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Capitolo secondo LA GRAMMATICA 1. Il miracolo.

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Capitolo secondo

LA GRAMMATICA

1. Il miracolo.

Nel passaggio dal primo al secondo libro della Stella Rosenzweig avverte la necessità di calare tutta l‟argomentazione svolta fino a questo punto nella dimensione del reale; la riflessione filosofica risulta, infatti, impotente di fronte a questo compito. Solo attraverso la parola teologica si può davvero iniziare a parlare del «percorso o mondo incessantemente rinnovato»72. Anche la seconda parte della Stella è suddivisa in tre libri ed è preceduta da un‟Introduzione73

. Proprio sotto il titolo ritoviamo la scritta in theologos!74: questa espressione ci fa capire contro chi si rivolge questa parte75. In questa premessa Rosenzweig affronta la questione del miracolo. Il concetto di miracolo può essere paragonato a quello di „profezia‟76. Rosenzweig critica le concezioni correnti di miracolo, ovvero quelle che vedono il miracolo come „eccezione‟ della natura, il miracolo come magia e il miracolo basato sulla figura del testimone77.

72

Si tratta del mondo presente. Cfr. SR, p. 93.

73

Ivi, p. 95.

74

Ibidem. Ricordo che nella prima Introduzione Rosenzweig si era scagliato contro i filosofi. Cfr. SR, Sulla possibilità di conoscere il Tutto, in philosophos!, p. 3.

75

Rosenzweig critica la teologia liberale; cfr. capitolo primo e F. Rosenzweig, Teologia atea, in La Scrittura.., cit., pp. 229-240.

76

Cfr. SR, p. 97. Per il concetto di miracolo cfr. Fabris, op. cit., p. 96.

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L‟„Illuminismo‟ è un periodo storico nel quale il pensiero ha cercato di inglobare ciò che era eccedente, compreso il miracolo; a questo proposito Rosenzweig parla di tre „Illuminismi‟78

. Rosenzweig introduce il tema del miracolo proprio perché egli concepisce la Rivelazione stessa come miracolo, qualcosa di inspiegabile che, di fatto, è accaduto e che è stato predetto:

«[..] la rivelazione, davanti ai nostri occhi stupiti, riassume nuovamente l‟autentico carattere di miracolo, autentico in quanto diviene in tutto e per tutto l‟adempimento della promessa profetica avvenuta nella creazione. E la filosofia è la sibilla che, per il fatto di predirlo, rende il miracolo “segno”, lo rende segno della provvidenza divina»79. È assolutamente inconcepibile per Rosenzweig ricorrere ad una spiegazione di tipo razionale in questo ambito. Scrive Rosenzweig:

«Noi facciamo della fede in tutto e per tutto il contenuto del sapere, ma di un sapere che pone a fondamento di se stesso un concetto basilare della fede»80.

Rosenzweig decide di seguire un approccio particolare: quello linguistico- grammaticale. Solo la parola sarà in grado di „raccontare‟ l‟esperienza del miracolo e di uscire dal silenzio del pre-mondo:

«[..] ciò che nel pensiero era muto diviene sonoro nel parlare [..]»81.

78

Si tratta dell‟Illuminismo antico, dell‟Illuminismo rinascimentale e di quello moderno settecentesco. Ivi, pp. 100-101. 79 Ivi, p. 110. 80 Ivi, p. 105. 81 Ivi, p. 112.

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2. La Creazione e il monologo di Dio.

Il primo libro della seconda parte della Stella è dedicato alla Creazione. Si ha a questo punto una vera e propria Umkehrung, sia per quanto riguarda lo stile che il contenuto dell‟opera. Il libro inizia subito con la frase: «Dio parlò»82. Il percorso logico seguito nel pre-mondo adesso si inverte. Scrive Rosenzweig:

«Ciò che sfociava come „sì‟, scaturisce come „no‟, e viceversa, proprio come si possono estrarre le cose contenute in un baule nell‟ordine inverso a quello in cui sono state riposte»83.

Come abbiamo visto, il dio del pre-mondo con il „SÌ‟ aveva affermato la propria essenza infinita; attraverso il „NO‟ aveva, poi, fatto emergere la propria volontà libera84.

Durante il processo creativo questa volontà, libera ma al contempo necessariamente vincolata, non costituisce più un „NO‟, ma un „SÌ‟: la necessità divina è positiva, in quanto egli vuole (e crea) in base alla sua propria essenza85. Apparentemente sembra che la Creazione limiti il potere di quel dio che, a questo punto, possiamo chiamare Dio con la „D‟

82

Sul processo creativo cfr. Samuelson, op. cit, p. 70. Cfr. anche SR, p. 115 Gn 1, 1-3.

83

Ibidem.

84

«Il sì è l‟inizio. Il no non può essere inizio», ivi, pp. 26 e seg. L‟affermazione del dio mitico nel pre-mondo è un‟affermazione parziale, in quanto il „SÌ‟ ricade nel „NO‟ della negazione necessaria; si crea un circolo vizioso che determina la chiusura del dio verso l‟esterno. Secondo Schelling, invece, l‟affermazione di Dio parte con un „no‟; cfr. Schelling, Le età.., cit., p. 64.

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maiuscola86: il „NO‟ non rappresenta affatto un limite perché permette a Dio di affermarsi pienamente e di uscire dalla chiusura del proprio sé87. Paradossalmente solo la volontà „necessitata‟ permette a Dio di realizzare la propria libertà88.

Il processo creativo è un fenomeno che non riguarda però Allah, il Dio dell‟Islam. Rosenzweig, seguendo un approccio sistematico, nella seconda parte della Stella intende mostrare come nella religione islamica non esista né l‟idea di Creazione, né quella di Rivelazione, né quella di Redenzione. Allah è considerato da Rosenzweig un «despota orientale» il cui «arbitrio non conosce necessità»89.

L‟idea di Creazione fa sì che il mondo esprima tutta la propria peculiarità; il percorso, anche per il mondo, si inverte: passare dal „SÌ‟ al „NO‟ significa per il mondo affermarsi come «creatura»90: la propria legge interna corrisponde adesso al Logos divino. Tuttavia il mondo prosegue il proprio percorso di sviluppo, percorso che si concluderà solo con la Redenzione:

86

Si tratta del Dio ebraico-cristiano che attraverso la Creazione esce dalla dimensione mitica.

87

Cfr. SR, p. 118.

88

Dio può volere ciò che deve. Questo concetto ricorda la concezione della libertà in Kant; infatti la libertà è sia un postulato che una conseguenza della legge morale: l‟uomo è libero di agire ma è davvero libero solo se segue l‟imperativo categorico. Cfr. I. Kant, Critica della ragion pratica, BUR, Milano 1992. Su questo tema cfr. anche Rosenzweig, «Cellula originaria».., in La Scrittura.., cit., p. 247 e D‟Antuono, art. cit., pp. 711-713.

89

Cfr. SR, pp. 120-121. Su questo tema cfr. anche la rivista «Filosofia e teologia», XIV (2000), n. 2, pp. 276-277.

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«Quest‟essenza che include ogni particolarità ma è, per se stessa, universale e si riconosce ad ogni istante come un intero, è l‟esserci. Contrapposto ad essere, l‟esserci significa l‟universale che è ripieno di particolare e non è sempre e dovunque, bensì (contagiato in questo dal particolare) deve incessantemente divenire nuovo per conservare la propria esistenza»91.

Anche quando parla del mondo, Rosenzweig fa riferimento all‟Islam. Allah arriva con il proprio potere fino alle singole cose: non c‟è spazio, quindi, per l‟autonomia della natura92.

Abbiamo visto che nella Creazione Dio evoca l‟„esserci‟ del mondo ed esso si rivela nella sua creaturalità; è evidente, a questo punto, che il linguaggio della matematica non può più funzionare; esso era perfetto nel pre-mondo, in quanto in grado di esprimere la chiusura e la totale autonomia dei tre elementi. Ora le equazioni non sono più capaci di rimandare alle relazioni, ai rapporti che Dio, mondo e uomo iniziano ad instaurare93. Così come l‟arte è il linguaggio soggettivo del pre-mondo, la matematica rappresenta quello oggettivo94. Il linguaggio del mondo reale sarà quello della grammatica95:

«Dalle parole originarie mute, puramente pensate [..], devono scaturire parole udibili, parole-matrici».

91

Ivi, p. 124.

92

«In ogni istante tutto l‟urto della potenza creatrice di Dio si scarica sul singolo ente»; ivi, p. 126.

93

Ivi, pp. 127-129.

94

Ibidem. In Schelling, invece, è l‟intuizione artistica ad avere valore oggettivo. Cfr. W. F. Schelling, Sistema dell’idealismo trascendentale, a cura di G. Boffi, Bompiani, Milano 2006, p. 573.

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Queste parole-matrici (Stammworte) sono le categorie della grammatica: un esempio è il sostantivo96. Altre parole-matrici sono l‟aggettivo, esprimente qualità, e il pronome: quest‟ ultimo individua la cosa97. Grazie all‟articolo determinativo, poi, la cosa viene „fissata‟. Il nome proprio ha un ruolo fondamentale, in quanto specifica l‟individuo, rapportato alla molteplicità98. Tutte queste parole combinate tra loro vanno a formare delle proposizioni matrice (Stammsätze). Precisa Rosenzweig:

«Dopo che il mondo, apparsoci all‟inizio pura qualità, un caos di qualità, si è riempito di cose ed è quindi divenuto oggetto, noi ci rivolgiamo di nuovo all‟inizio, alla qualità»99.

Nell‟aggettivo „buono!‟ è implicito anche il verbo essere; il verbo, essendo rapportato al tempo, indica processualità. Il mondo è una creatura e, così come la potenza di Dio, è un «esser-già-qui»100; esso è un continuo accadere, un interrotto „farsi‟: ogni singolo elemento intrattiene sempre una relazione con la propria specie. Rosenzweig non accetta il concetto di „produzione‟, caro alla logica idealistica. Secondo l‟idealismo, il mondo

96

Ibidem.

97

Per approfondire la questione del pronome cfr. D. Di Cesare, Per una filosofia dei pronomi, in «Teoria», Il futuro del «nuovo pensiero». In dialogo con Franz Rosenzweig, XXVIII (2008), n.1. pp. 137-147.

98

Cfr. SR, pp. 131-132. Rosenzweig sottolinea l‟importanza del nome proprio anche nello scritto Dell’intelletto comune sano e malato, cit., pp. 51-53; sul tema del nome cfr. anche B. Sellinger, Storicità e linguaggio nella «Stella della Redenzione» di Franz Rosenzweig, in A.A. VV., Stella errante. Percorsi dell’ebraismo fra Est e Ovest, il Mulino, Bologna 2000, p. 412.

99

Cfr. SR, p. 133.

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risulta essere, seguendo il linguaggio matematico, un A=B101. A=A è infatti l‟„Io‟, l‟„Idea‟, lo Spirito Assoluto. Il mondo, secondo questa concezione, è solo una derivazione del Logos, quindi viene di conseguenza sminuito102.

Anche l‟espressione «filosofia della religione»103 non ha alcun senso per Rosenzweig, poiché non è concepibile che il concetto di Rivelazione possa venir dedotto da idee filosofiche. Come vedremo, la Creazione si può davvero comprendere solo a partire dall‟evento centrale della Rivelazione104, procedendo a ritroso: solo a quel punto sarà possibile concepire la Creazione come anticipazione del miracolo, ovvero come „profezia‟.

3. Genesi 1.

Dopo aver esposto la teoria dell‟arte legata alla Creazione105, Rosenzweig fa l‟analisi grammaticale di Genesi 1106

. Il libro della Genesi si apre con

101

Ivi, pp. 138-142 e pp. 144-149.

102

Pensiamo al „non-Io‟ fichtiano che l‟ „Io‟ deve superare.

103

Cfr. SR, pp. 143-144. Nello scritto Il nuovo pensiero Rosenzweig afferma che la parola „religione‟ compare uan sola volta nella Stella e che «Dio ha creato il mondo e non la religione»; cfr. Rosenzweig, Il nuovo pensiero.., in La Scrittura.., cit., p. 258 e p. 274.

104

Cfr. SR, pp. 143-144.

105

Cfr. capitolo quinto.

106

Cfr. SR, p. 155. Il racconto della Creazione dona voce al „SÌ‟ originario di Dio; cfr. M. Crépon, Les promesses du langage. Benjamin, Rosenzweig, Heidegger, J. Vrin, Paris 2001, pp. 142-143 e p. 147.

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l‟espressione «in principio»107

. L‟aggettivo „buono‟(tov) ricorre ben sei volte e conclude ciascun giorno della Creazione:

«L‟esserci viene affermato quando Dio dice “buono!” del proprio operato; egli lo ha fatto, è buono»108.

Il tempo che domina nel racconto è il passato; la narrazione si svolge alla terza persona singolare: «egli creò», «egli disse», «egli separò», «egli vide»109. La Creazione avviene tra l‟„egli disse‟ di Dio e la „cosa fu‟ del mondo. Se si considera Dio come soggetto, cielo e terra sono sostantivi che ricoprono il ruolo di complemento oggetto; sono invece dei soggetti se formuliamo la proposizione al passivo. Gli articoli determinativi circoscrivono la cosa, le donano specificità e forma spaziale110. Il tempo passato viene evocato attraverso il verbo descrittivo „era‟.

Riportiamo il passo:

«In principio, quando Dio ebbe creato il cielo e la terra, la terra era deserta ed era vuota, e tenebra sopra l‟abisso e lo spirito di Dio covante sopra le acque»111

.

Da notare il participio «covante» che descrive lo «spirito di Dio»112: solo nel momento in cui Dio parla si dischiude completamente il processo creativo. Si passa poi dal verbo all‟imperfetto «era» all‟imperativo presente

107

Im Anfang in tedesco, Bere’ shît in ebraico; cfr. SR, p. 155 e Gn 1, 1. Cfr. anche Joh,1,1 in cui ritroviamo la famosa espressione «in principio era il Verbo».

108 Cfr. SR, p. 155. 109 Ibidem. 110 Ivi, p. 156. 111

Ivi, p. 157 e Gn 1, 1-2. Cfr. anche Schelling, Le età.., cit., p. 166.

112

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«sia»: «Dio disse: “sia fatta la luce”»113. Ancora non è Dio che parla, persiste una certa impersonalità nelle parole di questo „illud‟. L‟imperativo presente diventa tuttavia più „soggettivo‟ quando viene espresso alla prima persona plurale: «facciamo un uomo»114; qui Dio dialoga con se stesso. «Uomo» rimanda al nome proprio Adam, il quale si riferisce all‟intero genere umano. Adam viene creato a immagine e somiglianza di Dio ma è creato muto. Egli viene definito da Dio con un aggettivo particolare: «molto buono»115. Questo „molto‟ fa presagire un carattere ultraterreno nell‟uomo e ritorna il richiamo della morte:

«“Proprio molto”: questa è la morte»116.

Nella Creazione, dunque, Dio comincia ad aprirsi ma rimane ancora chiuso in sé perché parla solo con se stesso. La Creazione è solo un primo accenno di manifestazione del divino verso l‟esterno: creare significa potenziare l‟essere di Dio. L‟uomo è il prediletto: la morte rappresenta per lui un morire per la vita, è ciò che lo caratterizza nel profondo, in quanto la sua realizzazione si avrà solo oltre la vita terrena. Dio crea attraverso la parola. 113 Ivi, p. 158 e Gn 1, 3. 114 Ibidem e Gn 1, 26. 115 Ibidem e Gn 1, 31. 116 Ivi, p. 160.

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Scrive Fabris:

«Il linguaggio che viene considerato nella seconda parte dell Stella è quindi una lingua reale in quanto s‟incarna in parole e frasi effettivamente pronunciate, può essere definita nella sua struttura grammaticale e tenta di cogliere la realtà nella sua particolare concretezza»117.

4. Tzimtzum.

Abbiamo visto come il processo creativo sia un evento che permette a Dio di affermarsi. La Creazione ricorda la teoria kabbalistica dello Tzimtzum, secondo la quale Dio dapprima si nega contraendosi e poi si estrinseca118. La radice della parola è smsm, significa «velarsi-nascondersi-coprirsi»119. Scrive Busi:

«Il limitarsi della natura infinita del signore in un ambito circoscritto è uno dei temi centrali del simbolismo religioso»120.

Rosenzweig fa direttamente riferimento alla Kabbalah di Isaac Luria121 nella «Cellula originaria» della Stella, la lettera scritta a Rudolf Ehrenberg nel 1917.

117

Cfr. Fabris, op. cit., p. 113.

118

Cfr. Belloni, op. cit., pp. 125-131 e S. Mosès, Système et Révélation. La philosophie de Franz Rosenzweig, préface d‟Emmanuel Lévinas, Éditions du Seuil, Paris 1982, p. 37. Habermas, parlando della concezione di Dio in Schelling, fa riferimento a Luria; cfr. J. Habermas, Theorie und Praxis, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1978, p. 185.

119

Cfr. G. Busi, Simboli del pensiero ebraico, Einaudi, Torino 1999, p. 390 e Bertolino, op. cit., p. 130.

120

Cfr. Busi, op. cit., p. 391. Busi parla anche anche dello Simsum di Isaac Luria; ciò che conta è la spazialità: la luce si diffonde solo contraendosi dalle tenebre e si riversa sui vasi; cfr. p. 395.

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Scrive Rosenzweig:

«Così in Dio vi “è” prima di ogni relazione, tanto con il mondo che con se stesso, e solo questo essere di Dio, totalmente anipotetico, è il punto germinale della realtà di Dio, ciò che Schelling, a cui [..] tu naturalmente devi avere costantemente pensato, chiama l‟ “oscuro fondo” (dunkeln Grund), ecc., un internarsi (Verinnerung) di Dio che antecede non soltanto il suo autoestrinsecarsi, ma persino il suo sé (come insegna, a quanto ne so, la kabbala luriana; te ne parlai un giorno)»122.

È significativo che Rosenzweig nomini anche Schelling. Questi parla della «volontà di contrazione» nelle Età del mondo123 e nelle Ricerche sull’essenza della libertà umana scrive:

«Il seguire delle cose da Dio è un‟auto-rivelazione di Dio»124.

La brama di Dio si ritira in se stessa per far sorgere il nascosto barlume di luce125; Dio è «[..] un‟unità vivente di forze»126; Egli si esprime come intelletto e come eterno spirito. In Dio (come nell‟uomo) convivono due aspetti: quello del volere come fondamento e quello del volere amorevole127. Nella Creazione si afferma il principio tenebroso del fondamento, il male, il negativo; nella Rivelazione, invece, predomina l‟amore; come si vede, in Schelling è presente in Dio stesso un „fondo

121

Isaac Luria è un kabbalista della scuola di Safed vissuto nel quindicesimo secolo. Hayyim Vital riporta gli insegnamenti di Luria nel Es hayym (L‟albero della vita).

122

Cfr. Rosenzweig, «Cellula originaria».., in La Scrittura.., cit., p. 245. Rosenzweig parla anche della mistica, ivi, p. 256.

123

Cfr. Schelling, Le età.., cit., p. 177.

124

Cfr. F.W.J. Schelling, Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi sono connessi, Guerini, Milano 1997, p. 44.

125 Ivi, p. 58. 126 Ivi, p. 89. 127 Ivi, p. 70.

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oscuro‟128

(espressione usata nella «Cellula» anche da Rosenzweig), necesssario per l‟affermazione del bene:

«Questo invero è lo scopo finale della creazione, che sia per sé ciò che non potrebbe esserlo, in quanto viene elevato all‟esistenza dalle tenebre, come da un fondamento indipendente da Dio129.

Secondo il pensiero di Luria, in Dio si verifica un‟autocontrazione: l‟Infinito (En Sof) si contrae per lasciar spazio al finito. Nel processo di emanazione i vasi che trasmettevano la luce divina si sono rotti e i frammenti di questa luce sono rimasti prigionieri del mondo materiale. Compito dell‟uomo è far sì che le scintille ritornino ai livelli superiori: fondamentale risulta essere, quindi, l‟azione morale dell‟uomo nel mondo. L‟internarsi di Dio precede il suo estrinsecarsi: Dio con la Creazione nega il proprio „NO‟ e si afferma130

.

Gerschom Scholem intende il concetto di Tzimtzum (o Zimzum) come «selbst beschränkung Gottes»131: Dio arretra volontariamente per amore. A questa idea si collega quella di Shebira, ovvero la rottura dei vasi, e quella di Tikkun, la purificazione degli elementi maligni e il ritorno a Dio. Scholem commenta l‟opera di Rosenzweig del 1925, Il nuovo pensiero132

.

128

«Anche in Dio vi sarebbe un fondamento di oscurità [..]»; ivi, p. 93. Cfr. anche Mosès, op. cit., p. 54 e Rosenzweig, «Cellula originaria».., in La Scrittura.., cit., p. 245.

129

Cfr. Schelling, Ricerche filosofiche.., cit., p. 98.

130

In matematica la negazione di una negazione è un‟affermazione.

131

Cfr. G. Scholem, Zur Kabbala und ihrer Symbolik, Rhein-Verlag, Zürich 1960, pp. 148-150.

132

Cfr. G. Scholem, Franz Rosenzweig e il suo libro, in Il nuovo pensiero, Arsenale, Verona 1983, pp. 73-98.

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Qui Scholem sottolinea l‟importanza della Kabbalah133

e, in particolare, mette in evidenza il fatto che il pensiero di Rosenzweig sia stato molto influenzato dalla tradizione kabbalistica. Scrive infatti Scholem:

«Rosenzweig quando parla della lingua e del pensiero legato al tempo, raggiunge la profondità della tanto vituperata Kabbala»134.

E ancora:

«Tra Rosenzweig e i kabbalisti non c‟è che questa benché minima differenza: gli antichi chiamavano Kabbala ciò che Rosenzweig e gli altri chiamano esperienza»135.

Anche Mosche Idel espone in un saggio i punti di possibile contatto tra la teologia di Rosenzweig e la mistica antica136. È Rosenzweig a riportare in

Teologia atea una massima appartenente ad un kabbalista:

«Non è un caso che quella famosa affermazione centrale del maestro della Kabbalah: „Dio dice: se voi non mi rendete testimonianza, io non sono‟ venga espressa appunto come parola di Dio e, con artifici esegetici, la si pretenda presente anche nella parola di Dio scritta, è Dio stesso a rendersi dipendente dalla testimonianza dell‟uomo»137.

133

«Ed è proprio nella kabbala, nelle sue più recenti forme dialettiche, che si può individuare il luogo teologico in cui, per l‟epoca a noi più vicina, vanno cercate le vere risposte alle questioni sollevate dell‟esistenza ebraica», ivi, p. 84.

134

Ivi, p. 91.

135

Ivi, p. 92.

136

Cfr. M. Idel, Franz Rosenzweig and the Kabbalah, in P. Mendes-Flohr, The Philosophy of Franz Rosenzweig, pp. 162-171, tr. it. Franz Rosenzweig e la Kabbalah, in «Filosofia e teologia», XIV (2000), n. 2, pp. 256-267. Idel ha recuperato il filone della Kabbalah estatica, nella quale il linguaggio ha una funzione strumentale performativa. Abulafia (1240-1291) è considerato il fondatore di questa corrente; cfr. M. Mottolese, Simbolico e mitico negli sviluppi della tradizione ebraica, in «Teoria», Percorsi dell’ebraismo, XVIII (1998), n. 2, pp. 79-80.

137

Cfr. Idel, op. cit., p. 258. Idel precisa che questa massima è di di Rabbi Simeon bar Yochai, autore dello Zohar.

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Rosenzweig vuole proporre un‟alternativa alla teologia „atea‟ e mostrare come lo stretto rapporto tra uomo e Dio sia espresso da Dio stesso. L‟idea di unificazione (Shekhinah) risente fortemente della tradizione kabbalistica138.

Scrive Rosenzweig:

«Tra il „Dio dei nostri padri ed „il resto di Israele‟ la mistica getta il suo ponte con la dottrina della Shekhinah. La Shekhinah, il discendere di Dio tra gli uomini e il suo abitare tra loro, viene rappresentato come una scissione che avviene in Dio stesso. Dio stesso si separa da sé, si dona al suo popolo (…) L‟idea del vagare della Shekhinah, delle scintille della luce divina originaria che ritrova dispersa nel mondo, getta tra il Dio giudaico e l‟uomo giudaico l‟intera rivelazione e così li ancora entrambi, Dio e il resto di Israele, all‟intera profondità della rivelazione»139.

Il tikkun esprime invece il concetto di Redenzione140. Rosenzweig aveva parlato di Luria a Cohen in una lettera del 1917141 e, come abbiamo visto, ne parla anche nella Urzelle. Nella Stella della Redenzione Rosenzweig sembra opporre alla teoria negativa di Eckhart, Böhme e Schelling ladottrina mistica luriana. L‟infinita natura divina «[..] Non è né l‟oscuro fondamento, né null‟altro che possa essere denominato con i termini di Eckhart, di Böhme o di Schelling»142. Idel precisa che Rosenzweig apprezza la Kabbalah lurianica in quanto questa evita l‟antropomorfismo, a

138 Ivi, pp. 260-261. 139 Cfr. SR, p. 438. 140

Cfr. Idel, op. cit., p. 261.

141

Ibidem.

142

Anche le parole „SÌ‟ e „NO‟ vengono usate nella Kabbalah per simbolizzare il processo del divenire di Dio; ivi, p. 262-263. Cfr. anche SR, pp. 28-29.

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differenza della «Kabbalah ai vertici del suo sviluppo e la tarda

Kabbalah»143. Si può notare come la Kabbalah abbia dato degli spunti interessanti soprattutto per quanto riguarda il concettto di „nulla‟ e il problema del male. Nel caso di Luria, il male è causato da una scissione cosmica che l‟uomo è chiamato a risolvere. Come abbiamo visto, la Creazione è un atto d‟amore di Dio: Dio decide di manifestarsi, Dio si dona. Il mezzo attraverso cui avviene questo processo è la parola, dabar in ebraico.

Giuseppe Zarone mette in evidenza la differenza tra il logos di Atene, «specifica razionalità dell‟ordine discorsivo» e il dabar di Gerusalemme, «parola profetica»144. Il logos privilegia inevitabilmente l‟ambito umano; il

dabar, parola-azione, quello divino: Dio parlando crea, realizza. C‟è

tuttavia, secondo Zarone, un terreno di incontro tra queste due dimensioni: quello della Erfahrung145, ovvero l‟esistenza umana vissuta concretamente. Solo nel vivere quotidiano possono convivere la riflessione umana e la presenza di una realtà superiore, che potremmo definire anche come

Logos146, con la „L‟ maiuscola. Davvero allora solo la teologia, secondo il

143

Cfr. Idel, op. cit., p. 267.

144

Cfr. G. Zarone, Il discorso e la parola. Parabola del senso tra Atene e Gerusalemme, ESI, Napoli 1997, p. 58.

145

Su questo tema cfr. il capitolo terzo, p. 54.

146

Si tratta di una dimensione che fa sì che le cose siano. Cfr. Zarone, op. cit., p. 157. Non bisogna confondere questo Logos con quello hegeliano, altrimenti si ricade nell‟errore che da sempre ha commeso la filosofia occidentale, intrinsecamente „atea‟.

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pensiero rosenzweighiano, può illuminare il percorso della filosofia. Secondo Zarone «soltanto il più vecchio può essere davvero nuovo»147.

Non è possibile, secondo Rosenzweig, ridurre i fenomeni teologici a fenomeni umani; questo è ciò che ha fatto il cristianesimo con la Leben

Jesu- Theologie e l‟ebraismo con la Juden Volks- Theologie148. Questa

teologia, che Rosenzweig definisce „atea‟, è sbagliata, in quanto ha cercato di soffocare la dimensione del trascendente. Non si tratta di chiudere definitivamente con la filosofia, ma di riscoprirla alla luce della teologia. Il „nuovo pensiero‟ è un tentativo di ridare un senso alla realtà, dopo la „morte di Dio‟ annunciata da Nietzsche e la catastrofe della prima Guerra mondiale. Rosenzweig decide di ritornare alle origini, di riscoprire contenuti forse fin troppo scontati e decide di farlo avvalendosi del sostegno della religione ebraica. Perché convertirsi? Perché aver bisogno, come i cristiani, di una figura che intercede per loro?149.

147

Ivi, p. 93.

148

Per approfondire cfr. Rosenzweig, Teologia atea e Zarone, op. cit., p. 100.

149

Nella lettera a Rudolf Ehrenberg del 31.10.1913 Rosenzweig dichiara: «[..] nessuno viene al Padre se non attraverso di lui [Joh 14, 6]. Nessuno viene al Padre – è però diverso se uno non ha più alcun bisogno di venire al Padre, perché è già presso di lui. E questo è il caso del popolo d‟ Israele [..]»; cfr. Rosenzweig, La radice che porta.., cit., p.16.

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