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VALUTAZIONE DELL OFFERTA FORMATIVA PROVINCIALE RIVOLTA A DISABILI ABSTRACT

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VALUTAZIONE DELL’OFFERTA FORMATIVA PROVINCIALE

RIVOLTA A DISABILI

ABSTRACT

Giugno 2003

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Indice

1. Obiettivi e metodologia ... 3

2. L’approccio metodologico adottato ... 6

2.1 Il percorso adottato nel sistema di monitoraggio e valutazione: strumenti operativi e indicatori ... 7

3. Analisi e modelli di interventi locali ... 9

3.1 I CFP ... 9

3.2 I disabili inseriti attualmente nel sistema della F.P... 13

3.3 I disabili usciti dal sistema della F.P. ... 14

3.4 Le famiglie ... 18

3.5 Le Associazioni delle famiglie... 19

3.6 Il punto di vista della domanda di lavoro: le aziende... 22

4. La qualità della formazione professionale: alcuni elementi per la riflessione... 26

4.1 Coerenze e contraddizioni emerse dalle interviste... 26

4.2 Riparliamo di qualità ... 30

4.3 Elementi di qualità del sistema di FP... 32

4.4 Elementi che offrono margini di miglioramento ... 33

4.5 In sintesi... 34

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1. OBIETTIVI E METODOLOGIA

Obiettivo di questo lavoro è la valutazione di qualità delle azioni formative rivolte ai disabili. L’idea progettuale è quella di mettere a punto un quadro di elementi che possano essere replicati nel corso del tempo.

Se è vero che la Provincia di Bologna ha una tradizione forte e consolidata nel campo delle iniziative formative e del lavoro a favore dei disabili (tradizione che si è sviluppata anche attraverso approcci molto innovativi al problema e, certamente, in un contesto di elevata collaborazione tra gli attori del sistema), va anche evidenziato, però, come (sia per la presenza di un sistema concertato molto articolato, sia per la specificità del target di utenza) ci si trovi nella necessità di fare

“il punto” della situazione per verificare se, effettivamente, i risultati che sono stati conseguiti soddisfano le attese di tutti i soggetti coinvolti. In primis, ovviamente, gli utenti diretti che hanno frequentato questi interventi e gli utenti indiretti (famiglie e imprese presso le quali sono stati inseriti i partecipanti agli interventi formativi), ma anche le attese della Provincia che ha finanziato tali iniziative e quelle degli attori, istituzionali e non, coinvolti a diverso titolo nel sistema di concertazione.

L'integrazione sociale della popolazione disabile e lo sviluppo di politiche preventive e attive per la loro integrazione nel mercato del lavoro rappresentano un obiettivo prioritario sia su scala comunitaria che nazionale. L'attenzione alle necessità delle persone disabili si muove nella direzione di un progressivo superamento della concezione assistenzialistica del soggetto disabile e di una sua completa legittimazione ed autonomia attraverso il coinvolgimento di vari settori della collettività (famiglia, operatori sanitari, operatori sociali, medici, psicologi, ecc.)1. La promulgazione della legge 68/1999, con l'introduzione della chiamata nominale e del collocamento mirato, si inserisce in questa prospettiva di maggior attenzione alla dimensione sociale della persona disabile e di una ridefinizione del suo ruolo all'interno del mercato del lavoro finalizzato a valorizzare le competenze di cui può essere portatore.

In particolare, con riferimento alla popolazione disabile, le politiche finalizzate alla formazione sono soggette a costante evoluzione e a molte sperimentazioni (per esempio, nel caso della formazione integrata). Per queste ragioni, l'approccio

1 La prima definizione ufficiale di "disabile", che mancava nei precedenti testi legislativi, è stata introdotta con la legge quadro 104/92 la quale ha dato inizio ad una serie di azioni ed interventi sull'handicap che coprono un panorama molto vasto che va dalla diagnosi e prevenzione, alla riabilitazione ed assistenza domiciliare, fino alla reintegrazione sociale e professionale.

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proposto prevede un monitoraggio “ a largo raggio” nei confronti della performance degli interventi in un'ottica comparata (nel tempo e/o e relativamente a vari interlocutori).

L’attività di valutazione complessiva realizzata è stata articolata nei seguenti obiettivi specifici:

• valutazione del processo di progettazione/erogazione (modalità progettuali, organizzative, attuative, strutturali, capacità dei Soggetti gestori, ecc.) della formazione (sempre nei due “canali” formativi, FP e sistema formativo integrato);

• valutazione del processo di accompagnamento all’inserimento lavorativo dei giovani che frequentano/hanno frequentato questi interventi;

• valutazione delle diverse aspettative degli utenti indiretti (famiglie e imprese) e della rete di attori coinvolti nel sistema di concertazione;

• valutazione della capacità della “rete” di supportare adeguatamente la politica formativa e del lavoro della Provincia relativamente a questo target di utenza.

La strutturazione dei singoli step della ricerca ha permesso di semplificare tale complessità, andando a valutare, nello specifico tutti gli aspetti sopra citati, per giungere, infine, ad una valutazione complessiva. Vale la pena sottolineare, ancora una volta, come il focus della ricerca sia rappresentato dal tema della formazione e non dal tema dell’inserimento lavorativo. Aspetto, quest’ultimo, che è stato trattato solo in funzione della formazione stessa.

Più in specifico, le fasi che hanno caratterizzato il lavoro di ricerca e di valutazione sono così sintetizzabili:

A. Ricostruzione e valutazione delle dimensioni e delle caratteristiche dell’offerta e della domanda di formazione attraverso un’analisi (ricostruzione, quantificazione, classificazione e valutazione) dell’offerta di interventi nell’ultimo triennio (1998-99/2000-2001).

B. Interviste a soggetti che erogano formazione. Questa fase è finalizzata, in particolare, a ricostruire le modalità, i criteri, gli strumenti e gli approcci utilizzati per la progettazione individuale dei percorsi di formazione e di assistenza all’inserimento lavorativo.

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C. Interviste a disabili che attualmente frequentano interventi finanziati dalla Provincia di Bologna e che saranno chiamati a condividere i criteri e le variabili individuate per la valutazione della qualità.

D. Interviste a disabili usciti dal sistema di FP da 2/3 anni. Tale fase è finalizzata a indagare il percorso tra la fine della formazione e l’eventuale avviamento al lavoro e la qualità dell’inserimento lavorativo rispetto alla formazione ricevuta.

E. Interviste a nuclei familiari di disabili che hanno frequentato/stanno frequentando interventi finanziati dalla Provincia di Bologna, negli ultimi tre anni. Le interviste sono finalizzate a ricostruire i percorsi che hanno portato alla scelta della formazione e all’eventuale inserimento lavorativo (criticità, ricorrenze, gradimento, rispetto delle aspettative, ecc.).

F. Interviste a soggetti istituzionali e associazioni di famiglie/disabili finalizzate a rendere espliciti, per ognuna di queste categorie di attori, risultati attesi, percezioni su ciò che è stato realizzato, aspettative, ecc.

G. Realizzazione di interviste ad alcune imprese che, a diverso titolo, sono venute in contatto con giovani disabili che hanno frequentato interventi di FP o del sistema formativo integrato. Obiettivo è quello di verificare il grado di rispetto delle aspettative circa le capacità dei giovani inseriti, la loro valutazione sul tipo di formazione che è stata erogata, ecc.

H. Progettazione degli strumenti di indagine, di criteri e di indicatori di valutazione della qualità. Tale fase è finalizzata alla costruzione della lista di criteri e indicatori utili per la valutazione della qualità della formazione, nonché alla costruzione degli strumenti di rilevazione che saranno utilizzati nelle successive Fasi.

I. Valutazione finale della qualità dell’offerta formativa in relazione agli obiettivi del sistema di FP e del sistema integrato di istruzione/formazione/lavoro e ai diversi attori della politica e individuazione di alcuni spunti di riflessione per la futura programmazione.

Data la complessità del tema e della struttura della ricerca, per ogni fase di lavoro sono stati adottati strumenti e metodologie diversi. Strumenti e metodologie che, più di una volta, sono stati utilizzati con la flessibilità necessaria richiesta dal contesto in cui si stava operando. Considerata la diversità dei punti di vista espressi dai vari attori coinvolti in questa politica, si è scelto di strutturare dei capitoli specifici, dotati di autonomia, lasciando alle conclusioni finali il compito di portare a sintesi i diversi elementi valutativi emersi.

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2. L’APPROCCIO METODOLOGICO ADOTTATO

L'approccio della policy analysis è particolarmente utile per valutare il modo in cui la politica in esame viene attuata. Secondo questo approccio, infatti, gli esiti (efficacia) di una politica pubblica dipendono fortemente dagli attori mobilitati, dagli obiettivi perseguiti, dalle risorse messe in campo e dalle modalità di interazione tra gli attori stessi. Peraltro, lo stesso termine “efficacia” va declinato rispetto alle specifiche caratteristiche del target di utenza oggetto dell’indagine. Più in specifico, relativamente al tema della qualità della formazione per disabili va sottolineato come essa non sia solamente e direttamente connessa all’efficacia dell’inserimento lavorativo. In questo contesto, la qualità del processo di erogazione della formazione, la qualità della formazione in termini di apprendimento e i risultati ottenuti rispetto al punto di partenza diventano elementi importanti di valutazione, in parte anche a prescindere dal futuro esito occupazionale. In tale contesto, la valutazione ha posto l’attenzione nei confronti di un vero e proprio progetto di vita attivo per ciascun allievo disabile. Nella valutazione di qualità della formazione per disabili sono stati così internalizzati non solo i risultati sui singoli individui, ma anche quelli relativi all’intera attività di gestione dell’intervento formativo e degli attori coinvolti, attuata mediante una molteplicità di azioni in ciascuna delle specifiche tappe che compongono il processo.

L'approccio è stato ulteriormente arricchito dall’analisi della performance degli interventi in un’ottica comparata e orientata alla best practice, cioè all’individuazione di azioni che portano ai risultati migliori (o maggiormente desiderabili) e di fattori che consentono di ottenere tali risultati. Misure sintetiche del grado di successo raggiunto dagli interventi nel perseguire determinate finalità e dei singoli processi di attuazione degli stessi sono rappresentate da indicatori che consentano di confrontare i diversi interventi tra loro e che siano utilizzabili in modo sistematico nel processo decisionale.

L’attività di valutazione complessiva è stata dunque articolata attraverso una analisi dettagliata sia del processo di erogazione della formazione (modalità progettuali, organizzative, attuative, strutturali, capacità dei soggetti gestori, ecc.), sia delle diverse aspettative degli utenti diretti, degli utenti indiretti2 (famiglie e imprese), sia della rete di attori coinvolti.

2Nel caso specifico delle politiche rivolte ai disabili, gli utenti indiretti (le famiglie) sono uno degli attori principali del sistema, sia in quanto attore organizzato (Associazioni di famiglie), sia in quanto attore singolo che interagisce direttamente con il sistema di offerta e con il mercato del lavoro.

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2.1 Il percorso adottato nel sistema di monitoraggio e valutazione:

strumenti operativi e indicatori

In questo complesso panorama si è reso necessario fare riferimento a due assunti principali:

- l’importanza di far rientrare nel processo di valutazione le diverse percezioni/aspettative di tutti i soggetti coinvolti;

- la rilevanza sia degli utenti diretti del sistema di FP/sistema di formazione integrato sia degli utenti indiretti (famiglie e imprese che hanno avuto la possibilità di verificare le capacità lavorative di questi giovani).

E ciò costruendo, per ciascun utente/unità di analisi, alcuni strumenti operativi di rilevazione per basare la valutazione su un mix di dati quantitativi e qualitativi pertinente alla natura e molteplicità di elementi ed attori coinvolti (soggetti gestori, utenti coinvolti direttamente, utenti indiretti quali le famiglie e/o le associazioni di famiglie degli utenti, nonché le aziende). Nello specifico, si è reso necessario fare riferimento a due categorie di dati:

• dati di monitoraggio di tipo quantitativo di cui, sia in modo informatizzato che, inizialmente, cartaceo, l’Amministrazione provinciale può disporre senza attivare rilevazioni ad hoc, ma semplicemente usando informazioni direttamente in suo possesso e/o in possesso di altre istituzioni (ad esempio, AUSL, CSA, etc.);

• dati di natura maggiormente valutativa e qualitativa desunti da informazioni rilevabili sul campo attraverso la somministrazione di questionari e/o interviste ai vari soggetti coinvolti , in grado di analizzare in profondità i contesti di attuazione e gli elementi eventualmente problematici e caratteristici della formazione per disabili.

Per quanto riguarda gli indicatori di monitoraggio, sono stati individuati, tra quelli solitamente utilizzati nel monitoraggio di tutti i corsi di formazione, quelli che possono essere considerati adeguati anche nei confronti di una utenza disabile. Tale batteria è congeniale a dare un quadro informativo generale sulla formazione erogata a disabili in provincia di Bologna e a strutturare serie storiche al fine di poter effettuare confronti longitudinali che permettano un’efficace comparazione nel

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tempo. In specifico, gli indicatori di monitoraggio sono classificati come indicatori di programmazione, di composizione della domanda e di erogazione3.

Gli indicatori di valutazione sono di natura maggiormente qualitativa e calcolati sulla base di informazioni rilevabili sul campo atti a ad analizzare in profondità, come già espresso, contesti di attuazione ed eventuali elementi problematici. Tale batteria si può caratterizzare come congiunturale, ma sistematica, nel senso che l’indagine potrà essere ripetuta a cadenze pluriennali definite.

In allegato, sono riportate le tavole relative agli indicatori di monitoraggio e di valutazione progettati.

E’ possibile e, per certi versi, auspicabile, identificare, all’interno della batteria di indicatori proposti, un “set minimo” di indicatori prioritari. Tuttavia, nel caso specifico, si è preferito rimandare questo passaggio ad una seconda fase di implementazione per consentire a tutti gli attori coinvolti di definire un proprio quadro di preferenze rispetto al quale orientare il sistema di monitoraggio e di valutazione della qualità della formazione per disabili.

In linea generale, comunque, vanno considerati “prioritari”, in un’ottica di miglioramento continuo, gli indicatori che presentano il numero inferiore di corsi e/

CFP in grado di rispondere positivamente ad essi. Per tale ragione si riportano, sia nel caso degli indicatori di monitoraggio (Cfr. tabelle in allegato) che nel caso degli indicatori di valutazione i valori relativi alle performance ottenute.

3 Nel Rapporto intermedio vengono presentate, in maniera analitica, una serie di dati quantitativi di cui forniamo un’ampia selezione in allegato. Tali dati, che nel Rapporto intermedio sono presentati sotto forma di tavole statistiche, possono essere “tradotti” sotto forma di indicatori, in analogia con il sistema di monitoraggio già in essere presso la Provincia. Si evidenzia come, in questo contesto, non sono stati calcolati indicatori di natura finanziaria in quanto non direttamente correlati a una valutazione di qualità.

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3. ANALISI E MODELLI DI INTERVENTI LOCALI

3.1 I CFP

La TAV.1 elenca i nove Centri di Formazione Professionale che hanno attuato attività formative per disabili finanziate dalla Provincia di Bologna negli anni 1999- 2001 e che sono stati, a vario titolo, coinvolti nella ricerca.

Gli aspetti investigati sono stati, sinteticamente:

• la progettazione, ossia l’iter che ciascun Centro adotta per giungere a definire i percorsi e quali sono gli elementi che vengono considerati in sede di progettazione;

• la metodologia di accoglienza;

• l’erogazione dell’attività formativa vera e propria (lezioni d’aula, laboratori e stage);

• l’accompagnamento in uscita, dunque l’esistenza di un supporto all’utente – anche a corso terminato– per favorire l’inserimento lavorativo;

• docenti e tutor (quanti sono, se è prevista una figura di tutoring diverso dal tutor d’aula, ecc.);

• le reti di relazioni, ossia quali sono i soggetti con cui il Centro si rapporta e con quali modalità lo fa, quali sono gli attori (istituzionali e non) che a vario titolo vengono coinvolti nella progettazione e/o nell’erogazione dell’attività formativa (ASL, Amministrazione provinciale, Scuola, Comuni, aziende, ecc.);

• i sistemi di controllo interno, valutazione interna e di qualità da parte degli stessi CFP, per verificare se e in che modo i singoli Centri di formazione tentano di giungere a forme di verifica e di valutazione in itinere ed ex-post sulla attività erogata, ecc.

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TAV.1 – Centri di formazione professionale gestori di attività formative per disabili nel periodo 1999-2001 -

SOGGETTO GESTORE Associazione CNOS FAP Cefal Bologna Soc. Coop. a.r.l.

Efeso

En.A.I.P. Bologna

Fondazione Opera Madonna del Lavoro Futura spa

CO.P.A.P.S. soc. coop. a r.l.

CSAPSA ECAP IMOLA

Opera dell'Immacolata - ONLUS -

Relativamente al percorso formativo, sono apparsi diversi gli strumenti e le metodologie con cui i singoli Centri tentano di individuare le caratteristiche dei singoli utenti potenziali, ma, circa la distinzione tra CFP che definiscono i percorsi in modo molto personalizzato e CFP che tendono a presentarli in modo standardizzato selezionando poi l’utenza meglio in grado di aderire a quel percorso, va detto che già la stessa AUSL, o la Provincia, conoscono le caratteristiche dei singoli Centri e, dunque, l’incontro tra il disabile e il Centro di formazione diventa abbastanza lineare.

Relativamente all’accoglienza, sono due gli approcci seguiti per la definizione del percorso: o viene presentata una certa proposta formativa e si vede quali sono gli utenti potenziali idonei o si progetta il percorso specificatamente sulle caratteristiche dei singoli utenti. Sembrano, peraltro, consolidate alcune dinamiche per cui, come si diceva, anche in base al tipo e al livello di disabilità dell’utente, esso viene indirizzato preferibilmente verso un Centro piuttosto che verso un altro.

Ne deriva che i singoli Centri si trovano ad accogliere in maniera continuativa un certo tipo di utenza e, quindi, acquisiscono una sorta di specializzazione per questi specifici target.

Relativamente alle caratteristiche del percorso formativo, i percorsi sono costituiti da tre momenti distinti: lezioni d’aula, laboratori e stage. I laboratori sono giudicati da parte dei referenti intervistati estremamente strategici poiché permettono: a) l’acquisizione di competenze pratiche da utilizzare in sede di stage ed eventualmente nello svolgimento di un’attività lavorativa; b) l’acquisizione da parte

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del disabile di alcune competenze trasversali e di socializzazione; c) una prima verifica del livello di apprendimento cui è giunto l’allievo.

A proposito dello stage, tutti i Centri tendono a “spezzarlo” in due parti, così da realizzarne una prima parte dopo un certo periodo di lezioni di aula e di laboratori ed una seconda parte dopo un primo rientro in aula4. Relativamente alla selezione dell’azienda, poi, la maggioranza dei Centri intervistati ha ormai rapporti consolidati nel tempo con un certo numero di imprese. Anche nel caso dello stage, dunque, si può parlare di elevata flessibilità, dal momento che durata, azienda e settore di appartenenza sono tutti aspetti definiti sulla base di attitudini, capacità e richieste dell’allievo.

Relativamente all’accompagnamento in uscita verso il mercato del lavoro, tutti i CFP tendono a favorire quelle imprese che si dichiarano disponibili ad un’eventuale assunzione una volta terminata l’esperienza di stage. A parte questo minimo comune denominatore, però, troviamo situazioni diverse. Infatti, rileviamo casi – pochi – di CFP che, una volta terminato il percorso, tendono a perdere i contatti con i propri allievi. Altri Centri, la maggior parte, non prevedono nulla di formalizzato per l’accompagnamento in uscita dei propri allievi, ma si rendono disponibili per quei disabili (e relative famiglie) che necessitano di informazioni e consigli utili sulle strade da intraprendere per la ricerca di un’occupazione o, comunque, per la fase post corso.

Relativamente all’inserimento professionale, sembrano risultare favoriti – o forse sarebbe meglio dire più efficaci – quei Centri che fanno parte di Consorzi, reti di aziende, cooperative sociali, ecc. in quanto utilizzano direttamente il proprio

“bacino” di riferimento.

Relativamente alle reti di relazioni, risultano costanti, per tutti i Soggetti gestori, i rapporti con la ASL perché spesso è la stessa ASL che indirizza il disabile, sulla base delle sue caratteristiche, verso un determinato CFP.

Particolarmente delicati risultano essere i rapporti con la Scuola (naturalmente, per i percorsi integrati), pur ammettendo, quasi tutti gli intervistati che i rapporti con la Scuola stanno migliorando.

Infine, le famiglie. Tutti i Centri dichiarano che l’approccio giusto da seguire con i genitori degli utenti disabili è quello di presentarsi sempre disponibili per ogni esigenza, ma, allo stesso tempo, di prendere le decisioni sul percorso formativo del

4 Il referente di un Centro ha sottolineato come questa fase di rientro sia molto importante per l’intero

“gruppo-classe”, dal momento che con queste ore di rientro in aula, ogni soggetto può portare la propria esperienza ai suoi colleghi, può presentare quanto ha appreso, comprese le proprie paure ed ansie, da cui possono scaturire riflessioni ed analisi utili per l’intero gruppo-classe.

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disabile autonomamente, senza farsi più di tanto influenzare dai desideri della famiglia.

Relativamente ai sistemi di controllo interno e di valutazione, tutti i Centri intervistati dichiarano di essersi dotati di quegli strumenti di gestione interna necessari per l’adempimento degli obblighi amministrativi a cui sono sottoposti in qualità di beneficiari di finanziamenti pubblici5.

Relativamente alla rilevazione del grado di soddisfazione degli utenti, si rilevano tre distinti atteggiamenti: il primo – di pochissimi CFP - che non prevede alcuna verifica del gradimento del corso da parte degli allievi, il secondo - che non utilizza alcuno strumento strutturato di rilevazione e, infine, il terzo (4-5 Centri) che prevede la somministrazione di questionari strutturati o griglie.

Circa gli esiti occupazionali dei percorsi tutti i Centri interpellati ritengono di sapere con precisione quanti e quali allievi abbiano ottenuto un inserimento lavorativo, a quali condizioni e secondo quali modalità. Proprio per questa ragione, nessun CFP prevede la realizzazione di valutazioni ex-post basate sulla somministrazione di questionari ad un certo periodo di tempo dalla fine del corso. L’attività di ricerca ha dimostrato, peraltro, che tali affermazioni valgono solo nel caso in cui il tutor o l’operatore del CFP che ha seguito il disabile è ancora presente nel CFP stesso.

Eventualità tutt’altro che frequente.

5 A detta di diversi intervistati, si tratta di adempimenti considerevolmente onerosi.

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3.2 I disabili inseriti attualmente nel sistema della F.P.

Si sono intervistati 24 partecipanti6 (14 maschi e 10 femmine) 7 attualmente inseriti nei 6 CFP8 resisi disponibili all’intervista. Allo scopo di capire il punto di vista dei ragazzi disabili intervistati nei confronti delle attività formative, si sono analizzati i seguenti item:

le caratteristiche del percorso scolastico e formativo;

le motivazioni che ne determinato la scelta;

le relazioni con i compagni e i formatori;

il livello di soddisfazione;

le aspirazioni relative al futuro esistenziale e lavorativo.

Relativamente al percorso scolastico e formativo, in generale i disabili intervistati si dichiarano contenti di aver scelto di passare dalla scuola alla formazione professionale, in seguito alle difficoltà incontrate dal punto di vista scolastico, anche se sottolineano come a scuola hanno anche altre soddisfazioni, quali la possibilità di socializzare con tutti gli altri ragazzi. Soprattutto per i casi più gravi, peraltro, il proseguimento dell’esperienza scolastica comportava il rischio di non crescere né nella scolarizzazione né nelle autonomie e, quindi, causava un sentimento di insoddisfazione e di sfiducia, a cui si aggiungevano anche fenomeni di discriminazione da parte dei compagni di classe. Per gli intervistati con una disabilità più lieve, invece, l’esperienza scolastica è stata giudicata in modo positivo, proprio per l’opportunità offerta di investire sulla scolarizzazione e di sentirsi uguali ai coetanei. Il rapporto con i coetanei risulta essere, dunque,

6 A parte un giovane inserito in un gruppo appartamento ed un altro in affido temporaneo, tutti gli intervistati vivono in famiglia. Quasi tutte le famiglie sono in situazione di difficoltà o, comunque, di povertà sociale, in alcuni casi all’interno delle stesse famiglie vi sono altri casi di disabilità di genitori e/o fratelli.

7 L’intervista è stata strutturata tramite domande aperte in modo da lasciare spazio ai soggetti intervistati di raccontare la loro esperienza scolastica e formativa. Allo stesso tempo, abbiamo cercato, utilizzando la traccia di intervista semi-strutturata sopra descritta, di guidare la narrazione dell’intervistato sui temi di ricerca prescelti, allo scopo di rispondere alla finalità dell’indagine.

Un’attenzione particolare è stata dedicata alla presentazione dell’indagine per coinvolgere sia i coordinatori dei corsi che gli stessi disabili a cercare di ricostruire il loro percorso formativo e quello di vita. La scelta di effettuare le interviste presso la sede degli Enti di Formazione ha permesso di offrire agli intervistati uno spazio conosciuto e, quindi, rassicurante nel quale potessero sentirsi liberi da condizionamenti e ha offerto ai ricercatori l’opportunità di conoscere l’ambiente nel quale vengono realizzate le attività formative: le aule, i laboratori, i gruppi classe e i formatori. Abbiamo scelto di condurre le interviste non individualmente, ma con una parte del gruppo classe, per evitare il rischio di creare una situazione di disagio che poteva derivare dal ritrovarsi da soli con una persona sconosciuta.

8 Il campione è risultato casuale, perché i corsi e la relativa tipologia corsuale sono stati indicati dagli stessi Enti, che hanno anche individuato i disabili da intervistare, in relazione soprattutto alla disponibilità e alla possibilità degli stessi a sostenere una intervista diretta e, quindi, a fornire

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un’esperienza decisiva nel processo di formazione e di crescita di ciascuno. La scuola- come anche i percorsi formativi integrati - sembra costituire l’occasione preferita per questa opportunità, anche se le difficoltà portano a considerare la FP come una soluzione, comunque, positiva. Risulta evidente l’importanza degli insegnanti di sostegno che dovrebbero essere in grado di proporre metodi e strumenti utili all’integrazione, come anche la figura dell’insegnante curricolare che dovrebbe essere più attenta all’aspetto psico-pedagogico e non solamente a quello disciplinare.

Relativamente al percorso di formazione professionale, un aspetto che emerge dalle interviste, sottolineato anche dagli stessi coordinatori/formatori, è la scarsa consapevolezza della propria diversità.

In relazione alle aspettative che gli intervistati hanno nei confronti del corso frequentato, l’aspetto più condiviso è proprio quello della possibilità di lavorare insieme agli altri, elemento metodologico su cui puntano molto gli Enti, soprattutto in prospettiva sia di un futuro inserimento lavorativo sia della necessità di lavorare sull’aspetto relazionale.

In riferimento alle competenze professionali, esse sono spesso associate ad esigenze personali, a preferenze e passioni, più che a lavori veri e propri, spesso anche a discapito delle reali possibilità e capacità.

Relativamente alle prospettive, in generale, pur non avendo a volte ancora le idee molto chiare su che cosa vorrebbero fare una volta terminato il corso, o pur dichiarando di non sentirsi ancora pronti, l’idea di lavorare e guadagnare viene associata alla condizione di normalità. In una prospettiva futura, quindi, il lavoro è percepito come uno strumento fondamentale per ottenere delle gratificazioni sia affettive sia professionali che risponderebbero al bisogno di sentirsi utili e quindi valorizzati.

3.3 I disabili usciti dal sistema della F.P.

Considerando che da progetto si era ipotizzato di intervistare i disabili usciti dal sistema di F.P. nei bienni 1998/99 e 1999/2000, la scelta è stata quella di andare ad intercettare le persone che avevano terminato un percorso di Formazione Professionale nel 1999. Sulla base dei dati in nostro possesso, i corsi di F.P rivolti a disabili (o all’interno dei quali erano state inserite utenze svantaggiate) risultavano essere 16 per un totale di 127 utenti che potenzialmente avevano finito il corso nel

informazioni utili ai fini dell’indagine. Da parte nostra abbiamo cercato di mantenere un equilibrio rispetto al numero di maschi e femmine, al tipo di disabilità e alla tipologia di esperienza formativa.

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19999. La cui scelta di intervistare tutti gli utenti usciti da un percorso di formazione professionale nel 1999 ha permesso di avere un campo di indagine estremamente diversificato sia in termini di tipologia di corsi, che in termini di tipologia e livello di disabilità. I dati a nostra disposizione, peraltro, mostrano che su 71 usciti effettivi da percorsi di FP nel 1999, 13 avevano frequentato un corso rivolto a normodotati.

In ogni caso, il filo rosso che accomuna tutti questi percorsi formativi, indipendentemente dalla tipologia corsuale e dal livello e grado di disabilità, è l’effettuazione di un periodo di stage che ha rappresentato per il disabile una prima occasione di inserimento in un ambiente lavorativo all’interno del quale, indipendentemente dalle mansioni svolte (la cui complessità, ovviamente, è strettamente legata al livello e al tipo di disabilità), l’utente deve raggiungere una certa autonomia e affidabilità, se non altro nel rispetto dei tempi.

Le interviste effettuate sono state 37, (13 rivolte a ragazze)10. Per quanto riguarda gli strumenti utilizzati per effettuare le interviste e le modalità attraverso le quali queste ultime sono state condotte, ci sembra importante sottolineare come sia stato necessario adottare una metodologia quanto più flessibile possibile. Va, inoltre, sottolineato come la ricostruzione del passato, più o meno recente, sia stata agevolata – ove possibile - dalla presenza dei coordinatori/tutor11.

La TAV.2 presenta la distribuzione percentuale delle diverse modalità operative di realizzazione delle interviste o, in ogni caso, di reperimento delle informazioni necessarie.

9 I numeri a cui facciamo riferimento erano stati il frutto di un incrocio tra dati informatizzati e dati disponibili solo su cartaceo: inizialmente, infatti si sono recuperati dai Piani, sulla base di un’attenta disamina, tutti i corsi all’interno dei quali veniva segnalata la presenza di utenze speciali; dal sistema informativo sono state poi recuperate tutte le anagrafiche di questi corsi, per individuare, infine, insieme ai coordinatori , i nominativi e i recapiti di quella parte di utenza disabile (certificata, o, semplicemente, segnalata dai servizi). In una prima fase dell’indagine, dunque, si è verificato, insieme ai CFP, quanti di questi potenziali utenti risultavano effettivamente rispondere alle caratteristiche del nostro target: si tratta di 71 persone compresi i ritirati. Di questi, circa il 44% è rappresentato da ragazze.

L’incongruenza più rilevante in termini di numero di utenti potenziali usciti e numero di utenti effettivi usciti, ossia quella che riguarda i corsi del Fomal di Bologna, trova spiegazione nel fatto che si tratta di corsi rivolti a normodotati all’interno dei quali erano stati inseriti degli utenti disabili: dei 35 utenti che avrebbero potenzialmente potuto terminare il percorso formativo nel 1999, solo 8 erano disabili. Per quanto riguarda le altre incongruenze tra i valori riportati nella colonna degli usciti potenziali e quella degli usciti effettivi, la spiegazione è individuabile nel fatto che non tutti hanno concluso il percorso nel 1999. Nel caso dell’utenza disabile, infatti, talvolta la durata del corso subisce delle variazioni in seguito alla personalizzazione del percorso formativo. Un’ultima spiegazione, infine, può essere individuata nel fatto che il numero di usciti potenziali era un dato che faceva riferimento agli allievi previsti da progetto:

non sempre il corso è stato in grado di catturare tutta l’utenza prevista.

10 Ricordiamo, infatti, che con 37 persone siamo riusciti ad avere un contatto diretto (intervista diretta o telefonica) con il disabile o con un genitore; in altri 10 casi siamo riusciti ad ottenere alcune informazioni e a ricostruire il percorso effettuato dalla fine dell’attività formativa ad oggi grazie ad un colloquio (telefonico o diretto) con il coordinatore del corso.Di questi ne sono stati intervistati direttamente il 40%

e telefonicamente quasi un ulteriore 10% (se sommiamo le 4 interviste telefoniche con i disabili e l’unica nella quale è stato sentito telefonicamente sia il disabile che il suo genitore). Nella metà dei casi, dunque, siamo stati in grado di avere contatti direttamente con la persona che ha frequentato il corso;

da questa è stato possibile ottenere tutte le informazioni previste dalla traccia di intervista.

11 Su 71 utenti disabili usciti da percorsi di formazione professionale nel 1999 siamo riusciti a ricostruire il percorso di 47 (il grado di copertura di questa fase della ricerca è, dunque, pari al 63%).

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TAV.2 - Soggetti intervistati e modalità di conduzione dell’intervista-

Soggetti modalità Maschi Femmine Totale %

dirette 12 6 18 38,3

Interviste con i disabili telefoniche 1 3 4 8,5

dirette 2 0 2 4,3

intervista con i genitori telefoniche 8 4 12 25,5 interviste con i disabili e con i genitori telefoniche 0 1 1 2,1 Interviste con i coordinatori telefoniche 6 4 10 21,3

TOTALE 29 18 47 100,0

Di questi giovani è significativo conoscere la condizione attuale con particolare attenzione alla situazione occupazionale (vedi Tab.2 bis).

TAV.2bis- Soggetti intervistati per situazione occupazionale

Attuale situazione occupazionale

Occupati in azienda 6

Inseriti in coop. sociali 5

Occupati informali 2

Borse lavoro 13

In cerca di lavoro 9

In formazione 3

Altro 9 TOTALE 47

La traccia di intervista è stata costruita su tre aspetti principali: l’attività formativa frequentata al Centro e conclusasi nel 1999, il percorso effettuato dalla fine del corso fino ad oggi, un approfondimento specifico sulla situazione attuale.

Nel caso degli occupati si sono indagati il ruolo esercitato dal Centro nell’inserimento lavorativo, le tipologie di lavoro effettuate dopo il corso e tipologia di contratto, l’eventuale presenza di punti di riferimento nell’ambito lavorativo (sia appartenenti al CFP che no), le caratteristiche del lavoro attuale, il livello di gradimento del lavoro attuale e motivazioni, le relazioni con i colleghi, la coerenza del lavoro attuale con la formazione effettuata, la relazione tra lo svolgimento di un’attività lavorativa e l’acquisizione di un ruolo (ad esempio in famiglia).

Nel caso degli inoccupati, invece, gli aspetti che si sono approfonditi riguardano le motivazioni della situazione di non occupato, la giornata tipo e le ambizioni, i desiderata (tipologia di occupazione, compagnia, coerenza con il corso) e le aspettative nei confronti del lavoro in generale.

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Relativamente all’attività formativo-educativa all’interno del CFP,molte interviste hanno messo in luce come l’esperienza formativa vissuta abbia concretamente contribuito, soprattutto, ad una crescita personale e sociale degli interessati. Tutti gli intervistati sembrano essere stati contenti dell’attività formativa frequentata, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti relazionali e legati alla dimensione dell’“essere” più che “del fare”: sembra, infatti, questo un elemento chiave per la progettazione di questo tipo di attività formative. In tale cornice è indubbio che la pratica dello stage permette agli allievi di sperimentarsi e di formarsi concretamente nelle abilità e nei comportamenti.

Relativamente all’inserimento lavorativo, esso è gestito non solo attraverso il sistema del collocamento mirato. Nella ricerca è stato rilevato, infatti, come solo una piccola parte dei disabili intervistati sia iscritto al collocamento obbligatorio (dei 71 giovani che hanno terminato un corso di FP nel 1999, solo 17 risultano iscritti al collocamento).

Dalle parole degli intervistati, inoltre, è chiaramente emersa un’opinione di scontento e di sfiducia nei riguardi dei canali istituzionali deputati all’inserimento lavorativo delle persone disabili. Queste opinioni trovano motivazione nella situazione lavorativa ancora instabile in cui versa la stragrande maggioranza dei disabili incontrati. Dalle interviste è, infatti, emerso che poco più di un quinto degli intervistati attualmente ha una collocazione lavorativa a tutti gli effetti, e, comunque, con mansioni molto semplici e standardizzate. Se ne trae l’impressione della mancanza di un “sistema” in grado di dare certezze per quello che riguarda il futuro dei disabili. Ne è dimostrazione il fatto che un quarto degli intervistati è in una condizione di non occupato e i rimanenti (quasi la metà) attualmente stiano usufruendo di una borsa lavoro.

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3.4 Le famiglie

Si sono realizzate altresì interviste a familiari di disabili che hanno frequentato o stanno frequentando percorsi formativi finanziati dalla Provincia di Bologna con la finalità di ricostruire i percorsi che hanno portato alla scelta delle attività formative e all’eventuale conseguente inserimento lavorativo (criticità, ricorrenze, gradimento, rispetto delle aspettative, ecc.). La metodologia adottata è l’approccio biografico12, atto a utilizzare le storie di vita, raccolte dalla viva voce dei soggetti interessati. All’interno di tale sistema si è scelto di intervistare 18 famiglie, due nuclei familiari per ogni CFP accreditato e specializzato nell’erogazione della formazione rivolta a giovani disabili13.I principali item utilizzati per misurare la forza o la debolezza dei soggetti intervistati sono: le caratteristiche del percorso formativo e professionale, le motivazioni che hanno condotto alla scelta del percorso formativo e professionale, le modalità di relazioni con gli altri soggetti coinvolti, il livello di soddisfazione; le aspirazioni relative al futuro esistenziale, la conoscenza e il bisogno di forme e strumenti di tutela.

Relativamente alla scelta, essa appare condizionata dalle caratteristiche stesse della Scuola e/o Centro di Formazione Professionale, dal fatto che possa offrire spazi e attività utili alla buona riuscita dell’integrazione e allo sviluppo di autonomie e abilità (attività laboratoriali, ricreative, sportive, ecc,), ma anche dalle poche alternative offerte. I corsi, infatti, sono a numero chiuso e l’eventuale permanenza, soprattutto per chi ha la necessità di prolungare la presenza al suo interno, è determinata dalla possibilità che lo stesso corso possa essere rifinanziato dalla Provincia.

Relativamente ai problemi relazionali, si sottolinea, da parte di molte famiglie, la mancanza di un reale programma di collaborazione, che coinvolga genitori, ASL, CFP e/o Scuola ed alla mancanza di un unico punto di riferimento che accompagni disabile e famiglia nel corso del tempo. Viene ritenuto fondamentale il momento del passaggio di consegne fra il referente ASL (nella maggior parte dei casi un neuropsichiatria) e l’educatore, che ha il compito di prendere in carico il disabile al compimento della maggiore età, un passaggio che spesso è vissuto con difficoltà da parte dei ragazzi e dalle loro famiglie. Un altro aspetto di criticità è relativo al fatto

12 La Rosa M. (a cura di), Problemi del lavoro e strategie di ricerca empirica, Franco Angeli, Milano, 2000.

13 Il campione è risultato casuale, perché i nominativi delle famiglie sono stati forniti direttamente dai Centri soprattutto in relazione alla disponibilità e alla possibilità delle famiglie di sottoporsi ad una intervista diretta e, quindi, a fornire informazioni utili ai fini dell’ indagine. Si è cercato , peraltro, di mantenere un equilibrio nel numero dei maschi e delle femmine, in quello relativo alla tipologia di

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che, nei momenti di emergenza o difficoltà, sono i genitori dei disabili a dover prendere l’iniziativa di rivolgersi ai servizi. Mancherebbe anche, da parte di alcuni CFP, chiarezza rispetto ai tempi, contenuti e obiettivi dei progetti formativi/educativi. Relativamente alla soddisfazione ed alle aspettative, il bilancio è contraddittorio: da una parte, è di soddisfazione per quello che sono riuscite ad ottenere per i propri figli e per i risultati raggiunti, dall’altra di rimpianto rispetto a quello che poteva essere ulteriormente raggiunto. L’elemento che viene sottolineato è il fatto che il peso maggiore di queste situazioni, che comportano una notevole fatica sia fisica che mentale per i genitori, rimane, comunque, “[…] sulle spalle delle famiglie […]”. I servizi formativi offerti dalla Provincia di Bologna, vengono, comunque, sostanzialmente giudicati positivi. In particolare, viene sottolineato come essi abbiano contribuito ad una crescita delle autonomie e alla conquista di competenze indispensabili al futuro progetto di vita dei disabili.

Accanto a diversi aspetti positivi, ne vengono sottolineati altri che presentano aspetti di criticità o, comunque, margini di miglioramento. La gestione del tempo libero, come anche la necessità di stringere amicizie, è un problema sentito da tutte le famiglie intervistate. Alcune di esse sono riuscite in parte a risolverlo grazie alla rete di conoscenze e opportunità offerte dal territorio (associazioni, amicizie, parrocchie, ecc.), altre denunciano invece il rischio di isolamento.

Anche rispetto alla mancanza di un servizio di informazione sui diritti, le tutele, le opportunità, fra cui anche quelle formative, le famiglie sembrano condividere la stessa opinione ed evidenziano come troppo spesso accada casualmente di scoprire le possibilità offerte loro dal territorio e dalle normative di riferimento.

Infine, il bisogno di un supporto psicologico per i figli, una volta maggiorenni (in particolare rispetto al tema della sessualità), ma anche per le stesse famiglie, è un altro elemento comune che emerge dalle interviste.

3.5 Le Associazioni delle famiglie

Per questa fase della ricerca si è scelta la tecnica dell’intervista qualitativa semistrutturata con l’obiettivo di cogliere- con l’aiuto di un panel di interlocutori privilegiati – percezioni, strategie, aspettative e proposte da parte delle Associazioni delle famiglie dei soggetti disabili nella provincia di Bologna. Sono stati intervistati dirigenti e operatori delle seguenti cinque Associazioni dei Disabili : ANFFAS, AICE, CEPS, UILDM, PASSO PASSO, ritenute ed indicate dalla Provincia di Bologna come

disabilità (fisica o psichica), tra i disabili che sono inseriti all’interno di un percorso formativo e quelli

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particolarmente rappresentative nel territorio ai fini dell’indagine in quanto i propri disabili hanno partecipato o stanno partecipando ai corsi di FP finanziati dalla Provincia di Bologna. Più in specifico, quattro di queste (ANFFAS, AICE, CEPS, AICE ) fanno parte della Consulta Provinciale per il superamento dell'handicap.

Le interviste semistrutturate hanno avuto come check list di riferimento due filoni di tematiche principali inerenti: a) filosofia e contributi delle Associazioni considerate relativamente al percorso educativo/formativo del soggetto disabile ed all’inserimento lavorativo dello stesso; b) giudizio qualitativo sull’interrelazione delle Associazioni con i vari attori coinvolti nel progetto di vita del soggetto con handicap.

Le interviste qualitative sono state realizzate mediante un questionario articolato nelle seguenti 4 sezioni: il contributo dell’Associazione al percorso educativo/formativo del soggetto disabile, il contributo dell’Associazione all’inserimento lavorativo del soggetto disabile, il contesto legislativo-normativo e gli attori, opinioni e aspettative nei confronti della formazione professionale.

Relativamente al contributo dell’Associazione al percorso educativo/formativo del soggetto disabile, uno dei punti di partenza delle Associazioni intervistate è relativo al fatto che la maggior parte di loro si sente apportatrice di una cultura del diritto individuale. In particolare, l’indipendenza è una necessità reciproca , della persona disabile e della sua famiglia. L’indipendenza, per la persona in situazione di handicap, è affrancamento dai bisogni e ciò significa che le opportunità per la riduzione dei bisogni devono essere diversificate. E, aldilà di qualsiasi differenza fra Associazione e Associazione, l’intento è sicuramente quello di avere una filosofia unitaria nella relazione d’aiuto ossia “essere realisti”, differenziare le disabilità e favorire un buon progetto di vita che, talvolta, va nel senso “non tanto della crescita, ma addirittura del contenimento (delle emozioni, per esempio)”. In quest’ottica è importante l’autostima che diventa il vero patrimonio di abilita’/competenze atto a realizzare un buon progetto di vita. Le Associazioni, inoltre, mettono in campo diversi strumenti per contribuire alla formazione – intesa come crescita individuale globale - del soggetto disabile: dall’assistenza domiciliare, alla riabilitazione socio- educativa e consulenze per facilitare il percorso delle autonomie, alla gestione di strutture residenziali di servizio (comunità alloggio, case alloggio, case famiglia,etc), alla collaborazione e gestione dei Centri diurni articolati su diverse attività (laboratori per attività manuali, laboratori d’arte e musicali, drammatizzazione, musicoterapia, ippoterapia, socioterapia, etc).

che, avendo terminato la loro esperienza formativa, dovrebbero essere entrati nel mondo del lavoro.

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Relativamente al contributo dell’Associazione all’inserimento lavorativo del soggetto disabile, alcuni intervistati hanno messo in evidenza il fatto che bisogna avere delle aspettative di normalità che prevedono, comunque, il contatto diretto con il mondo del lavoro, ciò significando anzitutto la riduzione delle discriminazioni e delle barriere architettoniche. Altri intervistati sottolineano il fatto che non si deve mai perdere di vista il fatto che certi ragazzi non riescono a sostenere il percorso di normalità. Un presupposto condiviso da tutti gli intervistati è che bisogna sempre partire dalle peculiarità della persona e della sua disabilità. Per alcuni sembra invalsa l’abitudine a considerare in maniera indifferenziata la disabilità, ma il dato decisivo è attinente al fatto che non tutti i soggetti con handicap sono in grado di accedere al mondo del lavoro e, talvolta, se riescono ad accedervi, la tipologia contrattuale più adatta è il part-time, quasi mai il full time. In certi casi l’unica soluzione appare la casa protetta, o, comunque, un lavoro protetto. Nessuno dei rappresentanti delle Associazioni intervistate sostiene di percorrere, nell’inserimento lavorativo, le vie tradizionali (colloqui orientativi di sostegno individuale, stage orientativi nei confronti delle famiglie, visite guidate nei luoghi di lavoro,etc.) soprattutto per via di una diffusa sfiducia nei confronti delle stesse unitamente alla convinzione che il soggetto disabile abbia bisogno di interlocutori altamente specializzati.

Pur in un quadro generale in cui lo sviluppo dei servizi provinciali per il lavoro dei disabili ha raggiunto buoni livelli di performance (più di 1.000 inserimenti negli ultimi 24 mesi14 che rappresenta un livello di prestazione comparativamente elevato nell’ambito regionale) con l’utilizzo quasi esclusivo delle convenzioni con le imprese di cui all’art. 11 della L.68, resta opinione delle Associazioni che lo stesso servizio del collocamento mirato non dia grandi risultati, nonostante il costante pressing delle Associazioni stesse e l’augurio che con il tempo si consolidi la legge 68 /99 ed il sistema delle convenzioni (artt.11 e 12).

Relativamente al tipo di formazione dimostratasi più efficace ai fini dell’inserimento lavorativo , è condivisa l’opinione che soprattutto la formazione in situazione abbia dato dei frutti. L’esperienza dei PIAFST e dei percorsi integrati è stata, talvolta, positiva, fermo restando che s’instauri un collegamento stretto fra scuola e CFP oltre ad un indispensabile ampliamento dell’offerta formativa. In rari casi, attraverso lo stage che ha favorito l’apprendimento di alcune competenze professionali, si è riusciti a traghettare alcuni soggetti verso la borsa lavoro. E,

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comunque, al di là del tempo necessario, il percorso, per essere davvero efficace, va reso visibile a monte e a valle inserendosi in una logica di continuità in collaborazione con la famiglia, prioritaria nella definizione dei percorsi.

Relativamente al contesto legislativo-normativo e gli attori, le Associazioni condividono il fatto che vi sia una buona strumentazione “legislativo-normativo” - sia a livello regionale sia a livello nazionale – per la tutela del soggetto disabile.

Alcuni intervistati lamentano il ruolo troppo consultivo e poco decisionale delle Associazioni, compreso, talvolta , un rapporto “difficile, ma salutare” con le istituzioni.

Relativamente alle aziende che hanno assunto soggetti disabili o che hanno realizzato interventi integrati di formazione e lavoro, gli intervistati hanno rilevato, in alcuni casi, grandi potenzialità insieme alla sperimentazione di buone prassi, anche se spesso l’impatto con le aziende non c’è. Migliori appaiono i rapporti con le Scuole, anche se si rileva una diffusa tendenza, da parte degli insegnanti, a tenere per forza i ragazzi a scuola, mentre sarebbe prioritario incentivare la realizzazione di progetti scuola-territorio per moltiplicare ed incentivare le competenze dei soggetti disabili. I rapporti più problematici sembrano essere quelli con i CFP, se non altro per un problema relativo alla lettura dei fabbisogni. Alcune Associazioni lamentano la loro autoreferenzialità insieme alla paura endemica delle verifiche, tra cui il sistema della valutazione ex ante e di valutazione ex post. Il punctum dolens riguarderebbe, inoltre, la difficile comunicazione – da parte della F.P. - con il mondo del lavoro con la conseguente ristretta prospettiva di vita da fornire alla persona disabile.

3.6 Il punto di vista della domanda di lavoro: le aziende

Per avere anche un punto di vista sul versante della domanda di lavoro, si è deciso di fare riferimento a soggetti usciti dai percorsi formativi da circa tre anni proprio per lasciare quel congruo lasso di tempo che tradizionalmente si prevede necessario per permettere alla formazione professionale rivolta a queste utenze di produrre i suoi effetti15.

14 Anche nel periodo precedente, 2000-2001, vediamo un numero di avviamenti attraverso il collocamento mirato sostanzialmente analogo (n° 1061 persone)- Cfr. Rapporto 2002 sui servizi provinciali rivolti ai cittadini in situazione di handicap, Provincia di Bologna.

15 Infatti, se per i percorsi formativi per normodotati si ritiene generalmente opportuno far trascorrere almeno un anno dal termine del corso per andare a rilevare gli eventuali impatti della formazione professionale, nel caso di percorsi per disabili è evidente che tale intervallo di tempo debba essere più ampio, viste le maggiori difficoltà che necessariamente incontrano i soggetti disabili che intendono inserirsi nel mercato del lavoro.

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Per verificare, partendo dall’elenco degli allievi dei percorsi formativi terminati nel 199916, quali fossero i soggetti attualmente occupati si è proceduto, grazie alla collaborazione del Servizio di Collocamento Mirato (CM) della Provincia di Bologna, ad una analisi della banca dati di Net Labor - applicativo utilizzato da detto Servizio- da cui risultano i nominativi e altre informazioni sui disabili iscritti ed eventualmente avviati al lavoro17.

Si è, quindi, proceduto ad intervistare i referenti aziendali – anche questi segnalatici dal Servizio di Collocamento Mirato - delle imprese od enti in cui i soggetti (8 persone) risultano attualmente occupati, il cui elenco18 è riportato nella TAV.3.

TAV.3 – Aziende in cui sono inseriti disabili usciti dalla FP nel 1999

AZIENDA

IKEA Italia Retail srl

Alma Mater Studiorum – Università di Bologna CIS srl

Circolo culturale soc. coop. Scarl Essepienne

MT

Felsinea ristorazione

Comune di San Lazzaro di Savena

Per ciò che riguarda le caratteristiche dei disabili assunti, anche per la sensibilità delle informazioni che si stanno trattando, non sembra il caso di entrare nel dettaglio relativamente al tipo e al livello di disabilità19 e di altre informazioni, per cui ci limitiamo a ricordare che tutti i disabili attualmente occupati hanno frequentato un corso di formazione professionale che risulta terminato nel 1999.

16 L’elenco è stato redatto facendo riferimento ai dati forniti dal sistema informativo provinciale e procedendo poi ad un controllo con i singoli Soggetti gestori che avevano gestito i corsi di formazione al centro dell’analisi.

17 Dalle interviste ai disabili usciti risulta un numero considerevole di casi che svolgono attività lavorative in forza di borse lavoro che, tuttavia, non possono essere considerate modalità di inserimento lavorativo, trattandosi di attività di tipo assistenziale e riabilitativo promosse dalla ASL.

18 Dal punto di vista del settore economico principale di attività, appare un panorama piuttosto diversificato, dal momento che troviamo, seguendo la classificazione Ateco, soggetti operanti nel settore manifatturiero, degli alberghi e ristoranti, nel commercio, nell’Istruzione, dei servizi sanitari e dei servizi sociali, ecc. Anche dal punto di vista della collocazione territoriale, notiamo considerevoli differenze, dal momento che alcune imprese sono collocate nel territorio comunale di Bologna mentre altre sono distribuite in diversi comuni (Vergato, Casalecchio, San Giovanni in Persiceto, ecc.) della provincia.

19 Nel Rapporto intermedio sono riportati, in chiave aggregata, diverse informazioni di natura socio- anagrafica relative ai disabili che hanno partecipato ai percorsi formativi finanziati dalla Provincia di Bologna nel periodo 1999-2001.

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Relativamente all’età, la maggior parte dei disabili occupati sono ricompresi nelle fasce giovani della popolazione (quasi tutti hanno dai 21-25 anni, mentre la rimanente quota minoritaria ha, comunque, meno di 35 anni).

Relativamente alla posizione contrattuale e le mansioni del lavoratore disabile, si rileva che la maggior parte dei disabili provenienti dalla formazione è stata inserita nell’azienda presso cui sono attualmente occupati tramite lo strumento della borsa lavoro. Se, peraltro, questo strumento ha costituito il canale privilegiato di incontro tra il disabile e la domanda di lavoro, va detto che la situazione attuale di questi lavoratori disabili risulta sostanzialmente stabile essendo stati assunti a tempo indeterminato da oltre un anno. Il lavoro è dunque di tipo stabile anche se, generalmente, si tratta di lavori a part time orizzontale.

Relativamente alle mansioni, esse sono strettamente correlate al tipo di attività che l’azienda svolge, per cui, dalle interviste realizzate ai referenti, emerge, naturalmente, un quadro di mansioni e di funzioni ricoperte assai variegato e fortemente connesso al tipo di attività svolta dall’impresa/ente, anche se in diversi casi esse possono essere ricondotte alle funzioni tipiche di un lavoro impiegatizio esecutivo.

Relativamente al ruolo della formazione, dalle interviste emerge20 che i datori di lavoro considerano potenzialmente assai rilevante il ruolo della formazione professionale, in particolare per l’acquisizione delle competenze di base e trasversali. Le competenze professionali specifiche per lo svolgimento del proprio lavoro, invece, si ritiene che possano essere meglio e più efficacemente acquisite on the job, con lo svolgimento pratico del lavoro, essendo strettamente connesse al tipo di lavoro svolto, al luogo di lavoro, ecc.. Alcune imprese – la minoranza – ritengono, comunque, che anche le competenze professionali, quando si tratta di attività lavorative non troppo specifiche e settoriali, possano essere acquisite tramite la frequenza di corsi di formazione professionale. Relativamente all’attività di accompagnamento e di assistenza per la crescita professionale e per l’acquisizione di autonomie, il lavoratore disabile è generalmente accompagnato e seguito in azienda da un tutor che può essere rappresentato semplicemente da un collega che, stando in contatto quotidianamente con lui durante la giornata

20 Uno degli aspetti più interessanti che emerge dall’indagine e che deve essere qui con forza sottolineato è che nessuna delle imprese/enti intervistati è a conoscenza del fatto che il proprio lavoratore disabile ha frequentato in un passato piuttosto recente un percorso di formazione professionale, avendo stabilito i primi contatti con questo, come visto, tramite le borse lavoro, i rapporti con la ASL, ecc. Naturalmente ciò ha considerevolmente ridotto l’efficacia delle interviste realizzate, dal momento che si erano considerate proprio le imprese che avevano assunto disabili provenienti da percorsi formativi proprio per vedere quale era stato l’impatto di questi e che giudizi venivano dati dai referenti aziendali alle competenze fornite dalla formazione professionale

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lavorativa, riesce ad assisterlo e a fargli acquisire maggiori competenze ed autonomia, oppure dal delegato sociale. Nelle piccole imprese è, generalmente, il titolare ad avere rapporti diretti con il lavoratore disabile, mentre nelle aziende più grandi sono necessari rapporti e una struttura organizzativa più formale e gerarchizzata, con un referente incaricato di seguire e assistere il singolo lavoratore disabile.

Relativamente ai rapporti con gli altri attori del sistema, i soggetti con cui le aziende e gli enti che hanno assunto lavoratori disabili sono in contatto sono essenzialmente il CM della Provincia di Bologna e gli assistenti sociali della ASL. Per ciò che riguarda i rapporti con la Provincia di Bologna, quasi nessuno degli intervistati evidenzia criticità, citando anzi rapporti solidi e collaborativi determinati dalla stipula delle convenzioni, ecc.. Più diversificati sono, invece, i giudizi espressi nei confronti delle ASL. Da una parte si sottolinea il ruolo di primo piano giocato dagli assistenti sociali nel fornire un supporto all’impresa, in particolare nella prima fase di inserimento e, dall’altra, si rileva come i rapporti con la ASL siano piuttosto sporadici, se non addirittura limitati alle sole situazioni di emergenza ed alle borse lavoro. Questo punto viene sottolineato come una criticità da diversi intervistati che vorrebbero una maggiore collaborazione degli assistenti sociali per gestire situazioni che sono, senza dubbio, delicate e difficoltose.

Infine, si rileva chiaramente la scarsa conoscenza che le imprese, in particolare quelle di piccole dimensioni, hanno della normativa vigente per il collocamento mirato dei disabili e delle altre categorie protette.

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4. LA QUALITÀ DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE: ALCUNI ELEMENTI PER LA RIFLESSIONE

4.1 Coerenze e contraddizioni emerse dalle interviste

Come già espresso, l’attività di valutazione è stata articolata attraverso una analisi dettagliata sia del processo di erogazione della formazione (modalità progettuali, organizzative, attuative, strutturali, capacità dei soggetti gestori, ecc.), sia delle diverse aspettative degli utenti diretti, degli utenti indiretti (famiglie e imprese), sia della rete di attori coinvolti, quali i CFP e le Associazioni di famigliari di disabili.

In questo complesso panorama sono, dunque, rientrate nella valutazione le diverse percezioni/aspettative con evidenti coerenze e, talvolta, contraddizioni rivedibili nei giudizi espressi da interlocutori di così eterogenea provenienza.

E certamente alcuni giudizi ci sentiamo di darli anche noi proprio a partire da queste contraddizioni e coerenze.

Relativamente al percorso formativo ed alla qualità dello stesso – almeno nelle intenzioni degli interlocutori - appare assai positivo, intanto, il fatto che siano diversi gli strumenti e le metodologie con cui i singoli CFP tentano di individuare le caratteristiche e le potenzialità dei singoli utenti, mettendo in atto frequentemente delle strategie di percorso personalizzate e, fatto ancor più positivo, in fattiva collaborazione con l’USL, o con la stessa Provincia, entrambe esperte conoscitrici delle caratteristiche dei singoli Centri cui indirizzano l’utenza che meglio interagisce con tali caratteristiche.

Anche relativamente alla selezione dell’azienda per un eventuale stage, i CFP sembrano adottare un comportamento attento alle caratteristiche dell’utenza, proponendo percorsi improntati al massimo rispetto del soggetto sulla base di attitudini, capacità e richieste dell’allievo stesso. Se ne trae, così, lo stimolo ad incentivare e approfondire il dato sicuramente incoraggiante di consolidare il rapporto con un certo numero di aziende aperte all’impostazione di un progetto ispirato alla massima flessibilità. Corretto e improntato alla massima autonomia appare anche il rapporto con le famiglie per cui disponibilità non significa farsi influenzare dai desideri della famiglia e, ciò, per il bene del disabile.

I puncta dolenta sembrerebbero, invece, due: l’accompagnamento in uscita verso il mercato del lavoro e i rapporti con la scuola. Sono, infatti, ancora troppo pochi i casi in cui i CFP , una volta terminato il percorso, tendono a mantenere i contatti

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con i propri allievi. E anche il fatto che, la maggior parte di loro non preveda nulla di formalizzato per l’accompagnamento in uscita dei propri allievi e che vi sia la mancanza di un sistema di valutazione ex post, non va di certo a vantaggio della qualità del percorso stesso, se pensiamo che il giudizio di qualità debba anche confrontarsi con i “risultati” rispetto al tema finale dell’inserimento lavorativo.

Relativamente all’inserimento professionale, inoltre, sembrano risultare favoriti – o forse sarebbe meglio dire, più efficaci – quei Centri che fanno parte di Consorzi, reti di aziende, cooperative sociali, ecc. in quanto utilizzano direttamente il proprio

“bacino” di riferimento.

Particolarmente delicati risultano essere anche i rapporti con la Scuola, per cui l’impressione è quella di un sistema di comunicazione ancora in rodaggio che non favorisce del tutto la qualità e l’efficacia dei percorsi integrati.

Ma, eccezion fatta, per questi due punti di criticità, il buono stato di salute dei CFP e una certa qualità dei percorsi formativi sembra confermato anche dagli utenti diretti che si dichiarano contenti di aver scelto di passare dalla scuola alla formazione professionale, in seguito alle difficoltà incontrate dal punto di vista scolastico, pur sottolineando come a scuola abbiano altre soddisfazioni, quali la possibilità di socializzare nel gruppo classe. Peraltro, emerge da più parti, come per i casi più gravi, il proseguimento dell’esperienza scolastica comporti il rischio di non crescere né nella scolarizzazione né nelle autonomie con deragliamenti facili nella frustrazione e nella sfiducia, nonché nella stessa discriminazione da parte del gruppo classe.

Tendenzialmente differente appare il comportamento nel caso degli intervistati con disabilità più lievi, per cui invece, l’esperienza scolastica è giudicata in modo positivo, proprio per l’opportunità di investire sia nella scolarizzazione sia nella socializzazione. Il riuscire ad intessere un rapporto con i coetanei risulta essere, dunque, un’esperienza decisiva nel processo di formazione e di crescita di ciascuno e fra i “desiderata” maggiormente espressi. I percorsi formativi integrati – sembrano, così, costituire l’occasione chiave e preferita per questa opportunità, anche se le difficoltà portano a considerare la F.P come una soluzione, comunque, positiva. Fatto, questo, di cui tenere assolutamente conto e da condividere in futuro con gli operatori preposti, suffragato ulteriormente dalle aspettative che gli intervistati hanno nei confronti del corso frequentato, che è proprio quello di lavorare insieme agli altri.

Il punto dolente, invece, è in riferimento alle competenze professionali, troppo spesso associate ad esigenze personali, a preferenze e passioni, più che a lavori veri e propri, spesso anche a discapito delle reali possibilità e capacità. Emerge una

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– peraltro prevedibile - poca chiarezza di idee insieme al concetto del lavoro associato al guadagno, non tanto forse per il guadagno in sé, bensì perché associato alla condizione di normalità. In una prospettiva futura, quindi, il lavoro è percepito come uno strumento fondamentale per ottenere delle gratificazioni sia affettive sia professionali che risponderebbero al bisogno di sentirsi utili e, quindi, valorizzati. E proprio da qui, dal problema di come impiegare le proprie risorse professionali si dirama un processo complicato e non privo di punti oscuri, di interruzione di percorsi, di “mancanza di anelli”.

Dunque, riassumendo i fatti (rif. Tab 2 bis):

• Solo un numero ridotto di giovani usciti dal sistema di formazione nel 1999 ha oggi una occupazione lavorativa relativamente stabile (11 occupati fra aziende e coop. Sociali);

• Un numero molto alto (21 persone) è ancora impegnato in percorsi di transizione verso il lavoro (formazione o borse di lavoro);

• Un quinto è in cerca di lavoro.

Il collocamento mirato è riconosciuto come il canale specializzato per l’acquisizione di un lavoro stabile; se così è, però non è chiaro perché la maggior parte di coloro che ha terminato corsi nel 1999 non si è ancora iscritta ad esso. Una possibile risposta può essere ricercata nella possibilità, per questi giovani, di permanere, a quattro anni dal termine dei corsi, ancora in percorsi di transizione verso il lavoro (cioè in una situazione ancora aperta, di possibile maturazione e ulteriore crescita, ma anche di possibile “ritorno”, dove il confronto vero con il lavoro viene rimandato in avanti nel tempo).

Elemento critico risulta, quindi, essere il TEMPO che intercorre fra il termine dei corsi di formazione e l’inserimento effettivo al lavoro. Questa criticità resta emblematicamente uguale a quella dei tempi della vecchia Legge 482 quando, per le persone disabili, dopo l’iscrizione, era necessario attendere il tempo necessario a scalare la graduatoria del collocamento prima di avere una offerta di lavoro.

Oggi, con la pratica diffusa delle chiamate nominative e delle convenzioni, questo problema si pone sotto una nuova luce e richiama necessariamente in gioco, rispetto al tema dell’inserimento al lavoro, anche coloro che si occupano di formazione professionale in accordo con chi si occupa di collocamento.

Il problema della discontinuità fra la formazione e l’inserimento al lavoro, il problema dei lunghi tempi di attesa che rischiavano di compromettere i livelli di autonomia e di capacità acquisiti con la formazione, possono oggi essere affrontati diversamente con nuovi strumenti e nuove prospettive di continuità del percorso di vita delle persone.

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