• Non ci sono risultati.

Capitolo II Geognosia, pasigrafia e paesaggi naturali tra scienza e arte

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo II Geognosia, pasigrafia e paesaggi naturali tra scienza e arte"

Copied!
59
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo II

Geognosia, pasigrafia e paesaggi naturali tra scienza e arte

§ 1

Una prima applicazione geologica del metodo humboldtiano

Abbiamo accennato nel capitolo precedente al ruolo fondamentale da attribuirsi alle lezioni che lo scienziato nettunista Werner promulgava all’Accademia di Freiberg per lo sviluppo di un preciso approccio allo studio della natura da parte di Humboldt. Era stato quest’ultimo a riconoscere il merito di Werner nell’applicazione di una nuova tipologia di ricerca in campo geologico, non limitata alla raccolta e classificazione di reperti, ma diretta a comprendere la distribuzione geografica dei tipi mineralogici in base alla configurazione stessa della crosta terrestre e alle sue modificazioni, così come individuabile nelle forme minerali presenti sul globo. Non ci interessa in questa sede approfondire le ragioni pro o contro la spiegazione “nettunista” delle formazioni geologiche professata da Werner – presupposto che chiaramente influisce sulla spiegazione generale del problema dell’origine della terra – né la vicenda del progressivo distacco di Humboldt dalle posizioni del maestro a seguito dei dati che l’esploratore tedesco aveva rilevato in molteplici analisi e sondaggi dei suoli in prossimità di vulcani dei due continenti.1 Vogliamo però rimarcare come il modello di indagine geognostica (cioè di geognosia) proposto da Werner nella classificazione dei minerali sia il presupposto per l’applicazione di un preciso linguaggio scientifico nelle indagini promosse da Humboldt per il problema della distribuzione geografica di minerali, piante e animali. Werner aveva infatti classificato i minerali secondo la loro

1 Come è noto, a seguito delle diverse esperienze di perlustrazione e sondaggi eseguite da Humboldt in

prossimità di vulcani europei e sud americani dal 1799 al 1805, la posizione dell’esploratore tedesco sul tema del nettunismo andò progressivamente allontanandosi dalla quella di Werner. Erano state infatti le analisi geomorfologiche sulle creste dei vulcani, nei fondi valle e nei crateri in attività o spenti (Vesuvio e Pic de Tenerife per l’Europa e i vulcani andini per l’America centro meridionale), che avevano evidenziato la progressiva stratificazione rocciosa nei secoli attraverso il raffreddamento di materia incandescente, insieme ai dati relativi all’innalzamento repentino delle coste svedesi, cui Humboldt era venuto in possesso attraverso ricerche di altri studiosi, a far propendere definitivamente lo scienziato berlinese verso la spiegazione “vulcanista” della formazione terrestre. La biografia internazionale a proposito di questo importantissimo tema che segnò una vera e propria svolta nella geologia di fine Settecento è sterminata. Si indicano due testi effettivamente consultati, cui si rimanda per le indicazioni bibliografiche: Engelhardt, W. von, Morphologie im Reich der steine, in In der Mitte zwischen Natur und

Subject, hsgb. von G. Mann et alii, Kramer, Frankfurt a. M. 1992 e Vaccari, E., La geologia di Goethe tra nettunismo e vulcanesimo, relazione presentata al convegno “Goethe: il dialogo tra natura e cultura”,

(2)

disposizione in file o localizzazione in agglomerati, attraverso le nozioni di Reihung (allineamento) e Mischung (miscela, composto). Queste erano le categorie entro le quali i geologi avrebbero potuto classificare universalmente i reperti, con la particolarità però che la nozione di Reihung presupponeva l’osservazione delle transizioni (Übergange) tra i minerali e le caratteristiche comuni dei i diversi reperti, e quella di Mischung, dall’altro lato, cioè di composizione, presupponeva invece la comprensione del rapporto tra l’aspetto esterno del minerale, visibile a occhio nudo, e gli effetti che agenti chimici potevano avere sugli agglomerati stessi, a partire da quello più banale dell’ossidazione atmosferica. Da Werner Humboldt eredita soprattutto l’idea di poter classificare rocce e minerali, quindi anche intere formazioni montuose, a partire dai loro caratteri esterni, ma anche il presupposto epistemologico che sta alla base dell’intero sistema classificatorio: la possibilità cioè di operare generalizzazioni in grado di spiegare singoli casi particolari.2 Nella visione di Werner le rocce potevano appartenere unicamente a due gruppi: ai graniti – rocce primordiali originatesi dalla cristallizzazione di un fluido3 – o al basalto, sempre interpretato come un cristallo formatosi dalla solidificazione di materiale liquido per deossidazione.4 Qualche anno dopo il corso accademico dato alle stampe da Werner a fine Settecento, Humboldt, di stanza a Città del Messico, nel pieno del proprio viaggio sud americano, legge all’École Royale des Mines alcune “idee sulla pasigrafia geognostica”: una piccola memoria nella quale per la prima volta si trova spiegazione del significato concreto dell’applicazione del metodo pasigrafico nella scienza e dove si intuisce come la metodologia professata da Werner possa avere un’utile applicazione anche alle forme di vita vegetali.5 All’interno del nostro percorso è significativo mettere in luce come venga usata la “pasigrafia”, lingua simbolica artificiale di carattere universale, per poter comunicare i risultati di decine di osservazioni in campo mineralogico che Humboldt aveva compiuto dal 1793 e per tutto

2 Cfr. Werner, G. A., Kürze Klassifikation und Beschreibung der verschiedenen Gebirgsarten,

Waltherische Hofbuchahandlung, Desdren 1787.

3 Nella visione di Werner il granito è una sorta di roccia primordiale originatasi da un processo non

traumatico o catastrofico, come può essere l’eruzione di un vulcano o un terremoto, bensì da un lento processo di formazione che avviene in ambiente acquatico o per prosciugamento dell’acqua.

4 Anche per i basalti, che sappiamo oggi essere una roccia di tipo effusivo formatasi dal raffreddamento

del magma primario presente nel mantello terrestre, Werner ritiene che non vi sia nessun collegamento con l’azione vulcanica. Questa idea si era sviluppata dalla constatazione che spesso le colonne basaltiche – oggetto di grande interesse nel Settecento per la loro forma pittoresca e rappresentate nelle tavole di molti testi di viaggiatori – si trovano lontano da vulcani in attività o spenti.

5

Per tutte le argomentazioni di questo paragrafo faremo riferimento al testo humboldtiano: Essay de

Pasigraphie geologique dressée à l’usage de l’Ecole Royale des Mines du Mexique, (manoscritto in 4°,

1803/1804) pubblicato in: Beck, H., Alexander von Humboldt “Essay de Pasigraphie”, Mexico

(3)

il viaggio sud americano. A fronte dei numerosi dati che l’esploratore tedesco andava raccogliendo, il problema, in campo geologico come in quello botanico, era quello di interpretare tali dati, ma anche coniare un nuovo metodo per comunicare tutta una serie di ricerche in ambito naturalistico. Questa esigenza di trovare un linguaggio mai usato primo nella scienza, che potesse superare le modalità consuete di comunicazione (trattati, elenchi, inventari di oggetti naturali, descrizioni di esperimenti in forma di cronaca), doveva essere un tema pressante per Humboldt, che già nelle sue ricerche elettromagnetiche aveva tentato di istituire un simbolismo in grado di presentare efficacemente gli esiti dei propri esperimenti. Nel 1797, nel famoso testo su galvanismo ed eccitabilità animale nel quale prendeva una posizione intermedia nella disputa Galvani Volta sulla natura dei fenomeni elettrici,6 l’autore aveva istituito alcuni simboli convenzionali per descrivere in maniera immediata, e grazie anche all’impatto visivo delle illustrazioni nel testo, i fatti di “laboratorio” accuratamente spiegati in sede introduttiva. Le immagini, i simboli adottati e gli schemi convenzionali dei circuiti avrebbero potuto fornire resoconti precisi delle prove effettuate e dei risultati ottenuti. È nelle pagine di questo lavoro che per la prima volta si fa concretamente uso di un linguaggio “pasigrafico”, un linguaggio che si rifà in questo caso al simbolismo matematico e alla notazione alfabetica, strumenti “linguistici” ritenuti da Humboldt in grado di essere compresi senza difficoltà interpretative da qualsiasi lettore. L’idea di coniare una lingua nuova emergeva dal presupposto che «né la lettura più attenta dei capitoli, né l’esame delle didascalie possono mettere lo studioso in grado di abbracciare l’insieme dei fatti che sono esposti»7. I limiti del metodo espositivo “classico” delle opere di argomento scientifico – alla fine del Settecento: trattati, dissertazioni accademiche e comunicazioni in bollettini e riviste – possono essere quindi superati soprattutto dall’utilizzo di segni convenzionali presi a prestito dalla matematica, unica disciplina in grado di «presentare un gran numero di preposizioni (cioè di tesi) con un ridotto numero di segni»8. Il progetto culturale è di grande importanza perché sottende, da un lato, una svolta “semiotica” in campo scientifico e, dall’altro, assegna all’aspetto visuale un ruolo fondamentale, come si può riscontrare all’interno dei capitoli in cui sono numerosi i riferimenti alle figure nel testo. Le immagini sono pertanto più che

6 Fondamentale a riguardo: Agazzi, E., The impact of Alessandro Volta on German Culture in «Nuova

Voltiana», vol. 4, 2000, pp. 41-51.

7 Humboldt, A. von, Experiences sur le galvanisme et en général sur l'irritation des fibres musculaires et

nerveuses, trad. fr. cit., pp. 85-86.

8

(4)

elementi sussidiari all’argomentazione ed anzi hanno un forte ruolo esplicativo nell’economia del testo, proprio perché rimandano a specifiche formule contenute nei capitoli nei quali vengono descritti singolarmente gli esperimenti sui circuiti elettrici. Solo in conseguenza di un ruolo predominante di simboli (in questo caso lettere alfabetiche corrispondenti a formule elettrochimiche) e figure, sarà possibile – ritiene Humboldt – «esprimere in poche righe, tutte le condizioni del galvanismo così come le ho osservate, e di ridurle, in qualche modo, a delle idee fondamentali»9. Indicando infatti le formule dei circuiti galvanici riprodotti nelle tavole attraverso lettere alfabetiche l’autore è in grado anche di dare spiegazione degli esperimenti eseguiti, delle tipologie di conduttori e dei materiali utilizzati.10

Fig. 1

9

Ivi, p. 89.

10

Humboldt utilizza, per la descrizione dei circuiti galvanici, le lettere “P, p, H, h, Nerv., Muskel”. Il circuito risulta composto da nervi e gambe di rana (= “Nerv” e “Muskkel”) e da conduttori solidi, solitamente lastre metalliche (= P,p) o liquidi (= H, h). Per distinguere se i conduttori sono tra di loro in contatto ma non in circuito o se il circuito è chiuso Humboldt sottolinea le formule con una parentesi rovesciata verso l’alto o lascia le lettere senza alcuna sottolineatura. Cfr. Humboldt, A. von, Experiences

sur le galvanisme …, tr. fr. cit., p. 97:

+ Organisch verbundener Nerv und Muskel + Organisch verbundener Nerv und Muskel H + Nerv H h + Nerv P p + Nerv P + Nerv P H + Nerv P p + Nerv P p P + Nerv P H p + Nerv P H p H P

(5)

Questo tentativo di istituire una sorta di metalinguaggio scientifico attraverso la pasigrafia, che vediamo messa in pratica già dal 1797, e che vedremo realizzarsi pienamente durante il viaggio sud americano e nei testi a stampa pubblicati a seguito del viaggio, non era del tutto nuovo negli ambienti culturali tedeschi, dove già alcuni filosofi avevano dibattuto della necessità di assegnare alla scienza nuova linfa attraverso un ripensamento delle modalità di espressione utilizzate: personalità poliedriche come Fiedrich von Hardenberg per esempio, avevano parlato di Instrumentalsprache come mezzo per ridurre la descrizione della natura a pochi segni convenzionali e di poeticizzazione delle scienze.11 Nel saggio sulla “pasigrafia geognostica” troviamo però la spiegazione a questa esigenza, che evidentemente impegnava Humboldt anche durante il viaggio sud americano, quando cioè l’esploratore stava raccogliendo una serie così numerosa di notizie scientifiche cui sarebbe stato difficile far corrispondere un unico testo sintetico che restituisse appieno l’importanza dei numerosi riscontri nel laboratorio della natura.12 La geognosia è per un Humboldt la scienza che prende avvio dalla constatazione, tutta werneriana, che le stratificazioni rocciose, la loro età relativa e la loro identità, pur trattandosi di regioni geografiche lontane, siano passibili di un confronto, siano cioè soggette a quel procedimento comparativo, che solo mostrerebbe l’esistenza di leggi uniformi nella formazioni delle diverse sedimentazioni sul globo.13 Humboldt aveva iniziato ad applicare i principi della geognosia già nell’opera sulla flora sotterranea di Friburgo del 1793 continuando a fare uso, anche dopo il viaggio sud

11 Friedrich von Hardenberg (1772-1801), poeta e filosofo del primo romanticismo tedesco. Dopo aver

studiato giurisprudenza, matematica e filosofia a Lipsia, conosce F. Schlegel. Si interessa di poesia antica e studia contemporaneamente scienze naturali frequentando anche l’Accademia mineraria di Freiberg tra il 1797 e il 1798. Successivamente si occuperà principalmente di poesia scrivendo numerose opere letterarie che gli valsero la stima di Schiller e di Goethe. Fu il paladino di una poesia come sintesi fra filosofia della natura e sapere scientifico e teorizzò la necessità di un fondare una notazione simbolica (Experimentencalcul) in grado di spiegare in termini univoci gli esiti di varie discipline sperimentali. Cfr. per una comprensione generale del problema di una nuova lingua poetico-scientifica in ambito tedesco: Henderson, F., Practical knowledge in Romantic ordering of nature: Werner’s geognostical method,

Humboldt’s “pasigraphie”, Novalis “Instrumentalsprache”, and the encyclopaedism of the individual, in

«Algorismus», num. 23, 1998 (proceeding of the International Symposium on the History of Mineralogy, Petrology and Geochemistry, Munich, March 8-9, 1996), pp. 131-146.

12 In diversi luoghi dell’opera di Humboldt viene affrontato questo problema, di come rendere cioè più

efficace possibile la diffusione delle scoperte effettuate nei cinque anni di viaggio. Il problema maggiore sembra quindi essere quello dell’organizzazione dell’intera opera. Humboldt scrive infatti nella sua “Relazione Storica” al Viaggio alle regioni equinoziali …, tr. it. cit: «Nelle memorie destinate ad approfondire i diversi oggetti delle nostre ricerche, il Signor Bonpland ed io abbiamo tentato di considerare ciascun fenomeno sotto differenti profili ed aspetti, registrando le nostre osservazioni secondo i possibili collegamenti che essi offrivano tra loro. […] Adottando un tipo di redazione che riunisse in uno stesso capitolo tutto ciò che avevamo osservato in uno stesso punto del globo, avremmo realizzato un’opera troppo lunga e soprattutto priva di quella chiarezza che in gran parte scaturisce dalla metodica distribuzione del materiale trattato».

13

(6)

americano, del metodo appreso da Werner che prevedeva di confrontare l’aspetto esteriore di diversi campioni rocciosi e analizzare le differenti inclinazioni dei vari strati nei due emisferi. Se direzione, inclinazione e identità degli strati erano stati infatti individuati dalla scuola werneriana come fondamentali per gli studi geologici14 era necessario per Humboldt creare un sistema di segni da utilizzare per «formare disegni geognostici che pasigraficamente indicassero al primo colpo d’occhio ciò che il Geognosta desidera conoscere»15. Questa esigenza nasce dalla constatazione che seppur esistano ottime “memorie scientifiche” di tale argomento – Humboldt cita autori come Karsten, Freiesleben, Del Rio, Esmarck, Escher16 e von Buch – mancano delle rappresentazioni visive in grado di far comprendere appieno al lettore come concretamente siano costituiti gli strati che compongono la crosta terrestre. Al contrario – egli sostiene –

i miei disegni pasigrafici presentano all’occhio del geognosta la natura delle rocce dominanti, quella degli strati subordinati, la loro direzione o inclinazione, la loro sovrapposizione per effetto dell’età di formazione, la loro profondità, la più grande e la più piccola altezza nelle quali ne ho constatato l’esistenza, l’elevazione assoluta delle montagne e delle valli al cui interno è presente la divisione in colonne, in agglomerati concentrici o in strati.17

Humboldt, per far progredire la geognosia, intende puntare sulla rappresentazione visiva e sulle carte geologiche. Solo creando vere e proprie collezioni di carte sarà possibile

14 Secondo Humboldt pochi scienziati oltre a Werner avevano propagato un simile metodo “geognostico”

comparativo. Tra i pochi Humboldt cita Whitehurst per il suo An Inqury into the Original State and

Formation on the Earth, J. Cooper, London 1778, opera dedicata allo studio delle rocce del Derbyshare e

Lehmann con il testo Versuch einer Geschichte von Flötz-Geburgen, G. A. Lange, Berlin 1756, dedicato invece alla Turingia. Entrambe le opere si direbbero oggi di geologia “regionale”. Humboldt intende estendere invece le piccole osservazioni fatte su campioni geografici limitati ai continenti del mondo.

15 Humboldt, A. von, Essay de Pasigraphie geologique …, cit., p. 36.

16 K. J. B. Karsten (1752-1853), mineralogista, tra le sue opere ricordiamo System der Metallurgie,

geschichtlik, statistisch, theorethisch und technisch, opera in cinque volumi stampata tra il 1831-1832 con

un importante atlante allegato. J. K. Freiesleben (1774-1846), dopo aver studiato all’accademia mineraria di Freiberg con Humboldt e von Buch, compie con questi l’escursione mineralogica in alta Savoia e Svizzera nel 1795; tra le sue opere Geognostische Beyräge (1807-1815 in sette volumi) chiara applicazione dei principi della geognosia werneriana. A. M. Del Rio Fernàndez (1764-1849), si occupò di chimica applicata ai cristalli, formandosi tra Spagna, Parigi e Freiberg; conobbe Humboldt, Lavoisier e divenne famoso per la scoperta del vanadio; nel 1792 si trasferisce nei domini spagnoli della Nuova Spagna presso il Real Seminario de Mineria; la sua opera più apprezzata da Humboldt, che lo incontrò durante il viaggio sudamericano, è Elementos de Orictogeognosia del 1795. J. Esmark (1763-1839), professore di mineralogia ed appassionato alpinista, si occupò dello studio delle zone glaciali e periglaciali d’Europa compiendo esplorazione e viaggi in Scandinavia; insieme a Jean de Charpentier è considerato il padre della teoria della glaciazione.

17

(7)

scoprire, semplicemente sfogliando un atlante tematico di tal genere le “analogie geognostiche e le leggi di stratificazione” della natura. Se da una parte l’autore ritiene che le conoscenze del globo abbiano fatto dei progressi da quando si è perfezionato il metodo di disegnare le carte tematiche - sul modello di ciò che era stato impostato dal Generale Pfyffer per i rilievi delle città fortificate della Francia, grazie a Philippe Buache e J. Louis Dupain-Triel -, le rappresentazioni mineralogiche, allegate ad opere di valenti geologi,18 erano tutte in qualche modo mancanti.19 L’obiettivo di una rappresentazione geologica non deve essere infatti limitato all’indicazione del tipo di roccia (gres, gipso o la pietra calcarea) o allo stato della superficie del suolo e agli effetti di piccole rivoluzioni che hanno alterato gli strati rocciosi, bensì deve puntare a istruire il lettore «sulla formazione del globo, che è il grande obiettivo della Scienza»20. La critica di Humboldt è sottile, anche dal punto di vista della realizzazione pratica di queste carte. I lavori citati in precedenza da Humboldt facevano infatti uso di rappresentazioni di tipo ortogonale ed orizzontale, mentre l’autore tedesco – memore anche del metodo pratico utilizzato dai minatori per la rappresentazione di tunnel e cunicoli sotterranei – ritiene più opportuno e costruttivo per la geognosia l’utilizzo di carte in proiezione verticale. Inoltre, vista la quantità di tipi mineralogici da indicare, egli crede di dover limitare l’utilizzo del colore nella cartografia tematica, per evitare confusioni che potrebbero nascere da una non precisa stesura delle diverse tonalità nella realizzazione delle tavole. Anche in questo caso, come già era successo per le ricerche elettromagnetiche, Humboldt opta per la scelta di segni convenzionali «che si imprimano con facilità nella memoria presentando qualche debole analogia con gli oggetti che rappresentano»21. Nell’utilizzo del colore invece, come dicevamo limitato, Humboldt fa uso di sole tre tonalità legate all’aspetto reale delle rocce in natura: il verde scuro per le formazioni trappiche, il giallino per le formazioni secondarie e il rosso per le rocce primitive. All’indicazione del tipo di roccia attraverso il colore si aggiunge l’utilizzo di frecce direzionali ( →, ↓ , )22 per visualizzare l’andamento degli strati

18 Ibidem. Humboldt cita le carte mineralogiche allegate alle opere di Charpentier, Lasius e von

Beroldingen.

19 Ibidem: «Mais j’ose dire que ces cartes bien loin d’indiquer la stratification, la direction, l’epaisseur et

la continuité des couches presentent plutot de fausse idées».

20 Ibidem. In realtà nel testo francese trascritto da Beck si utilizza il termine construction du globe. In tal

senso si potrebbe tradurre anche con “evoluzione del globo” intendendo che gli strati rocciosi si sono andati formando nel tempo e sono in continua modificazione. Si è preferito però usare “formazione”, che meglio si addice all’idea di una natura auto formatasi.

21 Ivi, p. 37.

22 Cfr. ivi, p. 38, nota 40. Qui Beck trascrive alcuni disegni a margine del manoscritto in cui si

(8)

nel terreno. Seppure Humboldt trovi in questo nuovo metodo grafico la soluzione per la realizzazione di mappe geologiche, più volte egli stesso evidenzia come ogni disegno è il frutto di numerose misurazioni, e la carta da lui pensata non è comunque esente da difficoltà. Il problema pratico che Humboldt sottolinea nel 1803/1804, nel medesimo periodo in cui realizza gli schizzi dei profili verticali delle fasce fitogeografiche dei rilievi andini, è soprattutto legato alla “riduzione in scala” delle zone geografiche.

Devo formare dei profili di un vasto paese, come per esempio tutta la Nuova Spagna, e di un paese, il Perù, del quale vorrei indicare l’altezza del suolo, la natura delle rocce, i limiti delle nevi perenni, della vegetazione e, infine, di tutto ciò che interessa il “fisico” che per ben procedere deve abbracciare tutto, perché tutto in natura è intimamente legato come causa e come effetto.23

Si pone così per Humboldt per la prima volta la difficoltà di inserire in uno spazio bidimensionale, di dimensioni limitate, tutta una serie di elementi di grande interesse per lo studioso della natura: elementi che si estendono per 2-300 metri di longitudine e per più di 1200 metri di altezza. La rappresentazione dovrà inoltre essere di “buon gusto” e dotata di chiarezza; chiarezza che «consiste nel far nascere rapidamente un insieme di idee, che il viaggiatore non scopre che gradualmente»24. L’accento sull’aspetto estetico della rappresentazione è la vera novità nel panorama teorico della cartografia di quel tempo. Humboldt è infatti il primo a chiedersi se le carte sino a quel momento realizzate ponessero la giusta attenzione all’aspetto artistico della rappresentazione, accanto alla veridicità dei dati contenuti. Il tentativo di dotare di sensibilità estetica i propri atlanti lo vediamo realizzarsi appieno nella collezione cartografiche stampata a seguito del viaggio sud americano. Su tale aspetto ci soffermeremo in maniera approfondita proprio perché è sul ruolo degli atlanti di Humboldt che è possibile evidenziare quella fusione di scienza ed arte, più volte richiamata, che diviene la vera arma culturale per il trasferimento della nozione di paesaggio dai domini dell’arte a quello della scienza. Le riflessioni più corpose in merito all’applicazione geologica della pasigrafia le ritroviamo esposte ulteriormente in uno scritto del 1823 stampato a Parigi, nel quale vengono anche fornite delucidazioni

23 Ivi, p. 37. 24

(9)

sul significato del metodo pasigrafico.25 Possiamo notare come a vent’anni di distanza Humboldt, certamente grazie al confronto con i numerosi scienziati con i quali collaborò al ritorno in Europa, e debitore probabilmente delle osservazioni effettuate sul suolo italiano nel viaggio con Leopold von Buch26, ritiene quello della fondazione di una “geognosia positiva” il problema non ancora risolto all’interno della propria riflessione. Non a caso buona parte dell’ultimo capitolo dell’Essai géognostique del 1823 è dedicato proprio a chiarire i termini definitori e l’applicazione del linguaggio pasigrafico.

Per elevarsi a delle idee più generali, e per meglio comprendere i rapporti di sovrapposizione indicati nelle tavole delle rocce, ci si può servire di un metodo pasigrafico, all’interno del quale sarà utile richiamare in questa sede i principi fondamentali. Questo metodo è bivalente: esso è figurativo (grafico, imitativo), rappresentando gli strati rocciosi sovrapposti attraverso parallelogrammi situati gli uni su gl’altri; o algoritmico, indicando le sovrapposizioni delle rocce e l’età della formazione, come dei termini di una serie [matematica].27

Il primo metodo, quello figurativo, era stato infatti utilizzato – come dichiara Humboldt più avanti – per la tavola di pasigrafia geognostica presentata alla scuola mineraria di città del Messico (cfr. fig. 2), e offriva il vantaggio di «parlare più vivamente all’occhio, e di esprimere simultaneamente nello spazio due serie o sistemi di rocce che coprono una medesima formazione»28; il secondo metodo, chiamato genericamente algoritmico,

25 Cfr. Humboldt, A. von, Essai géognostoque sur le gisement des roches dans les deux hémisphère,

Levrault, Paris 1823.

26

Sull’importanza di questo viaggio nell’economia generale delle opere di Humboldt non si è ancora indagato in maniera approfondita. Esistono, nell’ampia mole di letteratura secondaria, due soli testi specifici, entrambi in lingua straniera, che trattano del viaggio di Humboldt in Italia. Crediamo invece, come Maria-Nöelle Bourguet ha rimarcato nel suo saggio Écriture du voyage et construction savante du

monde. Le carnet d’Italie d’Alexander von Humboldt, Max-Planck-Institut für Wissensschaftsgeschichte,

preprint 266 (on line version), che la permanenza, seppur breve, in Italia, sia stata di grande importanza per chiudere in qualche modo il cerchio delle riflessioni sull’attività dei vulcani nel globo, chiarire il significato del magnetismo terrestre e ampliare i riscontri mineralogici che avevano impegnato Humboldt sin prima della partenza per il sud America. Le osservazioni fatte in prossimità del Vesuvio e dei vulcani spenti del Lazio da Humboldt e Buch vennero reputate talmente importanti che poco dopo il suo viaggio italiano quei rilievi fatti nel 1805 erano già utilizzati in letteratura come riflessioni fondamentali per la comprensione dei problemi legati alle attività eruttive e alle modificazioni del globo. Si veda a riguardo, Procaccini Ricci, V., Viaggio ai vulcani spenti d’Italia nello stato romano verso il Mediterraneo, 2 voll, G. Piatti, Firenze 1814.

27 Humboldt, A. von, Essai géognostoque sur le gisement des roches dans les deux hémisphère, cit., pp.

364-365 (tr. nostra). Abbiamo mantenuto i corsivi come nell’originale francese.

28

(10)

si era reso necessario per indicare le rocce in maniera sistematica, attraverso serie matematiche delineate con notazioni speciali alfabetiche.

Fig. 2

L’aggiunta di questa parte simbolica, evidentemente esplicabile solo all’interno di tavole didascaliche, e non solo nella lettura diretta della cartografia, ha il merito per Humboldt di indicare i principi generali della geognosia mineralogica, in quanto lo studio dei giacimenti è un problema di «serie o di successioni, semplici o periodiche, di certi termini», che permettono di descrivere le diverse sovrapposizioni di strati con «caratteri generali, come per esempio, lettere dell’alfabeto»29. Il tipo di notazione adottata nel 1823 da Humboldt, come quella già praticata per i circuiti galvanici nel 1797, non è un semplice orpello dello studioso di fisica generale, cioè un semplice “jeux de l’esprit”, secondo l’espressione dell’autore, bensì un linguaggio di grande utilità per la geognosia positiva perché ha «il grande vantaggio di fissare l’attenzione sui rapporti più generali di posizione relativa, alternanza e di scomparsa di certi termini della serie».30 È infatti facendo astrazione dal valore immediato dei segni alfabetici –

29 Ivi, p. 366. 30

(11)

indicanti la composizione e la struttura delle rocce – che si potranno comprendere, grazie alla concisione del linguaggio algebrico, i rapporti più complessi dei giacimenti e il ritorno periodico di certe formazioni rocciose in natura.31 Si può ritenere pertanto che il metodo pasigrafico sia rivolto in primo luogo alla geognosia, e solo successivamente esso trovi una ulteriore elaborazione ed estensione alla biogeografia. La carta pasigrafica elaborata da Humboldt nel 1823 e riferita alla formazione delle rocce di città del Messico (tema della prolusione letta alla scuola mineraria agli inizi dell’Ottocento, 1803 o 1804) è infatti uno sviluppo avanzato (“positivo” in termini humboldtiani) di ciò che già egli aveva potuto formulare teoricamente. In questa troviamo infatti gli strati rocciosi suddivisi in “tipi” e fasce di profondità e possiamo ritenerla una vera e propria carta raffigurante la morfologia degli strati. Humboldt indica diverse formazioni rocciose con un metodo semi astratto, incomprensibile senza legenda esplicativa che fornisca le chiavi di lettura dei simboli adottati. L’intento è infatti quello di comunicare non soltanto i tipi di rocce presenti nei diversi strati, quindi nelle diverse profondità, bensì la tipologia di formazione rocciosa attraverso una punteggiatura discendente e ascendente così da denotare facilmente – e rendere così l’informazione fruibile al lettore – le rocce endogene e quelle esogene. In tal caso la carta disegnata per profilo verticale non è più una mera rappresentazione “statica” dello status quo del terreno soggetto ad analisi mineralogica ma diventa, attraverso la combinazione di elementi simbolici concreti posti orizzontalmente, un vero e proprio racconto di storia geologica che ci fornisce elementi sulla formazione delle rocce – per precipitazione ed erosione quelle esogene, per solidificazione di materia incandescente quelle endogene – e sulla vita della terra. La carta geologica diviene mezzo di comunicazione dei processi storici naturali le cui testimonianze si insidiano negli strati più profondi della crosta. Tali testimonianze non sono visibili ad un esame superficiale dei terreni e quindi una carta geologica che non rappresenta gli strati più profondi è solamente una fotografia

31

Riportiamo fedelmente il testo dell’esempio fatto da Humboldt per facilitare il lettore nella comprensione del linguaggio matematico alfabetico utilizzato. Cfr. Ivi, pp. 368-369: «Si les lettres de l’alphabet représentent ces roches superposées, des deux séries, α, β, γ, δ ….. e α, αβ, β, βγ, γ, δ ….., la première indique la succession des formations simples et indèpendantes: granite, gneis, micaschiste, thonschiefer ou muschelkalk, grès de Konigsstein, calcaire jurassique et grès vert à lignites. La seconde indique l’alternance de formations simples avec des formations complete: granite, granite-gneis, gneis, gneis-micaschiste, micaschiste, thonschiefer. (…) Tous les terrains offrent l’exemple de formations indépendantes qui préludent comme couches subordonnés. Si αβγ, ou αβ, βγ, indiquent des formations complexes de granite, gneis et micaschistes, ou de granite et gneis, de thonschiefer et porphyre, de porphyre et syénite, de marne set de gypse, c’est-à-dire, des formations dans lesquelles des couches de deux et même de trois roches alternent indéfiniment; α+β, β+γ, indiqueront que le gneis fait simplement une couche dans le granite, le porphyre dans le schiste, etc. Alors α, α+β, β, β+γ, γ exprime le phénomène curieux de formation qui préludent, qui s’annoncent d’avance comme des bancs subordonnés».

(12)

istantanea degli elementi visibili superficialmente in un ristretto spazio che non ci racconta nulla dello “stato passato”. L’obiettivo delle carte pasigrafiche di Humboldt è quello di rappresentare i processi di formazione, e non semplicemente gli stati di composizione delle rocce. In tal senso geognosia e pasigrafia si legano proficuamente contribuendo a dare una visione morfologica del problema degli agglomerati minerali che formano la crosta terrestre. Nella critica letteraria su Humboldt al tema della pasigrafia, nell’economia dell’intera opera dello scienziato, non è stato dedicato sin’ora spazio sufficiente per la comprensione dello sviluppo teorico di una geografia omnicomprensiva e visuale, come’è appunto quella del tedesco. L’attenzione che essa ha ricevuto nel panorama degli studi internazionali è stata infatti limitata, sia da parte degli storici della scienza che dei geologi di professione. Gli studiosi che hanno fatto chiaramente riferimento alla sua pasigrafia sono stati Rachel Laudan e Hanno Beck.32 Nel contesto invece del ruolo delle immagini nella storia della scienza anche lo stimolante saggio di Rudwick sull’emergere del visuale nella geologia si limita all’analisi della geologia inglese e francese, ignorando quasi completamente l’analisi delle carte tematiche pasigrafiche di Humboldt.33 Certamente il metodo messo in pratica da Humboldt nella visualizzazione degli strati rocciosi supera i diagrammi stratigrafici prodotti sino a fine Settecento, che avevano avuto un eccellente modello proprio in Whitehurst, ed è debitore della tradizione geologica che si era sviluppata nella suola mineraria di Freiberg, come dimostrabile confrontando i lavori di Trebra e Voigt.34 In ogni caso, il potere delle illustrazioni e il ruolo che esse rivestono all’interno dello sviluppo del pensiero geografico moderno, diviene più marcato nella realizzazione degli atlanti pubblicati da Humboldt a corredo dell’edizione monumentale del viaggio in centro e sud America. I “paesaggi scientifici” fatti realizzare da Humboldt dopo il 1804

32

Cfr. Laudan, R., From mineralogy to geology: the foundation of a science 1650-1830, Chicago and London 1987, pp. 162-163; Beck, H., Alexander von Humboldt “Essay de Pasigraphie”, Mexico

1803/1804, cit., pp.34

33 Cfr. Rudwick, M. J., The emergence of the visual language for geological science in «History of

science», n. 14, pp. 149-195. F. Henderson nel suo saggio Practical knowledge in Romantic ordering of

nature, cit., definisce la pasigrafia geologica di Humboldt l’“anello mancante” nell’argomentazione

delineata da Rudwick mentre ritiene che Beck abbia menzionato solo parzialmente gli autori cui Humboldt sarebbe debitore nel suo metodo rappresentativo pasigrafico citando Lehmann, Whitehurst e Ferber.

34

Cfr. Trebra, F. W. H., Erfahrungen vom Innern der Gebirge nach Beobachtungen gesammelt, Verlagskasse für Gelehrte und Künstler, Leipzig 1785 e Voigt, C. G. von, Practische Gebirgskunde, Wimer 1792. L’opera di Trebra, che era vice direttore dell’Accademia mineraria nel momento in cui Humboldt la frequentò, contiene cinque “vignette” e sedici tavole che illustrano con metodo non sempre realistico le miniere con varie sezioni, dettagli di rocce, mappe aeree con profili e diagrammi stratigrafici. Anche l’opera di Voigt contiene illustrazioni nel testo, anche se molto meno approfondite. In entrambi gli autori non vi è però quell’approfondimento tecnico e numerico che ritroviamo nella carte pasigrafiche di Humboldt e nelle tavole degli atlanti.

(13)

assumono un ruolo predominante per lo sviluppo di una geografia che, seppur basata su fondamenta scientifiche e applicazioni strumentali, assegna all’immagine cartografica il potere evocativo di trasmettere anche le emozioni dei viaggi e l’idea di una natura esuberante.

§ 2

Dalla pasigrafia delle carte geologiche agli atlanti

Chiarito che la pasigrafia è per Humboldt la spiegazione teorica e la modalità concreta di realizzazione di un certo tipo di rappresentazione grafico-cartografica che intende porsi come mezzo ideale di comunicazione dei dati geomorfologici rilevati - in difformità con ciò che la cartografia tematica aveva creato precedentemente - intendiamo approfondire ora il ruolo degli atlanti nell’economia generale dell’opera dell’esploratore berlinese. È noto che al ritorno dal sud America Humboldt si occupa incessantemente della sistemazione dei variegati materiali raccolti nei cinque anni del viaggio. Se le collezioni botaniche, zoologiche e mineralogiche erano infatti già parzialmente giunte in Europa attraverso la corrispondenza missionaria e le rotte mercantili di diverse bandiere, andando ad arricchire collezioni museali di mezza Europa, la maggior parte delle casse piene di reperti erano stati riportati dallo stesso Humboldt al momento dello sbarco a Bordeaux dopo che egli le aveva custodite gelosamente per tutto il periodo di permanenza in America.35 Presosi infatti un “anno sabbatico” per rivedere il fratello di stanza a Roma e per un breve ritorno nella capitale prussiana (12 marzo 1805-16 novembre 1805), Humboldt, con la collaborazione del compagno di viaggio Bonpland, si trova a dover sistemare ed analizzare tutta una serie di dati e di materiali: erbari da ordinare, quasi ottomila reperti naturalistici da catalogare, appunti, taccuini di viaggio, rilievi, misurazione, disegni e schizzi. Ha inizio così una delle più grandi epopee editoriali di tutti i tempi.36 I due esploratori, ma

35 Cfr. in proposito le pagine tratte dalla “Relazione Storica” in Humboldt, A. von, Viaggio alle regioni

equinoziali, cit., vol. I, p. 2. Si veda anche la dettagliata notizia sulle collezioni contenuta in una lettera

inviata da Humboldt e Bonpland all’Institut de France il 21 giugno 1803 in, Humboldt, A. von, Lettres

américains 1798 – 1807, cit., pp. 156-158.

36 In Francia erano usciti tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento due testi di viaggio di

grande successo. Il Journal du voyage fait par ordre du roi à l’équator di La Condamine, e i ventuno tomi della Description de l’Égypte, nella quale erano riassunte le scoperte archeologiche e naturalistiche della campagna d’Egitto di Napoleone (1798-1801). Quest’opera – a quel tempo ritenuta colossale e per la cui pubblicazione bisognò attendere diciannove anni, visto che per la realizzazione il direttorio si era

(14)

soprattutto Humboldt, dopo aver stipulato con l’editore Schoell l’accordo sulla cifra necessaria alla stampa dei testi e delle tavole del Voyage aux régions equinoxiales du Nouveau Continent, iniziano a lavorare contemporaneamente sui vari volumi da pubblicare sin dal 1805. Il primo tomo dell’“edizione monumentale” è il famoso Essai sur le géographie des plantes stampato infatti a Parigi nel 1805 ed inserito al numero ventitreesimo del piano completo dell’opera.37 L’intera serie completa del Voyage consta di trentadue volumi, compresi gli atlanti, e di un’edizione in folio sciolto del grafico multidimensionale sulla geografia delle piante equinoziali.38 L’impresa editoriale impegnerà Humboldt sino al 1834 costituendo per l’esploratore tedesco l’investimento primario di tutto il residuo patrimonio eredito alla morte della madre, in buona parte speso per il viaggio.39 Anche in Italia, come del resto in tutta Europa, la notizia del ritorno di Humboldt era stata annunciata con entusiasmo su gazzette e bollettini grazie anche all’alone leggendario che l’esploratore aveva creato attorno alla sua impresa nei cinque anni americani tramite una fitta corrispondenza inviata su bollettini scientifici e ad amici della società colta di quel tempo.40 Nel primo numero del “Nuovo giornale dei Letterati” stampato a Pisa, il redattore informa che «il ritorno del celebre viaggiatore il Barone de Humboldt a Parigi, e l’immensa quantità di osservazioni e di pezzi di storia naturale da esso portati, occupano attualmente i dotti di

avvalso di oltre centocinquanta tra scienziati, artisti e studiosi - venne così ampiamente superata dal

Viaggio di Humboldt.

37 Alcuni studiosi di Humboldt, tra cui in Italia Mazzolini, hanno preferito indicare una data incerta tra il

1805 e il 1807 partendo dalla constatazione che nel volume dell’edizione monumentale vi sono riportate due date differenti, una sul frontespizio (1805) e una nella pagina interna (1807). Avendo consultato personalmente due copie francesi, una con data 1805 (Biblioteca Universitaria di Pavia, identica alla copia conservata presso la Biblioteca Nazionale di Parigi su gallica.com) e una con data 1807 (Biblioteca Nazionale Braidense di Milano), si ritiene più probabile l’esistenza di due edizioni a distanza di due anni. Infatti furono due differenti tirature anche quelle della tavola multidimensionale allegata, una in b/n e una a colori. Dobbiamo ricordare inoltre che il testo è uno sviluppo della declamazione sul tema che Humboldt tenne il 7 gennaio 1805 all’Institut de France.

38 In totale quindi i testi che fanno parte dell’edizione monumentale del viaggio sono trentatre. Abbiamo

fatto riferimento al piano dell’opera più completo mai pubblicato nella bibliografia internazionale:

Alexander von Humboldt’s grosses amerikanisches Reisewerk, eine bibliographische Einleitung von A. Meyer-Abich und H. Beck, Da Capo Press and Theatrum Orbis Terrarum, New York – Amsterdam 1971,

pp. 5-6. In Italia un piano completo dell’opera relativa all’itinerario americano è stato tracciato da F. O. Vallino nella sua introduzione al Viaggio alle regioni equinoziali del Nuovo Continente, cit., pp. XII-XV. in cui viene ripreso il piano dei volumi descritto dallo stesso Humboldt nell’introduzione alla sua Relation

Historique, t.1, Schoell, Paris 1814 pp. 34-35, (ed orig. francese).

39 Su questo aspetto e sul sussidio economico che il governo prussiano deciderà di elargire solo

successivamente per portare a termine l’impresa editoriale si vedano i saggi di Minguet, C., Alexandere

de Humboldt. Historien et Géographe de l’Amérique Espagnole (1799-1808), Maspero, Paris 1969, p. 48

nota 69 e Heichorn, J., Die wirtschaftlichen Lebensverhältnisse Alexander von Humboldts, in AA.VV.,

Alexander von Humboldt, Akademie Verlag, Berlin 1959, pp. 182-215.

40 Basti scorrere a tal proposito l’elenco dei destinatari delle lettere in, Humboldt, A. von., Lettres

(15)

quella capitale»41. La mole notevole dei materiali raccolti durante nel tragitto e il significato di tali materiali per il progredire di scienze diverse era stata certamente una delle ragioni del prolungarsi dell’edizione monumentale in un arco di tempo molto ampio: tempo necessario affinché tutti i dati potessero essere confrontanti e passati al vaglio dei più rinomati specialisti di settore prima della pubblicazione. Anche la cognata Caroline, a Parigi proprio al momento del rientro della spedizione sud americana di Alexander, scrive al marito Wilhelm a Roma:

Alexander continua a fare su tutti una grandissima impressione. Dal primo giorno del suo arrivo ha pranzato poche volte da me, perché tutti lo reclamavano. Le sue collezioni sono sterminate: per catalogarle, analizzarle e per sviluppare tutte le idee che gli sono venute ci vorranno almeno cinque o sei anni. […] Tutti i giorni, da mezzogiorno alle tre, Alexander è attorniato da molte persone curiose di esaminare le sue collezioni, i suoi disegni, ecc.42

Se si considerano infatti i collaboratori del Voyage, personaggi illustri che talvolta curarono intere sezioni di un volume, si può comprendere come la rivoluzione che Humboldt stava mettendo in atto con il proprio operare scientifico ed editoriale fosse destinata ad avere successo in un epoca di crescenti specializzazioni. Per la revisione delle specie botaniche Humboldt si era avvalso della collaborazione di C. Kunth, per i calcoli astronomici e trigonometrici di J. Oltmanns, per la descrizione zoologica di G. Cuvier, senza considerare poi tutti quei professori che non compaiono direttamente nella stesura dell’edizione monumentale ma che certamente ebbero un ruolo di primo piano per la realizzazione di alcune parti, alcuni di questi amici stretti dello stesso Humboldt che frequentemente vengono citati dall’autore.43 Anche per la parte grafica l’esploratore tedesco si era rivolto ai migliori artisti e incisori di quel tempo affidando loro il difficile compito di rendere in forma definitiva schizzi o disegni che lui stesso

41 Cfr. «Nuovo Giornale dei Letterati», t. 2, n. 4, genn-febbr. 1805, p. 271, “Notizie di scienze et d’arti.

Ritorno di Humboldt”.

42 Caroline von Humboldt al marito, 16 settembre 1804, citata in Borch, R., Alexander von Humboldt.

Sein Leben in Selbstzeugnissen, Briefen und Berichten, Verlag des Druckhauses Tempelhof, Berlin 1948,

pp. 62-63.

43 Tra questi possiamo ricordare l’entomologo Pierre-André Latreille, l’ittiologo Achielles Valenciennes,

Antoine Laurent de Jussieu, Réné Desfontaines, entrambi professori del museo di storia naturale parigino,il fisico e astronomo Pierre Simon Laplace, il chimico e fisico Jean Baptiste Biot, l’amico Gay Lussac, l’ingegnere Richard de Prony. A questi nomi vanno aggiunti tutti coloro che “involontariamente” aiutarono l’esploratore tedesco nella fondazione delle proprie teorie. Humboldt ricorda spesso, soprattutto in merito alla geobotanica, il ruolo avuto da De Candolle, Ramond, Willdenow, Dalambre.

(16)

aveva abbozzato durante l’itinerario. Gmelin, Turpin, Schieck e Delile si occuparono della maggior parte dei disegni naturalistici e dell’atlante pittoresco; mentre per la cartografia Humboldt aveva chiamato a collaborare Brué, Lapie, Poirson. Gli incisori prescelti erano i più noti di quel tempo operanti tra Bruxelles, Parigi, Roma e Berlino quali Coutant, Bouquet, Schoenberger e Sellier.44 La nuova idea di pratica scientifica intrapresa con successo da Humboldt prevedeva il coinvolgimento diretto di specialisti di settore, in un’ottica di ricerca scientifica aperta al confronto e basata sul contributo congiunto di diverse discipline, elemento imprescindibile per rendere appetibile al vasto pubblico la complessità dei dati e degli argomenti trattati. All’interno dell’edizione monumentale la parte grafica assume così un ruolo rilevante: non soltanto perché nel piano generale dell’opera compaiono ben tre atlanti tematici e una magnifica litografia di grandi dimensioni, ma anche perché molti dei testi sono corredati da tavole a supporto delle descrizioni.45 Già questo primo elemento, che evidenzia la stretta interrelazione tra scienza e iconografia che sta alla base dell’opera di Humboldt, è indice del ruolo centrale assegnato dall’autore all’arte nelle sue varie forme per una efficace comunicazione delle scoperte. Se non stupisce però trovare all’interno dell’opera di viaggio, e negli atlanti in special modo, carte geografiche generali e tematiche relative a località visitate – elemento ampiamente presente in tutta la letteratura di viaggio e di esplorazione dal Seicento – o, all’interno dei testi naturalistici, ampie tavole descrittive di specie vegetali e animali, è invece una caratteristica unica del genere humboldtiano l’inserimento di grafici statistici, tavole di monumenti, resti di civiltà e paesaggi, a scopo scientifico. L’obiettivo è infatti quello duplice di mostrare al mondo della cultura europea ciò che era stato visto nel viaggio e descritto nella narrazione, e al contempo porre le basi per un’estensione del metodo comparativo dalle scienze naturali all’arte e ai prodotti umani. Anche in questo caso ciò che emerge è sempre una visione integrata e olistica della realtà che l’esploratore ha di fronte a sé. La fusione di archeologia, antropologia e gusto pittoresco prende forma soprattutto nell’Atlas pittoresque46 nel quale Humboldt giustifica la forte presenza di elementi estetici con parole di grande efficacia:

44 Cfr. per questo tema, Nelken, H, Alexander von Humboldt. His portratis and their artists, D. Reimer

Verlag, Berlin 1980.

45 Scorrendo i titoli e le caratteristiche bibliografiche di ogni volume dell’edizione monumentale si può

notare che le tavole inserite nei vari testi sono ben 598, escludendo appunto i tre atlanti tematici unicamente composti da carte e tavole.

46 Cfr. Humboldt, A. von, Atlas pittoresque du voyage ou Veus de Cordillères et monumens des peuples

(17)

Sebbene i costumi dei popoli, lo sviluppo delle loro facoltà intellettuali e il peculiare carattere impresso nelle loro opere dipendano dall’azione simultanea di un gran numero di cause non sempre locali, è indubbio che il clima, la configurazione del suolo, la fisionomia della vegetazione e l’aspetto della natura ridente o selvatica influenzano il progresso delle arti e lo stile che distingue le loro creazioni […] Per comprendere appieno l’origine delle arti bisogna studiare la natura del luogo che le ha viste nascere.47

È in queste righe che emerge fortemente quel presupposto che tiene impegnato Humboldt per lungo tempo, fino a quando cioè la visione integrata e correlata di natura-arte-scienza prende la sua forma teorica più compiuta nelle pagine di Kosmos.48 Le grandi tavole in-folio dell’atlante pittoresco e le riflessioni di Humboldt a corredo della parte iconografica segnano inoltre una svolta nello studio delle civiltà precolombiane. L’acquisizione storica delle civiltà Incas, Toltechi, Aztechi e Muisca non era scontata nell’Europa di quel tempo; ancora non esisteva la moderna americanistica come disciplina di studio e le basi metodologiche per indagini di archeoantropologia non erano state impostate da nessun esploratore in centro America. Per la prima volta Humboldt si occupa di illustrare in modo esaustivo i resti archeologici delle grandi civiltà americane attraverso litografie che mostrano reperti di varia natura con il preciso intento di porre le basi per una ricerca comparativa che sia in grado di far emergere affinità e differenza tra Vecchio e Nuovo Mondo anche a riguardo dei monumenti. Se infatti gli studi sulle grandi civiltà antiche – Etruschi, Egiziani, Tibtani, Aztechi – sino a quel momento prodotti avevano mostrato sì «affinità impressionanti […] quanto ai loro edifici, le loro istituzioni religiose, il loro modo di misurare il tempo, il loro ciclo di rigenerazione e le loro convinzioni religiose»49, questi studi non si erano prefissati il compito di analizzare tali analogie ed evidenziare le differenze alla luce del rapporto uomo-natura. Questo presupposto di indagine, che sembra avere conseguenze solo nella riflessione storico antropologica di Humboldt, è invece applicabile all’indagine naturalistica dei tropici. Lo stesso Humboldt, proprio nelle pagine dell’atlante pittoresco, asserisce la necessità di “innalzarsi ad ipotesi generali” nello studio della natura, avendo dati precisi alla mano, al posto di accumulare semplicemente materiali.

47 Ivi, p. III.

48 Facciamo riferimento al famoso I capitolo del secondo volume di Cosmos, tr. it. cit., pp. 1-104 . 49

(18)

«Esaminando attentamente la struttura geologica dell’America e riflettendo sull’equilibrio dei fluidi sparsi sulla superficie della terra non è possibile sostenere che il nuovo continente sia emerso dalle acque dopo il vecchio»50: quindi non si può asserire con certezza quale dei due mondi sia stato prima popolato e quale delle popolazioni abbia iniziato prima a produrre certi manufatti, opere d’arte e oggetti dell’ingegno. Se a ciò si aggiunge il problema della migrazione e dello spostamento dei popoli appare ancora più chiaro quanto sia complesso determinare quale popolo del mondo abbia influenzato l’altro in termini culturali: «il problema della prima popolazione amerinda è di competenza della storia tanto quanto sono di competenza delle scienze naturali le domande sull’origine delle piante e degli animali e sulla distribuzione dei germi organici»51. In questa affermazione è sancita una conformità nell’approccio di studio della natura e dell’arte da parte da parte dell’esploratore, presupposto fondamentale per rendere “scientifica” anche un’indagine di natura storico artistica. Nelle pagine introduttive dell’atlante vi sono inoltre molti luoghi che dimostrano come lo studio dei popoli e quello della natura in cui i popoli abitano sia strettamente correlati. La geografia antropica novecentesca ha dimostrato quanto importante sia l’habitat naturale per la presenza o meno di un popolo e quanto il grado di abitabilità di una regione della terra sia legato agli aspetti ecologi in genere. Nell’Atlas pittoresque questa fusione di due campi di studio – storico antropologico e storico naturalistico, sino a quel momento mai praticata – si evidenzia nell’apparato iconografico di grande pregio artistico che costituisce il nucleo portante del volume. Nelle tavole dell’atlante troviamo così, oltre alla rappresentazione di singoli manufatti e resti archeologici delle civiltà scomparse52, anche vedute di paesaggio che, in linea con il gusto del pittoresco in voga nell’Europa di inizi Ottocento, mirano proprio a comunicare la bellezza di scenari naturali spesso ignoti o sottovalutati dalla cultura del Vecchio Mondo, con le testimonianze umane superstiti di antiche civiltà.53

50 Ibidem. 51 Ivi, p. VII. 52

In particolare si vedano le tavole n. 1, 2, 9, 11, 17, 18, 19, 20, 21, 23, 28, 39, 44, 46, 49, 62.

53 Si vedano le tavole 3, 7, 24 nelle quali la fusione di paesaggio e testimonianze archeologica, ricordano

le tavole di gusto neoclassico che venivano prodotte in Europa sul modello di quelle prodotte da Giovan Battista Piranesi per i monumenti e i resti archeologici classici rinvenibili sul territorio italiano.

(19)

Figg. 3, 4, 5

Una caratteristica particolare di queste magnifiche incisioni è inoltre la presenza costante nella rappresentazione di figure umane: un piccolo gruppo di persone, esploratori in cammino, uomini nell’atto di osservare uno scenario, una coppia di intrepidi scalatori, un uomo che ritrae un particolare angolo di paesaggio.

(20)

Figg. 6, 7, 8, 9

Possiamo notare che la presenza dell’uomo nelle scene ritratte è ridotta al minimo e quando essa è presente richiama direttamente l’attività esplorativa della spedizione guidata da Humboldt.54 Non sappiamo se questo particolare possa essere attribuibile o meno alla volontà di Humboldt di lasciare una sorta di firma nella tavola litografica, visto che egli stesso aveva realizzato la maggior parte degli schizzi dal vivo e al contempo era stato il protagonista di quell’istante preciso ritratto; ciò che possiamo

54 L’inserimento della figura umana nella litografia di paesaggio o in tavole allegate ad opere odeporiche

non è una novità nel panorama delle incisioni allegate a testi esplorativi e viaggi pittoreschi. In tempi vicini a Humboldt per esempio, il ghiacciaio Mer de la glace nel massiccio del Monte Bianco, inserito nell’enciclopedia di Diderot e D’Alembert, mostrava la rappresentazione di due uomini nell’atto di osservare lo spettacolo naturale. L’incisione di Bernard de la Rue è stata pubblicata anche nel catalogo

(21)

invece asserire con certezza è che la presenza di figure umane atte ad esplorare il territorio, scalare precipizi, discutere di specie vegetali, prendere appunti, è un elemento narrativo in più a riguardo di momenti precisi del viaggio sudamericano, anche se nel contesto della maestosità della natura la figura umana è quasi impercettibile. Analizzando con attenzione le litografie di paesaggio non abbiamo infatti evidenti indizi sull’attività scientifica della spedizione. Tutt’al più compaiono delle figure umane vestite in abiti eleganti intenti a discutere di fronte a un monumento, uomini che dialogano con i nativi – facilmente riconoscibili perché rappresentati secondo il topos della nudità –, uomini di spalle in cammino o nell’atto solitario di riprendere uno scenario naturale. Nelle tavole dell’atlante pittoresco, ad esclusione delle tavole rappresentanti oggetti archeologici, reperti e quant’altro, il vero protagonista è il paesaggio, lo scenario naturale, ed è qui che gli indizi relativi alle indagine scientifiche che stava svolgendo Humboldt emergono. A differenza però delle vedute di paesaggio che si realizzavano in quel tempo in Europa, alla maestosità della natura e al suo aspetto verginale, selvaggio, facilmente individuabile perché poco o nulla antropizzato, si associa anche l’intento di fornire notizie utili “al progredire della filosofia naturale”. Questo intento è esternato dallo stesso Humboldt quando descrive le serie delle litografie relative ai vulcani e alla sommità delle montagne. Già a partire dalla tavola Veu de l’intérieur du Cratèr du Pic de Ténériffe55, che rappresenta nell’ottica dell’itinerario la prima tappa significativa dal punto di vista scientifico, sino alle litografie relative agli scenari naturali dell’America centro meridionale, si nota la volontà dell’autore di far emergere, per vie estetiche, certe caratteristiche geomorfologiche dei territori visitati. Citiamo direttamente nell’originale francese questa affermazione di grande chiarezza.

J’avois esquissé ce dessin sous un point de vue purement géologique; les laves lithoïdes, rongées par l’action constante des vapeurs d’acide sulfureux, sont superposées par couches, comme les bancs que présentent les montagnes des formations secondarie. Ces couches analogues à celle que l’on reconnoît au bord de l’ancien cratère de Vèsuve, à la Somma, paroissent le résultat d’épanchemens

55 Dessiné par Gmelin a Rome, après un esquisse de M.r de Humboldt, Gravé par P. Parboni a Rome, De

l’imprimerie de Langlois. Tavola 54 dell’edizione dell’Atlas Pittoresque conservata presso la Biblioteca Braidense di Milano. Per tutte le tavole citate faremo riferimento alla copia milanese dell’atlante pittoresco di Humboldt, che, a confronto con le altre copie che si conservano in biblioteche italiane, appare la più completa e meglio conservata, pur avendo un errore di stampa alla tavola n. 34.

(22)

successifs. Elles sont formée de laves vetrifiées, d’un pophyre à base d’obsidienne et de pechstein.56

Se quindi l’intento scientifico delle rappresentazioni è dichiarato e chiarito dallo stesso autore nei brevi commenti didascalici, al contempo le difficoltà tecniche di resa dell’immagine - cioè di coerenza tra imitazione grafica e realtà naturale - emergono in più luoghi. Trovandosi a dover rappresentare per esempio la Silla de Caracas, Humboldt scrive: «Cette montagne granitique, très difficile à gravir parce que se pente est couvert d’un gazon serré, à plus de treize cent cinquante toises de hauteur absolute»57. L’autore si trova così a dover dichiarare la fallibilità della rappresentazione e la non precisa identità con la località esplorata in un dato momento, e per tale ragione egli cerca continuamente il supporto degli strumenti scientifici anche per la realizzazione degli schizzi di massima che saranno poi alla base delle lastre litografiche: «sans le secours d’instrumens géodésiques, par lesquels on mesure trés petits angles, il est presque impossible de déterminer les contours avec une grand précision»58. L’idea, che neanche troppo velatamente muove l’autore nella stampa dell’atlante pittoresco, è però molto più alta dal punto di vista ideale e culturale. Non soltanto far conoscere alla cultura d’élite di quel tempo, quei pochi cioè che si potevano permettere la preziosa edizione dell’atlante, il suo viaggio d’esplorazione nei suoi più svariati aspetti ed invogliare in un certo senso alla lettura della parziale narrazione del viaggio, bensì porre le basi per una visione morfologica della realtà sud americana, di impronta chiaramente goetheana e stimolare altri viaggiatori all’esplorazione della natura:

J’ai donné plu de développement à celles qui peuvent répandre quelque jour sur les analogies que l’on observe entre les habitans des duex hémisphère. […] Il en est des traits caractéristiques des nations comme de la structure intérieure des végétaux répandus sur la surface du globe. Partout se manifeste l’empreinte d’un type primitif, malgré les differences que produisent la nature des climats, celle du sol et la réunion des causes accidentelles.59

56

Humboldt, A. v., Atlas pittoresque, cit, pp. 275-276.

57 Ivi, p. 298. Cfr. Vue de la Silla de Caracas, tavola 68 dell’Atlas pittoresque. Dessiné par Marchais a

Rome, après un croquis de M.r de Humboldt, Gravé par Bouquet, De l’imprimerie de Langlois.

58 Ivi, p. 41. Il riferimento è alla tavola 10 rappresentante il Volcan de Cotopaxi. Anche più avanti egli

dirà a proposito della tavola n. 61, Volcan de Pichincha: «Les distances et beaucoup d’angles de hauteur qui ont servi pour tracer ce dessin, ont été determinés au moyen d’une sextant de Ramsden». Cfr, ivi, p. 292.

59

(23)

L’impronta primitiva, l’ur-typus, teorizzato da Goethe sul finire del Settecento, è riscontrabile secondo Humboldt anche nello studio delle testimonianze archeologiche e artistiche di popoli lontani e mostrerebbe un sorta di “ponte” ideale tra le civiltà del Vecchio e Nuovo Mondo, sviluppatesi a partire da un sostrato comune, in forme poi diverse in base a fattori di tipo esterno cioè, nella più ampia accezione, fattori ecologici. Questa idea di “ponte”, di collegamento ideale tra due mondi, sulla quale la cultura illuminista di quel tempo aveva riflettuto ponendo un distacco netto e rimarcando anzi un’inferiorità su tutti i fronti delle Americhe e dei suoi popoli rispetto all’Europa, è stata recentemente analizzata con una lettura di grande interesse da Laura Dassow Walls, autrice del volume The Passage to Cosmos Alexander von Humboldt and the Shaping of America.60 L’autrice, partendo proprio dall’analisi delle litografie dell’atlante pittoresco, e soffermandosi in particolare sull’immagine del ponte,61 ritiene che il passaggio naturale rappresentato da Humboldt sia allegoricamente il nucleo portante del suo intero lavoro iconografico: un raccordo, un collegamento tra naturale e umano, tra Vecchio e Nuovo Mondo, tra culture e popoli differenti tra loro ma intimamente legati dalle leggi di natura – leggi cosmiche appunto – e da un’uguaglianza umana al di sopra di ogni concetto di razza. Se nelle grandi carte in-folio dell’atlante pittoresco emergono in effetti tutta una serie di tematiche che evidentemente o sotterraneamente danno un’impronta forte alle stesse rappresentazioni, rivelando un interesse che va oltre il semplice gusto decorativo tipico di un epoca, negli altri due atlanti inseriti nell’edizione monumentale, ovvero l’Atlas géographique et physique du royaume de la Nouvelle-Espagne,62 e l’Atlas géographique et physique des regions équinoxiales du Nouveau Continent,63 le tavole rivelano altri aspetti dell’opera humboldtiana. Anche in questo caso, pur trattandosi di due volumi di natura prettamente geografica - il primo allegato

60 Dassow Walls, L., The Passage to Cosmos Alexander von Humboldt and the Schaping of America, The

University of Chicago Press, Chicago and London 2009, pp. 12-36. Secondo l’autrice l’idea del ponte, del collegamento tra due mondi, è ciò che pervade l’intera opera humboldtiana. Realtà e finzione, scienza ed emotività, artificio umano e naturalità, sono infatti concetti contrapposti dalla cultura illuminista che vengono invece da Humboldt mirabilmente fusi nell’idea di leggi naturali cosmiche che sole spiegherebbe l’unità nella difformità del mondo.

61

Cfr. Humboldt, A. von., Atlas pittoresque, cit, tavola n. 4 Ponts naturels d’Icononzo.

62 Humboldt, A. von., Atlas géographique et physique du royaume de la Nouvelle-Espagne. Fondé sur

des observations astronomiques, des mesures trigonométriques et des nivellements barométriques par Al. de Humboldt, Schoell, Paris 1811.

63

Humboldt, A. von., Atlas géographique et physique (des regions équinoxiales) du Nouveau Continent

fondé sur des observations astronomiques, des mesures trigonométriques et des nivellements barométrique par Alexandre de Humboldt, Schoell, Paris 1814.

(24)

al saggio politico sui regni della Nuova Spagna, e, il secondo, direttamente riferibile ai volumi sulla storia della geografia del Nuovo Continente - si riesce ad individuare in essi alcuni motivi non privi di interesse per il nostro percorso. Nella realizzazione dell’Atlas géographique dei regni coloniali spagnoli Humboldt applica ancora una volta quel metodo partecipativo che sta alla base di tutta la composizione dell’edizione monumentale. L’autore disegna personalmente nove carte sulle venti che costituiscono il testo pubblicando in maniera organica e funzionale al suo scritto di natura socio politica anche la cartografia prodotta dai migliori specialisti del luogo: Don Luis Martin, Don Pedro de Rivera, Don Miguel Costanzo e Don Diego Garcia Conde, «ufficiali di sua maestà cattolica», Don Bernardo de Orda, capitano di vascello, Don Ignacio Castera e Don Luis Martin, ufficiali di marina : nomi che probabilmente resteranno ignoti alla tradizione geografica europea e che invece hanno avuto un ruolo centrale negli sviluppi della cartografia americana. La pubblicazione definitiva doveva sempre passare dalla verifica della bontà della carta rispetto ai dati raccolti da Humboldt sul campo (osservazioni astronomiche, misure trigonometriche e livellamenti barometrici), e dalla controverifica dei calcoli humboldtiani in Europa ad opera del già citato Jabbo Oltmmans. Tra le carte compaiono anche alcune serie di profili pasigrafici e rappresentazioni di vulcani, che erano diventati il primario interesse dell’esploratore, e sui quali ci soffermeremo in quanto in essi è possibile notare l’evoluzione della tecnica cartografica che porterà poi al definitivo modello in grande formato della tavola sulla distribuzione geografica delle piante. Le carte dalla dodici alla quattordici possono essere interpretate a tutti gli effetti come un’evoluzione della carta sulla pasigrafia geologica presentata all’Accademia mineraria di Città del Messico del 1803/03, del quale abbiamo parlato all’inizio di questo capitolo. Se in quella rappresentazione Humboldt aveva inteso mostrare «in via pasigrafica» la direzione di sviluppo geologico degli strati di roccia, attraverso l’uso della punteggiatura e altri simboli convenzionali, nelle carte dell’atlante geografico del 1811, la tecnica cartografica si arricchisce di elementi nuovi, perdendo però lo scopo primario della pasigrafia, che era quello di mostrare le caratteristiche geologiche di un suolo con pochissimi elementi simbolici e l’uso limitato della didascalia.

Figura

Fig. 12 e particolare

Riferimenti

Documenti correlati

The second screen can be used at those companies’ advantage, since it combines elements from traditional media (which are still very strong in Italy) and

Il n'est donc pas réservé aux élèves de l'École, mais "le programme imposé est, strictement, celui de l'École, et c’est le comité de Direction de

stanze spicca con una lieve maggior concentrazione di oggetti l'ambiente V (non comunque paragonabile al numero di reperti negli ambienti della struttura 10), caratterizzato

This report firstly seeks to present and explain the evolution of EU Member States’ commitment in resettlement over the past decade by linking it to relevant related initiatives

over diiodotetrafluorobenzene and water in accepting electron density from dipyridyl dioxide oxygen atoms and PnB prevails over HaB and hydrogen bond (HB) in driving

Drawing by Corni (courtesy of the Directorate of the Archaeological Museum) about the reconstruction of some parts of the Circus: (a) the tower of the city walls facing the tower

The relationship between 3D models and video games is a valuable field of investigation for the development of tools useful for the dissemination of cultural heritage and to

Un bambino, di nome Mattia, chiese ad un mago di renderlo invisibile per non essere visto dalla maestra quando faceva le monellerie.. La sua maestra era severissima e spiava