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Capitolo 2 Boschi e foreste nell’ordinamento italiano

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Capitolo 2

Boschi e foreste nell’ordinamento

italiano

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2.1. La tutela delle foreste nel diritto italiano; le fonti. Esaurita l’analisi del diritto forestale internazionale ed europeo, entrambi vincolanti, direttamente o indirettamente, o, ad ogni modo, influenti e di inevitabile riferimento per l’ordinamento italiano, è necessario soffermarsi sul “diritto forestale italiano”. Ad esso saranno dedicati 2 capitoli, il II ed il III, come risultanza di un’evoluzione “propria” e dell’attuazione del diritto dei 2 ordinamenti sovraordinati.

2.1.1. Dalle legislazioni pre-unitarie al R.D.L. n. 3267/1923

Lo studio delle fonti normative forestali italiane, che permetterà di tracciare la storia della tutela delle foreste in Italia sino ad oggi, si arricchisce preliminarmente di sommari accenni alle legislazioni forestali pre-unitarie. Esse segnalano come, già prima dell’Unità d’Italia, quasi tutti gli Stati della penisola avessero adottato provvedimenti normativi in materia forestale a contenuto fortemente vincolistico. I sovrani miravano a conservare le selve, in primo luogo, per non privare la Marina e il patrimonio della Corona (saline, miniere, fonderie, manifatture, ecc.) del legname di cui abbisognavano; li preoccupava, però, anche che la progressiva distruzione dei boschi potesse causare gravi danni idrogeologici e forti perturbamenti sociali, data l’incidenza di allora, nel

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bilancio familiare, dell’utilizzo dei boschi sia per il pascolo che per la legna276.

Gli scopi che le legislazioni perseguivano erano, in sostanza, di 2 ordini:

1. di tipo economico, per il buon governo e la conservazione delle selve da cui ricavare la materia prima del legno;

2. di tipo idrogeologico, per impedire che l’abbattimento degli alberi e il dissodamento dei terreni potessero provocare o favorire frane ed inondazioni.

In relazione alla prima finalità, si distinguevano boschi appartenenti al Demanio, ai Comuni, ai pubblici stabilimenti, agli Enti morali e boschi appartenenti ai privati, sottoponendo i primi ad una regolamentazione più penetrante, attraverso la fissazione di turni e di modalità dei tagli, il divieto di disboscamenti e di dissodamenti senza autorizzazione e l’istituzione di un regime di vigilanza molto severo.

Per la finalità di tutela idrogeologica, invece, il criterio discriminante era la posizione del terreno: si proibivano il disboscamento e il dissodamento sulle cime e sui pendii dei monti, o comunque nei terreni aventi una certa pendenza, e il taglio dei boschi lungo i fiumi e i torrenti, talvolta in via assoluta, tal’altra salvo autorizzazione dell’Autorità competente. Si sottoponeva, inoltre, a permessi e licenze il pascolo277.

Molto approssimativamente, si poteva riscontrare una certa affinità tra la legislazione del Piemonte, del Lombardo-Veneto e del Regno di Napoli; differenze assai

276 A. POSTIGLIONE, Lineamenti di Politica e legislazione forestale ed

ambientale in Italia e nella Comunità Economica Europea, Elea Press,

1993, p. 17.

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marcate, invece, sussistevano tra la legislazione dello Stato Pontificio e quella della Toscana: per la prima era necessaria la superiore autorizzazione anche per il taglio di una sola pianta di alto fusto; per la seconda, i boschi venivano lasciati alla completa discrezionalità dei proprietari. In ogni caso, ciascuna legislazione adoperava criteri propri per determinare i terreni da sottoporre a tutela, prevedeva una propria organizzazione amministrativa e un proprio sistema repressivo dei reati forestali. A ciò si aggiungeva che in ciascuno Stato la materia forestale non era regolata da un solo atto normativo fondamentale; ad esso, infatti, si accompagnavano numerosi atti di modificazione, di revisione e di parziale abrogazione.

La tutela forestale del tempo, perciò, si caratterizzava per un caotico coacervo di norme278.

Solo sedici anni dopo l’unificazione politica dell’Italia si procederà all’unificazione della legislazione preunitaria in materia forestale, con la “legge Maiorana- Calatabiano del 20 giugno 1877 n. 3917”, considerata dalla dottrina, appunto, la prima legge forestale italiana279, sulla quale pare utile soffermarsi, ancorché brevemente.

L’art. 1 sottoponeva al “vincolo forestale”, che veniva introdotto per la prima volta, i boschi e le terre spogliate di piante legnose sulle cime e sulle pendici dei monti, fino al limite superiore della zona del castagno, e quelli che, per la loro specie e situazione, potevano, disboscandosi e dissodandosi, provocare scoscendimenti, smottamenti, interramenti, frane, valanghe e, con danno pubblico, disordinare il corso delle acque, alterare la consistenza del suolo o danneggiare le condizioni igieniche locali. Il territorio nazionale, in sostanza, veniva diviso in 2 zone:

278 A. POSTIGLIONE, cit. pp. 17-18. 279 A. POSTIGLIONE, cit. p. 18.

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quella al di sopra del limite superiore della zona del castagno, in cui il vincolo era la regola, e quella posta al di sotto del limite superiore della zona del castagno, dove il vincolo era l’eccezione280

.

Il vincolo forestale, ai sensi dell’art. 4 della legge in questione, produceva il divieto di disboscamento e di dissodamento; l’autorizzazione a ridurre i terreni a coltura agraria era rimessa al Comitato forestale281, qualora il proprietario si fosse fornito dei mezzi opportuni per impedire danni e tali mezzi fossero stati riconosciuti efficaci dal Comitato stesso.

Non erano sottoposti ad alcuna preventiva autorizzazione la coltura silvana e il taglio dei boschi; si ampliava, però, l’intervento pubblico su queste attività, prevedendosi che i proprietari, ad ogni modo, si adeguassero alle prescrizioni di massima stabilite da ciascun Comitato forestale (art. 4, 2° c.). La legge, inoltre, conteneva disposizioni penali e di polizia forestale al suo Titolo III, limitava il diritto d’uso nei boschi e nei terreni vincolati, ai sensi del Titolo V, e prevedeva l’istituzione di consorzi di rimboschimento (artt. 13-15)282.

La legge del 1877, come osserva Postiglione283, stabiliva un vincolo forestale non indennizzabile e di interesse pubblico; esso era, cioè, un vincolo puramente negativo,

280 A. POSTIGLIONE, cit. p. 18.

281 Il Comitato forestale veniva costituito in ogni provincia,

componendosi del prefetto della provincia, dell’ispettore e di un ingegnere, nominati dal Ministro dell’agricoltura, dell’industria e del commercio, e di tre membri nominati dal Consiglio provinciale, più un membro nominato da ciascun Consiglio comunale della Provincia e che godeva di voto deliberativo limitatamente al territorio del comune che rappresentava (art. 4, legge n. 3917/1877). Il Comitato forestale aveva il compito di procedere alla dichiarazione di vincolo o di svincolo dei terreni, pubblicando gli elenchi relativi (art. 8); contro le sue decisioni era ammesso ricorso al Consiglio di Stato (art. 10).

282 Il testo della legge n. 3917/1877 è disponibile su: http://www.sardegnaambiente.it/documenti/19_4_2008021416033 2.pdf, consultato il 15/12/13.

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preordinato soltanto ad impedire abusi o un uso riconosciuto nocivo per la collettività da parte del proprietario del bosco o del terreno vincolato, senza costringerlo a sostenere alcuna opera o spesa nell’interesse pubblico o generale. Peraltro, il vincolo era, in sostanza, inteso come limitazione alla proprietà privata in funzione della tutela del territorio284; ciò contribuiva a costruire un concetto moderno di proprietà privata, da contemperare al rispetto dei diritti altrui e degli interessi della comunità. Pur riconoscendole il merito di aver dato una prima sistemazione organica alla materia forestale italiana, la dottrina non manca di sottolineare come la legge mostrasse lacune palesi, riscontrabili per taluni soprattutto nell’applicazione del vincolo forestale e nella sua ristrettezza, causa dei prevalenti obblighi di non fare in essa contenuti e che la resero nota come “la legge di polizia”285

, per altri, invece, nell’inadeguatezza delle risorse messe a disposizione dallo Stato, nella facilità di elusione dei divieti fissati, da parte dei proprietari dei terreni vincolati, nella leggerezza con la quale la PA consentiva lo svincolo di vaste aree, favorendo la distruzione dei boschi esistenti286.

Alla legge suddetta fecero seguito diverse leggi frammentarie di efficacia locale287. Dai giorni dell’Unità ai primi anni del XX secolo, però, chiari erano i segni di un’evoluzione in atto nel Paese, coinvolgente anche la politica forestale. Le spinte per una precisa svolta a quest’ultima si concretizzarono dapprima in una serie di

284 L. COSTATO- E. ROOK- A. GERMANO’, Trattato di Diritto Agrario,

Utet Giuridica, 2011, vol. 2, p. 83.

285 V. A. POSTIGLIONE, cit. p. 18.

286 V. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 445. 287

Tra esse: la legge per la Basilicata del 1904; la legge per il Bacino del Sele del 1902; la legge per la Calabria del 1906, per la Sardegna del 1907 e per le province pugliesi del 1910.

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Congressi Forestali288; in essi si reclamava, nello specifico, un massiccio intervento dello Stato per la ricostruzione dei boschi distrutti, per la formazione di un Demanio forestale e per il riordino e l’accentramento dell’Amministrazione forestale, levandosi solo poche voci, tra cui quella di Arrigo Serpieri289, a favore di un risollevamento della vita e delle condizioni economiche dei montani gravemente colpiti dal vincolo forestale. A conclusione di tali accese polemiche e dibattiti prevalse l’indirizzo industriale- produttivistico, con l’approvazione in Parlamento della “legge Luzzatti del 2 giugno 1910 n. 277”290.

Recante “Provvedimenti per il Demanio forestale di Stato e per la tutela e l’incoraggiamento della silvicoltura”, la legge istituiva, all’art. 9, l’Azienda speciale del Demanio forestale di Stato, per provvedere, mediante l’ampliamento e l’inalienabilità delle proprietà boschive demaniali e con l’esempio di buon regime industriale di esse, all’incremento della selvicoltura e del commercio dei prodotti forestali nazionali. Ai sensi dell’art. 10, il Demanio forestale dello Stato, per la prima volta costituito, veniva componendosi di:

a. foreste demaniali già dichiarate inalienabili;

b. foreste demaniali allora amministrate dal Ministero delle finanze;

c. terreni di patrimonio dello Stato ritenuti economicamente suscettibili della sola coltura forestale;

288 Tra essi: il Congresso forestale di Bologna del 1909; quello di

Torino del 1911 e quello di Napoli del 1914.

289

A. SERPIERI, Economia Montana e restaurazione forestale, in Atti

del Congresso Forestale di Bologna del 1909.

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d. terreni boscati acquistati dall’Azienda del Demanio forestale o che in qualsiasi modo pervenivano ad essa;

e. terreni nudi acquistati o espropriati dall’Azienda; f. terreni rimboscati o da rimboscarsi a cura del

Ministero dei lavori pubblici, in esecuzione di leggi speciali o generali per la sistemazione idraulico- forestale dei bacini montani da incorporare al Demanio secondo il Ministero dell’agricoltura, industria e commercio291

.

I boschi e i terreni del Demanio forestale erano inalienabili e dovevano esser utilizzati e coltivati secondo un regolare piano economico (art. 10, 2° comma).

La legge Luzzatti dettava, inoltre, provvedimenti per l’incremento e l’incoraggiamento della selvicoltura attraverso: l’esenzione dall’imposta fondiaria erariale e dalla sovraimposta comunale e provinciale per i rimboschimenti; l’offerta gratuita della direzione tecnica dei lavori, nonché delle piantine e dei semi occorrenti; la corresponsione di premi in denaro; un vincolo di natura economica per i boschi dei Comuni, delle Province e degli altri Enti pubblici, delle Associazioni e delle società anonime, che dovevano esser utilizzati secondo un Piano Economico approvato e, in caso di mancata presentazione, prescritto dalle autorità forestali locali. Infine, riorganizzava l’Amministrazione forestale e avviava l’avocazione allo Stato delle guardie forestali provinciali, che si sarebbe poi completata con la legge n. 134/1912292. Con il Testo Unico n. 442/1912, per la sistemazione idraulico-forestale dei bacini montani, si stabiliva, poi, che fossero eseguiti a cura e a spese dello Stato i lavori di

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http://www.parcovalgrande.it/pdf/Mattioli_Pedum.pdf, consultato il 28/12/13.

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rimboschimento e di risanamento dei terreni compresi nei progetti di sistemazione, quando le condizioni del terreno fossero tali da compromettere, con danno pubblico, la consistenza del suolo, la sicurezza degli abitanti e il buon regime delle acque293.

Dopo la prima guerra mondiale venne impresso un nuovo impulso alla politica dei rimboschimenti e alla sistemazione dei terreni montani, al fine di ricostituire il patrimonio boschivo nazionale impoverito dai tagli boschivi, che avevano sopperito alle esigenze belliche, e dalle ridotte cure colturali ed opere manutentive. Incisivo per la politica forestale italiana fu, allora, il Regio Decreto Legge del 30 dicembre 1923 n. 3267, anche noto come legge Serpieri294.

Si trattava di un decreto emanato dal Governo su delega legislativa, recante “Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani”, che, con il corrispondente regolamento di attuazione R. D. 16 maggio 1926 n. 1126, perveniva ad una sistemazione più organica ed adeguata della materia forestale295. In funzione dell’assetto idrogeologico del suolo, all’art. 1 del decreto si prevedeva il “vincolo per scopi idrogeologici”, non molto diverso dal vincolo forestale previsto dalla legge del 1877. Esso, come osserva Postiglione296, veniva del tutto basato su un principio di “effettività”: erano, infatti, vincolati “i terreni di qualsiasi natura e destinazione” che, per effetto di modi di utilizzazione contrastanti con le norme, potevano, con danno pubblico, subire denudazioni, perdere stabilità o turbare il regime

293 V. A. POSTIGLIONE, cit. p. 20. 294

V. A. POSTIGLIONE, cit. p. 20.

295 V. L. COSTATO- E. ROOK BASILE- A. GERMANO’, cit. p. 83. 296 V. A. POSTIGLIONE, cit. p. 21.

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delle acque297. La determinazione dei terreni veniva fatta per zone nel perimetro dei singoli bacini fluviali (art. 2). Come per la legge del 1877, così per il R.D.L. del 1923 nei terreni vincolati il disboscamento e il dissodamento sono sempre subordinati all’autorizzazione del Comitato forestale e alle modalità da esso prescritte298. Ulteriori conseguenze dell’imposizione del vincolo, per il proprietario del terreno, sono l’obbligo di attenersi alle prescrizioni di massima e di polizia forestale299, durante lo svolgimento delle attività di cui all’art. 8, e quello di esercitare il pascolo entro i limiti stretti e rigorosi di cui all’art. 9300

. Infine, il vincolo idrogeologico si riconferma

297

La legge del 1877, invece, basava solo parzialmente il vincolo forestale sul principio di effettività; più precisamente, si basava sul principio di effettività solo per i terreni posti al di sotto del limite superiore della zona del castagno, che erano, come precedentemente detto, solo eccezionalmente vincolati (v. seconda parte dell’art. 1 che riferisce dell’imposizione del vincolo ai terreni che, per la loro specie e situazione, possono disboscandosi o dissodandosi dare luogo a scoscendimenti, smottamenti, interramenti, frane, valanghe e, con danno pubblico, disordinare il corso delle acque, o alterare la consistenza del suolo, oppure danneggiare le condizioni igieniche locali).

298 L’art. 7 del R. D. L. prevede, infatti, che “per i terreni vincolati la

trasformazione dei boschi in altre qualità di coltura e la trasformazione di terreni saldi in terreni soggetti a periodica lavorazione erano subordinate ad autorizzazione del Comitato forestale e alle modalità da esso prescritte, caso per caso, allo scopo di prevenire i danni di cui all’art. 1. Come ha avuto modo di precisare la giurisprudenza, in sostanza, la presenza del vincolo non preclude in via assoluta una diversa utilizzazione del terreno gravato ma richiede solo che il progettato intervento sia debitamente autorizzato (sentenza n. 572 del 1/06/1992 della Sezione IV del Consiglio di Stato), sulla base di una valutazione che deve essere fondata sulla prospettiva di pericolo di danno idrogeologico, piuttosto che di futuro danno certo (sentenza del 20/12/1989 n. 1667 della Sezione VI del Consiglio di Stato).

299

Le prescrizioni di massima e le norme di polizia forestale hanno entrambe natura regolamentare e spetta alla Regione emanarle; in linea teorica, le si distingue sostenendo che le prime con natura tecnica, dettano disposizioni indirizzate esclusivamente ai proprietari o possessori dei terreni vincolati, le seconde, invece, sarebbero tendenzialmente applicabili anche ai terzi che vengano comunque a contatto con il fondo oggetto del vincolo (v. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 451).

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come non indennizzabile301. Si introduceva, però, all’art. 17 un nuovo vincolo indennizzabile302: il cosiddetto “vincolo per altri scopi”, stabilito, a richiesta degli interessati, su boschi che, per la loro speciale ubicazione, difendano terreni o fabbricati dalla caduta di valanghe, dal rotolamento di sassi, dal sorrenamento e dalla furia dei venti e su quelli ritenuti utili per le condizioni igieniche locali. Le disposizioni penali risultavano rafforzate negli art. 24- 38 del R. D. L..

L’Amministrazione forestale e gli Enti locali, qualora ne ravvisavano la necessità avrebbero potuto imporre ai privati il rimboschimento dei terreni vincolati, ovvero, in caso di inerzia dei proprietari, sostituirsi direttamente ad essi nell’esecuzione delle opere (art. 76- 77).

 nei boschi di nuovo impianto o sottoposti a taglio generale o

parziale, oppure distrutti dagli incendi, prima che lo sviluppo delle giovani piante e dei nuovi virgulti fosse stato tale da escludere ogni pericolo di danno;

 nei boschi adulti troppo radi e deperenti fino a che fosse stata assicurata la ricostituzione di essi;

 nei boschi e nei terreni ricoperti di cespugli aventi funzioni protettive, quello delle capre.

Su parere conforme dell’Autorità forestale, il Comitato può, però, autorizzare il pascolo nei boschi e determinare le località in cui si tollera eccezionalmente quello delle capre.

301 Non si prevede alcun indennizzo a fronte del fatto che

l’imposizione del vincolo risponde ad un interesse di carattere generale. L’art. 16 della legge, però, contempla una sorta di ristoro economico per il proprietario del terreno vincolato, prevedendo che si tenga conto della diminuzione di valore del terreno, causata dal vincolo, nella determinazione degli estimi catastali, che andranno, appunto, rivisti e ridotti in proporzione della svalutazione del terreno (v. A. CROSETTI- N. FERRUCCI, cit., p. 452). Sulla illegittimità costituzionale della disposizione ha avuto, peraltro, occasione di intervenire la Corte Costituzionale (ordinanza n. 23, 16-22 gennaio 1987), ritenendo la questione manifestamente infondata perché, appunto, il vincolo si accompagna con una riduzione dell’estimo dei terreni e, dunque, esso non comporta ablazione della proprietà; la sua durata è, d’altronde, anche temporanea, in quanto subordinata al pericolo di danno e cessa al venir meno di quello; in ultima analisi, la Corte osserva che il proprietario gode di una sorta di vantaggio perché vede protetto il bene oggetto del suo diritto di proprietà.

302 La determinazione dell’indennizzo era regolata agli art. 21 e 22 del

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Come sostiene Postiglione, l’aspetto principale e maggiormente innovatore del R.D.L. era però rappresentato dalla previsione di interventi pubblici volti all’avanzamento dell’economia montana303

. Lo Stato veniva, così, obbligato a compiere a proprie spese, e in base a progetti di massima, le opere di sistemazione idraulico-forestale dei bacini montani (art. 39)304. Per le opere di miglioramento fondiario, lasciate all’iniziativa dei privati, si concedevano larghi sussidi (art. 55)305. A chi rimboschiva terreni, vincolati o no, gli art. 58, 90 e 91 garantivano l’esenzione dall’imposta fondiaria e dalla sovraimposta provinciale e comunale, la direzione tecnica gratuita dei lavori, contributi fino a 2/3 della spesa e, in caso di terreni vincolati, anche la fornitura gratuita dei semi e delle piantine. Per il miglioramento dei pascoli montani, attraverso estirpazione dei cespugli, spietramenti, prosciugamenti di acquitrini, condotte di acque piovane e sorgive, irrigazione, seminagione di piante foraggere, costruzione di cascinali, fienili e stalle, potevano concedersi contributi fino al 35% della spesa, con possibilità per Province, Comuni e consorzi, e per queste stesse opere, di ottenere mutui dalla Cassa depositi e prestiti (art. 68).

303 V. A. POSTIGLIONE, cit. p. 21.

304 Tali opere, secondo la norma, si distinguevano in 2 categorie:

1. opere di sistemazione idraulico- forestale, consistenti in rimboschimenti, rinsaldamenti e opere costruttive immediatamente connesse;

2. altre opere idrauliche eventualmente occorrenti.

305 I proprietari o i consorzi, secondo tale norma, avevano diritto al

rimborso dell’importo integrale dei lavori, determinato dal relativo progetto, debitamente approvato, e comprensivo del costo dei semi e delle piantine, ove questi non fossero stati forniti dall’Amministrazione forestale.

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2.1.2. Dalle leggi successive al R. D. L. fino al I decentramento amministrativo del 1972

Per effetto del R.D.L. del 1923, che è punto di riferimento ancora oggi valido in molte delle sue parti non intaccate dalla Riforma del Titolo V della Costituzione e dal D.lgs. 227/2001, allo scoppio della II guerra mondiale, la superficie forestale italiana era aumentata di ½ milione di ettari306. Prima che l’Italia vivesse tale catastrofe, fu intrapresa una massiccia opera di bonifica agraria attraverso le leggi nn. 753/1924, 3134/1928, sulla bonifica integrale, detta legge Mussolini, e il R. D. n. 215/1933, recante nuove norme per la bonifica integrale, il quale coordinava e modificava le precedenti. La bonifica, comprendente lavori e attività coordinate volte a creare condizioni favorevoli per la trasformazione agraria e una valorizzazione del suolo a fini produttivi, ricadeva, ai sensi dell’art. 1 del R. D. n. 215/1933, anche su terreni montani dissestati nei riguardi idrogeologici e forestali. Venivano, quindi, a ricomprendersi, nell’ambito dell’opera di bonifica, vari interventi forestali. Nello specifico, erano di competenza statale, in quanto necessarie ai fini generali della bonifica307, secondo le lettere a) e c) dell’art. 2:

 le opere di rimboschimento e di ricostituzione dei boschi deteriorati, di correzione dei tronchi montani dei corsi d’acqua, di rinsaldamento delle relative pendici, anche mediante creazione di prati o pascoli alberati, di sistemazione idraulico- agraria delle pendici stesse, in quanto tali opere

306

http://agriregionieuropa.univpm.it/elearning/drupal/system/files/gia u_politica_forestale_montana_ambientale98-99.doc, consultato il 30/12/13.

307 Si accollava, invece, ai privati l’obbligo di attuare, sia pure con

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fossero state volte ai fini pubblici della stabilità del terreno e del regime delle acque;

 la piantagione di alberi frangivento.

Nel quadro di insuccesso e di stasi successiva dell’attività di bonifica308, protratta fino al 1938, si innestò la II guerra mondiale, che inferse duri colpi al patrimonio boschivo italiano309 gettando, inoltre, in uno stato di estrema miseria la gente di montagna. Le forze politiche uscite dalla resistenza considerarono, così, doveroso che la Nazione, in sede di Assemblea Costituente, si impegnasse solennemente riparando a tutto ciò. Si inserì, a tal fine, l’art. 44 della Costituzione Italiana che, vincolando la proprietà terriera privata, imponeva la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive, prevedendo, per giunta, che la legge disponesse provvedimenti a favore delle zone montane310. Il primo intervento in direzione dell’ultimo comma dell’art. 44 della Costituzione fu la legge n. 264/1949. Essa, con oggetto “Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati”, all’art. 59 istituiva

308 L’insuccesso era dovuto all’inerzia dei proprietari terrieri, incapaci

di dar seguito alle opere pubbliche di bonifica, e al respingimento dei progetti di riforma volti a rimediare a ciò.

309 Per la scarsezza di carbon fossile e di altri combustibili, come

anche per la deficienza di energia elettrica, il bosco dovette sopperire al fabbisogno della popolazione civile, delle forze militari e dell’industria con quantità ingenti di legna da ardere e carbone, ed ugual sforzo sostenne la produzione di legname da lavoro, data la ridotta importazione dall’estero. A tale crescente sfruttamento si devono aggiungere i danni arrecati direttamente dalle operazioni di guerra, con la stima di circa 120.000 ettari di bosco gravemente danneggiati e distrutti.

310 Art. 44 della Costituzione: “Al fine di conseguire il razionale

sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà.

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cantieri-scuola di rimboschimento e di sistemazione montana. Peraltro, mirando più all’occupazione della mano d’opera senza lavoro per distribuire denaro, che al rimboschimento in sé, la legge favorì boschi, per circa 30.000 ettari all’anno per 20 anni, soprattutto di pino nero che, con legno di scarsa qualità e di debole accrescimento, risultavano non utilizzabili in modo economicamente soddisfacente311.

L’anno successivo venne emanata la legge n. 646/1950 che, istituendo la Cassa per il Mezzogiorno, destinava cospicui stanziamenti ad opere per la sistemazione dei bacini montani e dei relativi corsi d’acqua, per la bonifica, l’irrigazione e la trasformazione agraria.

Fu, poi, varata la legge Fanfani n. 991 del 1952, recante “Provvedimenti in favore dei terreni montani”. Con essa, innanzitutto, si procedeva alla determinazione dei territori montani, in base ai criteri piuttosto estensivi dell’art. 1312. Si agevolavano, con anticipazioni, gli istituti esercenti il credito agrario di miglioramento che, anche in deroga alle disposizioni statutarie, si impegnavano a concedere mutui a tasso ridotto del 4%, per l’80% della spesa riconosciuta tecnicamente ammissibile, rimborsabili in 30 anni e coperti da garanzia sussidiaria dello Stato sino ad un ammontare complessivo del 70% della perdita accertata, a coltivatori diretti, piccoli e medi proprietari, allevatori ed

311

http://agriregionieuropa.univpm.it/elearning/drupal/system/files/gia u_politica_forestale_montana_ambientale98-99.doc, consultato il 3/01/14.

312 Venivano identificati come montani: i Comuni situati per almeno

l’80% della loro superficie al di sopra dei 600 metri di altitudine sul livello del mare; i Comuni nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e la superiore del territorio non era inferiore a 600 metri, sempre che il reddito imponibile medio per ettaro, censito non superava le lire 2400; i Comuni, anche non limitrofi ai precedenti, che pur non trovandosi nelle condizioni precedenti, presentavano pari condizioni economico-agrarie, con particolare riguardo ai Comuni già classificati montani nel catasto agrario ed a quelli riconosciuti, per il loro intero territorio, danneggiati per eventi bellici.

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artigiani operanti nelle zone montane. Tali mutui dovevano esser diretti, tra l’altro, all’impianto e allo sviluppo di aziende forestali e di aziende trasformatrici di materie prime prodotte nei territori montani (art. 2, legge n. 646/1952). Si estendevano ai territori montani le agevolazioni fiscali (art. 8) e si aumentavano, inoltre, i contributi per la gestione di patrimoni silvo-pastorali (art. 4). Si favorivano studi e ricerche per la redazione di piani e per la compilazione di progetti per il più razionale sfruttamento dei beni agro-silvo-pastorali dei territori montani (art. 5). Si autorizzava l’Azienda di Stato per le foreste demaniali a spendere fino ad un miliardo di lire, per ciascun esercizio del decennio 1952- 1962, per l’acquisto di terreni da rimboscare, proponendo l’apertura anche di cantieri-scuola (art. 6). Si prevedeva, inoltre, l’istituzione di Consorzi di prevenzione con la potestà di prescrivere ai privati gli indirizzi colturali e le opere di miglioramento necessari alla stabilità del terreno e al buon regime delle acque (art. 12). Infine, si prevedeva, ai Capi I e II del Titolo IV della legge, l’istituzione di Comprensori e Consorzi di bonifica montana, per l’esecuzione dei Piani generali di bonifica comprendenti opere in parte a carico dello Stato e in parte dei privati.

La legge, che prevedeva un piano finanziario decennale per il periodo 1952- 1962, venne prorogata fino al 1967, con la legge n. 1360 del 1962, ed ulteriormente, poi, con la legge n. 13 del 1968. In conclusione, come sostiene Postiglione313, pur presentando un carattere innovativo rispetto alla precedente legislazione sulle bonifiche, la legge per la montagna del 1952 non realizzava il suo scopo principale: legare i contadini alla terra. Era, infatti, degli inizi degli anni ’50 il tumultuoso sviluppo

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116

economico dell’Italia, che da Paese prevalentemente agricolo si trasformava in Paese industrialmente avanzato, favorendo l’esodo dalla montagna. Se da una parte si facilitava la difesa del bosco dagli attacchi della popolazione, con la diminuita pressione demografica, dall’altra si aggravava il problema della difesa del suolo314: disastrose alluvioni, infatti, flagellarono il Paese315.

Ci si aspettava, allora, che il legislatore impostasse su nuove basi il problema forestale e montano, tenendo conto dei avvenuti mutamenti socio-economici e delle esperienze negative precedenti. Vennero, invece, ribadite le solite linee direttrici: la legislazione forestale e montana contribuiva, infatti, con provvedimenti marginali a rifondere ulteriori stanziamenti, peraltro modesti, a favore delle popolazioni montane nell’intento di legarle alla terra316.

E’ prova di ciò la legge n. 910 del 1966, cosiddetta II Piano Verde che, volta, tra le altre cose, a promuovere il completamento e il ripristino di opere pubbliche di bonifica e lo sviluppo forestale (art. 1), concedeva contributi alle aziende silvo-pastorali, con riguardo particolare per la costituzione, la sistemazione e il miglioramento dei pascoli montani (art. 18), prevedeva opere di bonifica montana (art. 24), rimboschimenti e sistemazioni nei bacini montani (art. 26), programmi per l’istituzione di vivai forestali (art. 28)317, l’ampliamento

del Demanio forestale dello Stato (art. 29) e l’istituzione di

314 V. A. POSTIGLIONE, cit. pp. 30-31.

315 Sono note: quella del Polesine del 1950, dell’Arno del 1966, quella

del 1953 in Calabria, dell’Astigiano, del Bellunese e del Salernitano, i dissesti e le frane del Vajont e della Valtellina.

316 V. A. POSTIGLIONE, cit. p. 31. 317

I semi e le piantine dei vivai forestali dovevano esser utilizzati per rimboschimenti effettuati dallo Stato o ceduti, a titolo gratuito, per i lavori di rimboschimento effettuati dagli enti e dai privati.

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117

un Fondo forestale nazionale (art. 32). Le somme di quest’ultimo, in particolare, venivano date in anticipazione agli istituti di credito agrario perché concedessero mutui, di durata non superiore a 40 anni e ad un tasso di interesse del 2%, per la realizzazione di nuovi boschi, per la ricostituzione e il miglioramento di quelli esistenti e per l’utilizzazione industriale e commerciale dei prodotti agricoli.

La legge, come osserva Postiglione, non produceva alcun effetto incentivante su scala nazionale, con stanziamenti destinati ad interventi molto esigui318. Punto essenziale era, però, considerare il bosco non solo in funzione idrogeologica, di difesa del suolo, come nelle legislazioni precedenti e fino ad allora, ma anche come risorsa economica, da non disperdere in conseguenza dell’esodo e, piuttosto, da valorizzare, dati gli accresciuti consumi di prodotti legnosi che già allora comportavano sensibili aggravi alla spesa del Paese319.

L’ampliamento della superficie forestale italiana, nei fatti, si manteneva su un livello assai modesto: senza fondi sufficienti l’Amministrazione forestale né acquistava né espropriava terreni da rimboschire; i privati, invece, non investivano nel settore per la tardiva remunerazione del capitale e per l’eccessivo frazionamento della proprietà forestale privata che, per piccole dimensioni, non può esser destinata ad una produzione annua costante, non può esser gestita con criteri tecnici razionali e con personale tecnico esperto né consentire un collocamento dei prodotti sul mercato nelle condizioni più favorevoli perché in quantità troppo modeste. Le foreste distrutte dagli incendi,

318 V. A. POSTIGLIONE, cit. p. 31. 319 V. A. POSTIGLIONE, cit. pp. 31-32.

(19)

118

per giunta, superavano la superficie boscata annualmente320.

Nel settore si facevano strada, nel frattempo, nuovi enti pubblici: le Comunità Montane. Già con l’art. 13 del D.P.R. n. 987 del 1955, dedicato al decentramento dei servizi del Ministero dell’agricoltura e delle foreste, si era previsto che Comuni compresi in tutto o in parte nel perimetro di una zona montana potessero costituirsi in Consorzi a carattere permanente denominati “Consigli di valle” o “Comunità montane”, allo scopo di favorire il miglioramento tecnico ed economico dei territori montani, di promuovere la costituzione di Consorzi di bonifica montana e programmi nel campo della bonifica, dell’economia montana e delle foreste. Ebbene, con il D.L. n. 745 del 1970, recante “Provvedimenti straordinari per la ripresa economica” e poi convertito in legge, venivano stanziati ulteriori fondi per le opere di bonifica montana e per i miglioramenti fondiari e si finanziavano le Comunità Montane, senza prevedere per queste, però, alcuna fonte

autonoma di finanziamento e alcun potere

programmatorio321.

Fu la legge n. 1102 del 1971, recante “Nuove norme per lo sviluppo della montagna”, ad attribuire alle Comunità Montane, costituite in ciascuna zona omogenea ed in base a leggi regionali (art. 4) il compito di approntare un Piano pluriennale per lo sviluppo economico-sociale delle proprie zone (art. 5), per promuovere la valorizzazione delle terre montane e favorire la partecipazione delle popolazioni alla predisposizione ed attuazione dei programmi sociali e dei piani territoriali dei rispettivi comprensori montani (art. 1). Le Comunità Montane, divenute enti di diritto pubblico e non più semplici

320 V. A. POSTIGLIONE, cit. pp. 34-36. 321 V. A. POSTIGLIONE, cit. p. 32.

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Consorzi, venivano altresì autorizzate ad acquistare, a prendere in affitto, per un periodo non inferiore a 20 anni, o ad espropriare, in mancanza di accordo, terreni non più utilizzati a coltura agraria, nudi, cespugliati o anche parzialmente boscati per destinarli alla formazione di boschi, prati, pascoli o riserve naturali (art. 9).

E’ del 1972, invece, la prima tappa della difficile attuazione del dettato costituzionale, agli art. 117 e, in particolare, 118322. Alle Regioni a statuto ordinario, a cui si era data completa attuazione solo con le elezioni dei Consigli regionali del 1970, si trasferivano, finalmente, le funzioni amministrative statali in materia di agricoltura e foreste, caccia e pesca nelle acque interne, il personale e gli uffici, con il D.P.R. n. 11/1972323. Il trasferimento riguardava, in particolare e tra le altre cose, le funzioni amministrative concernenti:

1. le coltivazioni arboree ed erbacee e le relative produzioni, nonché interventi di prevenzione e la difesa delle piante e dei prodotti dalle cause nemiche (lettere a) e d) dell’art. 1 del D.P.R.); 2. la bonifica integrale e montana, la sistemazione dei

bacini montani (lettera h), art. 1);

3. la costituzione di consigli di valle o di comunità montane (l. i) );

4. i miglioramenti fondiari ed agrari (lett. l) );

322 Erano di competenza legislativa concorrente delle Regioni, ossia di

competenza legislativa vincolata ai principi fondamentali dettati per ciascuna materia da leggi dello Stato, tra le altre, le materie della caccia, della pesca nelle acque interne, dell’agricoltura e foreste (art. 117 Cost.). Ai sensi dell’art. 118 Cost., alle Regioni, secondo il cosiddetto principio del parallelismo, spettavano, inoltre, le funzioni amministrative nelle stesse materie oggetto di loro competenza legislativa ex art. 117 .

323

Le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome, invece, avevano visto trasferirsi funzioni piene in materia forestale già da tempo, per mezzo dei rispettivi Statuti speciali adottati con leggi costituzionali dall’Assemblea costituente e nell’ambito del regime di maggior autonomia che le caratterizza e diversifica dalle Regioni ordinarie.

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120

5. i boschi e le foreste, i rimboschimenti e le attività silvopastorali (lett. n) );

6. la caccia (lett. o) );

7. gli incentivi in materia di agricoltura e foreste (lett. q) );

8. le ricerche e le informazioni di mercato, le attività promozionali, gli studi e le iniziative di divulgazione inerenti a problemi agricoli e forestali di peculiare interesse regionale (lett. r) ).

Secondo l’art. 4, restava, invece, ferma la competenza degli organi statali in ordine a:

1. sistemazione idrogeologica e conservazione del suolo, sentite le regioni interessate (lett. g) ); 2. interventi per la protezione della natura ( lett. h) ); 3. parchi nazionali (lett. s) ).

Inoltre, per l’esecuzione delle funzioni trasferite, le Regioni impiegavano il Corpo forestale dello Stato, nell’ambito del rispettivo territorio (art. 11).

In questa prima fase di attuazione del decentramento amministrativo, lo Stato attribuiva, così, alle Regioni funzioni “ritagliate”, non omogenee e poco incisive, individuate sulla base degli ambiti di competenza dei Ministeri di allora più che per materie324.

Dimostrandosi, inoltre, poco energica la funzione di indirizzo e coordinamento, spettante allo Stato in relazione alle attività amministrative delle Regioni a Statuto ordinario attinenti ad esigenze di carattere unitario, di cui all’art. 8 del D.P.R. del 1972, non si poté non assistere ad una svolta radicale nell’ambito della politica forestale: dalla forma e dai contenuti nazionali si passò alla

324

http://www.ripam.it/sistemadocumentale/AreaDocumenti/Decentra mento%20e%20federalismo/decentramento%20amministrativo.ppt, consultato il 12/01/14.

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121

realizzazione di svariate politiche forestali locali e al fiorire di leggi e leggine regionali in materia. Di tale atomizzazione, il Postiglione, non può, a parer mio ragionevolmente, che evidenziare i risvolti negativi: tale materia avrebbe dovuto svilupparsi secondo un’ottica unitaria, dati i suoi riflessi sovraregionali, evitando, invece, per mezzo di politiche locali, di arrecare grave danno, in particolare, alla difesa del suolo e del territorio325.

2.1.3. Dal II decentramento amministrativo del 1977 al Piano Forestale Nazionale del 1988

La regionalizzazione della materia forestale, che abbiamo visto avviarsi frammentariamente con il D.P.R. del 1972, per i ritagli di competenze trasferite alle Regioni e le riserve in favore dello Stato, si ricomponeva con il D.P.R. n. 616/1977, trasferente alle Regioni a Statuto ordinario competenze amministrative in materia forestale in modo pressoché totale.

Nello specifico, si prevedeva il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in materia di “agricoltura e foreste”, all’art. 66326

, e in materia di territori montani, foreste e conservazione del suolo, all’art. 69327; all’art. 68,

325

V. A. POSTIGLIONE, cit. pp. 36, 38.

326

Ai sensi della norma, tale materia concerneva, tra l’altro, la coltivazione della terra, la difesa e la lotta fitosanitaria, i boschi, le foreste e le attività di produzione forestale e di utilizzazione dei patrimoni silvo-pastorali, la raccolta, la conservazione, la trasformazione e il commercio dei prodotti silvo-pastorali, la bonifica montana ed integrale, gli interventi di protezione della natura, comprese l’istituzione di parchi e di riserve naturali e la tutela delle zone umide, e ancora il miglioramento fondiario, l’ammodernamento delle strutture fondiarie e l’assistenza aziendale nel settore forestale.

327

In particolare, alle Regioni si trasferivano funzioni concernenti la disciplina della produzione e del commercio di sementi e piante di rimboschimento (e, in relazione a ciò, le Regioni dovevano istituire il

(23)

122

invece, si prevedeva la soppressione dell’Azienda di Stato per le foreste demaniali328, trasferendosi queste ultime alle Regioni, in funzione della loro ubicazione.

Circa il vincolo idrogeologico, per cui anche si trasferivano le funzioni329, come detto in nota numero 257, rimaneva preclusa, però, alle Regioni la possibilità di adottare una diversa disciplina normativa fino all’emanazione di una legge cornice statale in materia (art. 69, 4° comma). Sarà, poi, la legge sulla difesa del suolo, la n. 183 del 1989, a conferire alle Regioni anche il potere di legiferare sul vincolo idrogeologico, tema peraltro ricompreso nella materia “conservazione del suolo” e, insieme all’assetto e alla pianificazione del territorio (quest’ultima intesa anche come tutela dell’ambiente), nel nuovo concetto di “urbanistica”, codificato all’art. 80 del D.P.R. del 1977330 e reso con esso di competenza regionale.

Secondo Abrami, la denominazione della legislazione urbanistica delle Regioni come “Uso e Tutela del suolo”, con il tempo manifestatasi, sarebbe dovuta proprio al fatto di aver incluso nel concetto di urbanistica, nell’occasione detta, non solo la disciplina dell’attività edilizia ma anche

libro verde dei boschi da seme), nonché tutte quelle concernenti i territori montani, le foreste, la proprietà forestale privata, i rimboschimenti e le proprietà silvo-pastorali degli enti locali, i poteri di determinazione dei vincoli, degli interventi sui terreni ad essi sottoposti e di programmi per la gestione del patrimonio silvo-pastorale dei comuni e degli altri enti. Si trasferivano, per giunta, funzioni concernenti norme integrative per la difesa dei boschi dagli incendi e, di fondamentale rilievo, funzioni concernenti la sistemazione idrogeologica e la conservazione del suolo, le opere di manutenzione forestale per la difesa delle coste nonché quelle relative alla determinazione del vincolo idrogeologico.

328 L’Azienda di Stato per le foreste demaniali, si ricordi, era stata

istituita dall’art. 9 della legge Luzzatti, l. 277/1910.

329

V. supra nota 326.

330 Ai sensi dell’articolo, “le funzioni amministrative relative alla

materia urbanistica concernevano la disciplina di uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente”.

(24)

123

il governo in senso lato del territorio e la tutela degli aspetti ambientali; dunque, non solo l’individuazione delle aree da destinare ai possibili insediamenti produttivi, commerciali e turistici, alle grandi opere pubbliche, alle

linee delle comunicazioni viarie, ma anche

l’individuazione delle aree di protezione ambientale, delle zone umide, ecc.331.

Ad ogni modo, il trasferimento delle competenze amministrative forestali, dallo Stato alle Regioni, e la combinazione di esso con l’esercizio delle competenze legislative concorrenti Stato- Regioni in materia, contribuivano a delineare, come abbiamo avuto modo di evidenziare, seppur in parte, nell’ambito della I fase del decentramento, una mutata realtà forestale nazionale che verrà caratterizzandosi per alcuni fattori significativi individuabili, secondo il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro332

, nei seguenti punti:

a. una diversificazione di normative, pianificazioni e programmazioni tra le Regioni, nonché di strutture tecnico-operative;

b. una ripartizione delle competenze forestali in vari settori, all’interno delle Regioni;

c. il mantenimento della struttura del Corpo Forestale dello Stato, per l’esercizio di competenze di carattere nazionale, ma di cui si avvalgono anche le Regioni che non si siano dotate di proprie strutture forestali333;

331 A. ABRAMI, Manuale di diritto forestale e dell’ambiente

territoriale, Giuffrè, 2005, p. 22.

332 Decisione finale su L’evoluzione della politica forestale italiana

dalla legge Serpieri alle sfide europee, CNEL, gruppo di lavoro sulle

materie afferenti il settore legno, Roma, 9/05/2000, reperibile su

http://www.sian.it/osservatorio/jsp/mwanal147.jsp?idAlleg=6&nom e_file=6_6_documento_finale_forestazione_(cap.1-2-3-4).doc, consultato il 3/01/2014.

333 Le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome, in

(25)

124

d. sebbene siano state trasferite le competenze in materia, i finanziamenti, le strutture e il personale sono stati trasferiti, dallo Stato alle Regioni, solo parzialmente334;

e. scarso dinamismo ed assenza di una politica di coordinamento a livello nazionale, alla luce del decentramento in atto.

Ebbene, nell’ambito del panorama finora tracciato, le leggi regionali forestali emanate sono state tante. Nell’impossibilità di fornire un quadro completo di esse, sembra peraltro possibile ricondurre gli interventi regionali a cinque categorie335:

1. l’urbanistica;

2. la tutela dei patrimoni naturali e paesaggistici336; 3. la protezione della flora;

4. la protezione della fauna;

5. la costituzione di parchi e riserve naturali337.

nell’ambito dell’Amministrazione regionale. Uno rapido sguardo, invece, alla situazione delle Regioni a Statuto ordinario evidenzia come le Regioni del Nord d’Italia si siano dotate di proprie strutture forestali pur avvalendosi, in parte ed ognuna in modo diverso, del CFS, a fronte di apposite convenzioni, talvolta con il risultato di una duplicazione delle strutture competenti in materia forestale e di confusione di ruoli soprattutto nei confronti degli utenti; le restanti Regioni hanno subdelegato in tutto o in parte le materie forestali agli Enti Locali (Comunità Montane, Province o Comuni).

334 Rispetto alle reali necessità, infatti, secondo il CNEL, innanzitutto

le risorse umane e finanziarie messe a disposizione delle Regioni si sono rilevate incongrue; il MIPAF, poi, continua ad amministrare una considerevole quota di proprietà che sarebbero dovute passare alle Regioni, a gestire competenze assegnate alle Regioni, anche attraverso l’Azienda di Stato per le foreste demaniali perfettamente funzionante nonostante la soppressione, ed infine ad accollarsi sempre nuovi compiti nonostante la politica di decentramento.

335

Sul punto v. A. POSTIGLIONE, cit. p. 48.

336 Già a seguito del primo trasferimento, alcune Regioni avevano

legiferato in materia (v. per esempio, la legge della Campania n. 32/1974, la legge del Lazio n. 43/1974, le leggi delle Marche n. 52/1974 e n. 7/1975 e la legge del Veneto n. 13/1974).

337 Anche in questa materia le Regioni avevano già legiferato con il

primo trasferimento di funzioni Stato-Regioni (v., per esempio, le leggi della Lombardia n. 58/1973 e n. 2/1974, la legge del Piemonte n. 43/1975, della Puglia n. 50/1975, della Toscana n. 65/1975).

(26)

125

La normativa forestale italiana, così, già di per sé articolata perché afferente, in modo diverso, a ciascuna

Regione, veniva a complicarsi ulteriormente

scomponendosi, per ciascuna delle legislazioni regionali, nei 5 settori di intervento.

Lo Stato, dal canto suo, e già prima del secondo trasferimento (’75-’77), trovava sporadiche occasioni di intervenire con la fissazione di principi fondamentali in alcuni aspetti della materia.

Procedendo con ordine, con la legge n. 269/1973 il legislatore nazionale si dedica alla disciplina della produzione e del commercio di sementi e piante da rimboschimento. Nello specifico, si subordina l’esercizio di tali attività al possesso di un’apposita licenza rilasciata dalla Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura della Provincia dove aveva sede il vivaio o lo stabilimento forestale (art. 2). I produttori del materiale forestale di propagazione, inoltre, sono tenuti a comunicare ogni anno all’Ispettorato regionale delle foreste la consistenza del materiale esistente nei loro stabilimenti o vivai (art. 4) ed a tenere un registro di carico e scarico annotante, cronologicamente ed analiticamente, l’entrata e l’uscita di tutte le partite del materiale in questione (art. 5); tale materiale viene iscritto nel Registro nazionale dei cloni forestali, ai sensi dell’art. 9. L’art. 14, invece, prevede che, ai fini del controllo del materiale forestale di propagazione prodotto nel territorio nazionale, i boschi e gli arboreti da seme delle piante forestali, idonei alla produzione di seme da destinarsi al rimboschimento o alla produzione di piantine da rimboschimento, siano iscritti nel Libro nazionale dei boschi da seme. Il controllo sulla produzione e sul commercio delle piantine e dei semi forestali viene affidato agli Agenti del Corpo Forestale

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126

dello Stato (art. 19 e 22). La legge in questione verrà poi abrogata dal D.lgs. n. 386/2003338, attuante la Direttiva 1999/105 CE relativa alla commercializzazione dei materiali forestali di moltiplicazione339.

Ulteriore legge statale era la n. 47/1975, recante norme integrative per la difesa dei boschi dagli incendi ed attuata sotto la spinta delle Regioni che tale fenomeno avevano, in una certa misura, provveduto già a normare340. Si tratta di una legge puntuale341, come sottolinea Postiglione, di

338 L’abrogazione non è, però, immediata; si istituisce, infatti, un

regime transitorio tra la normativa vecchia e nuova prevedendo che le licenze rilasciate e per il materiale di moltiplicazione certificato ai sensi della prima abbiamo validità e possibilità di utilizzazione per un periodo massimo di 10 anni. Le norme del D.lgs. suddetto, afferenti ormai, con la novella del Titolo V della Costituzione del 2001, a materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome, si applicano là dove non si sia ancora provveduto al recepimento della Direttiva e sino alla data di entrata in vigore della normativa regionale di attuazione della stessa, normativa regionale da emanarsi nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dei principi fondamentali desumibili dal decreto italiano. La Regione Toscana, per esempio, e come vedremo, si è dotata di una disciplina in materia al Capo III del Titolo V della Legge forestale regionale n. 39/2000, modificata da ultimo nel 2004, un anno e mezzo dopo appunto il d.lgs. del 2003.

339 Approssimativamente, la disciplina istituita non si distacca dalla

precedente per ciò che riguarda la necessità di licenza per la produzione, la conservazione, il commercio e la distribuzione dei materiali forestali di propagazione (art. 4 del d.lgs. 386/2003); essa oggi, però, è da rilasciarsi ad opera degli organismi ufficiali (Regioni e Province autonome ritenute responsabili del controllo della commercializzazione e della qualità dei materiali in questione), che posso delegare l’espletamento di tali funzioni, e delle ulteriori previste dal d.lgs., a persone giuridiche pubbliche o private denominate “autorità territoriali”. I fornitori dei materiali forestali di propagazione dovranno tenere un registro di carico e scarico, parimenti alla legge 269/1973 (art. 5); si prevede, inoltre, l’accompagnamento di tutti i MFP (da distinguersi in: “identificati alla fonte”, “selezionati”, “qualificati”, “controllati” ai sensi dell’Allegato VI), dopo la raccolta, ad un certificato di provenienza e di identità clonale (art. 6) e l’istituzione di un Registro dei materiali di base (art. 8) e di Libri regionali dei boschi da seme.

340 V. A. ABRAMI, Manuale di diritto forestale e dell’ambiente

territoriale, Giuffrè, 2005, pp. 157 ss..

341

Difatti, secondo la dottrina, la legge non mostra affatto i caratteri di una legge-quadro, quale avrebbe dovuto essere in ragione del fatto che era relativa ad una materia di competenza concorrente Stato-Regioni, quella agricola e forestale, appunto (v. A. ABRAMI, cit., pp. 157 ss.).

(28)

127

sicuro rilievo, dal momento che per affronta per la prima volta il problema dilagante degli incendi boschivi con criteri razionali e moderni: si istituisce, infatti, il Servizio Antincendi, presso il Ministero per l’Agricoltura e Foreste e in seno al Corpo Forestale dello Stato, articolato in centri operativi e gruppi meccanizzati di alta specializzazione e di pronto impiego (art. 5), ricorrenti all’impiego di aerei, elicotteri ed altre attrezzature speciali342.

La legge prevede, inoltre, all’art. 1, l’elaborazione da parte delle Regioni, con la collaborazione del Corpo Forestale dello Stato, del Corpo dei Vigili del fuoco e delle Comunità montane, di Piani regionali ed interregionali per la difesa e la conservazione del patrimonio boschivo dagli incendi, articolati per Province o Aree Territoriali Omogenee. In esecuzione di tali Piani, l’avvistamento, lo spegnimento e la circoscrizione degli incendi boschivi sono, in prima istanza, compito delle autorità locali competenti e precisamente delle Stazioni forestali, delle Stazioni dei Carabinieri e dei Comuni (art. 7). Questi ultimi vengono abilitati pure a costituire squadre volontarie di pronto intervento, con compensi e coperture assicurative dei rischi.

Nelle zone boscate, comprese nei Piani antincendi, i cui soprassuoli boschivi siano stati distrutti o danneggiati, l’art. 9 della legge stabilisce il divieto dell’insediamento di costruzioni di qualsiasi tipo e non ne permette una destinazione diversa da quella in atto prima dell’incendio. Anche tale normativa verrà successivamente superata, in particolare con la Legge-Quadro in materia di incendi boschivi n. 353/2000343.

342

V. A. POSTIGLIONE, cit. p. 40.

343 Di essa si dirà nello specifico nel paragrafo 3.2., dedicato anche

(29)

128

Segue poi la legge n. 984/1977, anche nota come Legge Quadrifoglio. Coordinante gli interventi pubblici nei

settori della zootecnica, della produzione

ortoflorofrutticola, della forestazione, dell’irrigazione, delle grandi colture mediterranee, della vitivinicoltura e dell’utilizzazione e valorizzazione dei terreni collinari e montani, essa viene applicata in tutte le zone non di competenza della Cassa per il Mezzogiorno344. Al settore “forestazione” si dedica, in particolare, l’art. 10, che evidenzia dello stesso, in particolare, le esigenze di incremento della produzione legnosa, mediante il corso a piantagioni di specie forestali a rapido accrescimento in terreni non convenientemente utilizzati o utilizzati per colture agricole o per attività di allevamento oppure destinabili al rimboschimento o al miglioramento della silvicoltura esistente, per la tutela dell’ambiente in generale e dell’assetto idrogeologico in particolare. Si precisano, inoltre, gli interventi di competenza nazionale necessari alla tutela e alla valorizzazione dei parchi, esistenti o in via di costituzione, e alla lotta contro gli incendi; questi interventi, come i precedenti di incremento della produzione legnosa, devono esser realizzati mediante il miglioramento dei boschi esistenti e le opere di trasformazione, conversione e di sistemazione idraulico- forestale. Infine, nell’ottica di meglio conseguire i fini detti, si favoriscono consorzi volontari tra i proprietari e i conduttori dei terreni, senza, però, specificarne gli incentivi345. 344 http://agriregionieuropa.univpm.it/elearning/drupal/system/files/gia u_politica_forestale_montana_ambientale98-99.doc., consultato il 3/01/2014. 345 http://agriregionieuropa.univpm.it/elearning/drupal/system/files/gia u_politica_forestale_montana_ambientale98-99.doc., consultato il 3/01/2014.

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129

Tappa significativa di questo excursus normativo in materia forestale è la predisposizione del Piano Nazionale Forestale da parte del Ministro dell’agricoltura e delle foreste, ai sensi della legge pluriennale per l’attuazione di interventi programmati in agricoltura, la n. 752/198, che ne demanda l’approvazione, invece, al CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica). L’approvazione avviene nel 2 dicembre dell’87 e la pubblicazione sul Supplemento ordinario della G.U. n. 55 del 7 marzo del 1988. Si tratta, come è evidente già dal titolo, di un documento separato dal Piano Agricolo Nazionale, con cui si vuole riconoscere autonomia e specificità al settore forestale, nell’ottica di considerare il bosco una risorsa naturale rinnovabile, in grado di svolgere ulteriori funzioni oltre alla produzione legnosa346. Nello specifico, il Piano si prefigge di fornire un quadro di riferimento unico e coerente per le linee di intervento nel sistema forestale italiano, con la funzione di indirizzare e di coordinare la potestà legislativa di dettaglio devoluta in materia alle Regioni, alle quali spetta, perciò, attuare i principi generali enunciati nel documento, con proprie leggi347.

Del Piano peraltro parte della dottrina348 non riesce ad apprezzare con certezza la vincolatività: esso non è una legge o comunque una fonte di diritto; si sostiene, allora, che debba trattarsi piuttosto di un documento preparatorio, quasi di uno schema di riflessione. Tale tesi, secondo Giau, troverebbe conferma, inoltre, nella difficile gestione dell’elaborato in questione, nella struttura e nel contenuto

346

Cfr. Programma quadro per il settore forestale, 12/11/2008, p. 15.

347 A. POSTIGLIONE, cit. p. 46. 348

http://agriregionieuropa.univpm.it/elearning/drupal/system/files/gia u_politica_forestale_montana_ambientale98-99.doc., consultato il 3/01/2014.

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130

(80 pagine e 263 punti con dati tecnici, valutazioni politiche, commenti e divulgazioni varie).

Ad un’analisi più approfondita, il documento può esser scomposto in 2 parti: nella prima si tracciano le linee fondamentali della politica forestale e il quadro della situazione forestale mondiale, europea ed italiana, evidenziandone aspetti negativi, deficienze e preoccupazioni349; nella seconda parte, invece, si fissano e stabiliscono gli obiettivi da realizzare in materia forestale e, per ciascuno di essi, le azioni da intraprendere per realizzarli350.

In particolare, gli obiettivi del Piano Forestale nazionale sono organizzati gerarchicamente: innanzitutto si individua un prerequisito la cui mancata attuazione comporterebbe il venir meno degli obiettivi successivi; seguono, poi, un obiettivo guida, uno operativo e tre obiettivi specifici351. Il prerequisito consiste nell’assicurare un adeguato grado di tutela delle risorse forestali esistenti e per esso occorrono azioni volte alla

valorizzazione economica dei boschi, ad un

aggiornamento del quadro normativo nazionale, alla definizione degli aspetti istituzionali del CFS e del suo ruolo, al potenziamento della lotta agli incendi, al monitoraggio e al contrasto della moria dei boschi, alla protezione fitosanitaria.

L’obiettivo guida consiste nello sviluppo massimo, in qualità ed in composizione, dei prodotti e dei servizi ottenuti dalla foresta. L’obiettivo operativo consiste, invece, nell’avvio di un processo di potenziamento

349

Tale premessa si compone di ben 43 lunghissime pagine.

350 A. POSTIGLIONE, cit. p. 46. 351

http://agriregionieuropa.univpm.it/elearning/drupal/system/files/gia u_politica_forestale_montana_ambientale98-99.doc., consultato il 3/01/14.

(32)

131

economico del sistema forestale italiano e di ricerca di un miglioramento nella gestione352.

I tre obiettivi specifici fanno riferimento alle 3 relazioni intercorrenti tra foreste e sistema economico: rapporto foresta- territorio, rapporto selvicoltura-agricoltura, rapporto selvicoltura- industria del legno; essi consistono rispettivamente, come può immaginarsi, nel favorire gli investimenti forestali pubblici volti a valorizzare le funzioni protettive del territorio e le funzioni conservative dei beni naturali353, nell’incentivare un maggiore e più equilibrato sviluppo delle relazioni tra agricoltura e sistema forestale, per mezzo dell’arboricoltura da legno e della pioppicoltura, e infine nell’incrementare le relazioni tra foresta e industria del legno attraverso un allargamento della base produttiva354.

Per la realizzazione dei 3 obiettivi specifici, il Piano prevede una pluralità di azioni raggruppate in 2 grandi classi più una:

1. potenziamento delle imprese del sistema forestale; 2. potenziamento delle infrastrutture (materiali ed

immateriali);

3. sviluppo di una politica per il verde urbano.

Nell’ambito della I classe, il Piano definisce 3 categorie di interventi finanziari: a) per il miglioramento della gestione forestale355; b) per lo sviluppo tecnologico356; c) per la

352

Esso è considerato, al punto 178 del Piano, l’unico realistico punto di partenza possibile, da realizzarsi operando in via prioritaria sul miglioramento dei boschi esistenti piuttosto che su nuovi rimboschimenti.

353

In pratica, come chiarisce il Piano stesso, bisogna acquisire ed investire, in modo vario, su terreni abbandonati e boschi degradati.

354 Secondo il Piano, grandi complessi forestali avrebbero garantito

standards elevati di qualità del legname estratto, costi minori e una

continuità di prelievo.

355 In tale ambito si prevede la predisposizione di Piani di

assestamento forestale e di gestione, obbligatori per i boschi pubblici ed altamente consigliati per quelli privati, e si promuovono Consorzi di gestione forestale formati da proprietari privati, o da proprietari

(33)

132

manutenzione e lo sviluppo della foresta357. Nell’ambito della II, invece, si annoverano azioni: a) per la ricerca; b) per l’informazione358

; c) per la promozione e il mercato. Più nello specifico, nell’ambito del pacchetto di azioni riguardanti la I classe si impone, innanzitutto, un riordino del settore delle imprese forestali, come condizione propedeutica necessaria per la realizzazione della politica di potenziamento; il PFN illustra, poi, nuove ed innovative forme di intervento nel settore forestale, volte ad introdurre: forme paracreditizie di anticipazione dei redditi attesi (p. 208 del documento); modelli di gestione congiunta pubblica e privata (p. 209); un Fondo Forestale Nazionale (p. 210)359; esenzioni fiscali nella selvicoltura (p. 211); società per la gestione unitaria di patrimoni forestali entrati in successione; incentivi alla forestazione di terreni ex agricoli; sostegno all’allevamento faunistico; facilitazioni fiscali e finanziarie all’aggregazione di proprietà forestali private e pubbliche e all’integrazione tra imprese di produzione boschiva e di utilizzazione forestale (p. 213-214); innovazioni nelle lavorazioni (p. 215)360.

privati e proprietari pubblici, o, eventualmente, da proprietari ed imprese di utilizzazione e di prima lavorazione del legno.

356 Si tratta di interventi di sostegno alla meccanizzazione.

357 Si prevedono, in particolare, a tal fine, contributi ai costi colturali

per il miglioramento dei boschi poveri (cedui, fustaie abbandonate e degradate, boschi distrutti e danneggiati), per il miglioramento e l’ampliamento dell’arboricoltura produttiva (pioppicoltura, castanicoltura da legno, subericoltura), nonché contributi per il rimboschimento di specie indigene pregiate a turno lungo (ciliegio, noce, acero e di piante che favoriscono la produzione di funghi e di sottobosco).

358

Tali azioni comprendono interventi volti a migliorare le statistiche forestali e l’informazione, la proposta di realizzare una Carta Forestale Nazionale e la creazione di un Osservatorio Nazionale per le foreste e il legno.

359 Quest’ultimo costituisce una novità solo nella sua ricostituzione,

essendoci già stato, come si è avuto modo di dire in precedenza, un precedente, seppur poi fallito, nel II Piano Verde (l. 910/1966).

360

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