il primo risultato è probabilmente stato influenzato da un bias da rievocazione: la valutazione dell’esposizione solare è stata affidata al ricordo dell’estate precedente la gravidanza, quindi risalente ad almeno 10 mesi prima dell’intervista. Probabilmente per questo motivo nella valutazione indiretta

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64 dell’esposizione solare la richiesta dell’aver effettuato un periodo di villeggiatura al mare, evento rammentabile in maniera più distinta, ha portato ad un risultato significativo. Alla luce dei fattori confondenti che potrebbero aver influito sui nostri risultati, non ci sembra prudente pertanto affermare che l’esposizione solare “adeguata” durante i mesi estivi non sia efficace nel determinare uno stato vitaminico sufficiente. Il confronto con altri studi su questo punto non è agevole: solo due tra gli studi più recenti nella letteratura di rilevanza internazionale hanno valutato entro certi limiti l’effetto dell’esposizione solare materna al di là della variabilità stagionale sui livelli di 25-OH-D materni o cordonali. Il primo studio, effettuato in Belgio (50° parallelo) nel 2012 su un ampio campione di madri (n = 1311), ha valutato la preferenza delle madri per il sole o per l’ombra e la permanenza in villeggiatura in paesi soleggiati. Le donne che preferivano l’ombra erano a rischio maggiore di deficienza severa di vitamina D (< 10 ng/ml), mentre la permanenza in paesi soleggiati determinava un minor rischio di deficienza vitaminica (< 20 ng/ml) durante il terzo trimestre di gravidanza [92]. Il secondo studio, effettuato ad Oakland in California (37° parallelo) su 275 donne in gravidanza ha concluso invece che il tempo mediamente trascorso al sole durante il giorno non influenzava in maniera statisticamente significativa i livelli cordonali di 25-OH-D [110]. Il confronto con questi lavori tuttavia risente della diversa latitudine a cui sono stati condotti e della diversa metodologia utilizzata. Il rapporto tra

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25-65 OH-D cordonale ed esposizione solare materna è pertanto sicuramente un ambito da approfondire in studi successivi. Un’ulteriore osservazione in relazione all’esposizione solare riguarda i risultati sull’utilizzo dei filtri solari e i livelli di 25-OH-D. Contrariamente a quanto atteso, livelli cordonali significativamente più alti di 25-OH-D si sono registrati per i neonati delle madri che facevano uso “regolare” di filtri solari, rispetto ai figli delle madri che non ne utilizzavano affatto. Questo risultato concorda con il già citato studio di Vandevijvere e colleghi, che hanno giustificano questo dato affermando che l’utilizzo di filtri solari si associa probabilmente ad una maggiore esposizione solare generale [92].

Un breve commento spetta all’assunzione materna di cibi fortificati con vitamina D, parametro escluso dall’elaborazione dei dati. Infatti, solo una madre tra quelle intervistate ha riferito di aver assunto tali alimenti, mentre nessuna degli altri soggetti era consapevole dell’esistenza in commercio di tali prodotti. Nel nostro Paese, a differenza di quanto accade nei paesi del Nord Europa o in Nord America, la fortificazione degli alimenti non è comune [111, 112]. Alla luce di quanto emerso dai nostri risultati sui livelli cordonali di 25-OH-D, la fortificazione degli alimenti potrebbe essere una misura da implementare per migliorare lo stato vitaminico della popolazione generale ed in particolare nel nostro caso delle donne in età fertile [113].

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66 I livelli di 25-OH-D cordonali non differivano a seconda del BMI materno precedente alla gravidanza. Questo risultato è parzialmente in accordo con quanto osservato da Merewood e colleghi, che non hanno riscontrato né una correlazione inversa tra BMI materno pre-gravidanza e livelli di 25-OH-D materni e neonatali alla nascita e una differenza significativa solo per BMI superiore o inferiore a 35 e non nelle fasce inferiori [114]. Tuttavia, questi risultati sono in contrasto con quanto concluso da altri Autori [90, 92, 110]. Anche in questo caso, i nostri dati riguardo statura e peso sono stati ottenuti mediante intervista telefonica, a differenza di quanto effettuato in altri lavori citati, in cui peso ed altezza materna sono stati rilevati da cartella clinica o misurazioni condotte da personale coinvolto nello studio. Probabilmente la stima del proprio peso e della propria altezza effettuata dalle madri rappresenta un altro limite del nostro studio.

Infine, è stata osservata una differenza statisticamente significativa nello stato vitaminico dei neonati secondo il sesso. Le femmine mostravano livelli cordonali di 25-OH-D significativamente inferiori rispetto ai maschi. Gli altri studi precedentemente citati in questa discussione non hanno analizzato questa variabile in relazione ai livelli di 25-OH-D, mentre lo studio di Cadario e colleghi non ha trovato differenze statisticamente significative nei livelli di 25-OH-D rispetto al sesso [80]. I motivi che sottendono questo risultato non sono chiari. Il ritrovamento di livelli di

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25-67 OH-D superiori nei bambini più grandi e negli adolescenti maschi rispetto alle femmine è frequente [115], tuttavia in questo caso il motivo è spesso legato a diverse abitudini culturali e stili di vita. In età neonatale, i diversi livelli di 25-OH-D secondo il sesso dovrebbero essere spiegati da una differenza nel metabolismo vitaminico. Si è ipotizzato che il differente assetto ormonale sessuale potesse aver contribuito a determinare questo risultato, dal momento che in età adulta è segnalata una correlazione tra livelli di testosterone e 25-OH-D [116]. Tuttavia un recente studio in età neonatale non ha dimostrato un’associazione significativa tra i due ormoni [117]. Inoltre, la differenza di peso alla nascita tra i due sessi, possibile fattore confondente, non era significativa nel nostro campione (p = 0.6517). La differenza nei livelli di 25-OH-D alla nascita secondo il sesso rimane

quindi un punto interessante da approfondire in studi futuri. Per quanto riguarda la possibile associazione tra livelli di 25-OH-D

cordonali ed outcomes relativi alla gravidanza come età gestazionale e modalità di espletamento del parto, i nostri risultati non dimostrano una correlazione statisticamente significativa. Come anticipato in precedenza, i risultati in letteratura su questi effetti della vitamina D in gravidanza sono controversi. Il presente studio si trova quindi in accordo con i risultati di Cadario e colleghi e Barker e colleghi per quanto riguarda l’assenza di relazione statisticamente significativa tra 25-OH-D ed età gestazionale [39, 80] e con lo studio di Savvidou e colleghi e Charatcharoenwitthaya e

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68 colleghi per quanto riguarda l’assenza di relazione statisticamente significativa tra 25-OH-D e modalità di espletamento del parto [118, 119]. Anche per quanto riguarda i risultati relativi alle infezioni delle vie respiratorie ad un mese e a tre mesi di vita, non sono state riscontrate differenze statisticamente significative tra livelli di 25-OH-D cordonali alla nascita e soggetti che erano andati incontro ad episodi infettivi delle alte vie respiratorie. Benché la domanda del questionario riguardante gli episodi infettivi fosse stata ispirata dal lavoro di Camargo e colleghi [50], che avevano trovato una correlazione tra livelli cordonali di 25-OH-D e rischio di infezioni delle vie respiratorie a tre mesi di vita, un limite di questo risultato è probabilmente ancora una volta l’aver fatto affidamento all’intervista telefonica e non alla valutazione di un medico o a parametri oggettivi, come effettuato in un altro studio che ha riscontrato una correlazione tra livelli di 25-OH-D cordonali e infezioni da Virus Respiratorio Sinciziale nel primo anno di vita [49]. Il nostro risultato comunque, anche se in contrasto con entrambi questi già citati studi osservazionali, va visto nel contesto complessivo di studi di supplementazione e metanalisi, che non hanno ad oggi dimostrato un effetto causale tra bassi livelli di 25-OH-D e infezioni delle vie respiratorie [57]. Inoltre, potrebbe essere interessante rivalutare in studi futuri questo stesso parametro in una popolazione più ad alto rischio di infezioni delle vie respiratorie, ad esempio in un gruppo di nati pretermine.

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69 Sempre in tema di azioni extra-scheletriche, a parte la lunghezza SDS ad un mese, nessun altro dei parametri auxologici è risultato correlare con i livelli cordonali di 25-OH-D. Questo risultato è in controcorrente rispetto alla maggior parte degli studi che hanno analizzato questo outcome alla nascita [46–48]. Benché peso e lunghezza alla nascita non siano stati misurati sempre dallo stesso personale e i nostri dati possano essere stati in qualche modo influenzati da questo fattore, non siamo in grado di giustificare questa discordanza. Al contrario, lo studio di Gale e colleghi si trova parzialmente in accordo con i nostri risultati, non avendo trovato una correlazione significativa tra livelli di 25-OH-D materni al terzo trimestre di gravidanza e le variabili antropometriche del bambino, a 9 mesi di vita [120]. È da notare come i nostri dati non siano stati ottenuti direttamente da personale esperto, ma che il peso e la statura del lattante ad uno e tre mesi siano stati in alcuni casi stimati dalla madre intervistata, in altri casi ricordati a memoria, in altri ancora ottenuti dalla lettura delle misurazioni riportate dal pediatra di libera scelta sul libretto pediatrico. La disparità dei dati probabilmente può spiegare l’assenza di correlazione nei nostri risultati. Inoltre, fattori confondenti intervenuti durante i primi mesi di vita potrebbero aver determinato una disparità di accrescimento indipendente dai livelli di 25-OH-D alla nascita. Comunque, il rapporto tra 25-OH-D e lunghezza SDS ad un mese è sicuramente interessante e non trova ad oggi confronto in letteratura.

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70 Concludendo, merita un commento la supplementazione del neonato e del lattante secondo i risultati dell’intervista telefonica. Innanzitutto merita una riflessione il fatto che il 93% delle madri intervistate seguisse le indicazioni del neonatologo alla dimissione rispetto alla supplementazione del neonato. Alla luce del fatto che solo il 75% delle madri intervistate assumeva la supplementazione vitaminica D in gravidanza, si può concludere che la sensibilizzazione del neonatologo all’importanza della vitamina D nel primo periodo della vita abbia avuto successo. Tuttavia, è interessante notare la diversità delle stime materne riguardo la durata della somministrazione della vitamina D al proprio figlio: solamente il 34% delle madri che hanno risposto a questa domanda aveva intenzione di proseguire la supplementazione per i primi due anni di vita, periodo che invece, come già discusso, necessiterebbe di uno stato ottimale di vitamina D.

5.2 Da un mese a due anni di vita

Lo stato vitaminico dei soggetti di età compresa tra un mese e due anni ha confermato i dati in letteratura che testimoniano una diffusa prevalenza di deficienza ed ipovitaminosi D [73, 74, 82–87]: solo il 30.2% dei pazienti mostrava livelli sierici sufficienti di 25-OH-D, mentre nel 24.4% e nel 45.4% dei casi si sono riscontrati livelli sierici rispettivamente insufficienti e deficitari di 25-OH-D. Livelli significativamente più alti di 25-OH-D sono stati riscontrati in soggetti di etnia caucasica rispetto a soggetti di

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71 etnia non caucasica: questo risultato si spiega con la maggiore pigmentazione melaninica della pelle, che impedirebbe l’azione attivante dei raggi UVB sul 7-deidro-colesterolo [71]. Lo stesso risultato è stato riscontrato da Maguire e colleghi nella fascia di età 1 – 5 anni [73], diversamente invece da quanto hanno osservato Gordon e colleghi nel loro lavoro su bambini di età compresa tra 8 e 24 mesi. Questi ultimi infatti affermano che molto spesso i bambini in questa fascia di età non vengono spesso esposti al sole, e questo spiegherebbe l’assenza di correlazione tra livelli di 25-OH-D ed etnia o esposizione solare nel loro campione [74]. In effetti, il nostro risultato sul diverso stato vitaminico secondo l’etnia risulta poi in conflitto con l’assenza di variabilità nello stato vitaminico secondo la stagione di nascita o la stagione del prelievo, fattori che risentono dell’esposizione solare. Si potrebbe pertanto ipotizzare un ruolo per fattori confondenti che almeno in parte avrebbero determinato il diverso stato vitaminico nei bambini di etnia non caucasica. Ad esempio, l’appartenere ad una minoranza potrebbe rendere conto di una minore sensibilizzazione dei genitori nei confronti dei benefici della vitamina D, come sembrerebbe suggerire anche il fatto che, tra i bambini non divezzati, nessun lattante di etnia non caucasica effettuava la profilassi con vitamina D al momento della valutazione.

Un altro determinante dello statp vitaminico è risultata la supplementazione vitaminica D in atto al momento del ricovero: si sono riscontrati livelli

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72 sierici di 25-OH-D significativamente più alti nei bambini che stavano effettuando profilassi, rispetto a coloro che non la stavano effettuando. Questo risultato è in accordo con quanto riscontrato in altri studi diretti alla valutazione dello stato vitaminico della prima infanzia [73, 74] e ribadisce la cruciale importanza della supplementazione vitaminica D in questo gruppo di età: i soggetti in profilassi mostravano livelli sierici di 25-OH-D nel range della sufficienza nel 66%, mentre nella stessa percentuale di casi si riscontravano valori nel range della deficienza nei soggetti non in profilassi. Questi risultati sono anche più rassicuranti di quanto riscontrato in altri studi, ad esempio un recente lavoro condotto in Turchia su bambini di 4 mesi, che mostravano livelli sufficienti di 25-OH-D solo nel 33% dei casi, nonostante fossero tutti supplementati con 400 UI/die [98].

Altre variabili esaminate, come il sesso, la tipologia di allattamento o il divezzamento non influenzavano significativamente lo stato vitaminico. L’analisi del sottogruppo dei bambini non divezzati e non supplementati ha permesso di valutare l’associazione della tipologia di allattamento, oltre che ancora una volta dell’etnia, con i livelli sierici di 25-OH-D. È stato infatti riscontrato che in questo sottogruppo i livelli di 25-OH-D erano nel range della deficienza per i bambini allattati al seno (mediana = 9.2 ng/ml, range 0.0 – 19.6) e nel range della deficienza/insufficienza per i bambini allattati con formula (mediana = 22.4 ng/ml, range 13.5 – 24.5). Questi valori in entrambi i casi differivano da quelli dei bambini non divezzati e

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73 supplementati, che mostravano livelli sierici di 25-OH-D distribuiti nel range della sufficienza, qualunque fosse la tipologia di allattamento. Queste osservazioni concordano quanto affermato da altri Autori nel ribadire che i bambini allattati esclusivamente al seno costituiscano la categoria a più alto rischio di deficit vitaminico [78], ma che la supplementazione con vitamina D sia auspicabile anche i bambini allattati con latte artificiale [116]. Infatti, come già anticipato, il contenuto di vitamina D del latte materno è molto scarso (10 - 50 UI/L) [123] e cresce di soli 10 U/L per ogni 1000 UI/die di vitamina D assunti dalla madre durante l’allattamento [86], rendendo la supplementazione del bambino allattato al seno una priorità. Tuttavia anche il bambino che riceve latte artificiale risulta a rischio di ipovitaminosi nel momento in cui non si trovi ad assumere 1 L di formula/die. Il ricevere 400 UI/die derivanti dal supplemento insieme ad una quantità variabile di vitamina D aggiuntiva contenuta nel latte in formula non costituisce un rischio per la salute, poiché il limite tollerabile massimo è 1000 UI/die nel primo anno e 2000 UI/die nei successivi anni di vita [94], e la quantità totale di vitamina D assunta non raggiungerebbe tale livello [122].

Per quanto riguarda le azioni scheletriche della vitamina D, è stato riscontrata una relazione lineare statisticamente significativa tra vitamina D e PTH e una differenza statisticamente significativa tra livelli di PTH secondo lo stato vitaminico D. Interessante è stato riscontrare che quasi

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74 tutti i soggetti (7/8) con iperparatiroidismo mostrassero livelli di 25-OH-D < 10 ng/ml, ma che in un caso i livelli sierici di 25-OH-D fossero pari a 21.0 ng/ml, nel range dell’insufficienza. Benché si tratti di un solo caso, è opportuno riportare a tal proposito il dibattito riguardante i valori di cut-off per la sufficienza di vitamina D, stimati secondo la presenza o l’assenza di casi di ipertiroidismo al di sopra di una certa soglia di livelli di 25-OH-D. Secondo alcuni Autori tale livello sarebbe intorno ai 13 ng/ml [124], tuttavia questo nostro risultato potrebbe suggerire che neanche 20 ng/ml possa essere considerato una soglia valida per la sufficienza di vitamina D per la salute ossea come suggerito dall’IOM [1]. Anche se la nostra casistica è troppo ristretta per trarre delle conclusioni a questo riguardo, ci troviamo in accordo con i risultati di un precedente studio condotto presso la Clinica Pediatrica pisana su una ampia casistica pediatrica [67] e con altri lavori della letteratura [125].

Infine, per quanto riguarda la possibile associazione tra livelli di 25-OH-D e outcomes extrascheletrici, non è stata osservata nessuna relazione statisticamente significativa tra stato vitaminico e diagnosi di dimissione di episodio infettivo delle vie respiratorie nel gruppo di soggetti esaminati. Questo risultato è in disaccordo con le conclusioni di altri studi in letteratura, che avevano evidenziato un effetto della supplementazione vitaminica sulla prevenzione degli episodi infettivi delle vie respiratorie [35, 36] e anche con un precedente studio effettuato presso la Clinica

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75 Pediatrica pisana, che aveva correlato la gravità di tali episodi con i livelli sierici di 25-OH-D [dati non pubblicati]. Pur ribadendo l’assenza di sufficienti dati in letteratura per concludere che elevati livelli di 25-OH-D svolgano un ruolo protettivo nelle infezioni respiratorie in età pediatrica [57], le ragioni per cui i nostri risultati non siano in linea con i precedenti studi non sono chiare. Sicuramente ulteriori studi sono auspicabili in questo ambito [60], che rappresenta uno dei più affascinanti temi caldi della ricerca sulla vitamina D e forse uno tra quelli che più potrebbe avere una ricaduta nell’approccio clinico al paziente pediatrico.

5.3 Punti di forza e limiti dello studio

I punti di forza di questo studio sono notevoli: si tratta di due casistiche numerose per il contesto italiano che inquadrano lo stato vitaminico e i possibili fattori determinanti in una fascia di età particolarmente significativa per lo studio del metabolismo vitaminico D e delle azioni scheletriche ed extrascheletriche. In particolare, si tratta della casistica più completa per quanto riguarda l’analisi di fattori di rischio di ipovitaminosi nel periodo perinatale e la casistica più numerosa nel contesto italiano per quanto riguarda il gruppo di età da un mese a due anni di vita.

Tra i limiti del protocollo volto a studiare il periodo perinatale, sicuramente importante è stato il fatto che la selezione dei soggetti da includere non sia stata interamente casuale ma sia dipesa da esigenze di reparto. Inoltre, parte

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76 dei dati raccolti sono stati ottenuti mediante intervista telefonica, che da un lato non ci ha permesso di avere informazioni per tutti i soggetti inclusi nello studio per via dell’irreperibilità di molte madri (12/40 = 30%), e dall’altro è stata possibilmente influenzata dal bias da rievocazione e ha comportato l’acquisizione di dati imprecisi, come già descritto. Infine, il carattere trasversale dello studio non ha permesso di valutare il fattore della variabilità stagionale dei livelli di 25-OH-D, che sarebbe stato consentito da uno studio di tipo longitudinale.

Per quanto riguarda la casistica di bambini di età compresa tra un mese e due anni, il fatto che si trattasse di bambini ricoverati presso la Clinica Pediatrica e non soggetti sani può essere stato un fattore confondente nello studio dello stato vitaminico e potrebbe rendere i nostri risultati non estendibili alla popolazione infantile sana. Inoltre, trattandosi di uno studio trasversale, non è stato possibile valutare se non indirettamente l’effetto della stagione sullo stato vitaminico. Inoltre, il dato disponibile sulla supplementazione riguardava solo il momento dell’arruolamento nello studio e non il periodo precedente. Infine, una parte dei dati analizzati sono stati ottenuti mediante anamnesi con i genitori, quindi possibilmente può essere intervenuto anche in questo caso un bias da rievocazione. .

Riferimenti

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