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MARKETING. La comunicazione come non l avete mai letta. Spunti, riflessioni e pratiche manageriali.

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Academic year: 2022

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MARKETING

E DINTORNI

La comunicazione come non l’avete mai letta.

Spunti, riflessioni e pratiche manageriali.

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Premessa

La comunicazione e il marketing raccontati da chi li fa. Probabilmente è questo il reale valore aggiunto per chi frequenta o frequenterà il blog www.lucascrimieri.it

Sentir raccontare la comunicazione da chi la fa veramente, da chi la studia, la prova e a volte la sbaglia anche. Errori necessari per misurare il limite di determinati mezzi, la serietà di molti strumenti, l’affidabilità di certi partner. Se non si osa d’altronde quel limite difficilmente verrà superato. E nel tentativo un errore può capitare. Quando entri in territori sconosciuti devi provare necessariamente. Anche quando ti muovi con attenzione l’errore può essere dietro l’angolo. Questa è l’imprevedibilità di una

disciplina umanistica come la comunicazione. Ma capita anche il contrario, di trovare soluzioni inattese e risultati insperati. Sempre più il successo di una campagna di comunicazione è proporzionale al coraggio di osare. La frase “si è fatto sempre così”

oggi non va più bene. E non è solo una questione di settori. Si potrebbe infatti pensare che nel marketing digitale o nel transmedia sia più facile osare e rischiare. In realtà anche nella comunicazione tradizionale vi sono ancora molti confini inesplorati.

Nonostante 60 anni di esperienza della pubblicità determinati meccanismi, comportamenti o reazioni ad uno stimolo di comunicazione non sono ancora

conosciuti. La psicologia, la sociologia applicata al marketing ed oggi le neuroscienze si sono sempre sforzate per fornire risposte e modelli di interpretazione. Sovente trattasi di esercizi di puro pensiero o esperimenti da laboratorio con i quali spiegare il tutto dal niente.

Tra chi studia e ricerca e chi mette in pratica c’è solo una grande differenza: il secondo sbaglia ma fa progredire il primo.

In questo opuscolo troverete una raccolta di articoli pubblicati da Luca dal marzo 2015 ad oggi. Una produzione sterminata, volendo, che spazia in tutte le discipline attinenti il marketing e la comunicazione. Quindi leggerete di branding, di pubblicità, di

pubblicitari, di tecniche e quanto serve oggi alla moderna azienda per svilupparsi e prosperare, sino ad un ambizioso tentativo di scrivere in inglese. (Ndr: Gli articoli, rispetto al blog, sono raccolti per argomento e non per data).

Scritti nati dall'esperienza ultraventennale dell'autore, praticata quotidianamente su clienti reali. Reali come i loro fatturati e il loro successo.

Buona lettura.

(Il correttore di bozze)

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A mio padre.

E a tutti coloro che, in un modo o nell'altro, hanno alimentato la mia tremenda passione per il marketing e la comunicazione.

“Il bene supremo al quale l'uomo deve tendere è la conoscenza”

Rita Levi Montalcini.

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MARKETING BRANDING SEMIOTICA ADVERTISING WEB

IN ENGLISH, PLEASE

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MARKETING

BRANDING SEMIOTICA ADVERTISING WEB

IN ENGLISH, PLEASE

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QUESTO E' L'ANNO DEL MARKETING

Febbraio 2017

E’ l’anno in cui la tua impresa sbaraglierà la concorrenza e comincerà ad essere protagonista nel suo settore. E l’anno in cui farai fatica a star dietro ai tuoi ordini, a controllare i fatturati e redditività. Questo è l’anno in cui lavorerai abbandonando le vecchie abitudini e ti organizzerai aziendalmente in un’ottica marketing realmente profittevole. E’ l’anno in cui affronterai le incertezze del mercato senza paure e combatterai la crisi come non mai. L’anno in cui stabilizzerai i tuoi risultati e potrai cominciare a crescere o consolidare la crescita dell’anno scorso e sviluppare ulteriormente.

Questo è l’anno del marketing. E’ il tuo anno.

Se hai già avuto la lungimiranza di considerare il marketing una leva fondamentale della tua impresa probabilmente stai cominciando a lasciarti alle spalle la crisi e goderti i risultati e a chiederti come mai non lo hai considerato prima. Sarà mai possibile che esiste una disciplina che ben organizzata può farti avere risultati incredibili? Si, esiste e si chiama marketing.

Se fino ad oggi invece è stato l’ultimo dei tuoi pensieri c’è da chiedersi come mai sei ancora qui e, assodato questo, sarebbe opportuno sapere perché dovresti cominciare a pensare al marketing un po’ più seriamente.

Ora dai uno sguardo a questi dati, reali.

“In Italia è boom di ristoranti e bar. In cinque anni se ne contano quasi il 10% in più e a Roma, Milano e Napoli si concentra il numero maggiore di queste attività. Ma se sono sempre di più gli imprenditori pronti a scommettere sui piaceri della cucina e di una buona tazza di caffè, solo in pochi riescono a tenere in piedi la propria attività a 5 anni dalla nascita: tre su quattro hanno abbassato la saracinesca e oltre il 45% non è riuscita a resistere al terzo anno di vita.

Questo emerge da un’analisi di Unioncamere-Infocamere sui dati del Registro delle imprese italiane tra il 31 dicembre 2011 e il 31 dicembre 2015. Alla fine dell’anno si contavano 367mila attività, tra ristoranti (197mila imprese) e caffetterie (170mila), sparse sul territorio nazionale, in crescita di oltre 31mila unità rispetto a cinque anni prima”.

Nel 2015, sempre in Italia, hanno chiuso 16 imprese ogni ora. 390 al giorno. Oltre 142.000 in un anno. Sono i dati che emergono da una ricerca di Rete Imprese Italia.

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Nel 2014, 104 mila imprese sono fallite, entrate in procedura concorsuale o liquidate (dati Cerved).

Nel 2012, 350 imprese al giorno falliscono. Oltre 120.000 in un anno (dati 2012 Cribis D&B)

“Non si attenua la crisi che sta vivendo l’artigianato: secondo un’indagine dell’Ufficio Studi della Cgia nel 2015 le imprese attive sono diminuite di 21.780 unità, mentre dall’inizio della crisi (2009) il numero complessivo è crollato di 116 mila attività. Al 31 dicembre 2015 il numero complessivo delle aziende artigiane presenti in Italia è sceso sotto quota 1.350.000”.

Dati reali, specchio di una situazione gravissima che riguarda l’economia italiana e che colpisce in modo particolare le piccole e medie imprese.

Come fronteggiare questo pericolo?

Sono convinto che, da buon imprenditore, già da solo hai preso negli anni qualche provvedimento. Ora però lasciati aiutare dal marketing.

A cosa serve il marketing?

Analisi e studio del mercato per definire le opportunità, le minacce, le tendenze Analisi della concorrenza

Definizione del segmento di mercato da servire

Profilazione del target da interessare, conoscenza del tuo pubblico

Gestione portafoglio prodotti e conseguente scelta di una strategia di marca

Gestione corretta di tutti gli elementi del marketing mix (prezzo, prodotto, pubblicità, distribuzione)

Gestione dei feedback, dei risultati delle varie attività Ottimizzazione e sviluppo delle vendite

Gestione della redditività, per brand, per linea di prodotto, ecc.

Definizione dei supporti

Fornire una visione alla strategia di impresa

Pianificare le attività, gli interventi, gli investimenti Pianificare una strategia di riserva.

In poche parole dovrai dotarti di una strategia di marketing e di branding precisa.

In altre parole dotarti del marketing vuol dire saper rispondere alle domande: Cosa devo fare? Come? Dove? Quando?

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Quando invece non serve il marketing?

Non serve considerare il marketing un’urgenza. Il marketing non è un’attività da pensare in fretta e risolvere in pochi istanti, non è un’occasione last minute.

Non serve considerare il marketing una spesa. Il marketing, e tutti i suoi collaterali, sono investimenti. In realtà ti costa molto di più non fare marketing.

Non serve delegare il marketing a un parente, a un cugino, ad un amico che ti è stato consigliato. Non ti faresti mai curare da chi non è medico o costruire una casa da chi non è ingegnere. Perché quindi affidare il marketing ad un dilettante? Se il marketing è una disciplina maltrattata è anche perché esso è stato affidato spesso a dilettanti, che con la loro incompetenza hanno creato più danni che altro. Per cui se devi cominciare a parlare di marketing sarà bene, all’inizio, affidarti a professionisti. Nelle piccole medie imprese dovrebbe essere l’imprenditore stesso a conoscere bene questa disciplina e permettere la formazione di una o più risorse interne dedicate.

Non serve una campagna di comunicazione se non deriva da un marketing studiato e pianificato. Rischiano di essere soldi buttati al vento.

Ora la decisione spetta a te. Consolidare e sviluppare la tua realtà o subire e dar colpa alla crisi? Attendere… prego.

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10 BUONI MOTIVI PER FARE MARKETING.

Aprile 2017

10 buoni motivi per fare marketing:

1. Il marketing, ben organizzato, aumenta le vendite dell’azienda e la redditività;

2. Il marketing lavora sul brand e quindi sul posizionamento;

3. Il marketing analizza il mercato, i segmenti, i consumatori e individua una politica aziendale da seguire;

4. Il marketing anticipa e studia le tendenze;

5. Il marketing costringe a pensare in termini di budget e quindi aiuta la pianificazione degli investimenti;

6. Il marketing governa le variabili prodotto, prezzo, pubblicità e distribuzione e ciò permette di articolare una serie di azioni coerenti e sinergiche tra loro;

7. Il marketing permette di articolare anche dei piani di riserva per gestire meglio eventuali crisi;

8. Un buon marketing favorisce le public relations e viceversa;

9. Un buon marketing permette la fidelizzazione del cliente;

10. Un buon marketing agevola l’attività di vendita della forza commerciale.

Alcuni motivi per cui non sempre si riesce a fare un buon marketing.

1. Scarsa cultura riguardo al marketing;

2. incompetenza dei profili professionali e/o mancanza di esperienza delle figure dedicate al marketing;

3. reparto marketing relegato in funzione di staff e non in line o gerarchicamente dipendente da una direzione commerciale o addirittura altra direzione;

4. imprenditori e/o amministratori delegati non provenienti dal marketing;

5. mancanza di budget e scarsa propensione alla pianificazione;

6. agenzie pseudo-creative, pseudo-pubblicitarie, finti consulenti, freelance vari ed eventuali. (Queste/i ultime/i da evitare come la peste).

Bisogna anche prestare attenzione alla confusione tra attività di marketing e attività promozionali/pubblicitarie. Si confondono gli argomenti per cui spesso ci si ritrova con delle azioni promozionali che, per loro natura, non possono perseguire determinati obiettivi di brand. Con le nuove tecnologie a disposizione si sta inoltre diffondendo un filone di marketing digitale sicuramente interessante, per la possibilità di avere a disposizione dati, analisi e tracciamenti, nonché rilevazioni dei risultati e conseguenti ROI. Il territorio on line dunque sempre di più scenario delle nuove azioni di marketing.

Bisogna anche qui prestare attenzione agli obiettivi che si intendono raggiungere tramite il digitale e al traslare azioni off line nel mondo on line senza i dovuti accorgimenti.

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COME AVERE UN MARKETING POTENTE ANCHE SE FINORA TUTTO TI HA DELUSO.

novembre 2016

Spesso mi sento dire: “questa pubblicità non ha funzionato”, “ho fatto un po’ di affissioni ma non ho avuto alcun risultato”, “ho fatto un sito ma non so cosa farne”. Il parametro con cui si misura il successo di una qualsiasi iniziativa, per qualsiasi imprenditore, sono l’aumento delle vendite, il numero dei clienti che si è rivolto ad essi, in poche parole un riscontro economico.

Se non vuoi più avere problemi in tal senso sei capitato nel posto giusto. Ti spiegherò le formule per cui ogni iniziativa sarà un successo. Non ti piacerebbe investire 1 euro e riceverne 10. Basta solo un po’ di conoscenza e determinazione.

Non puoi proprio permetterti di buttare soldi all’aria. Hai un’azienda, da te dipendono personale e famiglie per cui devi necessariamente porre attenzione a ciò che fai. Da oggi potrai cominciare a stare più tranquillo.

Basta affidare il tuo marketing a chi lo sa gestire. Fino ad oggi hai fatto da solo oppure ti sei rivolto a persone che ne sapevano meno di te. Adesso basta. E’ tempo di cambiare. I tuoi problemi sono terminati.

Nel marketing o nella comunicazione il problema è sempre a monte. Prima di avviare una qualsiasi iniziativa pubblicitaria è necessario porre attenzione a qualche elemento. Il successo di una iniziativa di marketing va preparato scrupolosamente a tavolino.

Le persone cui ti sei rivolto quanto tempo ti hanno dedicato?

Hai mai avuto la sensazione che una volta definito il discorso economico e pagata la cifra pattuita l’interesse della pseudo agenzia o del finto professionista cominci a svanire, giorno dopo giorno, fino a perdersi del tutto?

Hai mai provato a chiedere una modifica al sito dopo qualche anno dalla creazione dello stesso? Cosa ti sei sentito dire?

Hai mai provato a chiedere di più e hai visto come ti è stato risposto?

Se non vuoi più incorrere in queste situazioni che farebbero passare la voglia di investire in comunicazione e pubblicità anche al più tenace degli imprenditori ora hai una soluzione. Guarda il sito dell’agenzia www.k80.it , leggi gli altri miei articoli in questo blog, guarda tutte le nostre esperienze. Chiamaci e fai tante domande. Siamo qui per questo e facciamo questo lavoro per scelta non per caso.

Comincia a ragionare su questo.

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Definisci i tuoi obiettivi.

Cosa ti aspetti realmente da un’azione di marketing o di comunicazione?

Definisci una strategia.

Basta una bozza. Scrivila, buttala nero su bianco, scrivi ciò che ti viene in mente legato al tuo mercato, al tuo prodotto, alle caratteristiche dei tuoi servizi, ai tuoi punti di forza e debolezza. Prova ad immaginare una cifra da dedicare completamente al marketing.

Stabilisci un budget, in percentuale del tuo fatturato. Oppure hai già un piano di marketing, creato dal tuo direttore marketing o dal tuo consulente fidato. Ok. Lo leggeremo e…. no scusa. Non voglio prenderti in giro. Lo butteremo via e ricominceremo daccapo. Se tu avessi direttori o consulenti in gamba non saresti a questo punto e francamente non avresti bisogno di me.

Con questi pochi elementi riusciremo a costruire insieme a te una politica adeguata.

Ragioneremo pensando al tuo mercato, a quanto è importante penetrarlo con la giusta pressione e frequenza. Non voglio cominciare adesso a parlarti in gergo tecnico, ma ti prometto che ne parleremo insieme, alla fine avrai piena conoscenza di determinati strumenti e tante cose, che altri presunti professionisti ti tenevano nascoste perché temevano di perderne il controllo o perché semplicemente non le conoscevano, riuscirai finalmente a padroneggiarle. La tua comunicazione non avrà segreti. Ti ripeto ancora una volta che ne parleremo, cambieremo probabilmente qualcosa e litigheremo probabilmente perché per avere quello che vuoi dovrai fare cose che non sai. Si è proprio così. Se vuoi mettere il turbo alla tua azienda dovrai affidarti a tutta la potenza del marketing, a ragionare con nuove modalità, per sfruttare tutte le occasioni che si presenteranno.

Se vuoi più vendite devi capire come avere un marketing potente anche se finora tutto ti ha deluso.

Se ti rivolgi già ad un’agenzia e non hai i risultati che vuoi devi solo lasciar perdere e cambiare. La tua pubblicità non deve essere carina, non deve essere creativa, o fatta bene, la tua pubblicità deve farti esplodere, deve funzionare all’ennesima potenza.

Se hai un grafico interno o lavori già con un grafico free-lance, devi lasciar perdere e cambiare. E’ solo una perdita di tempo e soldi. Un free-lance non potrà mai portarti dove vuoi tu, perché non ha competenze di marketing, non sa che la

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progettazione grafica di un qualsiasi strumento deve essere preceduta da un’analisi, deve essere testata su più fronti, non conosce il copy e non sa cosa voglia dire ritorno dell’investimento. Però fa cose carine, fa siti carini….

Te lo ripeto ancora una volta e voglio che te lo fissi in testa una volta per tutte. Un grafico free-lance o una partita iva travestita da agenzia è ciò che ti porterà a chiederti sempre:

“come mai questa cosa non funziona”.

Se fino ad oggi ti sei rivolto ad un consulente di marketing, che nella sua carriera vanta qualche corso di marketing, fa il formatore e ti parla della PNL applicata al marketing e alle vendite…. Non hai molto tempo per salvarti. Ok. Hai capito il mio pensiero.

Se vuoi che non capiti più adesso sai cosa fare.

Analisi- Strategia- Posizionamento- Target- Mezzi. Penetrazione-

Pressione-Frequenza-Mix saranno le nuove parole d’ordine che ti guideranno da risultati mediocri a risultati importanti, dall’essere una delle tante aziende a diventare un protagonista del tuo mercato.

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PRIMA ACQUISISCI, POI FIDELIZZI.

dicembre 2016

Ovvero quanto è importante orientarsi alla concorrenza piuttosto che al cliente.

Parlano di fidelizzare il cliente, di orientamento al cliente ma non sanno come acquisire un cliente.

Già.

L’argomento della fidelizzazione sembra essere più frequentato rispetto a quello dell’acquisizione clienti. Il mantra che lo circonda è: acquisire un cliente costa di più che mantenerlo per cui meglio renderlo fedele. Il che è assolutamente vero, i clienti che si mantengono sono il vero patrimonio dell’azienda, ma altrettanto vero è che prima di fidelizzare bisogna conquistare. Si ritiene che la fidelizzazione sia un’attività di marketing mentre quella di acquisizione clienti sia un’attività di vendita. Sbagliato.

Ricercare nuovi clienti è l’attività principale del marketing. Il marketing non è altro che un sistema di vendita della propria marca, del prodotto o servizio finalizzato a raggiungere determinati obiettivi.

Acquisire clienti infatti vuol dire rivolgersi all’esterno, combattere la concorrenza, comunicare, convincere nuovi acquirenti della tua esistenza e fornir loro una ragione plausibile della tua esistenza e del perchè debbano essere tuoi clienti. Cioè in tre righe ho praticamente descritto un piano di marketing.

Il marketing non è altro che un sistema di vendita della propria marca, del prodotto o servizio.

Vediamo un pò. La strategia di fidelizzazione può essere definita come l’organizzazione di tutti gli strumenti atti ad aumentare la fedeltà del cliente. La fedeltà può essere definita

“un profondo impegno al riacquisto verso un determinato prodotto o servizio nel futuro nonostante le influenze e gli sforzi di marketing che potrebbero determinare un cambiamento dei comportamenti d’acquisto”. Il fattore principale per la creazione di una elevata fedeltà del cliente consiste nello sviluppare un elevato valore per il cliente, superiore rispetto alla concorrenza.

Ciascuna marca/prodotto/servizio consta di un tasso di fedeltà, cioè la percentuale di acquirenti che, avendo acquistato la marca A le volte precedenti, continua attualmente a comprarla, e un tasso di attrazione, ovverossia la percentuale di acquirenti che, avendo acquistato in precedenza marche della concorrenza, d’ora in avanti acquisterà la marca A.

Una strategia di fidelizzazione presuppone un forte orientamento al cliente, perchè per renderlo fedele devi conoscerlo e assecondarlo. L’orientamento al cliente viene infatti definito, nei sacri testi, in tal modo: “l’impresa adotta il punto di vista del cliente come criterio guida delle azioni di marketing. Così facendo è in grado di adattarsi al massimo grado possibile alle esigenze di coloro che effettuano l’acquisto”. In poche parole fare

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Ora fate attenzione: nelle righe precedenti abbiamo detto che il fattore principale per la fedeltà è costruire un elevato valore superiore alla concorrenza e che l’attrazione della marca si esercita nei confronti della concorrenza. Va da sé che l’azienda debba orientarsi quindi alla concorrenza, altrimenti come farebbe a costruire le basi per la fidelizzazione?

Per questo l’orientamento al cliente non serve a niente e la sua definizione è un puro esercizio teorico. L’acquisizione del cliente e la relativa fidelizzazione si ottiene orientandosi alla concorrenza.

Studi, analizzi, posizioni e attacchi. Allora acquisisci, cresci e fidelizzi.

In realtà in un’impresa non c’è nessuna differenza tra acquisire e fidelizzare. Fidelizzo il cliente nel momento stesso in cui lo acquisisco e faccio in modo che ricompri da me. La differenza tra le due azioni, come quella tra orientamento al cliente e alla concorrenza la lasciamo ai consulenti.

Per molti consulenti è più facile parlare di fidelizzazione e di cliente piuttosto che di acquisizione e di concorrenza. Ovvio che sia così. Avete già dei clienti. E’ più facile lavorare sull’esistente e costa anche meno. Invece vendere il prodotto o servizio che trattate, aumentare il numero dei clienti, il fatturato della vostra attività è cosa ben diversa e molto più difficile.

La prima preoccupazione della stragrande maggioranza degli imprenditori è aumentare il fatturato. Quindi come conquistare nuove quote di mercato e nuovi clienti. Come diventare i reali protagonisti del settore. La fidelizzazione è una semplice conseguenza.

Parleremo anche di questo e di cosa bisogna fare, con tre/quattro mosse, per fidelizzare la clientela e fare in modo che preferisca sempre te piuttosto che altri.

Come si fa ad aumentare le vendite? Come si fa a vendere in modo da garantire alla vostra impresa solidità e prosperità?

Ve lo dico fuori dai denti, gran parte dei consulenti non ha la minima idea di come rispondere a queste domande, di quali attività e strumenti un’impresa abbia bisogno per acquisire i clienti.

Il marketing presta il fianco a molti truffa-fuffatori di professione, i cui danni sono purtroppo visibili solo dopo. Purtroppo tanti imprenditori ne fanno le spese e rischiano di sperperare investimenti e rovinare la loro attività. Ne deriva una gran confusione da parte degli imprenditori stessi che, nella migliore delle ipotesi, preferiscono star fermi.

Ma star fermi vuol dire sopravvivere. Star fermi vuol dire uscire prima o poi dal mercato.

Evitare i consulenti di marketing dovrebbe essere la prima regola da seguire per un imprenditore.

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Partiamo dal presupposto che non esiste un cliente fedele. A meno che il vostro prodotto/servizio non sia veramente unico, esclusivo, necessario in modo da porvi come monopolista (ah la cara vecchia lezione di economia all’Università), la fedeltà del cliente è un concetto assolutamente astratto. Per questo meglio guardare alla concorrenza.

Sapere ciò che fanno i tuoi concorrenti, i loro servizi, le loro politiche di comunicazione, le loro azioni, i prezzi, ecc. Rispetto a questi trovare delle differenze e lavorarci. Questo non vuol dire non tener presente le esigenze dei clienti.

Il prodotto o il servizio che vendete deve essere valido e atto a soddisfare le loro esigenze. Siete ristoratori, baristi, albergatori, dovete cucinare bene, servire un ottimo caffè, accogliere bene, siete fisioterapisti/operatori del benessere, chiaramente dovete esser competente nel metter le mani su una persona e trattarla bene. L’orientamento al cliente è scontato, ciò che non è scontato è offrire al cliente delle differenze rispetto agli altri. Un prodotto artigianale? Un semilavorato esotico poi completato nel vostro laboratorio? Una combinazione di ingredienti? Una ricetta che solo voi potete fare? Un metodo di accoglienze e gestione del cliente che vi distingua e che vi ponga agli occhi dei clienti come unico? Un protocollo di esercizi e terapie in grado di contrastare il dolore sciatico? Come fate a capire cosa se non conoscete la concorrenza? Se siete bravi e studiate la concorrenza, coerenti con ciò che promettete e con tutte le leve di marketing corrette, rispetto al mercato cui vi proponete, al target cui puntate, al servizio/prodotto che offrite, con un brand (marca) posizionato e percepito secondo i dettami del marketing non avrete bisogno di finti consulenti interessati solo al vostro portafoglio. Avrete bisogno probabilmente di comunicare bene questo brand e tali differenze. E anche lì bisogna prestare attenzione. C’è sempre un grafico free-lance che si traveste da comunicatore e che si spaccia per quello che non è. Un problema sempre attuale. Ma ci sono imprenditori che cominciano a separare i mediocri dai bravi, i truffa-fuffatori dai professionisti, capaci di farvi fare numeri. Comincia con K80&Associati

Riepilogando, quindi, le parole d’ordine sono guardare la concorrenza, capire come fare per acquisire clientela e come crescere, poi fidelizzare.

Studi, scopri, analizzi, posizioni, attacchi, acquisisci, fidelizzi.

Studi, scopri, analizzi, posizioni, attacchi, acquisisci, fidelizzi.

Studi, scopri, analizzi, posizioni, attacchi,

acquisisci, fidelizzi.

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IL GRANDE BLUFF DELLE AGENZIE CREATIVE E DEI FREELANCE.

Marzo 2017

Creativo non vuol dir niente. La parola creatività pronunciata da sola è Vuota come lo sono le agenzie e i freelance che si definiscono creativi. Avete presente tutti quei personaggi che si definiscono creativi o che dicono che le loro agenzie sono il tempio della creatività e che essa è la soluzione a tutti i problemi? Quelli che ci tengono a difendere e diffondere il loro status di creativi ad ogni costo? Ecco. Non hanno nulla a che fare con la creatività. E vi spiego perché. Ovviamente non facciamo di tutta un’erba un fascio. Il perbenismo ipocrita imperante ce lo vieta. Ma il mercato ne è pieno.

Vediamo cosa intendiamo per il grande bluff delle agenzie creative e dei freelance.

• Il marketing non c’entra nulla con la creatività ma la creatività col marketing sì.

il marketing è un processo che sovraintende la creatività, che fornisce alla stessa tutti gli elementi per creare una campagna, un messaggio memorabile ed efficace. Ma la creatività ha senso solo all’interno di un marketing scientifico e rigoroso. Perché il marketing è scienza quando parla di analisi, di scenari, di trend, di dimensionamento del mercato nei suoi segmenti, di piani, target e obiettivi. Il marketing è rigoroso quando parla di budget e conti economici, di strategie alternative di comunicazione, di gestione della crisi. Il marketing è Roi quando si parla di lead generation e conversioni. Il marketing creativo non esiste se non in funzione di un processo di marketing. La genialità creativa, da sola, è un edulcorante, sembra la soluzione a tutti i mali ma non porta niente. Può risolvere nel breve periodo ma nulla di più. A questo si deve il fallimento di gran parte delle campagne pubblicitarie, di tantissime azioni di marketing non convenzionale. Quando esse non vengono studiate e rigorosamente ingabbiate nelle maglie di analisi-obiettivi-risultati si sciolgono come neve al sole. Ad esempio il fatto di progettare un guerrilla marketing non esime dall’inquadrare l’azione in una cornice strategica (vedi A. Brioschi, A. Uslenghi). Questo accade da sempre. Chi ha studiato seriamente la pubblicità non può non sapere che è così da sempre. Ditelo a Bernbach e alla sua “rivoluzione creativa” con l’accostamento di due professionalità diverse tra loro ma complementari, art director e copywriter (nacque allora la coppia creativa-un metodo quindi). O ancora guardate Hopkins e la sua ossessione (teorizzata) di conoscere bene il prodotto prima di qualsiasi annuncio pubblicitario.

• La creatività fine a se stessa non ha senso.

Essa deve essere funzionale alla marca, ai prodotti e alle vendite. Con questo recuperiamo il reale significato della pubblicità. Ogni pubblicità deve aiutare le vendite dell’azienda, fare continuo riferimento ai valori della marca, deve avere un messaggio chiaro, efficace rivolto al target. E la creatività può e deve essere il denominatore comune a tutto questo (cfr. E. Nenna). Solo così si può parlare di

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pubblicità. Altrimenti rischiamo di avere solo esecuzioni, magari ottime, brillanti ma pur sempre semplici esecuzioni.

Quante volte vi è capitato di ricordare un jingle, uno slogan, una scena pubblicitaria ma non di riuscire a legarla a quella particolare marca? Quanto potrebbero guadagnarci le attuali pubblicità? Guardate, per esempio, il settore della telefonia o delle automobili. Le pubblicità sono tutte uguali e le aziende si contendono il mercato a suon di offerte e finanziamenti. Se invece contenessero una valida creatività? Nonostante possano anche snocciolare buoni risultati probabilmente causati più dalla pressione pubblicitaria che da altro. La creatività ha bisogno di un prima, un durante, un dopo. Un prima nel planning, attività definita come la creatività che precede la creatività stessa. Lo strategic planning è una figura di cui si sente il bisogno in Italia. Durante perché possa emergere con tutta la sua forza, attraverso un processo, un metodo, un ciclo. Dopo, nell’esecuzione, che deve rispettare la premesse strategiche e creative altrimenti rischia di essere solo una buona realizzazione; dopo nei test che permettono di rimediare ad eventuali problemi. Solo in tal modo si può parlare di creatività che funziona, rispetto alla marca e agli obiettivi aziendali. Tutto il resto rischia di essere un puro esercizio di stile ma non pubblicità.

• La creatività è troppo importante per essere affidata ai soli creativi.

Ogni idea va filtrata e incanalata dai tanti attori necessari al processo: marketer, planner, coppie creative, account executive e non ultimo il cliente. Essa appartiene ad un metodo, ad un ciclo che va sperimentato, provato, collaudato. Sono finiti i tempi in cui il creativo risolveva con un‘idea, con uno sprint geniale. Correvano gli anni ’80 ed oggi i creativi di allora si sono ritirati a coltivar terreni. Per fortuna. Chi ha studiato la pubblicità e non si improvvisa pubblicitario dall’oggi al domani, sa bene che dietro le migliori pubblicità dell’epoca (Barilla, Mulino Bianco, Lavazza) vi era un metodo e uno studio serio. Confronta M. Lombardi, M. Vecchia e anche J. Séguéla giusto per citare alcuni pubblicitari contemporanei.

A sentir parlare di analisi, griglie strategiche, procedure, i creativi storceranno il naso ma il problema è tutto loro e forse dovrebbero cominciare a chiedersi e a darsi anche delle risposte sul perché la pubblicità negli ultimi decenni sia in decadenza; perché gran parte delle multinazionali sono in grossissima difficoltà nonostante gli ingenti sforzi pubblicitari; perché la comunicazione è la funzione cenerentola all’interno di un’azienda.

Ora, perché la maggior parte delle agenzie creative sono un bluff?

Gran parte delle agenzie creative non hanno un metodo e non si preoccupano dei risultati dei loro clienti. In molte il marketing è una parola che compare solo sul brief del cliente. Disciplina snobbata dai creativi stessi. Alcune non sono neanche strutturate con le figure necessarie per i processi nè creativi nè di marketing. Perché si basano solo su un’idea (non più Big purtroppo) e un’idea da sola non può più funzionare.

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Perché i freelance sono un bluff?

I freelance vanno gestiti bene altrimenti i danni possono essere rilevanti. Si può ricorrere ad essi quando il cliente ha già una strategia precisa, un progetto definito da affidare, quando si vuole andare da A a B. Il freelance e’ quel professionista che vi porterà a B. Ma non affidategli altro che sia diverso da quel percorso. I rischi di finire fuoristrada sono altissimi. Ad ognuno il suo, se è un consulente di marketing fatelo lavorare sul mercato (non senza avergli esplicitato qualche obiettivo), se è un grafico affidategli un logo o un’immagine (dopo che avete deciso la strategia di brand naturalmente), se è un copywriter chiedetegli un messaggio o un testo (non prima di aver definito la strategia a monte), ma non progetti complessi, quali costruzioni di marca, identità visive, strategie e conseguenti esecuzioni. Da solo un freelance non può farlo.

Per i motivi già spiegati da solo un freelance non può generare creatività, nella nostra accezione del termine. Per cui si assiste allo strano fenomeno dei freelance che si travestono da agenzia fingendo di avere una serie di collaboratori ai quali affidare i lavori. In realtà tali collaboratori sono altri freelance. Non parlatemi di agenzia quindi e non parlatemi di processi. Un freelance ha senso nella misura in cui è inserito in un team multidisciplinare tipico delle agenzia strutturate e non quando da solo sovraintende alla creatività, alla grafica, a qualunque cosa essa sia.

Non può farlo. Stop.

Ah dimenticavo.. Le web agency. Molte di loro per fortuna non si definiscono creative.

Per quanto i creativi abbiano abdicato al mondo del digital consegnandolo praticamente a loro, le web agency, anche le migliori, non producono creatività, non ne hanno lo spessore e l’esperienza.

Come evitare quindi i creativi inutili?

Innanzitutto dubitare delle agenzie che portano nel loro nome l’aggettivo creativo.

Scherzo ovviamente ma neanche poi così tanto. Guardate i lavori precedenti, il portfolio clienti, fatevi spiegare il loro metodo per produrre creatività. Fatevi raccontare che cos’è il marketing per loro, fatevi presentare la struttura e le varie figure che la popolano. Nelle grandi Agenzie Creative (si ora con la C maiuscola) sentirete pronunciare la parola creatività molto raramente. I grandi, veri Direttori Creativi ne fanno un uso parsimonioso. Personalmente non ho mai visto tanti dati, tante analisi e pianificazioni quanto nelle reali Agenzie Creative.

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I GRANDI BLUFF NEL MARKETING.

Maggio 2017

Il marketing politico, il marketing turistico, il cliente, le derive strategiche. Le agenzie creative e i freelance inutili. Vediamone alcuni.

Il bluff del marketing turistico. Se ne parla tanto, si sono organizzati talmente tanti corsi, convegni e seminari sull’argomento che oggi dovremmo essere pieni di esperti e soluzioni e godere di un turismo avanzatissimo. In realtà il nostro beneamato Paese, museo a cielo aperto, pieno di città d’arte, migliaia di chilometri di coste, dalla storia illustre e forse sconosciuta ai più, non riesce a vivere di turismo, di quello organizzato che porta ricchezza e la distribuisce, crea opportunità e valore aggiunto. Dobbiamo invece guardare all’estero, agli esempi illustri della Spagna (vedi Barcellona o la Costa del Sol) o ancora al turismo in Portogallo, compreso quello religioso, o nella Loira francese o ancora vedi la Grecia. Mancano le infrastrutture, manca la cultura del marketing, manca la politica e il buon governo che dovrebbe sovraintendere a tale incommensurabile ricchezza. In una terra ad altissima vocazione turistica mancano gli esperti di marketing nelle stanze dove si decide e si pianifica. Gli esperti non sono gli invitati ai convegni o ai seminari, ma gli imprenditori, conoscitori del territorio e delle regole di mercato, dei network internazionali. Il marketing turistico è un bluff perchè chi ne parla pensa sia un filone a se stante scevro dalle regole tradizionali del marketing, in primis branding e posizionamento. La comunicazione di un territorio presuppone invece un’identità e un’immagine forte, ben pianificata e gestita, all’interno di un processo di marketing complesso e articolato non delegabile a manager pubblici, politici, professori universitari o a bandi regionali/comunitari. Diventa turistico il marketing quando si entra nella logica di servizio, nella promozione, nei canali di trade, nei network e nell’organizzazione delle infrastrutture ma prima è marketing, riscontrabile in quei due tre concetti empirici che caratterizzano poi tutti i settori del business. A parte lodevoli eccezioni territoriali, c’è ancora un gran da fare e reali opportunità di crescita stabile.

Il bluff del marketing politico. Se la politica fosse un argomento serio riceverebbe dal marketing un grosso contributo. Poichè il marketing lavora su cose reali e non generiche promesse va da sé che chi parla di marketing politico oggi ha il suo bel da fare. In politica esiste tutto e il contrario di tutto. Le variabili in gioco infatti non sono governabili e soprattutto fanno parte di meccanismi sociali anomali e deviati. Oggi in politica, in Italia, il marketing o la comunicazione può far molto poco. La gente disillusa, i valori calpestati, le promesse non mantenute, la pessima reputazione dei politici spesso confermata da esperienze poco adamantine. Per questo si assiste spesso a campagne politiche paradossali e senza senso almeno per un pubblico in grado di speculare con raziocinio e dotato di memoria (ma questo è un altro discorso). Un problema serio quello della politica in Italia. Negli anni ci sono stati illustri tentativi, in fase di elezione, andati a buon fine, per quanto il prodotto abbia poi deluso immancabilmente le aspettative. Anche in tal caso bisogna riferirsi a casi di marketing politico molto in là nel tempo o presi dall’estero (Obama 2008 su tutti). Anche in tal caso prima di parlare di marketing politico con le sue proprie logiche bisognerebbe anticipare alcuni argomenti del marketing classico per evitare che quello applicato alla politica si riveli un vero e proprio bluff.

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Ignoranza del marketing. Fenomeno da sempre appartenuto alle piccole medie imprese oggi dilaga anche nei grandi gruppi multinazionali. Non è un caso che gran parte delle marche leader siano in rosso da anni o comunque in grosse difficoltà. Aziende che non sanno più che pesci prendere e che, come nel più classico dei circoli viziosi, si fanno guidare da agenzie più orientate alla pubblicità che al marketing in senso stretto. Il che dovrebbe anche essere normale se si vanta un reparto marketing aziendale degno di tal nome. Ma sovente non è così. Le dimensioni, l’organizzazione, la componente umana in queste realtà non aiuta. Discorso complesso non affrontabile in così poche righe.

Dovremmo infatti parlare di un sistema economico che non ha favorito la crescita di multinazionali italiane e/o di aziende-scuola dalle quali una volta uscivano manager con ben altra preparazione, la mancanza di una formazione post-universitaria valida e seria e non affidata a improvvisati, ecc. ecc. Ma è un problema serio che ha portato il marketing italiano indietro di 30 anni prima ancora che due giovani professori italiani contribuissero alla nascita del marketing strategico (ndr. Per i curiosi parliamo di Valdani prima e Vicari dopo).

Il cliente questo sconosciuto. Non sempre capita ma anche i clienti spesso sono un grande bluff. Sono coloro che non sanno vedere il lavoro che c’è dietro ad un programma di marketing. Sono coloro che non hanno budget a disposizione e pensano che una campagna possa attuarsi per miracolo. Sono coloro che approfittano della crisi e non pagano, o ritardano i pagamenti. Il marketing e la comunicazione non ha bisogno di questi clienti e questi clienti non hanno bisogno del marketing.

Le chimere strategiche. Quando un marchio diventa di successo, noto, visibile è facile essere avvicinati da una serie di pseudoagenzie, pseudoesperti che offrono opportunità, incrementi, miglioramenti, risoluzioni di problemi, alcuni dei quali peraltro inevitabili quando si cresce di dimensione. Nella gran parte dei casi chi si avvicina promettendo chissà quali risultati si rivela poi un imbonitore della peggior specie. Ho visto numerose situazioni avviate benissimo e poi ad un certo punto dopo qualche anno arenarsi miseramente e in parte distruggere quanto creato per cattivi consigli di consulenti marketing idioti che si mascherano da professionisti solo perchè recitano qualche nozione, vantano chissà cosa, vestono e parlano più o meno bene. Se ne conoscono tanti purtroppo, veri e propri bluff. La chimera strategica è sempre in agguato, in modo particolare per le piccole imprese e dovrebbe essere l’esperienza dell’imprenditore e la sua capacità di distinguere il vero dal falso ad arginare l’esistenza di questi fuffa-truffaldini.

Le derive strategiche. Se le chimere strategiche riguardano l’aspetto socio-psicologico delle aziende, le derive strategiche nascono da errori clamorosi di marketing. Un esempio su tutti le estensioni di linee dei marchi che se non sostenute da precise logiche di marketing fanno più danni che altro. Trascurare il posizionamento è un’altra situazione che alla lunga porta alla deriva, ma nel marketing le derive strategiche possono essere tante e non sempre facilmente identificabili da occhi non esperti. La differenza tra un errore di marketing e una deriva strategica è nella gravità del danno. L’errore strategico infatti crea problemi non facilmente risolvibili e se trascurato porta inevitabilmente al collasso. Da qui la parola “deriva”.

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L’esistenza inutile dei freelance e delle agenzie creative. Ne ho scritto ampiamente nell’articolo Il grande bluff delle agenzie creative e dei freelance. Qui aggiungo che il fenomeno è trasversale (riguarda le agenzie creative di qualsiasi dimensione) e riscontrabile in ogni latitudine. Il mondo pubblicitario continua ad essere investito di campagne inutili, ridondanti, effimere. I casi di marketing e di comunicazione di successo si contano sulle dita di una mano. Questa giungla di agenzie e di freelance, nati grazie alla frammentazione derivante dalla crisi sociale, economica e tecnologica, non fanno che inquinare il mercato. Spesso il mercato opera un disboscamento, una sorta di selezione naturale, ma la giungla è fitta ed impervia.

A complicare le cose la mancanza di agenzie-scuola dalle quale mutuare modus operandi esemplari e vincenti, esattamente come avveniva negli anni ’60-70 negli Usa e a Londra e negli anni ’80 in Italia.

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IL WERRILLA MARKETING

Agosto 2016

Il werrilla marketing è l’applicazione di tecniche di guerrilla marketing al web, attraverso l’uso dei social media, a costi sostenibili. L’espressione, coniata da Demetrio Pisani nel 2012, viene approfondita negli studi di Baricca e Cabriolu. Un salto in avanti del marketing, grazie al web e ai suoi strumenti. Un argomento di marketing importante per molte aziende che ancora oggi fanno fatica a districarsi in questa disciplina. Prima di parlare di web o werrilla infatti sarebbe necessario parlare di marketing. “Molte aziende chiudono non perché non fanno web marketing o werrilla marketing ma perché semplicemente non fanno marketing”. Imbarazzante dirlo ma è ancora così.

Il 95% delle piccole-medie imprese (pmi) non capiscono l’importanza del marketing e non lo sanno gestire.

Lasciamo stare le grandi aziende, che con grandi budget riescono a dimenarsi bene, non sempre in realtà, ma comunque più facilmente di una pmi, nella giungla di sigle e soluzioni di marketing più o meno efficienti. Il guerrilla marketing, ad esempio, teorizzato da Levinson, avrebbe dovuto risolvere il problema dei grandi budget investiti nel marketing tradizionale. In realtà sono state proprio le imprese con alti budget a disposizione a poter fare uso del guerrilla ed utilizzarne tutta la potenza. Oggi il guerrilla marketing non è sostenibile da aziende con budget ridotti, aziende alle quali probabilmente il werrilla meglio si presta e si adatta. Una possibile risposta al problema delle ridotte dimensioni della maggior parte delle aziende italiane.

Il werrilla marketing si fonda sul valore della democraticità della rete, presupponendo che le aziende permettano ai loro uomini di accedere liberamente ad essa ed incoraggiandoli ad utilizzare i profili social personali per parlare dell’azienda.

La reputazione on line è infatti l’elemento centrale di una strategia di werrilla. La partecipazione e la condivisione nonché la possibilità di aumentare la visibilità della propria brand è in funzione di una reputazione ottima e cristallina che si costruisce nel tempo attraverso comunicazione coerenti, pertinenti, degni di nota, nel rispetto dei valori e dell’immagine aziendale nonché nel rispetto di una serie di fattori-argomenti sociali sui quali la platea virtuale di utenti risulta essere molto attiva e interattiva, informata e sensibile. Fattori sui quali nessuna azienda, piccola o grande che sia, può permettersi di parlare invano. Il web oggi non perdona e tante aziende hanno pagato sulla loro pelle alcuni errori tattici, mascherati da provocazione o semplicemente da superficialità.

Su cosa si basa il werrilla marketing? Sull’utilizzo del web attraverso portali che devono essere semplici, fruibili e a valore aggiunto. In siti del genere tutto deve essere a portata di mano e facilmente comprensibile, l’utente deve poter interagire e i contenuti devono distinguersi da tutti gli altri, essere fruibili gratuitamente in modo da indurre l’utente a ritornarci. Pensate a Youtube e a Facebook. Semplici, fruibili, veloci e dai contenuti interessanti. Il blog assume un’importanza decisiva se costruito, pensato e gestito per offrire un reale valore aggiunto ai suoi lettori, il che vuol dire argomenti originali, miranti a risolvere problemi, funzionali alle esigenze dell’utenza, condivisibile, degno di nota in modo da differenziarsi e assumere autorevolezza in rete, e da qui aumentare la reputazione.

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Il werrilla si basa ancora sui social media, attraverso l’interazione dei profili personali e del profilo aziendale. I “social media facilitano la creazione di reti di tipo sociale fra utenti del web. Rappresentano una grande opportunità per le piccole e medie aziende che non hanno grandi budget e non possono permettersi investimenti nei media tradizionali”. Il post di un blog può raggiungere milioni di persone o poche decine ma costa poco e soprattutto agisce con dinamiche differenti. Bisogna peraltro avvertire che nei social media l’utente è “reticente verso gli interventi di marketing quindi non vanno utilizzati solo per vendere ma piuttosto per ottenere una buona reputazione e aumentare il sentiment” verso la marca di impresa.

Ancora l’utilizzo sapiente del mail marketing e di quello che compone il cosiddetto marketing a risposta diretta: prospect, call to action, lead generation, follow up, nell’ambito di un funnel predeterminato. Quanto descritto non prescinde da eventuali attività di web marketing a pagamento, quali adwords, retargeting o programmatic advertising che possono rafforzare il werrilla (per approfondire tali argomenti scarica la guida “30 e + idee” disponibile gratuitamente su ww.k80.it).

Prendiamo ora dagli autori Baricca e Cabriolu una serie di suggerimenti.

Una strategia di werilla marketing tramite i social media deve prevedere non più del 20% di contenuti commerciali. Questi devono essere inseriti in un mix di relazioni, di corretto uso dei testi, di immagini accattivanti, di notizie utili. Il werrilla marketing deve essere costante e continuativo. Non si aprono profili social o blog e non scriverci mai. Gli effetti del werrilla marketing si vedono nel medio-lungo periodo. Pensare di entrare in internet, aprire un blog o una pagina facebook e attendersi risultati immediati non funziona.

A questo punto buon werrilla a tutti.

Fonti: J.C. Levinson, P.R.J. Hanley, Guerrilla marketing. Mente, persuasione, mercato.

Castelvecchi Editore.

M. Baricca, A. Cabriolu, Werrilla Marketing, Lupetti Editori.

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RIMEDI PER UN BRAND CHE NON FUNZIONA.

IL MARKETING.

Aprile 2016

Cosa fare? Numerosi sono gli imprenditori che si presentano con lanci di prodotti polverizzati nel nulla, investimenti di marketing sbagliati, azioni di comunicazione che non hanno portato a niente, marchi e posizionamenti assolutamente inadeguati dove il fatturato sembra non giustificare più il proseguimento dell’attività.

Chiudilo. Sarebbe la risposta di primo acchito.

Ok. Prima di far questo prova a capire perché hai fallito e se c’è una vana speranza di rilanciarlo.

Non ti chiederò un’analisi a livello strategico. Chiedertelo adesso non servirebbe a nulla.

Se sei qui oggi, con un marchio fallito o in fallimento, è evidente che tu non lo abbia saputo fare prima. O chi ti doveva aiutare in questa avventura ne sapeva meno di te.

Non si ha infatti idea di quanti progetti, vincenti sulla carta e che avrebbero vinto anche nella realtà, sono stati mandati al macero per incompetenza, sia per colpa dell’imprenditore che spesso non ha la più pallida idea di cosa sia il marketing sia per la consulenza esterna, perché purtroppo anche le presunte agenzie di marketing e comunicazione hanno le loro colpe. Proseguiamo…

Analizza le tue vendite e i tuoi clienti. A chi e come hai venduto? Riesci a capire il bacino di utenza che hai servito e quanto ti ha remunerato? Fai questo per intervalli di tempo omogenei in modo da valutare la dinamica delle tue vendite.

Analizza il tuo marketing mix. Il prodotto e/o servizio. Risponde alle esigenze dei clienti? E’ venduto al target corretto? Come è percepito?

Il prezzo. Alto, troppo alto, basso, molto basso. Quali parametri hai usato per definirlo?

La distribuzione. Sei nei canali giusti? Sono remunerativi? Lavorano a volume? Quale è l’incidenza dei costi sulla linea di prodotti coinvolti?

La pubblicità? Il messaggio arriva al target? La marca viene ricordata? Hai utilizzato mezzi e pressioni necessarie?

Da queste domande usciranno gran parte dei problemi che affliggono il tuo marchio e trovare anche i rimedi per un brand che non funziona. Se sei conscio di questo e di dove hai sbagliato potrebbe esserci una possibilità di riprendere il lancio. Ma a questo punto devi dedicarti al posizionamento e al branding. Argomenti seri che o appartengono alla tua preparazione imprenditoriale (ma se siamo a questo punto dubito) o devi prenderle da chi ti sta accanto: un bravo direttore marketing, un brand manager o un consulente serio. E’ questa la stanza dei bottoni del tuo marchio. Spingi il bottone sbagliato e sei di nuovo nei casini. Rilanciare un marchio è possibile, ridefinire una strategia aziendale anche ma sono attività delicate nelle quali ogni centesimo spesso deve garantire il giusto ritorno. Per cui ritornando alla domanda principale se esistono rimedi per un marchio che non funziona. Sì, ma devono essere somministrati da un bravo medico.

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Potrei parlarti di centinaia di marchi nazionali che sbagliano nel fare branding ma qualcuno potrebbe obiettare che si tratta di casi aziendali letti da qualche parte e riportati. No. Facciamo un esempio reale. Prendiamo un caso che mi è passato tra le mani. Poco più di un anno fa si presentò un potenziale cliente con un progetto realmente innovativo. Aveva delle caratteristiche talmente interessanti da rendere il rischio imprenditoriale quasi minimo. Creare un brand forte non sarebbe stato difficile. Bisognava puntare su un paio di fattori, storia, qualità, distribuzione e una comunicazione impattante e inedita. Costruire tutto questo avrebbe richiesto un budget importante, ma percentualmente basso rispetto al potenziale di fatturato. Trattavasi di una nicchia estremamente grande e altamente remunerativa, con un target peraltro facile da coinvolgere ed evangelizzare. L’adozione di una tecnica di marketing sofisticata, di quelle che pochi marketer possono permettersi, avrebbe fatto il resto. Tutto questo ad un costo ben preciso.

Il potenziale cliente tergiversa, dubita, avanza mille obiezioni, tutte superate. Ma nella testa del potenziale cliente avanza un altro tarlo: risparmiare. Il progetto è importante, talmente importante da richiedere un consulto con altri professionisti, che nel nostro mondo significa raccattare altri preventivi. Spunta un’altra struttura che garantisce le stesse prestazioni a prezzi più bassi. Guarda un pò. Il solito discorso insomma. Nessuna sorpresa. Questo accadeva un anno fa.

A distanza di un anno il marchio è completamente sparito, dimenticato, disintegrato. Pur scimmiottando maldestramente alcune nostre idee, vengono commessi una serie incredibile (incredibile è l’aggettivo giusto ma non rende l’idea), di errori di branding prima e di marketing dopo. Errori che qui non illustro per non rendere riconoscibile la situazione, per un minimo di rispetto che la mia professionalità mi impone nei confronti del cliente stesso e della struttura concorrente (se tale si può ritenere). Ma uno, solo uno lo voglio dire: se il prodotto poteva distinguersi rispetto ai concorrenti per una qualità e una storia importante, che andava spiegata, magari anche attraverso dei display e delle etichette ad hoc, perché distribuirlo ai negozianti senza un packaging distintivo, visto che i negozianti lo ponevano poi accanto a marchi ben più noti che lo schiacciavano e lo rendevano anonimo e invisibile? Presupponendo che la vendita al dettaglio fosse la scelta distributiva giusta ovviamente.

Al di là degli errori commessi per superficialità ed incompetenza un’altra lezione importante da assimilare è che su un progetto importante devi investire un budget di marketing adeguato.

Lo spunto di questo articolo non è casuale. Nasce perché tre giorni fa ho incontrato il potenziale cliente di allora (quello che tergiversava e dubitava, ricordate) che mi chiedeva cosa fare oggi per rilanciare quell’interessante progetto e quali rimedi porre in campo.

Poco in realtà. Sarebbe più facile rifare un altro marchio e trovare altre strade. In realtà la soluzione esiste. La cura, il rimedio è forte, coraggioso e temerario. Ma esiste. Adesso si tratta di capire se il cliente, che peraltro sono sicuro mi leggerà, abbia gli attributi per fare tutto questo e se abbia finalmente capito la lezione che il mercato gli ha impartito. Più di un anno fa non li ebbe e non lo capì e i risultati sono sotto gli occhi di

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NON DIRE MARKETING

Marzo 2016

Non puoi fare marketing se non crei Valore.

Non puoi avere Valore se non costruisci un Brand.

Non puoi parlare di Branding senza fare un buon Posizionamento.

Non puoi fare un ottimo Posizionamento se non hai Personalità.

Non avrai Personalità se non possiedi un carattere distintivo.

Non crei distinzione senza Strategia.

Non esiste Strategia di Brand senza Architettura di marca.

Non esiste Architettura se non c’è Pianificazione.

E senza pianificazione non esiste Pubblicità.

Senza pubblicità farai fatica a costruirti in tempi brevi un’Immagine.

Non c’è immagine senza Identità visiva.

Non c’è identità visiva senza un buon Marchio.

I brand migliori oggi lavorano sull’esperienza.

Senza Esperienza non esiste shopping.

Non usare la parola Facebook se non conosci i Social media.

Non parlare di Social media se non sai leggere i dati.

Non dire di essere in rete se hai solo un Portale.

Non parlare di Web se il tuo portale non è neanche responsive.

Non dire low budget quando parli di Guerrilla.

Non parlare di Guerrilla se non conosci l’abc della marketing.

Quindi tornando a bomba: marketing-branding-posizionamento-pubblicità. Qualunque sia il tuo settore e la tua dimensione di azienda, qualsiasi cosa tu faccia, queste sono le 4 parole che cambieranno il volume del tuo fatturato. O l’argomento Fatturato non ti interessa?

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IL MARKETING CULTURALE

Febbraio 2016

Il marketing culturale. Esisteva prima ancora che lo conoscessimo come tale. Lorenzo De’ Medici è stato il più noto direttore marketing del Rinascimento. Ma da allora ad oggi in Italia, cosa è cambiato?

Marketing della cultura o cultura del marketing? È innanzitutto un problema di cultura del marketing. Gli addetti al settore (critici, funzionario, esperti) sono dichiaratamente ostili all’utilizzo del marketing e dei processi aziendali, quali ad es. pianificazione e gestione, che ben possono fare nella tutela e nella valorizzazione dei beni culturali. Non solo non conoscono il marketing ma non capiscono il potente contributo che il marketing culturale, con i suoi numerosi strumenti, può dare a musei, mostre, teatri e tutto ciò che è cultura.

Strategia o tattica? Le azioni di marketing sono spesso sporadiche e non risolvono le problematiche di fondo legate al “consumo” della cultura. Una semplice aattività promozionale non è marketing. La mancanza di una strategia di medio-lungo periodo che punti alla continuità e alla sostenibilità della cultura non può essere colmata da brevi e sparute pubblicità, seppur interessanti. Inoltre si dimentica, ad esempio, quando si parla di musei (in Italia oltre 7000) che ognuno è diverso, per territorio, per beni materiali, per storia ed esperienza, per cui strutture diverse richiederebbero anche approcci strategici diversi.

Servono soldi o no? La mancanza di risorse economiche è spesso additata a causa del problema. È vero che per attuare pratiche di marketing corrette e valide è sovente necessario disporre di un adeguato budget, ma questo attiene alla fase di realizzazione delle attività, non certo e non solo alla fase strategica. In ogni caso trovare fondi non è il problema principale. Le risorse andrebbero ottimizzate e finalizzate perché quando ci sono, esse vengono dissipate inutilmente. Un’attenzione manageriale a costi e ricavi risolverebbe gran parte dei problemi.

La cultura, l’arte, è una cosa seria, come il marketing. Perché non realizzare questo connubio?

Prendendo a titolo di esempio il marketing museale, pur avvertendo che esso è solo una parte del marketing culturale, gli argomenti su cui indirizzare i discorsi sono: capire l’offerta museale, studiare l’evoluzione dei musei, guardare alle esperienze estere, ragionare in termini di service marketing e marketing esperienziale, realizzare valore, creare un posizionamento valido e scoprire nuove modalità di comunicazione. Basti pensare alla Tate Modern di Londra, ai nuovi linguaggi di comunicazione intrapresi, anche non convenzionali, ai servizi offerti, alle esperienze che si possono vivere. Per il visitatore un’emozione decisamente incredibile (ndr. vissuta personalmente).

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I livelli di comunicazione partono dal prodotto per passare alla marca ed arrivare ai simboli. Primo livello: prodotto oggetto, quando è sufficiente mostrarlo, renderlo noto per favorirne la vendita. Secondo: la marca, con le sue promesse, interagisce, mantiene, soddisfa e crea un sistema valoriale di riferimento per indirizzare il vissuto del fruitore.

Terzo: i simboli, le emozioni, le esperienze catartiche. Siamo nell’essenza della marca, nella sua capacità empatica di intrattenere, di dire “ti sono accanto/sono qui”, invece di

“comprami”, creando un metalinguaggio dove il processo di acquisto tende a rimanere in secondo piano. Ora adeguate questi livelli al mondo dei musei. In Italia si adotta il primo, poco il secondo, quasi mai il terzo, tranne qualche rara eccezione. Insomma di strada da fare per “vendere” un museo ce n’è ancora parecchia.

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I DOLORI DEL GIOVANE MARKETER

Gennaio 2016

Il marketing non è pubblicità.

Il marketing non è branding.

Il marketing non è public relations.

Il marketing non è guerrilla.

Il marketing non è direct marketing, né a risposta diretta, né automatico.

Il marketing non è ufficio stampa, comunicati, pubbliredazionali.

Il marketing non è poster, flyer o sampling.

Il marketing non è social media marketing.

Il marketing non è copywriting.

Il marketing non è vendita.

Il marketing non è pnl.

Il marketing non è nessuna sigla stiate pensando in questo momento.

Il marketing non è niente di tutto questo.

Qualcuno, in base alle esperienze che ha fatto, potrà identificarlo con una o un’altra attività ma sarebbe sempre un errore.

Recentemente ho letto da qualche parte di un altro neo esperto che sosteneva che il marketing e’ il contatto, la relazione. No! Il marketing non è neanche questo.

L’estrema semplicità di definire il marketing in base al contesto e all’esperienza rischia di diluire il significato e l’effettiva potenza del marketing stesso.

L’incompetenza di tantissimi marketing manager, la distonia tra ciò che si insegna all’università e tra quanto si pratica in azienda, la mancanza di un ponte tra teoria e prassi, nuovi mercati e scenari che hanno sovvertito i principi tradizionali del marketing scaraventando anche i professionisti più capaci nel caos, la mancanza di seria formazione in Italia, le aziende-scuola che non esistono più, i clienti che non capiscono niente, la scarsa cultura manageriale in genere e di marketing in particolare, tutto ciò insomma ha provocato un vuoto nel quale molti stanno tentando di crearsi una posizione. Un grande enorme spazio vuoto che va dal marketing 3.0 al marketing esperienziale, digitale, e neuromarketing sino al marketing primordiale (ndr. di Neanderthal) di tante aziende, grandi e piccole dove il dipartimento marketing non

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Venuti alla luce grazie ai social con furore, tutta una serie di esperti più o meno seducenti imboniscono masse di follower, promettendo di insegnare i principi del marketing (e di qualsiasi altra disciplina a dire il vero) in poche e semplici mosse, scaricando dei semplici pdf, guardando video dai quali è impossibile tornare indietro, altri promettono di costruire un brand con la clausola “soddisfatti e rimborsati”, altri stanno sdoganando guru internazionali ormai desueti o comunque inadatti per le esperienze italiane, approfittando dell’ignoranza e della mancanza di cultura di gran parte dei nuovi adepti. La ricetta è semplice: basta rispolverare qualche concetto di marketing, che ovviamente gli inesperti ignorano, infarcirli di qualche termine/slang americano, presentarli come la panacea a problemi aziendali reali, descrivere casi aziendali con dovizia di particolari, spesso inventati, e il gioco è fatto. Al resto ci penserà la grande massa di professionisti/imprenditori/ecc.. frustrati dalla mancanza di esperienze, titoli e successi aziendali.

Questo non fa bene al marketing.

Insegnare o fare il marketing presentando delle case histories può far scena ma se descritte senza conoscere i retroscena aziendali restano prive di senso. Il marketing non è quello che vi fanno studiare in corsi da centinaia/migliaia di euro, che leggete in uno o più libri “cult”. Una o più definizioni di marketing, riscontrabili in qualsiasi ottimo manuale, non saranno mai sufficienti per capire e spiegare questa affascinante disciplina. Le aziende sono entità più complesse di quello che si possa immaginare non certo perché le funzioni siano complicate ma perché sono governate da uomini che in essa vi scaricano tutti i loro limiti e nefandezze (a volte per fortuna anche competenze!).

“Consigliare” il marketing dall’esterno e’ semplice, il difficile è farlo dovendo considerare i mercati, i prodotti, l’integrazione della funzione marketing con altre funzioni interne, con altri uomini. Dare l’illusione che il marketing sia praticabile da tutti o che con due tre semplici operazioni di marketing si possa dominare il mondo è sbagliato e nuoce a tutti:

esperti, imprese, organizzazioni e a chi veramente esperto vuol diventare. Post impopolare il mio ma nessuno può pensare di diventare marketer in una settimana. Su, non scherziamo!!! Assisteremo pero’ a una pletora di marketer e brand manager che gestiscono business grandi come un salvadanaio o che pensano di avere in tasca tutte le risposte, che contribuiranno ancora alla distruzione della disciplina e alla mortificazione della professione. È il loro obiettivo: si sa che i vermi sguazzano nel fango e non in acque cristalline.

Allora cosa è il marketing?

Non pretenderete di trovare qui la risposta, gratuitamente e senza sforzi.

Studiate, studiate e studiate, poi lavorate seriamente. Lanciate con successo centinaia di brand, realizzate migliaia di campagne di marketing, sbagliate anche, risanate un po’ di aziende, sviluppatene altre… Poi ne riparleremo.

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DAVIDE, GOLIA E IL MARKETING.

Maggio 2015

Davide sconfisse Golia con un metodo. Il re guerriero conosceva il suo avversario, la sua forza e le sue debolezze. L’esperienza in tante battaglie gli suggerì di non essere avventato, di domare la rabbia e l’orgoglio e di sfruttare la sicurezza dell’avversario a suo vantaggio. Si fece raccontare dagli uomini dell’esercito israelita le numerose e vittoriose sfide di Golia. Rifiutò l’armatura perché lo rendeva pesante. Sapeva che doveva puntare sulla sua agilità rispetto al gigante, e sapeva che doveva evitare un corpo a corpo ed esser lontano dalla portata della spada del suo avversario e non si irretì quando Golia, vedendolo come un ragazzino, lo derise. Sappiamo come è finita. Tramortito da una pietra scagliata dalla fionda di Davide, Golia si ritrovò la testa mozzata dalla sua stessa spada.

Metodo e pianificazione. La mitologia, la storia, le guerre sono piene di questi esempi.

Non è un caso che gran parte dei termini di marketing si ispirino alle guerre (strategie, mezzi, obiettivi, bersagli, tattiche, guerrilla, mezzi non convenzionali).

Il discorso non cambia neanche nell’economia liquida del digitale. Gli scenari evolvono e i campi di battaglia si fanno tremendamente più complicati ma le considerazioni rimangono sempre quelle.

Strategia, pianificazione, metodo.

Ritornando al nostro piccolo mondo questo vuol dire che:

Pianificare significa analizzare, sempre, tanto.

Non esiste perfezione, senza esasperazione. Il lancio di un nuovo prodotto deve sempre prevedere un piano B.

Non esiste identità visiva senza un buon logotipo.

Non esiste un brand senza architettura di marca.

Non esiste pubblicità senza pianificazione.

Il marketing esperienziale prevede dinamiche psicosociali spesso complesse da tenere in considerazione.

Non dire Facebook se non conosci i social media. La guerrilla low cost non è sempre così low.

Non dire disruption se non hai conosciuto prima il marketing convenzionale.

Quante battaglie bisogna aver fatto, quanti nemici hai dovuto lasciar sul campo, quanti fallimenti e quante vittorie, quanta saggezza e conoscenza devi accumulare prima di andare in guerra.

Allora impara a camminare prima di correre, impara a tirar di fionda prima di sguainare una spada. Non importa quanto cruenta possa essere la battaglia. Per vincerla non potrai

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BRANDING

SEMIOTICA ADVERTISING WEB

IN ENGLISH, PLEASE

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COSA E' UNA BRAND? PARTE 1

Gennaio 2016

Cos’è una brand? Dappertutto è Brand, la prima bibita che pensiamo è una brand, una cioccolata spalmabile o un detersivo che lava più bianco del bianco sono una brand. Le star di Hollywood, il dottore claudicante della fiction, la città di New York, Apple, Che Guevara e Mao Tse Tung, Padre Pio e la Chiesa, Topolino e Superman, il Louvre, l’Italia e la Nuova Zelanda sono brand.

Sembra esista un nuovo paradigma del contemporaneo, una sorta di punto di vista per cui tutto appare riconducibile a un unico concetto interpretativo: la Brand.

Di Brand ne parlano in tanti, sul fatto che questa sia una santa o una strega ciascuno è portatore di una sua opinione, ma pochi con chiarezza e convinzione hanno cognizione di cos’è.

La maggior parte non sa se sia corretto utilizzare il femminile per la Brand, come traduzione in italiano del lemma Marca, oppure il maschile, e diventerebbe quindi il Brand, portando in tal modo l’interpretazione più vicina all’idea di Marchio, che invece in inglese viene tradotto con Trade Mark. Ma è certo che la marca non è un marchio e la marca può affermarsi comunque anche senza un marchio, come ad esempio ha fatto Google, che è un Brand senza un unico marchio e in questi anni lo ha dimostrato pubblicamente applicando variazioni quotidiane alla sua immagine in rete. Va detto, peraltro, che i molti professionisti che agiscono attraverso le loro specifiche discipline, quelli del marketing, della grafica o dell’advertising, costruiscono, attraverso un inadeguato uso delle parole, altrettanta confusione. (per non parlare degli imprenditori ndr.)

I semiologi a loro volta scrivono straordinarie, analitiche e affascinanti teorie, che nella pratica del progetto fanno poi una grande fatica a ritrovarsi, cosicché il passaggio dal simbolico al reale è troppo spesso reso difficile e complesso.

Anche i giornalisti giocano la loro parte nel confondere le idee, utilizzando spesso termini approssimativi, la parola logo al posto di Brand o il nome di un prodotto come fosse il marchio.

Ciò che possiamo comunque sostenere riferendoci a molti marchi che conosciamo, è anche che quei marchi non sono una Brand. Possono essere dei buoni “mezzi” ma hanno bisogno di ben altro per raggiungere il loro “fine”: diventare una Marca.

Ciò detto, si può essere consapevoli della complessità e delle ambiguità insite nell’avere a che fare con la Marca, con la Brand, e prenderne atto ed essere consapevoli di questa confusa chiarezza è già una buona cosa, ma l’averne percezione ed esprimere l’enunciato magrittiano non è comunque una reazione soddisfacente.

Quindi la domanda costruttiva è: cos’è una Brand?

(Nota introduttiva del libro Brand 111 di Elio Carmi).

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