1. La struttura urbana del centro storico aquilano
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Le città si differenziano nelle preesistenze storiche , nei connotati sociali, nelle strutture produttive: nel caso dell’Aquila e dell’Abruzzo esistono codici di rappresentazione che identificano una cultura di origine pastorale‐agricola. Le prime raffigurazioni sono sempre rapportate al lavoro contadino e alla vita dei pastori; le feste coincidono con i raccolti e le semine, le unità di misura sono rapportate alla terra e conservano a lungo un valore e un significato direttamente sociale.
Dall’analisi cartografica ed iconografica effettuata a partire dalla documentazione Medievale, emergono molte raffigurazioni dell’Aquila con la campagna fuori le mura, mentre all’interno della cerchia muraria le raffigurazioni danno rilievo al potere economico e politico emanato dall’autorità civile e religiosa: il valore urbano delle chiese con le relative piazze, il Castello (simbolo del potere spagnolo), Piazza Maggiore d’Austria e la Fontana delle «99 Cannelle» hanno da sempre condizionato l’immagine della città. 7‐1 Pianta del centro storico dell'Aquila: localizzazione delle principali entità storiche della città. 1 Cappelletti V., Il centro storico dell’Aquila, Memoria e progetto , Edizioni Studium, Roma, 2009, pagg.15‐16
I caratteri del disegno urbano della città dell’Aquila sostanzialmente derivano dalla sintesi tra impianto angioino di fondazione e un diffuso sistema di piazze. Nella riorganizzazione territoriale operata dai Cirstercensi potrebbe trovarsi una delle chiavi interpretative utili a comprendere le dinamiche economiche, politiche e sociali che giustificano il passaggio da una realtà feudale alla realizzazione, alla metà del XIII secolo, di una città di fondazione, importante per il ruolo ed estensione. Tracce dell’influenza cistercense possono essere ravvisate sia in relazione alla definizione dell’organismo demaniale del sistema urbano dell’Aquila, sia in considerazione del disegno del tessuto urbano, che presenta analogie con impianti di
bastides su proprietà cistercensi, come Beaumont de Lomagne (1279), Mirande (1281) o Solomiac (1323).
Le bastides si articolano con un tracciato viario a maglia ortogonale, piazza del mercato in posizione centrale, spazialmente delineata dal disegno degli isolati, e chiesa spesso dislocata eccentricamente, non sempre accompagnata da piazza. La tradizione dell’ordine cistercense è legata alla realizzazione di piccoli insediamenti agricoli su terreni di loro proprietà; questa impostazione sembrerebbe poco corrispondente a una città come L’Aquila, dove tuttavia l’ordine, contrariamente alle abitudini e alla regola, possedeva importanti proprietà, e una abbazia, oggi scomparsa, ancora individuata sulla cartografia del Vandi. In ogni caso, per L’Aquila, il legame con la cultura e con l’organizzazione territoriale cistercense resta non eludibile, e si ricorda l’esperienza di Lapposita, in località dell’attuale Posta, localizzata secondo quella corona di borghi riconducibili alle bastides cistercensi sopra citate: città prevista secondo una struttura demaniale in tutto simile all’Aquila, osteggiata e distrutta dagli Aquilani stessi, timorosi della concorrenza che avrebbe potuto esercitare.
Si può ragionevolmente ritenere che, per quanto riguarda il tracciato urbano dell’Aquila, i modelli cistercensi abbiano rappresentato un riferimento culturale, con un ruolo attivo degli agrimensori angioini, anche in considerazione del fatto che il modello del tessuto a maglie ortogonali rappresenta, alla metà del Duecento, un patrimonio diffuso; casi esemplari sono Manfredonia e San Giovanni in Valdarno. Tuttavia il tracciamento delle vie all’Aquila non può non aver tenuto conto del rapporto con la morfologia del sito collinare e dell’influenza esercitata da preesistenze importanti.
Nell’impianto urbano gli assi viari principali che attraversano per intero il centro storico da porta a porta, sono corso Federico II e via Roma, tra loro ortogonali, come pure via Cascina e via Garibaldi.
Il disegno urbano dell’Aquila non resta definito dal solo tessuto viario, in quanto vi si integra un molteplice sistema di piazze, gerarchizzato dalla scala urbana, a quella di capo‐quarto, a quella di locale. Piazze di rango urbano sono piazza Duomo e piazza Palazzo, spazi a funzione plurima, entrambe sede di mercato. Piazza Duomo è il maggiore slargo della città, dominato dal Duomo e dalla sede Vescovile. A piazza Duomo si contrappone piazza Palazzo con il palazzo di Margherita d’Austria, già del Capitano Regio. Quattro assurgono al rango di piazza capoquarto: piazza S. Giusta, piazza S. Marciano, piazza S. Pietro, piazza S. Maria Paganica.
Le piazze di locale trovano origine nel peculiare meccanismo di inurbamento per locali, corrispondenti ai centri di provenienza della popolazione inurbata e secondo le regole contenute nello Statuta Civitatis
Aquile. I locali si strutturano intorno alla loro piazza, chiesa e fontana con la duplicazione, anche nominale,
della parrocchiale dei centri di provenienza, e secondo un rapporto biunivoco intus/extra tra locali urbani e rispettivi castelli, così che i cittadini inurbati possano continuare a esercitare il possesso degli stessi diritti, di uso dei pascoli, dei paesi di origine.
Le piazze assurgono dunque a principio conformativo del disegno urbano, riaffermando un proprio autonomo valore identitario all’interno della maglia angioina, di per sé antitetica a una organizzazione polinucleare. Le stesse piazze nel tempo diventano il coagulo per gli insediamenti nobiliari a partire dal Cinquecento e fino a tutto il Settecento.
Altra significativa componente che caratterizza l’impianto urbano sono gli insediamenti monastici che si inseriscono, secondo differenti modalità e tipologie, all’interno della città, ai limiti del tessuto edificato, a ridosso delle mura civiche; esternamente a esso come Collemaggio.
Entro il centro abitato, nel rispetto dei tracciati urbani, i Francescani s’insediano nella piazza Palazzo; i Celestiniani sull’asse di corso Federico II con S. Maria dei Raccomandati, e presso l’attuale S. Caterina in piazza S. Biagio; i Domenicani nell’antico complesso di palazzo Gaglioffi e della Beata Antonia. In posizione marginale all’edificato, i Domenicani si collocano a occidente, sull’antico asse di via della Forcella, con il monastero di S. Domenico i cui disegni di progetto giungono dalla corte angioina; i Francescani a oriente
con il S. Bernardino, sull’asse di via Roma, con orti estesi sino alle Mura; gli Agostiniani si attestano sia a meridione, con il complesso di S. Agostino, sia a settentrione con quello di S. Amico. A occupare gli ampi spazi tra l’edificato e le Mura, i complessi celestiniani di S. Agnese e di S. Basilio, le Agostiniane di S. Lucia e le Clarisse a S. Chiara d’Aquili. Con il Rinascimento , abbiamo il primo disegno della città dell’Aquila ad opera di De Ritiis, pubblicato in un suo testo narrativo del 14502: la città è schematizzata in tre ideogrammi che la raffigurano nel 1254, dopo la distruzione di Manfredi del 1259, e poi ricostruita con la cinta e le torri. Questi disegni sono di forma ovoidale e la città viene suddivisa nei quattro quartieri dalle strade che ne delimitano il confine. Tale suddivisione, che risale all’età comunale (periodo in cui venivano create delle circoscrizioni al fine di razionalizzare la distribuzione della popolazione all’interno della città), ebbe a l’Aquila un origine particolare, perché non fu il nucleo urbano ad essere diviso tramite linee ideali, bensì il contado. Le direzioni della campagna venivano riportate dentro la cinta muraria, dove individuavano due quartieri amiternini (S. Pietro e S. Giovanni) e due forconensi (S. Maria e S. Giusta) 7‐2 Nella prima immagine, la città dopo la costruzione con la cinta muraria e le torri;a fianco, l'ideogramma del De Ritiis con la divisione della città nei quattro quartieri‐1450.
La renovatio urbis che nel Cinquecento investe le principali realtà urbane italiane ed europee, anche per ragioni militari, va a interessare la stessa città dell’Aquila in relazione soprattutto a due eventi significativi che si riflettono in maniera determinante sulla forma della città e sul suo tessuto urbano.
1. Il primo evento è l’infeudazione spagnola del 1535 e la realizzazione del Forte spagnolo (1534‐ 1554) su progetto di Pyrrus Aloisius Scrivà. Il “Castello” è collocato in una posizione dominante sia rispetto alla città, sia rispetto al territorio e in particolare al percorso principale di attraversamento in senso longitudinale della conca aquilana sul versante nord. Peraltro la formazione della tagliata interna comporta la demolizione di un quartiere cittadino, il locale del Guasto. S’innesca inoltre un processo di polarizzazione urbana sulla nuova struttura, con la chiusura delle porte sul lato nord delle Mura, e il rafforzamento degli assi stradali, entrambi convergenti sul castello, del Corso (in direzione nord‐sud) e di via Castello/via Garibaldi (in direzione est‐ovest), sui quali vanno anche ad attestarsi diversi insediamenti palaziali.
2. Il secondo evento è l’arrivo all’Aquila di Margherita d’Austria come governatrice perpetua (1572) e la realizzazione del suo palazzo (1572‐1577). Intorno a tale fabbrica si sviluppa un notevole indotto e una rinnovata ardenza edilizia, all’interno però del contesto socio‐economico quantomeno problematico di “una città che durante il quarantennio trascorso dall’infeudamento del contado aveva assistito a una profonda trasformazione del tessuto sociale e, soprattutto, di quel rapporto con la campagna che ne aveva determinato il sorgere e condizionato lo sviluppo”, con la conseguente rottura del sistema della città‐territorio. La città presenta ampi vuoti nelle zone periferiche del tessuto urbano all’interno della cerchia muraria, con due polarità importanti che nel Cinquecento trovano il loro definitivo assetto: la piazza di S. Bernardino, ove giunge a compimento
(1542) la facciata della basilica dedicata al santo e lo straordinario spazio quadrangolare della piazza/fontana della Rivera (1582‐1585), ove è probabile un intervento progettuale di Ieronimo Pico Fonticulano.
In tale contesto è emblematico, in ordine al processo storico di formazione, trasformazione e stratificazione del tessuto urbano, il caso dei luoghi centrali della città storica tra le piazze di Palazzo, di S. Margherita e dell’Annunziata. Le due sezioni storico‐sincroniche evidenziano con chiarezza il transito dall’assetto riferibile all’ultimo quarto del XVI secolo, a quello sullo scorcio del XVIII secolo. Le planimetrie sono incentrate sulle tre piazze citate, tutte tangenti all’asse urbano principale di via Roma, che attraversa da ovest a est l’intero centro storico, tra porta Barete e porta Leone.
L’assetto urbano sullo scorcio del XVI secolo era piuttosto diverso dall’attuale: sulla piazza Palazzo si affacciavano, nel lato orientale, la chiesa conventuale di S. Francesco a tre navate (metà del XIII sec.), riedificata tra il 1705 e il 1722 e sostituita dal palazzo della Biblioteca provinciale tra il 1879 e il 1893; sul lato occidentale il palazzo di Margherita d’Austria (1572‐1575), esito di un radicale intervento di ristrutturazione e ampliamento del preesistente palazzo del Capitano Regio (1310?) con annessa torre in pietra più alta dell’attuale, e sul medesimo sedime dove insiste l’ottocentesco palazzo dei Tribunali (1836‐ 1846), all’attualità sede del Comune.
Sulla piazza di S. Margherita, oltre al palazzo di Margherita d’Austria, prospettava sul lato settentrionale quello del Conte di Montorio, residenza del regio tesoriere; sul lato occidentale della piazza affacciavano la piccola chiesa di S. Margherita, del locale della Forcella (1294), e la sede della Camera Aquilana, residenza degli eletti, il Magistrato e i Signori, che aveva acquistato funzione pubblica già nel 1495, ristrutturata e ampliata tra il 1570 e il 1572.
Il disegno dell’Aquila non può prescindere dall’immagine e dall’immaginario derivanti dalle sue prime rappresentazioni, alla fine del Cinquecento, tutte legate alla poliedrica figura di Ieronimo Pico Fonticulano,pubblico agrimensore, esperto mensor, matematico, trattatista, architetto.
Nella più antica pianta della città e del contado del 1575, il cui autore è Pico Fonticulano, vengono messe in risalto una serie di relazioni tra città e campagna evidenziate dall’asse est‐ovest (attuale Via Roma) che, passando per le due porte più importanti , Porta Barete e Porta Bazzano, taglia in due la città e si collega direttamente al contado. Da ciò si comprende come anticamente città e campagna vivessero in modo dialettico tra loro, e come, ogni zona del contado contribuisse alla definizione dell’insieme. Anche se tale disegno fu eseguito in un periodo di decadenza per l’Aquila, si può notare come la suddivisione del territorio rimandi ad una serie di significati legati all’origine stessa della città che , sorta in funzione antifeudale, venne a costituirsi come sintesi di un territorio estremamente frazionato. Si mette in risalto la parziale fase di abbandono del territorio, con cui sempre però si vuole mantenere un legame, ed il frazionamento dei terreni, con alcuni nuclei abbandonati e diruti, altri invece ancora abitati. Si mette in risalto anche la decadenza dei percorsi legati ad un’economia di scambio tra zone della montagna, permangono invece i percorsi legati all’infeudamento operato da Filiberto d’Orange la cui repressione portò conseguenze gravissime per la città, le sue industrie e i commerci.
La pianta di Fonticulano, inserita nel suo manoscritto “Geometria”, attribuisce al tessuto urbano dell’Aquila una matrice geometrica a maglie ortogonali, che non corrisponde esattamente alla realtà, se non per un richiamo indiretto alla strutturazione del tessuto angioino. La sua idea va però riguardata come lettura della preesistenza con un recupero attualizzante dei contenuti della città medievale, e la sua proiezione progettuale verso una modernizzazione , secondo i modelli della trattatistica sulla città ideale, e nella temperie culturale del tardo cinquecento aquilano, caratterizzato dalla presenza di Margherita d’Austria e della sua corte.
7‐3 Pianta dell'Aquila di P.Fonticulano ‐1575 La pianta dell’Aquila di Fonticulano3 rappresenta il tentativo di razionalizzare l’organismo urbano attraverso la riproposizione di un suo disegno complessivo, organizzato secondo i criteri di una maggiore razionalità nel modo di rappresentare la città: è stato sostituito lo Spazio aggregativo con lo Spazio sistema e la città viene raffigurata come una scacchiera a maglie ortogonali e con allineamenti viari ortogonali. I tracciati viari strutturano l’intera morfologia urbana: se ne distinguono tre in direzione est‐ovest e due in direzione nord. Possiamo notare come l’intenzione critica dell’autore tenti di evidenziare sostanzialmente gli elementi della forma urbana; si chiarisce così l’aspetto culturale e formale della città. Ciò viene evidenziato anche dall’orientamento lungo l’asse est‐ovest, un ‘indicazione, questa, presente in tutte le altre piante che
seguiranno fino a quella di A. Vandi del 1753. I vari tipi di edifici vengono rappresentati dallo stesso autore nella pianta del 1600, nella quale si nota come l’assetto formale e quello interpretativo tendono a sovrapporsi fino a diventare indispensabili l’uno all’altro.
7‐4 Pianta dell'Aquila di G.P.Fonticulano – 1600.
Qui viene messo in evidenza l’elemento pubblico e collettivo per eccellenza, il momento rappresentativo della città4: la piazza Maggiore, dove si svolgeva il mercato settimanale la troviamo rappresentata con le numerose botteghe e proprio su questa piazza si affacciano i principali locali Torre,Bazzano e Bagno tutti del quarto di San Giorgio. Fuori le mura si trovano gli orti, i mulini e i campi ben coltivati, come permanenza delle strutture agrarie del contado; moltissime sono le chiese alcune delle quali trasformate in edifici monastici di campagna, ma a causa del terremoto del 1461, alcuni edifici si presentano in rovina, come la chiesa dei Santi Cosma e Damiano poi diruta.
Con l’arrivo all’Aquila della Compagnia di Gesù, che nel 1596 si insediava nel palazzo della Camera, si avviarono profonde modificazioni. A partire dalla realizzazione della chiesa e dell’Aquilanum Collegium (tra il 1625 e la metà del XVIII sec.), che comporta il taglio e la refusione dei tre isolati preesistenti di forma allungata, la chiusura delle due strade tra di loro interposte e il tracciamento dell’attuale via Camponeschi, sull’allineamento della piazza di S. Margherita. In realtà sia la chiesa sia il Collegio restarono incompiuti; in particolare alla chiesa vennero a mancare paramento di facciata, transetto, cupola e abside. Con la ricostruzione conseguente al terremoto del 1703 la piazza di S. Margherita e quella dell’Annunziata trovano il loro definitivo assetto attraverso un lungo e complesso processo di trasformazione che porta alla definizione formale e figurativa dei due invasi. Nella piazza di S. Margherita: a settentrione sul sito del cinquecentesco palazzo del Conte si colloca il palazzo Pica Alfieri, risultato di un intervento di
ristrutturazione e riconfigurazione compiuto tra il 1711 e il 1727; contiguo a esso il palazzo Quinzi (completato nel 1726) la cui angolata si affaccia sulla piazza; a oriente il fronte del palazzo Comunale, a occidente la facciata incompiuta della chiesa gesuitica di S. Margherita, rimasta nella facies di fine Seicento; a mezzogiorno il Palazzetto dei Nobili, riedificato a partire dal 1712. La piazza dell’Annunziata si conforma come un singolare spazio urbano triangolare, convergente sulla settecentesca chiesa di S. Maria annunciata di Preturo (preesistenza del XV sec.), spazio su cui incombe il fronte di palazzo Carli, ricostruito tra il 1708 e il 1725.
Il tema del palazzo quattro‐cinquecentesco all’Aquila si connota essenzialmente come tema della corte, anche al di fuori di qualunque tematica di riconnessione figurativa agli spazi della città. Al di là di taluni elementi architettonici significativi e ricorrenti come i portali (esempi di palazzo Dragonetti in via S. Giusta, palazzo Franchi – Fiore in via Sassa), le logge aperte sul fronte strada (palazzo Dragonetti, Case di Nicola e di Giacomo di Notar Nanni in via Bominaco), cantonali in pietra, le finestrature spesso eleganti e variamente conformate‐le facciate, per quel che ne resta, si articolano in impaginati aperti ove il pieno, finito a intonaco, prevale sui vuoti, quasi mai sistematicamente ritmati da assialità ricorrenti o riferenti al portale. Il cortile aquilano, raramente di grande respiro spaziale, tende a qualificarsi come valore spaziale e figurativo autonomo, tanto che nel processo di ricostruzione dopo il terremoto del 1703 è ricorrente il
modernamento figurativo sui fronti stradali che inglobano, metabolizzandoli, i preesistenti cortili
cinquecenteschi.
Sullo scorcio del Quattrocento all’Aquila è presente un tipo di cultura ‘allineata’ a quella del Rinascimento, e non solo sul piano di una generica adesione al gusto toscano.
Nella rappresentazione dell’Antonelli del 1622, dove il costruito è più esteso che nelle precedenti, notiamo subito come si sia persa quella visione analitica che nelle piante del Pico evidenziava gli assi stradali principali strutturanti l’intera città. Qui notiamo il rapporto tra la compattezza dei singoli isolati e la rete viaria; un grande elemento di novità rispetto alla pianta del 1600 si trova nella campagna circostante, dove subito fuori le mura, vengono disegnati, oltre ai numerosi insediamenti religiosi, anche le tipologie della residenza di campagna, legate alle nuove funzioni produttive. Il sistema viario è maggiormente sviluppato rispetto alle precedenti piante e più numerose sono anche le strade principali.
Il rinnovo figurativo della città si propone attraverso la riqualificazione degli spazi e degli assi urbani con un protagonismo pressoché esclusivo dell’architettura in presenza di una sostanziale invarianza del tessuto urbano. La riconfigurazione settecentesca s’innesta su una preesistenza di elevato tono edilizio rispetto al quale instaura una serrata dialettica; dialettica e presenze che diverranno poi determinanti nell’Ottocento e ancora nel primo Novecento per le scelte tipologiche e figurative operate in sorprendente continuità con l’architettura del Settecento. Le piazze si arricchiscono di episodi architettonici che ne modificano i valori percettivi e spaziali attraverso proposizioni spesso antagoniste alle preesistenze: come l’inserimento di palazzo Centi (1752‐1766) che, dal punto di vista formale e volumetrico, sovrasta la chiesa di S. Giusta sulla omonima piazza; il salto di scala spaziale e figurativo della piazza S. Maria di Roio con le quinte dei palazzi Rivera (1746 ultimato) e Persichetti; il palazzo Ardinghelli (1732‐1742) su piazza S. Maria Paganica; il palazzo Pica Alfieri (1711 ‐1727) su piazza S. Margherita, a suggellarne la definizione spaziale e figurativa unitamente al palazzetto della Congregazione dei Nobili (1708‐1715); il palazzo Antonelli (1712 in corso) su piazza Fontesecco; su piazza S. Biagio la chiesa di S. Caterina Martire (1745) del Fuga e il palazzo Benedetti (1728 in corso); sulla piazza S. Marco la chiesa di S. Agostino (1705‐1725); sulla piazzetta dell’Annunziata il palazzo Carli (1711‐ 1725); sulla piazza S. Marciano il palazzo Rustici; sulla piazza S. Pietro il palazzo Porcinari (1732); sulla piazza del Duomo la chiesa del Suffragio (1713‐1775); sulla piazza S. Basilio la chiesa con monastero (ante 1713 ‐ 1750). Le strade si animano di molteplici episodi che modificano il mero valore di spazio compreso tra quinte: via Andrea Bafile, già via Roma, con i palazzi Quinzi (1721‐1725) e Pica Alfieri; via Camponeschi con la lunga facciata dell’Aquilanum Collegium dei Gesuiti (1700‐1767); via Roio con i palazzi Antonelli (1712 in corso), Rivera e Persichetti; via S. Giusta con il palazzo Manieri (1708‐1752) risvoltante con una interessante soluzione angolare sul Corso Federico II; via Sassa con i palazzi Benedetti e Antonelli (1710‐1712); via Garibaldi con palazzo Antinori (1756‐1761); via Buone Novelle con palazzo Zuzi (1760 ultimato); via Cavour con palazzo Ienca (1710‐1721); via Antonelli con palazzo Pietropaoli (ante 1743‐1757); via S. Marciano con i
palazzi Nardis‐Oliva‐Vetusti (1744 ultimato) e palazzo Oliva‐Vetusti (1760 ultimato); Via Burri con palazzo Burri.
La tipologia di impianto o reimpianto dei palazzi aquilani nel XVIII secolo è definibile come il prodotto di programmi e processi edilizi spesso rimasti incompiuti e di un confronto dialettico con la preesistenza nei termini della struttura proprietaria, della morfologia del tessuto urbano e della consistenza edilizia.
Il caso ricorrente è quello del cosiddetto ‘modernamento’ che naturalmente oscilla dalla semplice riconfigurazione del piano nobile e comunque degli spazi rappresentativi, al parziale o totale rifacimento, eventualmente con operazioni di refusione e omogeneizzazione di facciata, con rare situazioni di soluzioni ex novo a fundamentis come nel caso di palazzo Centi, palazzo Ardinghelli e palazzo Antonelli in piazza Fontesecco. Peraltro il palazzo Centi resta anche l’unico impianto in isola realizzato. Negli altri casi si hanno soluzioni di testata dell’isolato (palazzo Rivera a piazza S. Maria di Roio, palazzo Antonelli su piazza Fontesecco, palazzo Manieri in via Bazzano, palazzo Carli su piazza dell’Annunziata); articolazioni su due fronti (palazzo Benedetti in angolo su via Sassa e su piazza S. Caterina, palazzo Ciccozzi in via Indipendenza con risvolto in via Simeonibus, palazzo Persichetti su piazza S. Maria di Roio con risvolto in via Cesura, palazzo Pica Alfieri su piazza S. Margherita con risvolto in via S. Martino, Palazzo Antonelli in via Roio con risvolto in via del Seminario, palazzo Quinzi in via Andrea Bafile con risvolto su via S. Martino, palazzo Ardinghelli su piazza S. Maria Paganica con risvolto in via Ardinghelli); monoaffaccio (palazzo Rustici su piazza S. Marciano, palazzo Zuzi in via Buone Novelle, palazzo Antinori su via Garibaldi, Collegio dei Gesuiti in via Camponeschi, Monastero di S. Basilio su piazza S. Basilio, palazzo Antonelli in via Sassa, palazzo Nardis‐Oliva‐Vestusti in via S. Marciano).
La tecnica utilizzata dal bolognese A.Vandi nel 1753 fa perdere la visione critico‐analitica che forzava e marcava il tessuto ortogonale degli assi portanti della città, ma va rilevato come al di là delle trasformazioni edilizie, permanga l’impianto generale della forma urbana. Dal confronto con le altre piante si nota come il terremoto del 1703 avesse abbattuto numerosi edifici e come interi quartieri fossero ricostruiti nell’area primitiva; inoltre emergono ampie aree entro le mura prive di edifici che il Vandi disegna come occupate da prati o da zone alberate. Le più vaste, rimaste sempre tali fin dalla fondazione della città, sono i due cunei che la cinta delle mura forma rispettivamente a sud‐ovest e a nord‐ovest.
7‐5 Pianta dell'Aquila di B.Catalani ‐ 1826.
I fenomeni di stratificazione, modificazione e riuso che hanno interessato il quarto di S. Maria Paganica, sono da inquadrarsi in quegli stessi processi che, nel loro complesso, hanno caratterizzato l’intera città; tuttavia nella zona nord del centro storico assumono particolare evidenza, consentendo di analizzare le dinamiche di trasformazione della morfologia urbana. Processi caratterizzanti sono: il sostanziale rispetto dei tracciati storici, con la riconfigurazione edilizia dei fronti e del tessuto interno agli isolati; l’estensione dell’abitato nelle aree periferiche interne alle mura, sino all’inizio del Novecento occupate da zone verdi; la saturazione degli spazi vuoti interni agli isolati; infine interventi di sostituzione edilizia.
Il disegno degli assi viari e dell’invaso delle piazze si mantiene pressoché costante, fatta eccezione per l’episodio del tracciamento di viale Duca degli Abruzzi, che crea un’insanabile frattura nel tessuto storico lungo l’asse di via Roma e al contempo diviene supporto per l’estensione dell’abitato sulle aree di margine, sino alle mura. Tra il XVII secolo e gli inizi del Novecento, il rinnovamento avviene, principalmente, sul piano delle facciate e nel tessuto interno degli isolati, cosicché gli isolati della città storica mantengono costante la geometria del lotto. Relativamente all’edilizia religiosa si assiste a opposti fenomeni, conseguenti ai danni causati dal sisma del 1703: gli organismi maggiormente rappresentativi vengono rinnovati nella configurazione architettonica di impianto, come S. Silvestro, S. Maria Paganica, S. Agnese, S. Basilio, S. Amico, S. Maria della Misericordia; le piccole chiese di locale rimangono perlopiù abbandonate, con la conseguente rovina od il riassorbimento nel tessuto edilizio, secondo fenomeni che trovano compimento talvolta nel XX secolo.
Per quanto riguarda i complessi religiosi, al sisma sono da aggiungere gli effetti indotti delle leggi napoleoniche e dalle nuove destinazioni d’uso del Regno unitario. All’Aquila tra il 1807 ed il 1809 vengono soppressi la maggior parte degli ordini religiosi e demanializzate le loro proprietà: nella prima metà dell’Ottocento il monastero di S. Maria dei Raccomandati viene convertito a Municipio, nella seconda metà del XIX utilizzato anche come istituto scolastico, dall’inizio del Novecento destinato a museo; il monastero di S. Agnese continua ad essere impiegato da congregazioni religiose sino al 1875 quando vi si insedia l’ospedale civile; S. Maria del Carmine diviene caserma e analogamente larga parte del convento di S. Bernardino, quest’ultimo demanializzato nel 1866.
Fino al XX secolo la città, circondata da una corona di orti pertinenziali e di aree verdi, occupa una superficie inferiore rispetto al perimetro delle mura storiche. Si hanno i giardini delle chiese di S. Nicola d’Anza, di S. Benedetto di Arischia, di S. Maria del Vasto, dei monasteri di S. Lucia, S. Basilio, S. Amico, dei conventi di S. Maria del Carmine e di S. Bernardino. Non solo orti ma anche ampie zone verdi, aree di margine che Vandi ha distinto esplicitamente nella sua carta: alle spalle di S. Silvestro; tra il S. Amico ed il S. Basilio; nei locali di S. Anza, Porcinari e Vio. Con il Novecento queste aree non urbanizzate vengono interessate da processi di ampliamento del tessuto edificato, in particolare innescate dall’apertura del viale Duca degli Abruzzi (1933). Tali fenomeni di espansione edilizia sono accompagnati dall’intasamento delle aree vuote interne agli isolati e da sostituzione edilizia.
La realizzazione del viale Duca degli Abruzzi è da inquadrarsi in un disegno complessivo di rinnovo del sistema urbano e di ampliamento dello stesso, esplicitamente espresso nel piano regolatore del 1931, e che porta da un lato alla nascita del polo sanitario, dall’altro l’attestarsi sul viale di strutture scolastiche.
Per quanto riguarda le strutture scolastiche, alla metà del Novecento queste si vanno ad inserire sul fianco meridionale del viale, non alterando il disegno storico degli assi stradali: si hanno l’Istituto Tecnico Femminile, la Scuola Media G. Carducci, più a meridione la scuola materna e la scuola elementare. All’interno del tema delle strutture scolastiche va citato anche il parziale utilizzo del convento di S. Basilio. L’apertura del viale Duca degli Abruzzi favorisce l’ampliamento della città verso nord, secondo un processo che si estende per tutto il Novecento, e conduce all’edificazione delle aree degli antichi locali di Vio, Porcinari e S. Anza, con interventi residenziali sia pubblici sia privati. Emblematico è il caso della chiesa di S. Nicola di Santanza, ridotta al solo transetto per l’edificazione di edifici a blocco.
Analogamente gli orti di S. Bernardino e i territori di Terra Negra, occupati dai villini e delle palazzine borghesi di via Vittorio Veneto e via S. Elisabetta, dagli interventi residenziali del quartiere di S. Maria di Farfa e di via Zara.
Dalla pianta dell’Aquila del 1971 si nota come tutta l’estensione a sud non abbia nessun rapporto con le antiche leggi di costruzione e inoltre, mentre fin dal Medioevo le piazze costituivano un particolare
compositivo e connotativo immancabile nella progettazione urbanistica, ora nell’epoca moderna la città si espande andando ad occupare i rimanenti spazi vuoti. 7‐6 Pianta dell'Aquila ‐ 1971. L’analisi diacronica effettuata da Enrico Socci, pubblicata in “Centro storico dell’Aquila”, evidenzia il livello di trasformazione dei singoli elementi che compongono il tessuto urbano, focalizzando l’attenzione sul rapporto tra parti fisse e dinamica di sviluppo. Lo smontaggio della struttura urbana utilizza un metodo analitico che permette di isolare, classificare e comparare categorie omogenee di elementi, la cui classificazione spaziale contiene e rappresenta anche il dato funzionale. Da ciascuna cartografia l’estrapolazione di elementi è finalizzata all’interpretazione delle carte stesse su cui ogni volta ci si trova ad operare, senza escludere la conoscenza storica che si ha della città.
Le mura Aquilane furono costruite per contenere una città un po’ più grande di Napoli e sorsero su un sito che segnava il confine tra le due diocesi contese di Amiternum e Forcona. Secondo gli scritti di G. Leosini, esse erano larghe ben sei palmi con ottantasei torrioni, correvano intorno alla città per quattro miglia ed inizialmente erano fornite di dodici porte, ma in seguito furono ridotte. Alcune tracce di mura poligonali prospicienti il piazzale della stazione fanno ritenere che esistesse, in epoca precedente al 1252, una prima cinta difensiva che si ipotizza fosse un recinto formato da fossi e steccati. Dopo la distruzione della città avvenuta nel 1259 ad opera di Manfredi, fu costruita una nuova cerchia muraria: i lavori durarono per molti anni con lo Statuto della città del 1315, fu stabilita una precisa normativa per la loro manutenzione. In questo periodo tutto il sistema di cinta, oltre a svolgere una funzione di cinta, con l’apertura di molte porte segnava un rapporto tra la città e il territorio.
Nella pianta del 1575 la cinta muraria, con le sue dodici porte, è leggibile come valore autonomo rispetto alla città mentre con l’era moderna alcune parti delle mura vengono abbattute per far spazio a degli slarghi, in un’ottica del tutto funzionale al nuovo uso speculativo del suolo.
Per quanto riguarda il vuoto urbano, si nota che nella pianta del Vandi del 1753, il vuoto urbano è predominante rispetto al costruito a causa del terremoto del 1703 e alla decadenza economica di quel periodo. Nell’Ottocento con la pianta del Catalani, il vuoto urbano assume una specifica connotazione spaziale: il vuoto riveste il ruolo strutturale di verde come elemento significante della città ottocentesca. Nella cartografia attuale si rileva come l’occupazione del vuoto da parte del costruito avvenga, sotto la spinta della speculazione edilizia, in modo totalmente disorganico. Prevale la logica del riempimento, logica che lungi dal rispettare l’immagine complessiva della città, cancella definitivamente il potenziale ruolo del vuoto urbano. Le piazze e i tracciati principali, sono considerati elementi pubblici collettivi per eccellenza, ma all’Aquila le preesistenze che condizionano lo sviluppo urbano susseguente, funzionano come nuclei di aggregazione del costruito. Non sono state mai modificate e oltre ad esprimere il carattere della città, hanno definito i limiti e i punti di forza dei confini della proprietà del suolo. Le piazze a l’Aquila si configurano come tipologia urbana ripetuta: «piazza – fontana ‐ chiesa», sono il segno di una volontà collettiva, hanno caratteri di rappresentatività pubblica in termini morfologici e tipologici. Nella storia dell’Aquila, la Piazza Maggiore si è costruita come opera compiuta in sé, legata alla fondazione della città, si configura come momento dell’intera composizione urbana.
I tracciati principali hanno fin dall’origine assunto un ruolo primario nella dinamica dello sviluppo della città. Occorre distinguere due grandi momenti di sviluppo della città: un primo legato alla formazione della città spontanea e un secondo di progetto Angioino che con la ricostruzione si sovrappone al primo. In questa fase di sviluppo tali tracciati non persero la loro funzione iniziale nello strutturare il tessuto urbano perché si era già stabilito un rapporto con le preesistenze. Le iniziative che si vennero a determinare nel periodo angioino non tolsero alle strade principali valore formale, ma con la loro persistenza contribuirono a rafforzare sia il disegno dei vari isolati che l’immagine complessiva della città.
Dalle immagini successive è possibile riscontrare come le strade svolgano una funzione di supporto nell’organizzazione della forma urbana, nonché influenzano il rapporto tra cavità e costruito.
2. I tracciati principali dell’impianto urbano
5 VIA ROMA
Anticamente chiamata « il Corso» per manifestazioni agonistiche che vi si svolgevano, via Roma viene iconograficamente individuata come asse principale della città poiché, oltre a qualificarsi per le numerose emergenze architettoniche che su di essa si attestavano, serviva a collegare le più importanti porte della città: Porta Barete e Porta Bazzano, ambedue fortificate e a doppio ingresso. Il suo carattere di tracciato principale inizia a definirsi appena traversata la P.Barete. In seguito, nel 1454, con la costruzione della Basilica di S.Bernardino si determinerà il prolungamento di Via Roma: in questo modo la Basilica assieme al Seminario e l’Hospitale Maggiore daranno un ulteriore rilievo a tale asse stradale rafforzando l’immagine portante, contraddetta solo dalla successiva costruzione della fortezza spagnola.
VIA GARIBALDI
Sulla stessa direzione est‐ovest troviamo il terzo tracciato principale, che collega Porta S. Laurantio con Porta Castello ed ha fin dalle origini funzione di margine delimitante a nord tutto il costruito fino alle mura. Le zone in prossimità delle mura erano rimaste per motivi storici quelle meno edificate della città, tuttavia la presenza di numerose chiese e la disposizione a pettine degli isolati con le strade ortogonali agli assi principali porranno le basi per la successiva edificazione. Unica presenza di rilievo che affacciandosi su Via Garibaldi ne qualifica l’uso, è la Piazza si S.Silvestro con la relativa chiesa, che stabilisce rispetto alla strada lo stesso rapporto tipologico di altre piazza quali ad es. la vicina S.Pietro in Coppito o la piazza di S.Giusta. VIA SASSA E’ uno dei percorsi più antichi della città: si sviluppa in direzione est‐ovest parallelo a Via Roma e struttura l’edificazione che, distribuendosi all’interno della trama viaria, collega i due assi stradali. IL CORSO L’attuale Corso Federico II‐ Vittorio Emanuele nasce come percorso matrice ortogonale alla Piazza Mercato e al Duomo, primi elementi di formazione della città. Anticamente su tale asse, oltre alla forte incisività della piazza, non si attestavano architetture emergenti. In seguito, dopo il 1532, la Fortezza Spagnola che non influisce sulla trasformazione fisica del corso, ne diventerà il polo principale. Conseguentemente a ciò, ne risulterà cambiata la funzione e la destinazione d’uso, venendo il Corso a porre da questo momento in poi in alternativa a Via Roma. Il Castello con la sua architettura imponente, ed anche il significato ideologico e politico che rivestiva, rende infatti sicuramente più incisiva l’immagine di questo asse sulla complessiva morfologia urbana. L’idea della città ottocentesca con il prolungamento a sud del Corso fino a porta Napoli, farà assumere un ulteriore rilievo a quest’asse; tuttavia le trasformazioni successive compiute fino ad oggi e gli interventi progettuali a livello di singolo edificio ne hanno declassato il significato storico ed urbano.
3. Le maglie urbane
6L’individuazione di queste maglie rappresenta un modo di leggere la città per parti omogenee, costituite da aggregati di elementi da definire. Dalla prima pianta del 1575 si può notare come i tracciati principali, ortogonali tra loro, funzionino come elemento margine di grandi maglie urbane, all’interno delle quali si articola il costruito e la rete stradale secondaria.
La perfetta gerarchia delle strade riflette quindi la logica formale e funzionale delle maglie ed è proprio a tale gerarchia che si riferisce l’intero sistema.
Il tracciato viario, nello stabilire la forma e la dimensione degli isolati, crea un rapporto preciso tra questi ultimi e il sistema di aggregazione dei tipi edilizi che li costituiscono. Nel medioevo il principio di costruzione della casa non ha una validità in se ma rispetto alla strada: tale rapporto di dipendenza rappresenta un
5 Cappelletti V., Il centro storico dell’Aquila, Memoria e progetto , Edizioni Studium, Roma, 2009, pag.55 6 Id., pagg.57‐60
elemento totalmente nuovo rispetto alla città romana. La città gotica è fortemente caratterizzata dalla costruzione della residenza coincidente con la costruzione della strada.
In altri momenti di costruzione della città si assiste alla perdita di rapporto tra il sistema del tracciato e l’aggregazione dei tipi edilizi: il sistema viario definirà forme e dimensioni degli isolati a priori, senza che queste corrispondano a ben definiti sistemi di aggregati degli edifici, costringendoli ad adattarsi a forme precostituite.
In una prima fase di lettura ci accorgiamo come un ruolo importantissimo sia stato svolto da moltissimi complessi religiosi quali chiese, conventi, confraternite: occupano porzioni di terreno molto ampie
condizionando la forma della città.
Un grosso rilievo nell’organizzazione dl tessuto urbano hanno anche i numerosi palazzi nobiliari con i significativi cortili, simbolo dell’affermazione di una potente classe mercantile; il loro inserimento nel tessuto urbano non altera il disegno degli isolati e quindi della rete viaria, anzi occupando più lotti o interi isolati garantiscono la validità della trasformazione.
Si può affermare che alla fine del medioevo, l’orditura dei tracciati e il disegno delle maglie urbane determinano una permanenza della morfologia urbana rafforzata nei secoli successivi dalla grossa qualità formale dei palazzi nobiliari e dai numerosi edifici religiosi.
MAGLIA URBANA DI PIAZZA PALAZZO
Fin dall’antichità questa zona è di tipo commerciale, definita tale dalla presenza di edifici religiosi e numerose botteghe; aggregate con una tipologia a schiera, molte locande e botteghe erano dislocate soprattutto nel locale. L’attuale Palazzo Comunale con la Torre Civica è la preminenza principale della città: simbolo dell’autonomia comunale determinerà con la sua costruzione il costruirsi di due piazze: una antistante il palazzo stesso e una denominata Piazza S. Margherita, con la chiesa omonima, il Palazzo del Conte e il Palazzetto dei Nobili. La significativa presenza del Palazzo, ponendosi fin dall’inizio come elemento ordinatore rispetto all’asse di Via Roma, determinerà i successivi interventi ottocenteschi.
Dopo il terremoto del 1703, fino a tutto l’800, questa parte di città rimane più o meno invariata nel disegno delle strade e degli isolati. Con lo sventramento operato dal Pian Tian (1917‐1931) si verranno a spaccare le relazioni tra centro civico e centro commerciale senza che su questo nuovo asse si venga ad attestare un’architettura qualificante.
Nelle immagini sotto riportate è possibile osservare la stessa parte di città nei diversi periodi storici, riconoscendo la permanenza degli edifici principali.
7‐8 La maglia urbana di Piazza Palazzo.
MAGLIA URBANA DI SANTA MARIA PAGANICA7
Questa seconda maglia non mostra di aver subito nel tempo alterazioni morfologicamente rilevanti. L’intero aggregato viene perfettamente strutturato tra i margini degli assi principali e il sistema della rete secondaria di collegamento che organizza la lottizzazione. Esso, tranne alcune trasformazioni applicate a dei tipi edilizi, ci perviene compatto fino ad oggi poiché, all’interno di una dialettica dei percorsi, la preesistenza di quelli principali condiziona notevolmente l’aggregazione degli edifici.
La piazza, la fontana, la chiesa, edificate nei primi anni del XVI sec, contribuiscono a definire il disegno degli isolati, che assumono una corrispondenza dimensionale con l’intero tessuto.
La piazza sembra porsi come vuoto risultante da un processo per sottrazione dal disegno continuo della chiesa e degli isolati, i quali si dispongono con il lato più lungo parallelo a Via Roma. Una diversa disposizione viene assunta invece da quelli che si attestano su Via Garibaldi, poiché legati ad una seconda fase di realizzazione.
Per quanto riguarda il processo di trasformazione dei vari isolati, per la loro forma regolare si ipotizza che seguano (ad eccezione di chiese e palazzi nobiliari), le normali leggi evolutive che dalla tipologia a schiera hanno portato il tessuto allo stato attuale. Il modulo dell’aggregato è il lotto, di forma rettangolare, disposto con il lato corto verso il fronte strada e i lati lunghi perpendicolari all’asse stradale. La forma rettangolare del lotto è di conseguenza collegata all’organizzazione dei percorsi, in modo che questi ultimi possano così servire il maggior numero di edifici con il minor sviluppo lineare. 7‐9 La maglia urbana di Santa Maria Paganica.