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*** SURGELATI. opera a 14 mani per scrittore, fumettisti e gruppo rock ***

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Academic year: 2022

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WU MING 2 contradamerla

opera a 14 mani per scrittore, fumettisti e gruppo rock

SURGELATI

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01.

Bianco + L’infermiera / Bianco. Bianco. Apro gli occhi ed è tutto bianco. Nelle orecchie un suono insistente, regolare. Bip, bip, bip. Bianco. Unico grumo nella scodella di latte che mi annega. Bianco. Oggetti appaiono come vapore che si condensa su un vetro: il letto, la stanza, una sedia. Bianca. L’apparecchio alla mia sinistra fila una linea verde che sale e scende con picchi improvvisi.

L’occhio segue il cavo che parte in alto, dietro la spalla, e termina nei cerotti sul braccio, sul petto. Scopro un corpo, lungo disteso. Lancia segnali, dice che è il tuo. Tu non gli credi. A un tratto, mi sento pisciare, ma è come se la vescica fosse quella di un altro. Riemergere dall’apnea e ancora non riuscire a prendere aria. La testa, uno schermo da cinema, senza immagini, tale e quale al soffitto. Bianco.

L’infermiera è tutta bianca anche lei. Lancia parole che arrivano sgonfie, come palloni in cantina. Ma i movimenti, quelli sono netti, ogni tanto un sorriso. La curiosità inonda gli occhi e preme alle orbite. L’infermiera sistema l’ago della flebo, mi passa una mano sulla fronte. Posso vederle la faccia, l’espressione, il movimento delle labbra. Mi prende la temperatura, mi toglie una fiala di sangue, dice altre cose che non capisco. Tranne una: Italia. Dice più volte: Italia. Italia.

È questa l’Italia? Bianca, pulita, odore di lisoformio e con l’infermiera? Allora no, chiedo scusa, dev’esserci un errore. Io avevo pagato per l’Inghilterra.

02.

Specchio + ipoteSi 1 / Mi alzo, per la prima volta da quando sono qui. Avanzo verso il bagno portando al guinzaglio il trespolo della flebo. Accendo la luce, mi guardo allo specchio e mi appare una faccia già vista. Il che, direte voi, è

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normale, è quel che accade a tutti ogni mattina, ma se ci pensate bene, non è proprio così. Ogni mattina vediamo nello specchio una faccia appena diversa dal giorno prima. Qualche ora di sonno in meno sotto gli occhi, un brufolo sulla fronte, un capello bianco, un pelo che sporge dal naso, un ombra di ruga all’angolo della bocca. Ogni volta che ci guardiamo allo specchio siamo altri dalla volta precedente. Non smettiamo di cambiare, nemmeno per un istante.

Diventiamo vecchi. Invece questa faccia, che vedo adesso nello specchio, mi pare di averla proprio già vista: stesso sguardo, stessa inquadratura, stesso filo di barba, stesso tutto. La guardo. La riguardo. La guardo ancora. Un attimo prima di spegnere la luce, mi viene in mente dove mi sono già visto così. Una foto che ho guardato e riguardato, e guardato ancora, molte volte nelle ultime settimane, per controllare che tutto fosse a posto, a regola d’arte. La foto del passaporto falso. Rido. Giusto per vedere se cambio espressione. Sento i muscoli muoversi, rispondere agli ordini del cervello. Ma lo specchio sopra il lavandino mi restituisce la stessa immagine fissa. Fissa. Come se fossi surgelato. Scommetto che a voi, un imprevisto del genere non è mai capitato.

Riuscite a immaginare? Provateci. Chiudete gli occhi. Pensate a uno specchio.

Voi siete lì davanti, ma la faccia nello specchio non vi obbedisce. Voi fate le boccacce, quella resta seria. Immobile. Scollegata da voi. Chiudete gli occhi.

Avete immaginato? Qual è il primo pensiero che vi viene in mente?

Quale ipotesi fate?

Ipotesi 1: Dev’essere lo specchio. Un difetto di fabbrica. Una distorsione. Ma nella stanza, altri non ce n’è. Provo alla finestra, ma il fantasma della faccia si mescola col profilo del palazzo di fronte. Vorrei spaccarti, specchio infame rotto senza essere rotto tagliarmi le guance con i frammenti e poi guardarmi nella scheggia più grande per vedere se anche così non mi cambia la faccia.

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Invece esco, sempre la flebo cane da passeggio Mi trascino per il corridoio, apro un porta che sa di bagno e mi specchio, mi specchio, mi specchio e sono surgelato.

03.

Sedici anni / La porta si apre sull’ennesimo sogno. Gli spettri diluiscono dietro le palpebre socchiuse. Lui entra in punta di piedi e non è solo. Mentre mi avvicina, la sua camminata, lo sguardo, il modo di muovere la testa emettono richiami familiari. Un che di lontano, molto vicino. Un silenzio appeso colma la distanza tra il sonno e il risveglio completo. L’uomo e la donna in divisa vegliano qualche passo dietro di lui. Ogni loro movimento è misurato. Ogni sguardo verso il letto, discreto. Poi lui si fa più vicino e parla lento. Frammenti di alfabeto mi esplodono nel sangue, una matassa di grammatiche si contrae e si espande nello stomaco. Non so darle un nome, ma la riconosco. È la mia lingua. L’interprete si sposta ai piedi del letto. Ce l’hai fatta, mi dice, e io vorrei ribattere che no, non ce l’ho fatta per niente, avevo pagato per l’Inghilterra, ma lui già mi racconta che al porto di Ancona mi hanno ritrovato nel rimorchio- frigo di un camion, ero in fondo, nascosto in mezzo ai quarti di manzo da esportazione. Hanno fermato il mezzo per un controllo, durante le operazioni di sbarco della nave in arrivo da Patrasso. L’autista turco è in stato di fermo da tre giorni. Sostiene di non sapere nulla di me: devo essergli entrato nel camion mentre non guardava.

- Alhamdulillah, - dice l’interprete alzando gli occhi al cielo - sei salvo per il Suo santo volere. I medici ti hanno acchiappato per la punta dei capelli.

L’interprete chiede: - Hai documenti?

- Li ho consegnati al camionista.

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- Quanti anni hai?

- Diciannove, ma non ne sono sicuro.

- Da questo momento ti conviene averne sedici. Sedici. D’accordo?

04.

carni / La carne del manzo è rossa, striata di giallo chiaro. L’animale si macella quando ha tre-quattro anni. La sua carne è più saporita e sostanziosa di quella ovina. Dalle mie parti se ne vede poca. La gente, al mio paese, mangia le galline, le capre, le pecore. Però Nawroz, il mio amico macellaio, del manzo conosceva ogni segreto, anche se nella sua bottega non lo potevi comprare.

Solo di tanto in tanto riusciva a procurarsi una lombata fresca. E mentre la tagliava sul ceppo, non la smetteva più di magnificare il suo bel tocco di carne. Poi tirava giù la saracinesca e mangiavamo in silenzio. È stato nel suo retrobottega che ho incontrato il mediatore. Me lo ha presentato Nawroz, dieci giorni prima della partenza, di fronte a una grossa bistecca.

Il mediatore mi ha chiesto: - Hai abbastanza soldi?

- Abbastanza quanti?

- Tredicimila.

- Ne ho una parte, - ho risposto - il resto me lo procuro.

05.

iL viaggio / L’interprete è tornato più volte, ogni volta in compagnia diversa.

Il dottore, la polizia, l’assistente sociale. Quello che dico e quello che non dico, tutto passa attraverso di lui. Mi devo fidare, non ho scelta. Ho provato a parlare in inglese, qualcosa so dire, ma il dottore, la polizia e l’assistente sociale non lo capiscono. Preferiscono che parlo la mia lingua. Preferiscono

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fidarsi dell’interprete, in fondo è il suo mestiere, è qui per questo, lo pagano un tanto all’ora, si guadagna da vivere grazie al fatto che io sono quello incapace di farmi capire. E poi mi sa che si vergognano. So l’inglese meglio di loro.

L’interprete si volta e riferisce ai suoi interlocutori e lo sento parlare a lungo, come se a ogni mia parola ne corrispondessero dieci in italiano. Mi devo fidare, non ho scelta. Sono partito poco più di un mese fa da Mosul, in Iraq.

Il mio viaggio non è stato lungo, ma non è nemmeno finito. Devo arrivare in Inghilterra. Della gente che ho pagato, ricordo a malapena qualche faccia: è una specie di tribù sparsa lungo il cammino. Chi mi ha fatto entrare in una casa, chi nascondere in un’altra. Chi mi ha allungato un piatto o un telefono.

Chi mi ha chiuso in una stanza buia e chi mi ha preso a calci in culo. Chi mi ha indicato un sentiero per varcare la frontiera. Chi mi ha infilato in fretta su una jeep, all’altro capo dello stesso sentiero. Il mio unico legame con loro erano i soldi. Tappa dopo tappa Nawroz consegnava al mediatore una parte della cifra. Io lo chiamavo, e lui pagava. Alla fine sono arrivato a Patrasso con un camion e altri otto compagni. Loro si fermavano in Grecia, io avevo pagato per l’Inghilterra. Al porto, mi sono imbarcato come un passeggero qualsiasi, seduto nel posto di fianco al camionista, ma una volta dentro la nave, l’uomo mi ha chiesto di scendere dalla cabina e di montare nel rimorchio-frigorifero.

Io non volevo, avevo la sensazione che qualcosa stava andando storto. Lui ha insistito, non capivo bene la sua lingua, ma ha insistito. Andava fatto così, mi sono dovuto fidare, non avevo scelta. Roba d’un paio d’ore, mi sembrava di capire. L’ultima cosa che ricordo, chiuso al freddo, è il pensiero delle storie che avevo sentito sui trafficanti d’organi: ti addormentano, ti aprono in due e ti rubano un pezzo. Poi mi sono svegliato tre giorni dopo in una stanza d’ospedale, tutto intero.

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L’assistente sociale vuole sapere perché sono partito dall’Iraq. Anche lui fa parte della tribù del mio viaggio, ma a differenza di quegli altri, non si aspetta il denaro di Nawroz. Si aspetta risposte. Se sono qui, se ho fatto tanta fatica, se sono finito dentro un congelatore, dev’esserci un buon motivo. E a seconda del motivo, mi diranno chi sono, che ci faccio qui, che significato mi danno.

Devo avere un significato, come una parola in una frase, come un sorriso sul volto di una donna.

- Perché te ne sei andato dall’Iraq?

- Fuggivo - dico all’interprete.

- Da cosa- replica lui.

- Fuggivo- ho ripetuto.

- Perché proprio in Italia? Hai contatti, parenti...

- Io veramente ho pagato per l’Inghilterra.

- Ah, ho capito. Però adesso in Inghilterra non ci puoi più andare, lo sai?

- Lo so. Sono surgelato. Ma quando mi scongelo, vado in Inghilterra.

06.

ipoteSi 2 / Colpa del freddo. Càpita che il vento ghiaccio ti paralizza mezza faccia, venti ore dentro un frigo te la paralizzano tutta. Forse quel camionista era davvero un trafficante d’organi un trafficante di corpi interi, già surgelati.

Poi il cliente può usarli come meglio crede, la faccia surgelata non trasmette emozioni, se surgeli tutto il corpo hai l’immigrato perfetto, l’operaio perfetto.

Niente rabbia, niente cibo, sempre giovane e uguale a sé stesso. Provo a intercettare un raggio di sole, provo a lavarmi con l’acqua calda, provo ad abbracciare il termosifone. Ma è tutto inutile. Sono surgelato.

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07.

mi parLa / L’infermiera dice che sto guarendo. O meglio: dice che lo dice il dottore, che però a me non lo dice, e nemmeno all’interprete. L’infermiera, invece, tutt’a un tratto sa l’inglese e quindi mi parla, mi parla, mi parla. Forse vuol farmi sentire come lo pronuncia bene, molto international e globalizzata e aperta al mondo. Ma io mica sono il suo professore. Forse l’infermiera vuol farmi sentire a mio agio, ma con gli altri pazienti non è altrettanto sollecita, li lascia stare. Se pensano, li lascia pensare, o pregare, o sognare ad occhi aperti. Con me, deve parlare. Se per caso penso, o prego, o sogno a occhi aperti, pensa che mi sento solo, che non va bene. E allora mi parla. Dice che mi metteranno in una casa apposta per le persone come me. O meglio: dice che lo dice l’assistente sociale, che però a me non l’ha ancora detto, di questa casa apposta.

Ma che sarebbe? - domando io - Una casa per surgelati?

08.

iL mio nome è Behram / Il mio nome è Behram. Vengo dal Kurdistan, la terra che galleggia sul petrolio. Non ho mai conosciuto i miei veri genitori, né la data, né il luogo dove sono nato. Fu per il mio undicesimo compleanno che Madrina decise che dovevo saperlo. Mi prese da parte, sistemò due sedie nell’angolo del cortile. E mi disse: “Avevi un anno e mezzo, forse due, quando ti abbiamo trovato per strada, nel centro di Mosul. Eravamo nella prima automobile della fila quando è scattato il rosso. Vicino al semaforo, c’eri tu, seminudo e senza scarpe. Questi non sono tuoi fratelli di sangue e lo sanno. Non potrai contare su di loro, dopo la mia morte, non vorranno dividere con te la loro eredità.”

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09.

ipoteSi 3 / Sono le medicine. E la paralisi non è nella faccia. E’ negli occhi.

Le medicine mi hanno incasinato la vista. Altrimenti qualcuno se ne sarebbe accorto che sono strano. È quattro giorni che ho la faccia da passaporto. Ok, provo a fare le smorfie all’infermiera. Non reagisce. Non ride. Non mi dice:

piantala, scemo. Allora sono surgelato davvero.

Si vede che in Italia è normale. Per quanto: la polizia, l’interprete, l’infermiera, i dottori. Loro non mi sembrano surgelati. Forse è normale per quelli come me. Gli stranieri. Gli immigrati. I clandestini. I richiedenti asilo. I rifugiati. Gli extracomunitari. Surgelati da esportazione. Confezioni monodose. Pronti in cinque minuti.

10.

neurotoSSica / Un miscuglio di iprite, acido cianidrico e gas neurotossici:

Sarin, Soman, Tabun e VX. Danni permanenti, eredità chimica di generazione in generazione. Campi e foreste scompaiono sotto l’artiglio del napalm e di altri veleni. È l’armamentario innovativo sperimentato in Kurdistan. Laboratorio a cielo aperto, il vantaggio della cavia perfetta. Non era necessario essere partigiani, bastava essere curdi. Ricerca avanzata nel campo delle soluzioni all’annoso dramma della sovrappopolazione. La prima volta fu durante la guerra contro la rivoluzione curda per l’autonomia, poi durante la guerra con l’Iran, e ancora con l’operazione “Al Anfal”, prima dei bombardamenti americani contro Saddam. Neppure gli iraniani si sono mai tirati indietro quando si trattava di curdi: durante la guerra contro gli iracheni, fecero largo uso di armi chimiche in pieno Kurdistan. Il resto del mondo non ebbe nulla da eccepire. Ad

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Halabja, tra le montagne, a pochi chilometri dal confine iraniano, l’ennesimo esperimento ottenne in pochi minuti, quello che persino la natura impiega anni a realizzare. La fine del mondo. Raccontano di 5000 cadaveri ritrovati nelle posizioni più inspiegabili. Forse io vengo da lì.

11.

kurdofaLafeL / - Gli italiani non sono tutti razzisti - dice l’infermiera mentre mi cambia la flebo. -Vedrai, - mi rassicura - Ora che vai a stare in questa casa apposta, in questo centro, te ne accorgerai. Tanti pensano che voi immigrati siate una ricchezza.

Io penso che un po’ di ricchezza ce l’avevo, ma che l’ho spesa per non arrivare in Inghilterra. Poi domando:

- Perché una ricchezza? Perché lavoriamo? - E non so dire se l’infermiera vede il mio sorriso dubbioso o la faccia da passaporto.

No - risponde lei - In senso più generale, capisci? Voi ci arricchite perché venite qua e ci portate la vostra cultura, la vostra diversità.

Magari potessi essere diverso. Invece è da quando sono arrivato che ho sempre la stessa faccia. E quanto alla mia cultura, che succede se non ne ho portata a sufficienza? Io mica me lo ricordo se ci vuole il coriandolo per fare il tashrib bamia. E poi, abbastanza curdo il mio falafel?

Nella casa per surgelati, mi esercito a raccontare la mia storia. Una palestra di autobiografia. Gli allenatori sono due ragazze, Giulia e Silvana. L’interprete interpreta. Dicono che per chiedere asilo, per ottenere lo status di rifugiato e per godere dei diritti e degli aiuti previsti, devo imparare a raccontarmi bene. Seguire un certo schema. Dire le cose in un certo modo. Controllare i dettagli. Altrimenti, invece di restare in questa casa per le persone come me,

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dove ti aiutano a integrarti con l’Italia, a trovare il tuo posto nell’ingranaggio, finisco in un’altra casa, molto più brutta, dove ti rimandano al tuo paese e non ti restituiscono nemmeno i soldi che hai speso per venire fin qua. Tutto sta nel raccontarsi bene. Ma io non sono capace, per via del congelamento. Ad esempio, quella cosa dei sedici anni, il consiglio dell’interprete. A quanto pare mi converrebbe avere sedici anni. Sarebbe tutto più semplice se li avessi. Non la riesco a dire. Ci provo e mi viene fuori diciannove. Con tutto che nemmeno lo so, se ho davvero diciannove anni. È che non riesco a sciogliermi, si vede che sono stato troppe ore in quel freezer, e poi tutti sembrano sapere meglio di me chi dovrei essere e chi non sono. Ero già pronto a dire Goodmorning e a mangiare fish ‘n’ chips. Mi piacciono i Beatles e gli Asian Dub Foundation.

Ero pronto per l’Inghilterra. E invece ho speso tredicimila dollari per finire in un congelatore.

12.

prove generaLi / Facciamo una prova generale della mia prossima audizione.

Al posto dei commissari per il Riconoscimento della Protezione Internazionale, seduti dietro la scrivania, ci sono Silvana, Giulia e l’assistente sociale. E’ una finta, ma le domande sono vere. Secche, dirette. Niente fronzoli.

Mi descriva il suo viaggio.

Aveva un passaporto?

Erano curdi anche gli altri?

Cosa vi dicevano i trafficanti?

E come mai è arrivato in Italia chiuso in un frigo?

Quanto ha pagato per il suo viaggio?

Come è riuscito a trovare la somma?

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Perché ha lasciato l’Iraq?

Perché non ci puoi tornare?

Perché ho speso tredicimila dollari per andare in Inghilterra. Quindi se non mi ridate almeno i soldi...

Mi interrompono, può bastare.

È andata maluccio, lo capisco dalle facce.

Silvana, Giulia, e l’assistente sociale. Loro hanno facce che dicono quel che pensano, facce che possono muoversi. Facce cupe. Preoccupate. Parlano tra di loro in italiano.

- Devi essere più spontaneo - mi dicono.

E già ordinare a uno “ Sii spontaneo” mi pare una bella fregatura. Con tutto che sono pure surgelato, altro che spontaneo.

- Posso tornare al centro da solo? Faccio due passi.

Mi fanno segno di sì, come no, salgono in macchina. È una vita che non sto da solo.

13.

carameLLe / Attraverso la piazza e c’è il mercato settimanale. Penso a quelli che si fanno a casa mia, e non ci vedo una gran differenza. Se non fosse per la lingua, potrei lavorare qui già da domani. E’ un mestiere che conosco, posso vendere dalla scarpe alle pentole, dai chiodi alle piante grasse. Vedo un ragazzetto che si avvicina a un banco di dolciumi. Mentre il proprietario si volta per prendere il resto a una cliente, lui affonda la mano in una montagna di caramelle e se ne infila una manciata nella tasca dei pantaloni.

Ripete l’operazione quattro, cinque volte. La tasca si gonfia. Io gli sono dietro e potrei trattenerlo per la maglietta, indicarlo, gridare al ladro. Magari come

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premio per il furto sventato, mi lasciano andare in Inghilterra, finally. Già mi vedo l’infermiera dell’ospedale che mostra agli amici la mia foto sul giornale.

- Io questo lo conosco. È qui solo da cinque mesi, e lo vedi come s’è già integrato? Voglio sentire i soliti razzisti cos’hanno da dire adesso!

Il ragazzino affonda ancora la mano, riempie la tasca, si volta e me lo trovo di fronte. Guarda la mia faccia congelata. Mi mostra le mani vuote, palme verso l’alto, braccia allargate e sorriso complice. Raggiunge amici meno coraggiosi di lui. Io faccio due passi avanti. Attendo che l’ambulante si volti. Allungo la mano sulle caramelle e ne intasco una manciata, come facevo da bambino con le albicocche secche del signor Mumtaz. Aspetto immobile che qualcuno dia l’allarme. Mi guardo intorno in cerca di occhi disgustati. La gente continua le sue chiacchiere e le commissioni. Scarto una caramella e me la piazzo in bocca. Gusto indefinibile.

Però dolce.

14.

ScongeLati / Sulla strada per tornare al centro, lancio le solite occhiate sulle vetrine, sulla carrozzeria delle auto pulite, sugli specchietti laterali, sulle pozze d’acqua e negli occhi dei passanti.

Mastico e succhio la caramella, e nelle lamiere vedo un volto che mastica e succhia la caramella. Sorrido e gli specchietti laterali sorridono.

Mi lecco le labbra e un vecchio mi guarda come un pervertito. Allora capisco.

Mi sono scongelato. Ho rubato come un ragazzino di dieci, dodici, tutt’al più sedici anni. E mi sono scongelato.

- Ho sedici anni - dico nel vento. - Ho sedici anni.

E me lo ripeto in testa mentre percorro la salita, attraverso il cancello, bevo il

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viale d’ingresso, suono alla porta.

- I’m sixteen. Ho sedici anni. - dico a Giulia quando mi viene ad aprire. - Mi sono scongelato e ho sedici anni.

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teSto / Wu Ming 2 e Contradamerla muSica / Contradamerla e Wu Ming 2

voci / Wu Ming 2

Batteria e percuSSioni / Luca Vannicola BaSSo e taStiere / Alessandro Cintioli 

chitarre / Francesco Cintioli

chitarre, taStiere e BaSSo / Giampaolo Paticchio regiStrato a / Villalecce da Contradamerla  miSSaggio e poSt-produzione / Mattia Coletti maStering / Giovanni Versari presso gli studi La Maestà Booking / Molotov Booking (info@molotovbooking.com)

grazie a / Serwan, Loop, Luca Gobbi Settembre 2019

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