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Trust: le opinioni dell'agenzia Entrate

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Trust: le opinioni dell'Agenzia Entrate

di Massimo Pipino

Pubblicato il 5 marzo 2011

analizziamo i recenti interventi dell’Agenzia delle Entrate in materia di “trust” per capirne i risvolti fiscali

In data 27 dicembre 2010, si tratta quindi di un intervento che per i tempi dell’Agenzia delle Entrate può essere definito estremamente recente, è da registrare la pubblicazione della Circolare n. 61/E con cui l’Agenzia si è espressa in tema di “trust”, dando ai contribuenti ed agli operatori della materia nuove ed ulteriori indicazioni, che si inseriscono, in sostanza, pur chiarendo alcuni aspetti interpretativi, nel solco già indicato con la circolare n. 48/E del 6 agosto 2007.

Nuova e particolare attenzione l’Agenzia pone in questo ultimo documento di prassi su quei fenomeni a proposito dei quali si può interpretare il trust come un elemento che si va ad interporre fittiziamente fra l’Amministrazione ed il contribuente riprendendo concetti già espressi in riferimento al cosiddetto “scudo fiscale”. Ulteriori chiarimenti sono poi forniti circa le modalità di tassazione dei redditi da capitale ai sensi di quanto previsto dall’articolo 44, comma 1, lettera g-sexies del TUIR.

1. l’imputazione del reddito nel caso di trust esteri con beneficiari residenti in Italia.

Come noto con la manovra finanziaria per l’esercizio 2007 (Legge n. 296/2006), ha trovato definizione nell’ordinamento fiscale italiano sia il concetto di residenza e localizzazione del trust sia la disciplina dell’imponibilità ai fini delle imposte sui redditi dei profitti da esso prodotti nell’ambito della propria attività. In particolare, il comma 2 dell’articolo 73 del TUIR sancisce che nell’ipotesi in cui i soggetti beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust medesimo sono da imputarsi in ogni caso ai suoi beneficiari in proporzione alla loro quota di partecipazione che è stata a suo tempo individuata nell’atto di costituzione del trust medesimo su indicazione del disponente, o in altri documenti successivi in ordine di tempo, ovvero, nel caso tali documenti manchino, in parti uguali.

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Sostanzialmente la norma in oggetto regola i criteri di imputazione in capo ai soggetti beneficiari del reddito prodotto dal trust, fermo restando che la determinazione dello stesso viene effettuata in capo al trust stesso a seconda che l’attività abbia o meno carattere di commercialità. Di conseguenza, dopo avere determinato in modo unitario quella che è la base imponibile la tassazione potrà avvenire secondo le seguenti modalità:

in modo diretto in capo al trust nel caso in cui si tratti di un trust opaco (cioè nel caso in cui non si abbiano beneficiari chiaramente individuabili);

con l’imputazione in capo ai beneficiari individuati nell’ipotesi in cui si tratti di un trust trasparente (nel caso appunto di un trust i cui beneficiari siano stati esplicitamente individuati nell’atto costitutivo o in un documento successivo ai sensi della volontà espressa dal disponente).

In merito alle modalità di tassazione ed in riferimento alla natura del reddito prodotto dal trust ed imputato ad esso od ai suoi beneficiari le indicazioni si possono rinvenire nell’articolo 44, comma 1, lettera g – sexies del TUIR secondo cui “i redditi imputati al beneficiario del trust ai sensi dell’articolo 73, comma 2, anche se non residenti” sono da annoverare tra i redditi di capitale. In altre parole la norma prevede, nel caso in cui il beneficiario sia stato individuato su indicazione del disponente nell’atto costitutivo del trust o in un documento posteriore, la riqualificazione del reddito prodotto dal trust medesimo in reddito di capitale, fermo restando che, così come viene chiarito sia nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 48 del 2007 che nella risoluzione n. 425 del 5 novembre 2008, ai fini dell’effettiva imputazione del reddito prodotto dal trust deve assolutamente mancare una qualsiasi possibilità di scelta del trustee.

Una eventualità di questo tipo farebbe decadere il principio di automatismo che è previsto dalla norma, dato che il trustee deve limitarsi ad eseguire fedelmente le indicazioni che il disponente ha indicato nell’atto costitutivo il trust medesimo.

La Circolare 61/E/2010 si sofferma sull’applicazione di quanto disposto dall’articolo 44, comma 1, lettera g-sexies) del TUIR nella fattispecie in cui il trust sia non-residente (e dunque non

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riqualificabile come residente in Italia sulla base delle presunzioni operate dall’articolo 73), ma i beneficiari siano invece residenti in Italia nonché del caso in cui sussistano beneficiari non residenti di trust residenti.

Nel primo dei casi contemplati (ovvero quello relativo ad un trust non residente i cui beneficiari siano residenti in Italia) si afferma che l’espressione “anche se non residenti” non può che essere intesa riferita al trust, posto che il fine che la norma si prefigge è quello di rendere il beneficiario residente individuato quale soggetto passivo di imposta con riferimento ai redditi percepiti da parte del trust medesimo, a prescindere dalla residenza attribuibile a quest’ultimo.

Quindi, fatte salve le ipotesi di interposizione del trust nelle quali il beneficiario è in grado di conseguire redditi di diversa natura secondo le categorie che sono previste dall’articolo 6 del TUIR, secondo quanto disposto dalla citata lettera g-sexies il reddito imputato dal trust ai soggetti beneficiari residenti è sempre imponibile in Italia in capo a questi ultimi quale reddito di capitale a prescindere dalla circostanza che il trust sia o meno residente in Italia e che il reddito sia stato prodotto o meno nel territorio dello Stato italiano.

Ovviamente, se il redito imputato ai beneficiari residenti è stato prodotto dal trust in Italia e già tassato ai sensi dell’articolo 73 del TUIR, lo stesso non sconterà una ulteriore imposizione in capo ai beneficiari. L’Agenzia osserva che con tale indicazione, si assicura il fatto che il trust estero viene assoggettato a tassazione analogamente a quanto accade ai trust italiani e, in particolare, ai trust cosiddetti opachi con riferimento all’eventuale reddito prodotto i Italia ed imputabile al trust medesimo nonché al trust trasparente con riferimento alla quota di reddito imputabile al beneficiario

Italiano. In tal modo, vengono evitati vantaggi fiscali che potrebbero essere conseguiti, ad esempio, nell’ipotesi di trust opachi costituiti in giurisdizioni straniere a regime fiscale agevolato. In tal caso, infatti, alla tassazione ridotta in capo al trust corrisponderebbe comunque l’imposizione in capo al beneficiario residente secondo quanto previsto dall’articolo 44, comma 1. lettera g-sexies del TUIR.

L’altra ipotesi è invece quella relativa a soggetti beneficiari non residenti di trust trasparenti o misti, il cui reddito loro imputato deve essere considerato come prodotto in Italia in funzione del principio generale sancito dall’articolo 23, lettera b) del TUIR.

Di conseguenza, nei confronti dei soggetti non residenti si verificherà l’imponibilità dei redditi di capitale corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti sul territorio dello Stato o da stabili organizzazioni in Italia di soggetti esteri. Anche in questa ipotesi, peraltro, la specifica disposizione che prevede l’imputazione per trasparenza del reddito in questione, prevale sulla

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regola generale che prevede, come noto, la tassazione dei redditi di capitale esclusivamente al momento della corresponsione.

L’ipotesi del cosiddetto trust interposto

Tuttavia, l’aspetto di maggiore rilevanza contenuto nella circolare in oggetto non è dato dagli argomenti fin qui citati ma è quello legato all’individuazione delle ipotesi in cui il trust si configura come soggetto meramente interposto (la cui funzione è quella di creare uno schermo tra soggetto percipiente i redditi prodotti dall’attività del trust e l’Amministrazione) e cioè nei casi in cui non vengono rispettati i connotati distintivi dell’istituto, quali:

la netta separazione dei beni riferibili al trust rispetto al patrimonio del disponente, del trustee e dei beneficiari (va a questo proposito ricordato che il disponente, all’atto della costituzione del trust si spoglia del possesso dei beni che in esso confluiscono, limitandosi a definire delle regole che il trustee dovrà seguire nell’amministrazione dei beni medesimi, beni, inoltre, che sono del tutto separati ed autonomi da quelli del trustee medesimo, il cui unico compito è quello di adeguarsi a quanto definito dall’atto di costituzione);

l’intestazione dei beni medesimi al trustee (ciò violerebbe uno dei principi fondamentali di funzionamento del trust in quanto istituzione);

il potere-dovere del trustee di amministrare, gestire e disporre dei beni del trust e secondo le indicazioni del regolamento stilato dal disponente o le norme di legge vigenti nello Stato (il trustee deve seguire le regole definite nell’atto di costituzione del trust che, tuttavia, non possono andare contro le leggi dello Stato secondo la cui normativa il trust è stato costituito).

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Laddove questi elementi non sussistano, secondo l’orientamento espresso dall’Agenzia delle Entrate, i beni facenti parte del patrimonio del trust non possono continuare ad essere a disposizione del disponente (il disponente, se nell’atto costitutivo del trust il caso è previsto, può, al ricorrere di determinate condizioni, modificare le regole che originariamente sono state stabilite) né questi può in nessun caso beneficiare dei relativi redditi (nel caso in cui il disponete sia, ai sensi del regolamento del trust, anche il, o tra i, beneficiari del trust medesimo). Di conseguenza, non possono essere considerati validamente operanti sotto il profilo fiscale i trust che sono istituiti e gestiti per realizzare una mera interposizione nel possesso dei beni e nel godimento dei relativi redditi.

È il caso, per esempio, dei trust nei quali l’attività del trustee risulti diretta da istruzioni vincolanti riconducibili al disponente o ai beneficiari (va qui ribadito che, all’atto della costituzione del trust, il disponente enuncia una serie di regole di gestione del patrimonio confluito nel trust, effettuato questo passaggio, esso si spoglia della proprietà dei beni che costituiscono il patrimonio del trust e non deve più influire in alcun modo sull’operato del trustee che è l’unico responsabile dell’esecuzione delle indicazioni contenute nell’atto costitutivo. Una sorta di controllo sull’operato del trustee lo possono esercitare, laddove istituiti i cosiddetti

“guardiani”, fermo restando che sarà un controllo sulle modalità di esecuzione degli atti amministrativi e non una valutazione sui risultati dell’opera del trustee).

Inoltre, la figura del trust interposto è identificata nel caso in cui venga in qualche modo compresso l’effettivo potere del trustee di amministrare e disporre dei beni a lui effettivamente affidati dal disponente (e qui si apre il delicato discorso, sopra appena accennato, dell’attività di quei soggetti indicati come “guardiani” il cui compito deve limitarsi alla verifica della coerenza dell’operato del trusteee alle regole individuate dal disponente in sede di costituzione del trust senza entrare nel merito delle modalità con cui l’attività del trustee si dispiega).

Quindi, nel caso in cui il potere di gestire e di disporre dei beni dovesse rimanere in tutto o in parte in capo al disponente e ciò emergesse non solo dall’atto istitutivo del trust ma anche da elementi di mero fatto e non si dovesse verificare il reale spossessamento di quest’ultimo, il trust dovrebbe ritenersi inesistente ai fini delle imposte sui redditi e dovrebbe essere considerato come un soggetto meramente interposto rispetto alla figura del disponente stesso, soggetto al quale dovranno pertanto essere attribuiti i redditi che, solo in via formale, vengono riferiti al trust.

In questa circostanza, ovviamente, troveranno applicazione le ordinarie disposizioni del TUIR in

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relazione alla individuazione delle singole categorie reddituali.

L’impressione è che le indicazione che l’Agenzia delle Entrate ha voluto rendere pubbliche traggano origine da fenomeni che, oggettivamente, possono verificarsi in concreto e che siano anche già state individuate nella normale attività ispettiva, tanto è vero che fattispecie assimilabili sono già state identificate ed approfondite nell’ambito delle indicazioni fornite in occasione della sanatoria delle attività estere detenute in violazione delle norme sul monitoraggio.

Non a caso, infatti, la circolare n. 61/E richiama il contenuto della precedente circolare 43/E del 10 ottobre 2009, nella quale, ai fini dell’identificazione dei soggetti che potevano accedere allo scudo fiscale si faceva riferimento alla casistica dei trust meramente interposti quali, ad esempio, il trust che il disponente, (o il beneficiario), può far cessare liberamente in ogni momento, generalmente con la distribuzione a proprio vantaggio o anche a vantaggio di terzi dei beni a suo tempo confluiti nel trust e dei redditi nel frattempo generati e non distribuiti, ovvero il trust il cui disponente è titolare del potere di designare in qualsiasi momento sé stesso come beneficiario e quindi percipiente i redditi generati dall’attività amministrativa del trustee, se non addirittura assegnatario dei beni costituenti il patrimonio del trust, oppure, ancora, il trust in cui il disponente (ovvero il beneficiario) risulti dall’atto istitutivo ovvero da altri elementi di fatto, titolare di poteri in forza dell’atto istitutivo, in conseguenza dei quali il trustee pur dotato di poteri discrezionali nella gestione ed amministrazione del trust non ha titolo di esercitarli senza il suo consenso. Tale elencazione viene dunque ripresa nel recente documento di passi in commento al fine di individuare fenomeni sostanzialmente connotati da caratteri di elusività.

5 marzo 2011

Massimo Pipino

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Un nuovo e-book, per approfondire argomenti un pò particolari….

Il trust, il fondo patrimoniale ed il contratto fiduciario quali strumenti di protezione dei patrimoni

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