• Non ci sono risultati.

2.3 Livello locale del dialogo interreligioso istituzionale.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "2.3 Livello locale del dialogo interreligioso istituzionale."

Copied!
31
0
0

Testo completo

(1)

2.3 Livello locale del dialogo interreligioso istituzionale.

Di seguito si intende ricostruire il quadro delle relazioni tra religione e diritto a livello locale. In conseguenza della riforma del Titolo V della Costituzione è stato modificato l'articolo 117, di cui si analizzeranno le implicazioni relative alla materia ecclesiastica e, in particolare, ai rapporti tra gli enti pubblici e le confessioni religiose con riferimento alla legislazione locale.

Si prenderà poi in considerazione il ruolo dei principi di laicità e di collaborazione in tale contesto, dando conto degli equilibri tra fonti centrali e periferiche nella materia del fenomeno religioso.

Verrà studiato un settore specifico di interesse, quello riguardante l'edilizia di culto come caso di attribuzione di competenze amministrative decentrate.

Infine, si condurrà una riflessione sulla differenza tra principio di collaborazione e di partecipazione, indagando la gestione locale del pluralismo religioso in Spagna e in Italia.

2.3.1 Tra autonomia e sussidiarietà: dalla concezione

verticistica alla concezione plurale delle relazioni tra Stato e

religione.

La legge costituzionale n. 3 del 20011 ha modificato il Titolo V parte seconda della Costituzione. Con tale riforma è stato introdotto il principio 1 http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2001/10/24/001G0438/sg (consultato il

(2)

di sussidiarietà, in piena attuazione dell'articolo 5 della Costituzione stessa. Le indicazioni di principio contenute in quest'ultima norma rappresentano la “base normativa in forza della quale gli enti territoriali autonomi hanno potuto rivendicare sempre più ampi spazi di autonomia ed estese competenze decentrate, in funzione di una più efficace gestione di interesse che l'estrema complessità delle società moderne ormai sconsiglia di concentrare in ambiti troppo distanti dal territorio in cui emergono e in cui devono trovare adeguata soddisfazione”2.

Il novello art. 117 Cost. II° comma lettera c) annovera fra le materie riservate esclusivamente alla legislazione statale quella dei “rapporti fra la Repubblica e le confessioni religiose”. Indagando le ragioni della riserva legislativa3 in capo allo Stato, si assume che l'obiettivo perseguito con tale scelta sia il raggiungimento di standard territorialmente uniformi di tutela dei diritti civili e sociali in genere. La ratio della previsione dovrebbe essere la finalità di unitarietà, in virtù della quale la disciplina di determinate materie è affidata esclusivamente alla legislazione statale. Bisogna considerare, a proposito, due distinti aspetti. Da un lato, si deve tenere conto dell'eventuale indebolimento dei principi costituzionali, riguardanti la materia ecclesiastica, determinato dall'espansione, a livello periferico, della disciplina di settore, e dalla crescita delle correlate competenze amministrative. Dall'altro, è necessario valutare il rischio che un'eccessiva riduzione delle competenze regionali nella materia 2 A. Licastro, Libertà religiosa e competenze amministrative decentrate, in “Stato, Chiese e pluralismo confessionale” (rivista telematica

www.statoechiese.it), 2010, pp. 7 – 8.

3 Si tratta infatti di una limitazione riguardante la potestà legislativa delle Regioni (non amministrativa), per cui non si incide sul possibile esercizio decentrato delle relative funzioni amministrative.

(3)

ecclesiastica possa mettere a repentaglio la possibilità di accettare positivamente, in relazione all'esperienza religiosa, eventuali istanze di

diversificazione provenienti da diverse aree del paese, legate a interessi

territorialmente radicati. Per queste determinate esigenze di tutela non si dovrebbe escludere, da parte delle diverse Regioni, l'eventualità di creare specifiche normative di settore.

Principio di riferimento che permette il superamento di una concezione meramente verticistica delle relazioni tra religione e potere politico è proprio quello di sussidiarietà, per cui “lo Stato non deve e non può intervenire a limitare e regolare l'autonomia dei privati, sin quando essi possano agire da soli”4. L'idea è che, nei rapporti tra entità istituzionali e sociali di diversa dimensione, la preferenza sia da accordare a quelle prossime ai bisogni dei consociati. Attraverso questo principio si consentirebbe, dunque, la valorizzazione delle formazioni sociali in cui si esplica la personalità umana, in attuazione dell'articolo 2 della Costituzione.

Il principio si snoda in due articolazioni. In virtù della sussidiarietà

orizzontale, le strutture pubbliche devono divenire complementari a quelle

sociali nel perseguire determinate finalità comuni, valorizzando così soggettività e responsabilità sociali, finora prive di considerazione. Secondo la logica della sussidiarietà verticale le funzioni non sono assegnate una volta per tutte in base a criteri astratti, ma collocate al livello di governo più adeguato, cioè maggiormente vicino agli 4 A. Bettetini, Tra autonomia e sussidiarietà: contenuti e precedenti delle

convenzioni a carattere locale tra Chiesa e Istituzioni pubbliche, in “Stato,

Chiese e pluralismo confessionale” (rivista telematica www.statoechiese.it), 2010, p. 4.

(4)

amministrati.

Ne deriverebbe la legittimazione di una pluralità di ordinamenti muniti di un'intrinseca capacità di gestione di interessi con rilievo sociale e la moltiplicazione dei soggetti titolari della facoltà di stipulare accordi. Le Regioni, ad esempio, godono di una competenza trasversale, in virtù della quale sono legittimate ad intervenire tutte le volte che, in fase di regolamentazione delle materie rientranti nella loro sfera di attribuzione, si crea la necessità di soddisfare particolari profili di interesse religioso legati alle esigenze della comunità territoriale rappresentata. Il criterio per delineare la competenza regionale sarebbe la circostanza che la materia presenti un interesse religioso riferibile alla comunità direttamente interessata dalla disposizione. Vi sarebbe, dunque, competenza regionale ogni volta che si persegue il soddisfacimento di interessi della comunità locale sociale rappresentata e non si verte su una materia riservata in via esclusiva allo Stato. L'esistenza di interessi religiosi locali richiama la necessità di un approccio metodologico specialistico nei confronti degli interventi normativi operati dalle Regioni, in contesti più o meno strettamente contigui con la materia ecclesiastica, in grado di preservare le peculiarità emerse da una loro considerazione unitaria5. Con la sentenza n. 829 del 19886 la Corte Costituzionale ha affermato che “sussistono interessi e fini rispetto ai quali le regioni stesse possono provvedere nell'esercizio dell'autonomia politica che ad esse spetta in quanto enti esponenziali delle collettività sociali rappresentate”. La sussidiarietà è

5 Cfr. Licastro, p. 8.

6 http://www.giurcost.org/decisioni/1988/0829s-88.html (consultato il 08/06/2016).

(5)

ancora più fortemente affermata nella sentenza n. 303 del 20037, con cui la Corte sancisce la convivenza del principio con il riparto delle competenze stabilito dalla riforma del 2001, e una deroga ad esso è ammessa solo se “la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata”. Di conseguenza lo Stato può assumere su di sé funzioni amministrative e legislative su materie oggetto di legislazione concorrente per garantirne l'esercizio unitario “solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese”.

Dunque il soggetto “naturalmente” competente a legiferare e ad amministrare sarebbe quello più vicino agli interessi riguardati dai provvedimenti relativi, mentre le autorità gerarchicamente superiori potrebbero intervenire con l'accordo e l'intesa dell'autorità inferiore (la Regione), in una prospettiva di leale collaborazione. Sarebbe così consentita una speciale tutela di interessi religiosi meramente locali, cioè con rilievo limitato ad una dimensione circoscritta all'ambito periferico, senza ulteriori riflessi su più vasta scala8. Secondo una logica di tipo federale, la dimensione locale non avrebbe più un ruolo di semplice ripartizione territoriale periferica della Repubblica, ma sarebbe innanzitutto il luogo di origine e di sviluppo di alcune memorie e tradizioni, la culla di particolari identità, interessi e bisogni tipici, caratteristici e distintivi di un determinato territorio. Non mancano, però, episodi in cui le amministrazioni locali, in nome dell'esigenza di difesa di 7 http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?

anno=2003&numero=303 (consultato il 13/06/2016). 8 Cfr. Licastro, p. 26.

(6)

un senso di appartenenza identitaria della comunità, sembrano rivendicare come legittimo una sorta di potere discrezionale. Esso va a tradursi nella negazione di elementari possibilità di manifestazione della libertà religiosa di consistenti gruppi di fedeli, ormai stabilmente presenti sul territorio. Nei regimi federali, infatti, “si tende a privilegiare le istanze della maggioranza dei segmenti delle popolazioni presenti sul territorio, in una sorta di dittatura delle maggioranze relative che via via si stabiliscono”9. Secondo questa logica, viene attribuito alla religione di maggioranza relativa nella comunità territoriale un regime di privilegio, in deroga al principio generale di libertà di culto costituzionalmente garantito. Il rischio insito in questa gestione del territorio è il conflitto potenziale e permanente, in cui gli schieramenti si definiscono a seconda di forti legami identitari che si proiettano nel campo sociale ed economico10. In alcuni casi il potenziamento delle funzioni degli enti locali contribuisce alla crescita e al radicamento del potere clientelare sul territorio. Permangono problemi non risolti relativamente all'adozione di procedure per garantire la concorrenza tra enti (sia laici che confessionali) erogatori di servizi, a cui sempre più vengono demandati compiti e funzioni prima attribuite direttamente all'apparato amministrativo dello Stato.

Con le modifiche apportate al Titolo V della Costituzione e con i provvedimenti in materia di sicurezza urbana11, le amministrazioni locali 9 G. Cimbalo, Laicità e collaborazione alla prova: il livello locale.

Introduzione alla sezione di lavoro, in “Stato, Chiese e pluralismo

confessionale” (rivista telematica www.statoechiese.it), 2010, p. 5.

10 Verrebbe, così, sanzionata la fine della conflittualità per motivi di lavoro basata sull'appartenenza di classe, sostituita dal confronto tra gruppi etnico – social - religiosi a composizione interclassista.

11 La legge 125 /2008 (http://www.camera.it/parlam/leggi/08125l.htm, consultato il 8/06/2016), di conversione del D.L. 92/2008, ha ampliato i poteri del Sindaco, conferendogli la “facoltà di adottare provvedimenti, nel rispetto

(7)

hanno visto rinforzati i loro poteri. In particolare i Sindaci si sono fatti interpreti di un singolare e discutibile valore, quello del decoro urbano, tutelato attraverso “ordinanze libere”12, a cui “spesso si è fatto ricorso per risolvere problemi connessi alla presenza di minoranze religiose all'interno dei centri urbani”13, costituenti di fatto uno strumento di violazione dei diritti di libertà, considerati ormai consolidati.

Le nuove rivendicazioni identitarie, espresse in alcune realtà territoriali del paese, non possono legittimare criteri normativi o prassi amministrative di esclusione o di discriminazione ai danni delle minoranze. Esse comportano la perdita di efficacia dei principi fondamentali su cui si regge la struttura “una ed indivisibile” della Repubblica. Lo spazio conquistato da determinate visioni del mondo, costumi sociali, stili di vita non può fondare, in nome dell'accresciuto dei principi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano la sicurezza urbana (art. 6).

12 Per la loro natura di provvedimento amministrativo si sottraggono a qualsiasi istanza di controllo (anche i poteri attribuiti al Prefetto poco possono fare a riguardo di scelte che toccano fattori identitari prevalenti sul territorio). Ne è un esempio l'ordinanza n. 86 del 21 novembre 2000 del sindaco di Rovato (BS), con cui, al fine “di salvaguardare i valori cristiani dalla incessante contaminazione di altre religioni e visto che altri vietano l'ingresso in determinate aree ai non appartenenti ad una specifica religione”, era stato disposto “il divieto ai non professanti la religione cristiana di accedere ai luoghi sacri e di culto della predetta religione, in regime di reciprocità ed in attuazione di protezione della morale giustificato dall'interesse pubblico”, disponendo “l'istituzione di un'area di protezione e di sicurezza pari a mt. 15 lineari intorno ai luoghi sacri e di religione cristiani”; tale atto è stato inizialmente dichiarato nullo dal Prefetto di Brescia con ordinanza 11 gennaio 2001, ma, non potendo l'ordinanza prefettizia togliere vigenza all'ordinanza sindacale, questa è stata impugnata con ricorso straordinario al Capo dello Stato, che, previa istruttoria da parte del Ministro dell'Interno e parere del Consiglio di Stato, ne ha decretato l'annullamento il 25 febbraio 2003.

13 R. Mazzola, Laicità e spazi urbani. Il fenomeno religioso tra governo

municipale e giustizia amministrativa”, in “Stato, Chiese e pluralismo

(8)

ruolo delle autonomie decentrate, forme di tutela dell'identità religiosa, etica, culturale della popolazione, volte a prevenire contaminazioni esterne14. Piuttosto esso potrebbe tradursi, in termini giuridici, in un criterio su cui costruire una forma di tutela sostenibile del pluralismo confessionale e religioso. Si tratterebbe, dunque, di individuare, a livello locale (in cui emergono interessi afferenti all'esperienza religiosa), un tipo di tutela avente come punto fondamentale di sviluppo un elemento idoneo a far coesistere l'idea pluralista di apertura con le situazioni concrete e contingenti di cui è permeata la realtà giuridica. E' necessario, quindi, gestire e salvaguardare il pluralismo, attraverso forme ragionevoli di bilanciamento di tutti gli interessi in gioco, dei diversi valori, e quindi anche delle differenti identità, da cui è caratterizzata la nostra società, sia a livello globale che locale.

2.3.2 Laicità e collaborazione a livello locale.

Il principio di collaborazione prefigura sul piano locale “una cooperazione o un concorso tra le istituzioni pubbliche e i diversi attori della società civile, per garantire un più efficiente svolgimento di attività di interesse generale, in base al principio di sussidiarietà (art. 118, comma 4, Cost.)”15. In tale contesto la collaborazione costituisce l'altra faccia della separazione degli ordini civile e religioso ed espressione della laicità

positiva, in base alla quale lo Stato riconosce la rilevanza sociale del

14 Cfr. Licastro, p. 28.

15 P. Floris, Laicità e collaborazione a livello locale. Gli equilibri tra fonti

centrali e periferiche nella disciplina del fenomeno religioso, in “Stato,

Chiese e pluralismo confessionale” (rivista telematica www.statoechiese.it), 2010, p. 2.

(9)

fenomeno religioso ed interviene a sua tutela.

I poteri pubblici periferici risultano “particolarmente attivi nella sperimentazione della collaborazione e nella creazione di rapporti con soggetti religiosi in quanto forze sociali anche in materie che vedono coinvolte la libertà religiosa, la vita delle chiese ed i soggetti confessionali”16. Le confessioni, in quanto formazioni sociali in cui trova sviluppo la personalità individuale, entrano così a far parte del circuito che, in un ordinamento pluralista e sussidiario, contribuisce a formare la sfera pubblica della comunità e a determinare la coesistenza degli interessi collettivi17.

E' da rilevare un rimescolamento negli equilibri tra tutte le fonti di disciplina del fenomeno religioso. A seguito dell'attribuzione di sempre nuove competenze alle Regioni ed agli enti locali, le fonti periferiche sono aumentate, anche in materie relative alla libertà religiosa e al ruolo dei soggetti confessionali e religiosi. Le nuove competenze sono state formalizzate da più fonti, di varia derivazione e forza: grandi accordi Stato – chiese, varie norme sparse nell'ordinamento, riforme costituzionali del 2001. In esse troverebbero radice, secondo Floris, vari esperimenti di normative periferiche di rilevanza ecclesiasticistica, negoziate con soggetti religiosi. Questi esperimenti avrebbero un effetto di erosione degli accordi stipulati in base agli articoli 7 e 8 Cost., per cui il diritto pattizio apicale è 16 Così Vitali spiega il contributo di P. Floris, E. Vitali, Laicità e dimensione

pubblica del fattore religioso. Stato attuale e prospettive. Relazione di sintesi,

in “Stato, Chiese e pluralismo confessionale” (rivista telematica

www.statoechiese.it), 2011, p. 13. 17 Cfr. Bettetini, p. 12.

(10)

diventato, pian piano, solo una base minima di regolazione delle relazioni ecclesiastiche, oltre la quale si pongono interventi aggiuntivi di vari poteri pubblici, periferici ma anche centrali. Dunque, il diritto locale avrebbe spesso integrato e “gonfiato” il contenuto di tali accordi periferici, mettendo in discussione l'esclusività della competenza statale in materia di rapporti religione – istituzioni pubbliche.

In questo contesto di dinamicità tra fonti di disciplina ha svolto un importante ruolo la Corte Costituzionale, che, con sentenza n. 346/200218, ha attribuito ai patti di vertice la regolazione dei rapporti Stato – chiese negli aspetti riguardanti “specificità delle singole confessioni o che richiedono deroghe al diritto comune”. Dunque la materia dei rapporti riservata ai grandi accordi avrebbe confini precisi e ristretti, riguardando le specificità di una data confessione, la struttura della stessa, le sue esigenze in ordine alle modalità di esercizio della libertà di religione. La necessità di tenere in conto i bisogni religiosi della popolazione (ad es. in tema di edilizia di culto19) e l'esistenza di materie in cui è richiesta collaborazione legittimerebbero l'erosione della sfera di competenza dei patti di vertice, legata all'attuazione del principio di sussidiarietà e, più in generale, alla ripartizione di competenze tra le articolazioni territoriali della Repubblica.

Data l'incompetenza delle Regioni a riconoscere una confessione religiosa, manca l'esperienza di un'intesa generale tra Regione e tale soggettività. 18http://www.gazzettaufficiale.it/atto/corte_costituzionale/caricaDettaglioAtto/o

riginario;jsessionid=o3CRoICy5kExP7IY91j3jg__.ntc-as1-guri2a?

atto.dataPubblicazioneGazzetta=2002-07-24&atto.codiceRedazionale=002C0731 (consultato il 09/06/2016). 19 Questo tema sarà oggetto del prossimo paragrafo.

(11)

Secondo Floris, tale eventualità è poco conveniente per i soggetti contraenti, stanti le ragioni di crisi del diritto pattizio di vertice, riguardanti anche i patti locali. A livello periferico servirebbe a ben poco formalizzare particolari settori di collaborazione. La loro enumerazione risulterebbe sostanzialmente non tassativa, ma suscettibile di continue erosioni o integrazioni. Dunque, l'intesa ipotizzata rappresenterebbe la formalizzazione di una sorta di statuto privilegiato di una o anche più confessioni religiose, rispetto agli altri soggetti confessionali e religiosi presenti in un dato territorio.

La laicità a livello locale ha un andamento a “zig zag”20, che si esplica nelle disarmonie esistenti, tra territorio e territorio, nella tutela della pari dignità dei culti e della libertà religiosa. Il problema delle fonti e dei rapporti tra fonti richiama l'esigenza di una legge generale sulla libertà religiosa21, come strumento utile anche per coordinare gli spazi d'intervento del legislatore centrale e di quello periferico, tenendo conto di come e quanto tali spazi sono stati rimodellati da più interventi riformatori. Una legge statale mirata al settore ecclesiasticistico potrebbe servire a rimarcare la parità di posizione dei diversi soggetti religiosi e confessionali anche in termini di sussidiarietà.

Le città vivono la contraddizione di essere nel contempo luoghi di conflitto dove ai problemi demografici si associano forti iniquità sociali, e si sperimentano spesso tensioni derivanti dalla esclusione sociale di specifici gruppi di popolazione22. Il rischio sarebbe che nel lungo – medio 20 Cfr. Floris, p. 14.

21 Tema trattato al paragrafo 2.2.2. 22 Cfr. Mazzola, p. 7.

(12)

termine le città non riescano ad adempiere alla loro funzione di motore del progresso sociale, “a meno che non [dimostrino la capacità di] mantenere l'equilibrio sociale al loro interno [..], garantendo la loro diversità culturale [e promuovendo] il dialogo sociale ed interculturale”23. Ciò incide sulla

geografia fisica della laicità. Le questioni del pluralismo confessionale e

culturale, della non discriminazione e dell'eguale libertà nell'esprimere la propria fede, hanno accresciuto e diversificato i luoghi di confronto fra istituzioni pubbliche e confessioni religiose. Accanto ai tradizionali spazi della laicità, come le aule scolastiche, si impongono nuovi spazi e quelli tradizionali diventano teatro di ulteriori tipologie di problemi. Per quanto riguarda i primi si fa riferimento alla percezione dello spazio cittadino, da parte delle istituzioni sia centrali che periferiche, come luogo simbolico da preservare da ogni possibile contaminazione culturale e da ogni possibile lesione dell'ordine pubblico. Ne è un esempio l'ordinanza del Sindaco di Rovato24, per cui la presenza di una certa comunità etnica e religiosa in una determinata area della città finisce con l'essere percepita come minaccia, non tanto in ragione di una oggettiva valutazione di pericolosità, ma per ciò che il fenomeno sociale simboleggia. Allo stesso tempo gli spazi tradizionali sono diventati scenario di nuove problematiche: il rispetto delle prescrizioni religiose in materia alimentare all'interno delle mense, la necessità di disciplinare in modo nuovo gli spazi cimiteriali, i problemi legati all'impostazione obsoleta di molti regolamenti condominiali.

Queste trasformazioni hanno sollecitato sia il legislatore nazionale sia le 23 Carta di Lipsia sulle “città Europee Sostenibili” del 2 maggio 2007, disponibile presso http://www.sinanet.isprambiente.it/gelso/files/leipzig-charter-it.pdf (consultato il 11/06/2016).

(13)

amministrazioni locali, in particolare i Comuni, ad affrontare tali problemi, spesso preferendo i profili di ordine pubblico e di sicurezza a quelli collaborativi – inclusivi25. Le condizioni di conflittualità sociale all'interno delle città caratterizzate da un forte multiculturalismo generano, di regola, una maggiore pressione sui politici locali minacciati dalla perdita di consenso. I problemi pratici di laicità a livello di enti locali rischiano, più che a livello nazionale, di essere fortemente condizionati da un vero e proprio panico elettorale, in balia degli umori e delle paure della società civile. La conseguenza è rendere più vulnerabili i diritti delle minoranze. Si rivela, così, sempre più pericolosa la tendenza delle amministrazioni, sia centrale che periferica, a culturalizzare i problemi, ovvero a interpretare le questioni economiche, sociali e politiche come problemi essenzialmente culturali. Sembra essersi “ribaltato” l'equilibrio per cui dovrebbe essere impegno primario del legislatore statale predisporre la regolamentazione più idonea in tema di libertà civili e diritti fondamentali. Se le leggi statali o regionali dovrebbero di regola precedere l'esercizio dei poteri locali, di fatto, oggi avviene esattamente il contrario. I Sindaci finiscono, con le loro ordinanze, per condizionare le scelte del legislatore. Il rischio è che nel nostro ordinamento vi sia una diversificazione ingiustificata di trattamento delle minoranze etnico – religiose da parte delle singole amministrazioni locali.

Un uso sempre più frequente di ordinanze sindacali in questioni attinenti la convivenza di minoranze etnico – religiose rende rilevante il ruolo della giustizia amministrativa, soprattutto dei TAR, nella definizione dei 25 Cfr. Mazzola, p. 11.

(14)

contenuti e dei limiti operativi del principio di laicità. Il fenomeno risulta essere pienamente conforme alla tendenza di estendere anche alla giustizia amministrativa la giurisdizione sui diritti e sulle libertà fondamentali.

2.3.3 Competenze amministrative decentrate: l'edilizia di

culto.

La materia dell'edilizia di culto rappresenta la principale spia del grado di tutela territoriale della libertà religiosa nei suoi aspetti di base26. Va rilevato innanzitutto come “l'evoluzione non perspicua e frammentata delle leggi è, a un tempo, causa e riflesso di più ampi mutamenti o inversioni di tendenza”27. Essa deve tenere in considerazione due aspetti. Da un lato, bisogna valutare le difficoltà delle comunità nuove o minoritarie riguardo alla possibilità di agire in libertà e di vedere riconosciute le loro richieste ove altre comunità siano già esistenti nello stesso territorio28. Dall'altro, viene in rilievo la necessità di un coordinamento fra organismi civili ed ecclesiastici al fine di assicurare un equilibrato bilanciamento fra le esigenze proprie della normativa civile e quelle improntate alle caratteristiche tipiche ed essenziali delle strutture e attrezzature religiose.

Le difficoltà delle comunità nuove o minoritarie ad avere luoghi di culto coinvolge la stessa ratio della competenza degli enti locali, in quanto rimanda alla concezione dell'edificio di culto come luogo che soddisfa i 26 Cfr. Floris, p. 11.

27 S. Berlingò, A trent'anni dagli Accordi di Villa Madama: edifici di culto e

legislazione civile, in “Stato, Chiese e pluralismo confessionale” (rivista

telematica www.statoechiese.it), 1/2015, p. 1. 28 Cfr. Vitali, p. 13.

(15)

bisogni religiosi della popolazione, e che perciò giustifica una competenza degli enti più vicini alla popolazione stessa. Tuttavia la sensibilità dei poteri locali risulta oscillante. Tali comunità si sono trovate di fronte alla richiesta del requisito della personalità giuridica di enti di culto per l'accesso alle agevolazioni pubbliche (es. erogazioni di contributi economici), con inosservanza del principio di imparzialità nell'erogazione dei vantaggi economici da parte dell'ente locale. Inoltre i provvedimenti dei poteri locali su edifici di culto e loro pertinenze sono il più delle volte provvedimenti di mero finanziamento esposti alle pressioni lobbistiche dei gruppi religiosi insediati nel territorio, per quanto l'amministrazione sia vincolata all'imparzialità nell'erogazione di vantaggi economici (art. 12, l. n. 241/1990)29.

L’edilizia di culto si colloca fra due poli: la Carta costituzionale, da un lato, e, sul versante diametralmente opposto, la normativa regionale. “E' la stessa Costituzione che con l'art. 117, vista la sua appartenenza alla più vasta materia del governo del territorio e la sua afferenza con l'imprescindibile diritto di libertà religiosa, demanda l'edilizia di culto alla competenza concorrente di Stato e Regioni”30. L’edilizia di culto sarebbe regolata quasi esclusivamente da leggi regionali che fanno ricorso ai criteri più diversi, la cui applicazione incide sensibilmente sul libero esercizio della libertà religiosa di singoli e gruppi. L'attribuzione in via esclusiva della materia alle Regioni ha portato ad un quadro legislativo 29 Cfr. Floris, p. 12.

30 F. Oliosi, La legge regionale lombarda e la libertà di religione: storia di un

culto (non ammesso) e di uno (non?) ammissibile, in “Stato, Chiese e

pluralismo confessionale” (rivista telematica www.statoechiese.it), 3/2016, p. 5.

(16)

estremamente diversificato. L’individuazione dei destinatari delle aree edificabili, la definizione dell'insieme degli immobili appartenenti alle

attrezzature religiose, l'attribuzione dei criteri per l'ottenimento dei

contributi pubblici, seguono strade diverse da Regione a Regione, tali da poter parlare di un diritto di libertà religiosa “a geometria variabile”. Il rischio è l'esercizio non uniforme delle libertà a seconda delle aree geografiche, sia su base regionale che comunale. Il soddisfacimento di ampi settori di interessi primari riconducibili ai diritti fondamentali delle persone viene così affidato al carisma degli amministratori locali, spesso inclini a forme di autarchia in ambito religioso, a difesa delle comunità che li hanno eletti.

Per quanto riguarda l'intervento del livello regionale di governo questo, secondo Licastro, non sembrerebbe, di regola, giustificato dalla natura dell'interesse che viene concretamente in rilievo. Nel caso delle confessioni di recente insediamento, l'edificazione di una struttura di culto, soprattutto nei casi in cui avvenga attraverso lo strumento del finanziamento pubblico, assume un valore simbolico, al di là della ristretta dimensione locale. Si tratta di valutazioni che non dovrebbero comunque entrare nel giudizio discrezionale della pubblica amministrazione. Sembra più ragionevole proporzionare l'intervento all'entità della presenza nel territorio dell'una o dell'altra confessione religiosa e quindi all'esistenza e all'entità dei bisogni al cui soddisfacimento l'intervento stesso è finalizzato, secondo un apprezzamento legato alla rilevazione di interessi

eminentemente locali (di cui il Comune dovrebbe essere il migliore

(17)

Di seguito analizziamo il caso paradigmatico31 della Regione Lombardia in tema di edilizia di culto e della sua gestione.

Il 3 febbraio 2015 il Consiglio della Regione Lombardia ha approvato la legge regionale n. 2 “Modifiche alla legge regionale 11 marzo 2005 n. 12

(Legge per il governo del territorio) - Principi per la pianificazione delle attrezzature per servizi religiosi”32. La normativa è andata a modificare e integrare le disposizioni della precedente legge regionale in materia. In particolare ha apportato modifiche alle condizioni per l'applicabilità delle norme relative alla realizzazione di edifici di culto agli enti delle confessioni diverse dalla cattolica. Inoltre ha disposto una nuova regolamentazione sulla pianificazione urbanistica degli edifici di culto, demandata a un nuovo “piano delle attrezzature religiose”.

Si ipotizza che il legislatore lombardo abbia strumentalizzato la disciplina urbanistica, atta a pianificare un corretto e ordinato dispiegamento, tra gli altri, del diritto di libertà religiosa, per conseguire un fine che è palesemente in contrasto con il principio pluralistico di affermazione e di garanzia dei diritti fondamentali della persona esercitati in forma singola o associata, pubblica e privata (artt. 2, 17, 18, 19 Cost.)33. La sua approvazione si inserirebbe in un contesto in cui si è dato ai cittadini una risposta repressiva ai problemi di accoglimento (e assorbimento) delle comunità musulmane nel tessuto sociale lombardo, la cui integrazione, 31 Cfr. Berlingò, p. 9.

32http://normelombardia.consiglio.regione.lombardia.it/NormeLombardia/Acce ssibile/main.aspx?view=showdoc&iddoc=lr002015020300002 (consultato il 12/06/2016).

(18)

oggi, risulta essere particolarmente difficile per un duplice profilo di ragioni. Da un lato si consideri la persistente crisi economica che amplifica una conflittualità sociale altrimenti latente nei momenti di maggiore tranquillità; dall'altro il quadro internazionale nel quale il terrorismo islamico assume sempre più un ruolo predominante e preoccupante.

Si potrebbe individuare un'analogia con la precedente l. n. 12 del 2005

“Legge per il governo del territorio” per ciò che concerne il profilo

strutturale della normativa. La Regione Lombardia, nella recente così come nella precedente disciplina, si sarebbe avvalsa dello spazio di discrezionalità regolatrice imputabile alla mancanza di una legge cornice, sia nella stesura originaria dei suoi testi normativi, sia nelle successive integrazioni e modifiche di quei testi indirizzate a ridefinire la linea dell'equilibrio fra le esigenze proprie delle regole urbanistiche e le specifiche esigenze di culto sempre più a favore delle istanze di controllo del governo del territorio34.

Vengono in rilievo profili di incostituzionalità della normativa in esame, confermati dalla sentenza n. 63 del 23 febbraio 2016 della Corte Costituzionale35, investita della questione dal Governo.

Pronunciandosi sugli otto motivi di ricorso, la Corte costituzionale ha anzitutto ribadito che il principio di laicità implica “non indifferenza di fronte all’esperienza religiosa” bensì impegno a salvaguardare la libertà di religione, “in una situazione di pluralismo confessionale e culturale” (punto 4.1 considerato in diritto). “Il libero esercizio del culto è un aspetto 34 Cfr. Berlingò, p. 10.

35http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do? anno=2016&numero=63 (consultato il 12/06/2016).

(19)

essenziale della libertà di religione” ed è riconosciuto egualmente a tutti, e a tutte le confessioni religiose, a prescindere dalla stipulazione di una intesa con lo Stato. L’apertura di luoghi di culto, a sua volta, è “forma e condizione essenziale del pubblico esercizio del culto” (punto 4.2).

La Corte costituzionale ha giudicato non compatibili con tali principi e discriminatorie le condizioni che la legge regionale lombarda ha stabilito per l’applicabilità delle norme sugli edifici di culto agli enti delle confessioni non cattoliche e prive di intesa36. La legge regionale aveva previsto un regime diverso per la Chiesa cattolica e le confessioni religiose con intesa, da una parte, e le confessioni religiose senza intesa, dall’altra37. Solo per queste ultime confessioni era stato stabilito che le norme sugli edifici di culto fossero loro applicabili a condizione che possedessero alcuni requisiti non richiesti alle altre confessioni religiose: una presenza “diffusa, organizzata e consistente a livello territoriale”, un “significativo insediamento nell’ambito del comune nel quale vengono effettuati gli interventi”, statuti che esprimessero la finalità religiosa degli enti e “il rispetto dei principi e dei valori della Costituzione” (punto 5.1). Il possesso di questi requisiti doveva essere vagliato nei pareri di una apposita consulta regionale, da nominarsi da parte della Giunta regionale, 36 “Fondate le questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto i commi 2, 2-bis, lettere a) e b), e 2-quater, dell’art. 70 della legge regionale n. 12 del 2005, come modificati dall’art. 1, comma 1, lettera b), della legge regionale n. 2 del 2015, per violazione degli artt. 3, 8, 19 e 117, secondo comma, lettera c), Cost.” (punto 5).

37 “In virtù delle modifiche apportate dalla legge regionale n. 2 del 2015, la legge regionale n. 12 del 2005, sul governo del territorio, nel capo dedicato alla realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi (artt. 70-73), distingue tre ordini di destinatari: gli enti della Chiesa cattolica (art. 70, comma 1); gli enti delle altre confessioni religiose con le quali lo Stato abbia già approvato con legge un’intesa (art. 70, comma 2); gli enti di tutte le altre confessioni religiose (art. 70, comma 2-bis)” (punto 5.1).

(20)

e non ancora istituita dopo più di un anno dall’entrata in vigore della legge. Tutte queste norme sono state giudicate costituzionalmente illegittime, per violazione sia del principio di eguaglianza nella libertà di religione e di culto, che non ammette discipline restrittive solo per le confessioni senza intesa, sia del divieto per la legge regionale (che pure può disciplinare l’edilizia, anche di culto) di entrare nel merito dei rapporti tra la Repubblica e le singole confessioni religiose38.

La Corte ha poi considerato la norma che, con riguardo alla convenzione urbanistica che le confessioni non cattoliche devono stipulare con i 38 “Occorre ribadire che la legislazione regionale in materia di edilizia del culto «trova la sua ragione e giustificazione – propria della materia urbanistica – nell’esigenza di assicurare uno sviluppo equilibrato ed armonico dei centri abitativi e nella realizzazione dei servizi di interesse pubblico nella loro più ampia accezione, che comprende perciò anche i servizi religiosi» (sentenza n. 195 del 1993). In questi limiti soltanto la regolazione dell’edilizia di culto resta nell’ambito delle competenze regionali. Non è, invece, consentito al legislatore regionale, all’interno di una legge sul governo del territorio, introdurre disposizioni che ostacolino o compromettano la libertà di religione, ad esempio prevedendo condizioni differenziate per l’accesso al riparto dei luoghi di culto. Poiché la disponibilità di luoghi dedicati è condizione essenziale per l’effettivo esercizio della libertà di culto, un tale tipo di intervento normativo eccederebbe dalle competenze regionali, perché finirebbe per interferire con l’attuazione della libertà di religione, garantita agli artt. 8, primo comma, e 19 Cost., condizionandone l’effettivo esercizio. Pertanto, una lettura unitaria dei principi costituzionali sopra richiamati ed evocati dal ricorrente porta a concludere che la Regione è titolata, nel governare la composizione dei diversi interessi che insistono sul territorio, a dedicare specifiche disposizioni per la programmazione e realizzazione di luoghi di culto; viceversa, essa esorbita dalle sue competenze, entrando in un ambito nel quale sussistono forti e qualificate esigenze di eguaglianza, se, ai fini dell’applicabilità di tali disposizioni, impone requisiti differenziati, e più stringenti, per le sole confessioni per le quali non sia stata stipulata e approvata con legge un’intesa ai sensi dell’art. 8, terzo comma, Cost. .Per queste ragioni, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 70, commi 2-bis, sia nelle lettere a) e b), sia nella parte dell’alinea che le introduce (vale a dire, nelle parole «che presentano i seguenti requisiti:»), e 2-quater, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005” (punto 5.2).

(21)

Comuni, consente la risoluzione o revoca in caso di accertamento da parte del Comune di attività non previste nella convenzione stessa (punto 6). La norma non è stata giudicata illegittima, purché interpretata e applicata in modo ragionevole e proporzionato: la revoca è un rimedio estremo, da attivare solo in assenza di mezzi alternativi ugualmente idonei a tutelare l’interesse pubblico, ma meno severi nei confronti del libero esercizio del culto39.

In merito al piano delle attrezzature religiose, le nuove norme del 2015 avevano previsto che, prima della sua approvazione, fosse eseguita una specifica istruttoria sui possibili problemi di ordine pubblico, coinvolgendo comitati di cittadini e forze dell’ordine; e che, comunque, il piano stesso dovesse imporre in ogni nuovo luogo di culto capillari sistemi di video-sorveglianza degli accessi, collegati con le forze di polizia. Pur ribadendo che anche la libertà di religione e di culto ha i suoi limiti e che essa va tutelata in modo compatibile con le esigenze di sicurezza, ordine pubblico e protezione della pacifica convivenza, la Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittime le norme regionali, le quali esulavano dalle competenze regionali e assurgevano a veri e propri indirizzi di politica 39 “La disposizione impugnata consente di annoverare tra queste conseguenze, a fronte di comportamenti abnormi, la possibilità di risoluzione o di revoca della convenzione. Si tratta, con ogni evidenza, di rimedi estremi, da attivarsi in assenza di alternative meno severe. Nell’applicare in concreto le previsioni della convenzione, il Comune dovrà in ogni caso specificamente considerare se, tra gli strumenti che la disciplina urbanistica mette a disposizione per simili evenienze, non ve ne siano altri, ugualmente idonei a salvaguardare gli interessi pubblici rilevanti, ma meno pregiudizievoli per la libertà di culto, il cui esercizio, come si è detto, trova nella disponibilità di luoghi dedicati una condizione essenziale. Il difetto della ponderazione di tutti gli interessi coinvolti potrà essere sindacato nelle sedi competenti, con lo scrupolo richiesto dal rango costituzionale degli interessi attinenti alla libertà religiosa.” (punto 6).

(22)

della sicurezza, materia riservata alla competenza esclusiva dello Stato40. Ancora con riguardo al piano delle attrezzature religiose, le nuove norme regionali richiedevano che esso rispettasse la “congruità architettonica e dimensionale degli edifici di culto” con le caratteristiche del paesaggio lombardo, individuate nel piano territoriale regionale (PTR). Anche in questo caso, la Corte ha ritenuto le norme non illegittime, purché interpretate nel senso che il rispetto delle caratteristiche del paesaggio lombardo coincida con il rispetto del piano territoriale regionale, per evitare applicazione arbitrarie di tale disposizione41.

40 “Dell’art. 72 della legge regionale n. 12 del 2005 (interamente novellato dall’art. 1, comma 1, lettera c, della legge regionale n. 2 del 2015), sono censurati i commi 4 e 7, lettera e). Il comma 4 – qui considerato solo nel suo primo periodo – prevede che, nel corso del procedimento per la predisposizione del piano delle attrezzature religiose di cui allo stesso art. 72 (denominato «Piano per le attrezzature religiose» nella rubrica di tale articolo), vengano acquisiti «i pareri di organizzazioni, comitati di cittadini, esponenti e rappresentanti delle forze dell’ordine oltre agli uffici provinciali di questura e prefettura al fine di valutare possibili profili di sicurezza pubblica, fatta salva l’autonomia degli organi statali». La seconda disposizione censurata esige che, nel piano predetto, sia prevista, per ciascun edificio di culto (se non già esistente all’entrata in vigore della legge regionale n. 2 del 2015, in virtù dell’art. 72, comma 8), «la realizzazione di un impianto di videosorveglianza esterno all’edificio, con onere a carico dei richiedenti, che ne monitori ogni punto di ingresso, collegato con gli uffici della polizia locale o forze dell’ordine». Prescrivendo l’acquisizione di pareri inerenti a questioni di sicurezza pubblica, nonché l’installazione di impianti di videosorveglianza, le disposizioni censurate entrerebbero nella materia «ordine pubblico e sicurezza», rimessa alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, anche con riguardo alle possibili forme di coordinamento con le Regioni(artt. 117, secondo comma, lettera h, e 118, terzo comma, Cost.). La questione è fondata.” (punto 8).

41 “Il vigente art. 72, comma 7, lettera g), della legge regionale n. 12 del 2005 prevede che il piano delle attrezzature religiose garantisca «la congruità architettonica e dimensionale degli edifici di culto previsti con le caratteristiche generali e peculiari del paesaggio lombardo, così come individuate nel PTR». La citata lettera g) è censurata per violazione degli artt. 3, 8 e 19 Cost. perché, richiamando con formula ambigua le caratteristiche del paesaggio lombardo, attribuirebbe all’amministrazione una discrezionalità troppo ampia, tale da

(23)

Altre questioni sono state considerate inammissibili e non sono state esaminate nel merito. Ciò è accaduto: a) per i problemi di compatibilità tra le norme regionali e i principi internazionali ed europei che tutelano la libertà di religione e vietano discriminazioni in base alla religione (punto 7); b) per il richiamo alla possibilità, per i Comuni, di indire referendum locali sul piano delle attrezzature religiose (punto 9); c) per la questione che lamentava che l’approvazione del piano fosse facoltativa (punto 11).

2.3.4 Partecipazione e religione in Spagna e in Italia.

Di seguito si esamina la tematica della gestione del pluralismo religioso in realtà locali di Spagna e Italia. Entrambi i contesti oggetto di analisi si caratterizzano per la scelta di utilizzare percorsi partecipativi, in alternativa ai tradizionali strumenti della democrazia rappresentativa. L'interrogativo alla base di questa riflessione è quale possa essere il contributo della partecipazione nella gestione del pluralismo religioso42.

Sia nel contesto locale spagnolo che in quello italiano emerge la “crisis de legitimación de las instituciones democraticas y (..) una gran distancia entre representantes y representados”43 e, di conseguenza, la disillusione consentire facilmente applicazioni discriminatorie. La questione non è fondata” (punto 10).

42 Il tema di seguito trattato ha come principale riferimento le riflessioni di Navaroa e Milani, contenute in Diversidad religiosa y gobierno local. Marco

jurídico y modelos de intervención en España e Italia, a cura di Adoración

Castro Jover, Thomson Reuters Aranzadi, Navarra, 2013.

43 A. L. Navaroa, Gestión del pluralismo religioso en la ciudad¿ qué aporta la

participación?, in “Diversidad religiosa y gobierno local. Marco jurídico y

modelos de intervención en España e Italia” a cura di Adoración Castro Jover, Thomson Reuters Aranzadi, Navarra, 2013, pp. 94 ss.

(24)

da parte dei cittadini nei confronti degli attori tradizionali della democrazia rappresentativa. Così “alcune amministrazioni locali sperimentano in vario modo le diverse opportunità offerte dalla democrazia partecipativa”44.

Secondo Navaroa, “la participación está directamente relacionada con la noción de diálogo intercultural, para la creácion de espacios de convivencia y nuevas respuestas a los conflictos generados por la diversidad religiosa”. L'intercultura viene individuata come il paradigma in grado di garantire i diritti di tutti i cittadini in termini di uguaglianza. In base all'art. 16.345 della Costituzione spagnola le autorità pubbliche vengono configurate come garanti di quei cittadini che desiderano professare le proprie credenze in termini di libertà e uguaglianza. Ma, anche se i membri delle comunità religiose minoritarie hanno visto riconosciuta loro la libertà religiosa al più alto livello legislativo, “se les presentan dificultades en su vida real para cumplir con sus preceptos religiosos” [esse si trovano ad affrontare difficoltà nella vita reale nel soddisfare i propri precetti religiosi].

Il contesto dell'amministrazione locale, in particolare il Comune, risulta essere il livello amministrativo più vicino ai cittadini, titolare di competenze che costituiscono nella pratica l'accesso a determinati servizi e attività che assicurano ai cittadini l'efficacia dei loro diritti, “en nuestro 44 D. Milani, Partecipazione e religione: strumenti e percorsi per una

governance condivisa, in “Diversidad religiosa y gobierno local. Marco

jurídico y modelos de intervención en España e Italia” a cura di Adoración Castro Jover, Thomson Reuters Aranzadi, Navarra, 2013, pp. 207 ss.

45 Nessuna confessione avrà carattere di religione di Stato. I poteri pubblici

terranno conto delle credenze religiose diffuse nella società spagnola e manterranno i conseguenti rapporti di cooperazione con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni.

(25)

caso, el derecho a la libertad religiosa, en especial, referida a las minorías religiosas”. Le richieste che gli enti religiosi presentano con maggior frequenza ai comuni riguardano vari aspetti, tra cui l'apertura di luoghi di culto, la concessione di spazi per le sepolture, la realizzazione di eventi in luoghi pubblici, l'accesso a sussidi e sostegni pubblici.

Navaroa sostiene la necessità di applicare gli strumenti del “sistema

participativo” ai gruppi religiosi, anche di minoranza.

Lo strumento partecipativo ottiene riconoscimento in varie parti della Costituzione spagnola, in particolare all'art. 9.246 e all'art. 23.147, che sanciscono il riconoscimento del diritto fondamentale dei cittadini a partecipare agli asuntos públicos. Questo diritto investe anche il livello locale dell'amministrazione pubblica, in particolare le strutture comunali. “Se considera que los principios de participación y transparencia son pilares esenciales de una nueva forma de entender el modo de gobernar y administrar las sociedades complejas, que en la moderna ciencia política se conoce como gobernanza”. Si tratterrebbe di sostituire il modello dominante delle decisioni politiche prese “dall'alto” con un “circolo virtuoso” basato sull'interazione tra reti, in una partecipazione, a tutti i livelli, alla definizione delle politiche pubbliche. L'idea è che “la participación ciudadana no consistiría tanto en dicidir como en entervenir en el proceso de adopción de decisiones públicas”.

46 Spetta ai poteri pubblici creare le condizioni affinché la libertà e

l'uguaglianza dell'individuo e dei gruppi di cui esso fa parte siano reali ed effettive, nonché eliminare gli ostacoli che impediscano o rendano difficile il loro pieno godimento e agevolare la partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica, economica, culturale e sociale.

47 I cittadini hanno diritto a partecipare agli affari pubblici, direttamente o

tramite rappresentanti liberamente eletti in elezioni periodiche a suffragio universale.

(26)

Bisogna distinguere tra una participación orgánica e una participación

funcional. La prima prevede che il cittadino sia inserito in determinati

organi in ambito municipale, attraverso cui può intervenire nella gestione comunale in relazione anche a materie relative all'effettività della libertà religiosa. Ne sono esempi gli órganos territoriales de gestión

desconcentrada e le juntas municipales de Distrito, previsti dalla Ley reguladora de las Bases del Régimen Local (LBRL) al fine di “facilitare la

partecipazione cittadina della gestione delle questioni locali e migliorare la loro gestione” (art. 24 LBRL); i Consejos de Distrito, la cui creazione è prevista come obbligatoria nel comune con alta densità di popolazione e facoltativa per gli altri nell'ambito territoriale dei distretti e dei quartieri;

Consejos de Participación ciudadana, organi consultivi dei “Consejos de

Distrito”; Comisiones o grupos de trabajo per lo studio di tematiche specifiche. “Se considera che para los gobiernos locales este tipo de participación puede suponer el refuerzo del consenso y la legitimidad social, y pueden impulsar un cambio en las culturas políticas y técnicas”. Questi strumenti possono cioè attribuire impulso al rafforzamento di quel consenso indebolito dalla “crisi dello Stato nazionale”48 e alla promozione del cambiamento nella cultura politica.

Diversamente, attraverso gli strumenti della “partecipazione funzionale o procedurale” al cittadino è attribuita la possibilità di intervenire in alcune procedure decisorie, ad es. attraverso la información pública, che risulta necessaria per l'approvazione di qualunque testo normativo comunale. “Se define como un acto procedimental por el que se permite la participación de cualquier ciudadano en un procedimiento administrativo, sin necesidad 48 Cfr. Licastro, p. 1.

(27)

de tener la condición de interesado, pudiendo presentar alegaciones a las que se deberá responder de manera razonada por parte de la Administración”.

Dunque la partecipazione è riconosciuta in Spagna, a partire dalla Costituzione fino ai regolamenti comunali, come principio jurídico

vinculante para los poderes públicos e, allo stesso tempo, come derecho de los ciudadanos. Non mancano punti di debolezza. A livello locale si

tende ad attribuire maggiore visibilità ad una rappresentanza di tipo associativo, così da aprire canali di partecipazione dominante ai gruppi più rappresentativi, a danno di quelli minoritari. Va tenuto conto che i meccanismi di partecipazione, in termini di “implicación ciudadana” [coinvolgimento della cittadinanza] hanno avuto scarsi risultati rispetto alle aspettative. Per ottenere risultati migliori è necessaria una nuova

forma mentis. “Requiere de una sociedad – dirigentes, representantes y

ciudadanos – con formación civica en principios y valores recogidos en el ordenamiento: democracia, pluralismo, libertad, igualdad, equidad, tolerancia, solidaridad, interculturalidad, cohesión, inclusión, respeto a los derechos fundamentales, convivencia pacífica, interés publico”. Per quel che riguarda nello specifico la gestione della diversità religiosa, è auspicato da Navaroa l'utilizzo degli strumenti partecipativi per “normalizar la situación de las minorías religiosas en nuestras ciudades”. Gli enti religiosi possono collaborare a sviluppare processi educativi, culturali e sociali ad arricchimento delle potenzialità dell'amministrazione comunale, in quanto possono lavorare a favore della coesione sociale e contro l'esclusione. “No podrían excluirse estas entidades y asociaciones religiosas de concurrir en la acción municipal, en las mismas condiciones

(28)

que el resto, alegando el principio de laicidad del Estado”. Ciò in attuazione degli artt. 9.2 e 16.3 della Costituzione: il mandato di cooperazione, nel segno della laicità come principio supremo dello Stato, deve mirare alla promozione delle condizioni e alla rimozione degli ostacoli affinché la libertà religiosa degli individui e dei gruppi diventi effettiva. “En la gestión pública de la diversidad religiosa, la participación puede aportar vías de información, de conocimiento, de interconexión que pueden generar dinámicas de mutuo reconocimiento, respeto y aceptación (..) Ello requiere, como base, más calidad democrática en la sociedad y más educación cívica e intercultural”.

Per quanto riguarda l'Italia, Milani ci fornisce un'importante riflessione sulla differenza tra partecipazione e collaborazione, attraverso l'analisi degli istituti della democrazia partecipativa contemplati all'interno degli statuti regionali allo scopo di verificare se questi possano affiancarsi alle prime (cioè alle forme di cooperazione/collaborazione classiche fra regioni e confessioni che si muovono nell'alveo degli articoli 7 e 8 della Costituzione) nella gestione delle istanze relative al diritto di libertà religiosa.

La ratio sottesa ad entrambi gli istituti sarebbe la promozione dell'intervento dei singoli e delle formazioni sociali nella vita delle istituzioni regionali allo scopo di realizzare una democrazia compiuta e lo sviluppo civile delle popolazioni attraverso l'impiego di nuovi e/o ulteriori strumenti nella gestione dei bisogni generati dalla diversità. Alcuni statuti regionali fanno riferimento a pratiche che ambiscono a divenire un

(29)

elemento strutturale del processo decisionale politico fornendo strumenti di conoscenza e di riflessione della discussione che in forza della loro oggettiva validità dovrebbero agevolare il conseguimento di risultati altamente condivisi o condivisibili, fortemente propensi a favorire forme di integrazione sociale. Ne è un esempio la legge statutaria dell'Emilia – Romagna, che, all'art. 15 I° comma, “riconosce e garantisce a quanti risiedono nel suo territorio i diritti di partecipazione contemplati nello statuto”49 e, a tal fine, al II° comma, assicura alle associazioni/organizzazioni “che esprimono interessi diffusi o collettivi il diritto di far conoscere e scambiare pubblicamente le loro opinioni e valutazioni sulle materie di competenza regionale”.

Nello specifico del fenomeno religioso, le pratiche partecipative, diversamente dagli accordi di cooperazione, aspirano a divenire sede di comunicazione e confronto tra il pubblico e il privato nell'intento di favorire scambi di conoscenze ed esperienze all'interno di un circuito virtuoso che dovrebbe concludersi con l'assunzione da parte dell'istituzione di provvedimenti il più possibile condivisi. Mentre nell'ambito della collaborazione l'esito sarebbe un accordo volto a realizzare un obiettivo comune, nel caso delle pratiche partecipative il fine coincide con il metodo. Si tratta di un processo di comprensione e discussione che si caratterizza per la sua attitudine a misurarsi con i bisogni reali delle formazioni sociali interessate, non tanto nella logica dell'esercizio di un potere, quanto di un servizio da rendere alla comunità governata. Dunque, partecipazione e collaborazione non sarebbero interscambiabili fra loro. Il contributo che la partecipazione può offrire 49http://demetra.regione.emilia-romagna.it/al/monitor.php?

(30)

alla gestione della diversità religiosa consiste nella rilevanza del metodo in cui si esplica la partecipazione stessa. Tale processo di comprensione, anche ove non si concludesse con l'accoglimento da parte del decisore politico delle pretese avanzate dagli interessati, si caratterizza per la sua attitudine a misurarsi con i relativi bisogni50. Si tratterebbe di un metodo

di governo che può servire a ridurre la lacuna di democraticità percepito

dagli individui migliorando la qualità delle politiche pubbliche anche in materia religiosa attraverso la ricerca di soluzioni il più possibile condivise, maturate a partire dalla conoscenza e dalla comprensione di diversi bisogni e punti di vista all'interno di un confronto costruttivo. Un esempio di percorso partecipativo con esito positivo è stato quello promosso dall'Associazione Comunità islamica di Firenze sul tema della realizzazione di una moschea nella città51, avviato nel maggio 2011 e conclusosi nel marzo 2012. Il ricorso a questo strumento è stato previsto dalla legge regionale n. 69 del 200752. E' stato così aperto un pubblico confronto su questa tematica, con il coinvolgimento di “vecchi e nuovi” residenti (musulmani e non) allo “scopo di far emergere bisogni, aspettative, timori e priorità di ciascuno in vista della definizione di criteri e raccomandazioni largamente condivisi”. Il processo si è svolto in tre fasi: 1) intervista degli opinion leaders provenienti da diversi mondi (università, associazionismo interculturale, altre confessioni religiose, ecc) per individuare profili di opportunità e fattori di criticità; 2) cinque incontri aperti alla cittadinanza con la partecipazione di facilitatori su 50 Cfr. Milani, p. 235.

51 Una moschea per Firenze. E' possibile parlarne senza alzare la voce? 52http://raccoltanormativa.consiglio.regione.toscana.it/articolo?

urndoc=urn:nir:regione.toscana:legge:2007-12-27;69 (consultato il 13/06/2016).

(31)

macro – temi (es. criteri di localizzazione); 3) definizione condivisa dei criteri e delle raccomandazioni circe il “dove” e il “come” della moschea. Attualmente manca l'epilogo di questo processo. Ma la considerazione che il consenso condiviso formatosi intorno alla questione della moschea non si sia ancora tradotto in un impegno dell'amministrazione comunale alla sua assunzione non inficia la validità del metodo che ha consentito la presentazione di soluzioni idonee ad integrare la moschea nella città non solo sul piano urbanistico ma anche, e soprattutto, in termini sociali e culturali, a partire da punti di vista eterogenei e conflittuali.

Milani conclude domandandosi se la democrazia partecipativa, strumento a disposizione di tutti, non possa essere anche una risorsa per quelle comunità religiose che, prive di riconoscimento nazionale, faticano ad esercitare i loro diritti a livello locale. Il ricorso alle pratiche partecipative potrebbe costituire, dunque, strumento di riconoscimento/integrazione delle confessioni di nuovo insediamento, prive di accordi o intese con lo Stato.

Riferimenti

Documenti correlati

Inail tratta inoltre i dati personali dell’interessato nell’adempimento di obblighi di leggi nazionali e/o del diritto dell’Unione Europea a cui il Titolare è soggetto, in

Prevedere uno stanziamento in rapporto al gettito 2010 pari a: 25 per mille nel 2012, 25 per mille nel 2013, 25 per mille.

Gli interessati dovranno essere sempre informati che stanno per accedere in una zona videosorvegliata, ciò anche nei casi di eventi e in occasione di spettacoli

i) CEI: Comitato Elettrotecnico Italiano;. l) UNI: Ente Nazionale Italiano di Unificazione. Le imprese, iscritte nel registro delle imprese di cui al decreto del Presidente

“Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede

Spetta ovviamente al Parlamento - e ad esso soltanto - operare le scelte normative ritenute più opportune (in particolare, per quanto qui rileva, nell'ambito della

Il principio fondamentale enunciato da Bahá’u’lláh è che la verità religiosa non è assoluta bensì relativa; che la Rivelazione divina è un processo

Le disposizioni della presente Convenzione si applicano a tutte le categorie di collettività locali esistenti sul territorio di ciascuna Parte. Tuttavia, ciascun Stato contraente