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Kasparhauser. Transmoderno. Un nuovo paradigma

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Kasparhauser

Transmoderno. Un nuovo paradigma 4 | 2013

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Kasparhauser

Transmoderno. Un nuovo paradigma 4 | 2013 A cura di Marco Baldino

Philosophical culture quarterly. Direzione: Marco Baldino, Francesca Brencio, Giacomo Conserva, Jacopo Valli.. Hanno collaborato: Elena Ardito, Alberta Battisti, Francesco Forini, Francesca Rizzi.

Pubblicazione on line protetta dal diritto d’autore. La distribuzione avviene a mezzo rete ed è gratuita. Non è consentita la commercializzazione del materiale qui raccolto.

Kasparhauser ISSN 2282-1031

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3 Indice

Introduzione 5

Rosa María Rodríguez Magda

Transmoderno. Un nuovo paradigma 9

Victoria Sendón de León

La ricerca di R. M. Rodriguez Magda 28

Carmen África Vidal Claramonte

Della traduzione transmoderna 36

Marc Luyckx Ghisi

Verso una trasformazione transmoderna della nostra

Società Globale 47

Marco Baldino

Transmoderno e post-storia 67

Jacob Taubes

Estetizzazione della verità nella post-storia 86

Dutton Kearney

Von Balthasar come transmoderno. Scritti recenti di

estetica teologica 101

Peter Lamborn Wilson

Il ritorno del paleolitico 116

Giacomo Conserva

Il Truman/Berlusconi Show. [A proposito di un libro di

Fulvio Carmagnola e Matteo Bonazzi] 121

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Bibliografia/sitografia 127

Gli autori 131

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Introduzione

di Marco Baldino

È possibile un dialogo ―reale‖ tra le varie forme di civiltà?

Questo è ciò che Henry Corbin si domandava nel 1977, a Teheran, in occasione di un Colloquio Internazionale organizzato dal Centro Iraniano per lo Studio delle Civiltà, giusto un attimo prima che scoppiasse la rivoluzione khomeinista. Oggi la rivoluzione khomeinista è solo un residuo di civiltà tradizionale nel processo di occidentalizzazione del mondo.

A noi spetta pertanto di attualizzare la domanda nel modo seguente: è possibile un dialogo reale tra paradigmi? Il postmoderno, vale a dire la constatazione dell‘incommensurabilità dei paradigmi, ci ha stancati. Che cosa è accaduto, essenzialmente? Ci siamo saziati dell‘ottimismo con cui il postmoderno predicava il nichilismo? Certo, l‘estetica delle macerie è un po‘

stucchevole per chi si dispone a condurre la propria esistenza razzolando tra le rovine. Ebbene, che cosa è accaduto?

In primo luogo l‘avvento di una sorta di scambiabilità illimitata di tutti i discorsi, di tutte le immagini, di tutti i suoni, la comparsa di un equivalente universale astratto del linguaggio esteso: il sistema binario. Il sistema binario, combinato con l‘elettronica, permette di mappare in scala uno-uno tutti i clic, tutti i pixel, tutti i campionamenti presenti in rete e di elaborarli in tempi che chiamiamo

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―reali‖. La necessità di facilitare la comunicazione tra culture attraverso poderosi lavori di traduzione, sembra superata.

Lo stesso concetto di ―civiltà‖, con quel suo richiamo alla forza segreta, invisibile, spiritualmente identitaria che lo abita, non si può più dire che svolga un ruolo determinante. Bastano effettivamente alcuni meccanismi informatici ben programmati perché masse enormi di utenti (ma è solo un altro modo di dire ―persone‖), si scambino, oltre a transazioni economiche, quantità di contenuti culturali. Lo zoccolo profondo delle civiltà, l‘identità irriducibile e intraducibile che costituisce la loro forma spirituale, appare piuttosto come una sorta di

―valore aggiunto‖: niente ci piace di più della spiritualità tibetana, ma essenziale per noi sono la libertà politica ed economica di quel paese, vogliamo poterci andare, poterci fare affari — e non ameremmo affatto che quelle terra martoriata venisse inghiottita da una qualche forma di teocrazia.

Ciò che Corbin escludeva come eventualità meramente contraddittoria, la riduzione del dialogo fra civiltà a mero funzionamento tecnologico, si è avverato. Quella forza segreta, invisibile, che sembrava costituire lo zoccolo incomprimibile di una cultura, il suo carattere proprio, irriducibile e intraducibile, si è sciolto nella traducibilità illimitata della tecnica informatica. Il problema del dialogo tra civiltà sarà forse emerso come scontro tra secolarizzazione e sacralizzazione, ma si è risolto nella diffusione planetaria della Information and Communication Technology.

Il totalitarismo come sacralizzazione delle istituzioni non sembra essere più all‘ordine del giorno. Le ultime resistenze alla forza espansiva della secolarizzazione le

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vediamo andare in pezzi con l‘apparizione, in Egitto e in Tunisia, del movimento femen.

Ecco dunque che cosa è successo: se il postmoderno era la scoperta e la presa d‘atto dell‘incommensurabilità dei paradigmi e dell‘intraducibilità dei regimi di frasi, il Transmoderno è la scoperta e la presa d‘atto della intercambiabilità dei paradigmi e della scambiabilità a morte di tutti gli enunciati, sulla base della loro riducibilità binaria, sulla base della loro universale circolazione web- eriana.

Si potrebbe dire che il concetto di ―implosione‖ proposto da Baudrillard, ha avuto la meglio sul ―problema della legittimazione‖ elaborato da Lyotard: gli effetti sono in effetti quelli dell‘iperrealismo, dell‘osceno, della reversibilità, dello scambio simbolico, ma in una forma meno drammatica e ironica di come non appaiono sulla pagina baudrillardiana. Lo scambio simbolico, per esempio, assomiglia meno allo scontro a morte del signore e del servo che non alla dinamica del riconoscimento risolta nell‘ambito di un gioco socialmente e pubblicamente regolato e regolabile, dagli effetti mutuamente soddisfacenti. L‘osceno assomiglia meno all‘ipervisibilità che uccide le passioni, l‘eros, il senso e il sociale stesso, che non alla possibilità di modulare l‘impatto del reale sulla nostra vita, attraverso lo schermo del virtuale: il matrimonio tra gay ci appare plausibile perché i loro comportamenti sessuali ci sono noti nei particolari e, in definitiva, non differiscono, nemmeno nell‘esagerazione pornografica (di cui possiamo renderci sempre spettatori), da quelli eterosessuali: l‘arbitrio si trasforma in diritto proprio grazie all‘ipervisibilità del reale, proprio grazie all‘oscenità.

E tutto ciò va con il passaggio dal teologico al sociologico,

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che era una catastrofe per Corbin. Il sociale che si sostituisce al theos. Bene, si tratta della catastrofe costitutiva dell‘orizzonte di senso di questa nuova fase del mondo, con buona pace di Corbin.

Il problema non è più quello di un dialogo fra civiltà, perché le civiltà sprofondano, le differenze si stemperano in una forma di civiltà, per così dire, globish. Il problema, semmai, è quale pratica del pensiero, quali strategie memoriali e quali forme politiche si accordino con l‘intercambiabilità dei paradigmi e la traducibilità implosiva degli enunciati. Il problema non è più cercare ciò che ci unisce nel mare magnum di ciò che ci divide, ma quello della messa a disposizione di un valore aggiunto, differenziale (anche nel senso matematico del

―piccolo‖), che garantisca la mobilità turistica (nel senso etimologico: tour-istico) delle persone.

Meravigliarsi di una piccola differenza è il motore di una residua attività storica in un mondo sfebbrato e convalescente dalla grande piressia del negativo. Il turismo, le piccole differenze nelle forme di autogoverno e nel modo di esprimere dissenso nel locale, le forme di conservazione della memoria, l‘uso delle tradizioni di pensiero, l‘intelligenza con cui, localmente, viene gestita l‘intercambiabilità dei paradigmi, costituiscono il vero residuo differenziale capace, forse, di accordarsi al processo di omogeneizzazione globale e, per questo, forse, di garantirci anche dallo sprofondare nel silenzio.

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Transmodernità: un nuovo paradigma

di Rosa María Rodríguez Magda

Non so se ci si possa ergere a proprietari delle parole, sotto qualsiasi forma; i termini emergono, si coniano e circolano, con maggiore o minor fortuna. In questo caso, dato che ne ho fatto il nucleo delle mie riflessioni per più di vent‘anni, che ho sviluppato una teoria al riguardo e che non mi risulta sia stato utilizzato prima in modo apprezzabile, credo di poter reclamare la maternità di questo concetto. Maternità nell‘accezione aperta che tale processo possiede: concepimento nell‘interiorità di un sé, parto, attenzione, cura e infine liberazione della creatura affinché possa crescere nelle diverse interazioni che il mondo le offre.

Come ho detto altrove1, il termine è nato da una conversazione che ebbi con Jean Baudrillard nella sua casa di Parigi, verso il 1987. Riflettendo sulla corrente postmoderna, alla quale egli rifiutava di iscriversi. In quell‘occasione osservai che se si prendevano in considerazione le sue valutazioni sul ―transpolitco‖ e sulla

1 Si veda l‘«Introduzione» al mio volume Transmodernidad, Anthropos, Barcelona 2004.

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―transessualità‖, a proposito delle sue tematizzazioni del dominio della simulazione e dell‘iperrealtà, più che una prospettiva ―post‖, avremmo avuto a che fare con una prospettiva tale da consentirci di nominare la nostra epoca

―Transmodernità‖.

Con tale concetto ho preteso di demarcare ciò che, a mio modo di vedere, costituisce un vero e proprio mutamento di paradigma che può chiarire le relazioni gnoseologiche, sociologiche, etiche ed estetiche del nostro presente. Così cominciai a plasmarlo nel mio libro La sonrisa de Saturno.

Hacia una teoria transmoderna; altri aspetti ne sviluppai in El modelo Frankenstein. De la diferencia a la cultura post e infine giunsi ad una teorizzazione compiuta in Transmodernidad.

Certamente una denominazione ottenuta attraverso l‘aggiunta di un prefisso a un concetto come quello di

―modernità‖, così centrale nei dibattiti degli ultimi decenni, sorge spontaneamente e in maniera indipendente in diverse discipline e con diverse intonazioni ideologiche (quantunque, ripeto, non abbia notizia che il termine sia stato utilizzato prima che lo coniassi nel 1989, come nuova configurazione teorica, con dei fondamenti strutturati, al di là di un mero uso aleatorio e isolato). Ad ogni modo, se vogliamo fare un una storia delle diverse accezioni del termine, bisognerà citare il mio carissimo amico Enrique Miret Magdalena che, anni fa, mi disse di aver utilizzato il termine in una conferenza (non pubblicata) come un modo per esemplificare una nuova fase sintetica.

Ciononostante, non lo riutilizzò fino al 2004, quando

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appare nel capitolo di uno dei suoi libri La vida merece la pena de ser vivida. Anche Juri Talvet, ispanista estone, lo ha occasionalmente utilizzato per nominare ciò che nella poesia contemporanea tenta di sfuggire all‘esausto canone postmoderno. Cito questi due casi tra i tanti che si sono verificati e che, senza dubbio, continueranno a presentarsi.

Ciononostante, tre sono gli autori o correnti che, sempre dopo il 1989, hanno tentato di applicare il concetto con specifiche intenzioni teoriche:

1. Il filosofo argentino-messicano Enrique Dussel, che a partire dal suo libro Postomdernidad, Transmodernidad (1999) lo inscrive nel contesto della filosofia della liberazione e nella riflessione sull‘identità latinoamericana, intendendo per teorie transmoderne quelle teorie provenienti dal terzo mondo che reclamano un proprio posto di fronte alla modernità occidentale, incorporando lo sguardo dell‘altro, postcoloniale e subalterno.

2. Con un significato diverso la nozione di

―transmodernità‖ è apparsa sporadicamente nella cornice di incontri che fanno riferimento alla cultura della pace, al dialogo interculturale e alla filosofia del diritto. In particolar modo, Marc Luyckx Ghisi ha ripreso più volte il concetto a partire dal 1998, quando lo utilizzò nel seminario ―Gouvernance et Civilisations‖, che coordinò a Bruxelles, organizzato dalla Forward Studies Unit della Comunità Europea in collaborazione con la World Academy of Arts and Sciences. Nel modo in cui egli lo utilizza, la transmodernità vorrebbe costituire una sintesi tra posizioni premoderne e moderne, dando consistenza

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ad un modello nel quale si accetta la coesistenza di entrambe, con il fine di rendere compatibile la nozione di progresso con il rispetto delle differenze culturali e religiose e cercando con ciò di limitare il rifiuto, principalmente da parte dei paesi islamici, della visione occidentale della modernità. Con questo stesso senso lo hanno utilizzato anche Ziauddin Sardar, Etienne Le Roy o Christoph Eberhard.

3. Un terzo ambito in cui si è venuta sviluppando una certa teorizzazione in questa senso è quello dell‘architettura. Nel 2002 l‘Austrian Cultural Forum di New York allestì la mostra: ―TransModernity. Austrian Architects‖. E Marcos Novak, che ha codiretto, con Paul Virilio, tra il 1998 e il 2000, la Fondation Transarchitectures di Parigi, ha potenziato la nozione di transarchitettura come architettura liquida del nuovo spazio virtuale. Nonostante la vicinanza personale e intellettuale di Virilio e Baudrillard, l‘utilizzo fatto da Novak, per quanto incentrato in un ambito specifico, risulta più affine alla visione del mondo dalla quale parto io e che ho poi sviluppato.

Tutti questi casi credo dimostrino, ben al di là delle differenze di accezione, una medesima percezione delle contraddizioni della modernità e la ricerca di un nuovo modello che dia conto dei cambiamenti che si verificano nel nostro presente. Ed è a partire da questa percezione comune che passo ora ad esporre il mio concetto di transmodernità, nella convinzione che non solo dobbiamo stare attenti alle trasformazioni attive nel panorama

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contemporaneo, ma che è anche necessario, al di là di enunciazioni sparse e isolate, elaborare una teoria solida, che definisca quello che, a mio modo di vedere, è un effettivo mutamento di paradigma. Ridurre la transmodernità a un dialogo tra civiltà o a un modello che attenui le insufficienze della modernità occidentale rappresenta una forma di volontarismo, lodevole senza dubbio, ma ancora interno al paradigma moderno.

Dobbiamo partire, abbandonando antiche illusioni, dall‘analisi della crisi della modernità, dalle critiche postmoderne, per arrivare alla configurazione di un nuovo paradigma concettuale e sociale. ―Trans‖ non è un prefisso miracoloso, né il desiderio di un multiculturalismo angelico, non è la sintesi di modernità e premodernità, bensì la sintesi di modernità e postmodernità. Rappresenta, in primo luogo, la descrizione di una società globalizzata, rizomatica, tecnologica, sviluppata dal primo termine, messa a confronto con i suoi altri, mentre allo stesso tempo li penetra e li assume e, in secondo luogo, lo sforzo per trascendere questa chiusura avvolgente, iperreale e realtivista. Come ho scritto: «La transmodernità non è una ONG per il terzo mondo ed è bene che questo se ne avveda quanto prima, allo stesso modo che noi dovremmo comprendere chiaramente che non è neppure una nuova utopia tecnologica e felice. È il luogo in cui stiamo, il luogo precisamente in cui non stanno gli esclusi. Qualcosa con cui avremo a che fare tutti» (Transmodernidad, p. 16).

Ciononostante dobbiamo sfumare il ―non essere‖ di coloro che sostengono posizioni antimoderne, poiché

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mentre la modernità occidentale escluse determinate culture, popoli, gruppi etnici e religiosi, la modernizzazione disegna la mappa nella quale questi emergono, producendo anche una paradossale sintesi tra premodernità e postmodernità. Così, per esempio, il fenomeno del terrorismo islamico sviluppa le sue armi di spettacolarizzazione e strategia operativa in buona misura grazie alla società mediatica e cibernetica. Senza voler sottovalutare la tragedia reale delle vittime, gli attentati dell‘11 settembre non avrebbero avuto il loro forte impatto senza la trasmissione in diretta della distruzione delle Torri Gemelle, né i comunicati di Al Quaeda la loro inoculazione di pericolo indomabile ai margini della diffusione di messaggi cifrati che l‘agilità della rete permette. La sfida alla società occidentale non si esercita da posizioni pre- e antimoderne come male radicale;

l‘Altro, alieno e inassimilabile, mentre tiene in pugno il dominio della realtà con il suo disprezzo della morte, circola trasmodernamente nelle vene della nostra società transmoderna, si struttura fisicamente e specularmente alla stessa forma reticolare, ed è questo che ci causa un‘angoscia diffusa, un terrore inevitabile.

La cultura transmoderna che io descrivo parte dalla percezione del presente comune a diversi autori, che l‘hanno denominata in modi diversi offrendo anche risposte variegate, come poterebbero essere ―il tardo capitalismo‖ di Jameson, ―la modernità liquida‖ di Bauman, ―la seconda modernità‖ di Beck,

―l‘ipermoderno‖ di Lipovetsky o ―il deserto del reale‖ di Žižek. E mentre alcuni constatano quanto vi sia di rottura

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con la fase moderna e postmoderna, altri non tralasciano di postulare una continuità che, a mio avviso, appanna la percezione del cambio di paradigma che deve servirci per approntare le armi concettuali con le quali affrontare la nostra contemporaneità.

La Modernità pretese di postularsi come un tutto articolato, anche malgrado la sua eterogeneità, come una scommessa di razionalità solida e progresso etico-sociale.

La conoscenza ha adottato il modello oggettivo e scientifico, convalidato dall‘esperienza e dal progressivo dominio della natura, e avallato dallo sviluppo della tecnica. Parallelamente, si richiese un orizzonte accessibile di emancipazione degli individui, di libertà e giustizia sociale. In questo senso la Modernità afferma la necessità e la legittimità dei discorsi globali o sistemici.

La crisi postmoderna denuncerà invece l‘impossibilità di tali postulati. Come è ben noto, Lyotard, ne La condizione postmoderna, proclamò la fine dei ―grandi racconti‖ e dei paradigmi unitari, mostrando il presente come lo spazio delle micrologie, della eterogeneità, della frammentazione e dell‘ibridizzazione. Al riparo della nascita della Teoria e dei Cultural Studies, grandi propagandisti negli Stati Uniti della moda postmoderna, si diffuse nel mondo accademico e mediatico la convinzione per cui, secondo letture semplificate, il discorso è potere (Foucault), la realtà è testo (Derrida), il soggetto è desiderio (Deleuze) e tutto ciò simulacro (Baudrillard). Mancava solo che a ciò si unisse Fukuyama proclamando la fine della storia. La critica letteraria diffonde, come dogma scolare, a partire

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dagli anni Ottanta e fino ad oggi, quello che la filosofia post-strutturalista elaborò, con infinito più vigore, anni fa.2

Però quando il pensiero si converte in una scolastica, in luogo comune, tradisce lo slancio critico che illuminò il sorgere di concettualizzazioni innovative. Sembra tempo di valorizzare non già la rottura che rappresentò la postmodernità, ma la sua stessa crisi, cioè la crisi della crisi. Possiamo oggi, già iniziato il XXI secolo, continuare a ripetere senza autocritica tutta la retorica post che fu di rottura più di vent‘anni fa? La tesi fondante del pensiero post era l'impossibilità delle Grandi Narrazioni, di una nuova totalità teorica. Il postmodernismo sosteneva la nascita di una molteplicità, frammentata e centrifuga, gioiosamente non ricostruibile. E tuttavia, negli ultimi tempi, questa miriade di particelle sparse sembra essersi raggruppata in un tutto caotico, totalizzante, essendo sorto un Nuovo Grande Racconto, di proporzioni precedentemente insospettate: la Globalizzazione. Un nuovo grande racconto che non sottostà allo sforzo teorico o socialmente emancipatore delle metanarrazioni moderne, ma all‘effetto inaspettato delle tecnologie della comunicazione, della nuova dimensione del mercato e della geopolitica. Globalizzazione economica, politica, informatica, sociale, culturale, ecologica... in cui tutto è interconnesso, configurando un nuovo magma fluttuante, vago, ma inespugnabilmente totalizzante. È chiaro che mi

2 Si veda a questo proposito l‘eccellente libro di François Cusset, French Theory, Foucault, Derrida, Deleuze et Cie et les mutations de la vie intellectuelle aux Etats-Unis, Editions La Decouverte, Paris 2003 (trad. it., French theory. Foucault, Derrida, Deleuze & Co.

all‘assalto dell‘America, Il Saggiatore, Milano 2012).

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sto riferendo non a un certo discorso neoliberista, che altri hanno definito pensiero unico, ma a una situazione reale, di fatto, che include e implica tanto le incipienti teorizzazioni in suo favore quanto le mobilitazioni no global: il locus totalizzante nel quale emergono le condizioni reali del nostro presente e i suoi connotati esplicativi.

Questa ―politica mondiale policentrica‖, come la definisce Rosenau, e allo stesso tempo globale, si caratterizza, secondo Beck, per l‘emergente presenza dei seguenti elementi: organizzazioni transnazionali (dalla Banca Mondiale alle multinazionali, dalle ONG alla mafia...), problemi transnazionali (crisi monetarie, cambiamento climatico, le droghe, l‘AIDS, i conflitti etnici...), eventi transnazionali (guerre, competizioni sportive, cultura di massa, mobilitazioni di solidarietà...), comunità transnazionali (basate sulla religione, stili di vita generazionali, risposte ecologiche, identità razziali...), strutture transnazionali (lavorative, culturali, finanziarie...).

Da tutto ciò sembra che si possa concludere quanto segue:

risulta antiquata l‘affermazione postmoderna dell‘impossibilità delle grandi narrazioni, esiste una nuova grande narrazione, o meglio un nuovo grande fatto, che deve avviare nuovi dispositivi teorici: la Globalizzazione, pertanto sarebbe conveniente considerare la configurazione del presente con le sue modificazioni a partire da un nuovo paradigma. Più che ―post‖ sarebbe il prefisso ―trans‖ quello più appropriato per caratterizzare la nuova situazione, dato che connota il modo attuale di trascendere i limiti della modernità, ci parla di un mondo

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in costante trasformazione, basato, come abbiamo suggerito, non solo sui fenomeni transnazionali, ma anche sul primato della trasmissibilità dell‘informazione in tempo reale, attraversato dalla trans-culturalità, nella quale la creazione rimanda a una trans-testualità e l‘innovazione artistica si pensa come transavanguardia. Quindi, se alla società industriale corrispondeva la cultura moderna, e alla società postindustriale la cultura postmoderna, a una società globalizzata corrisponde un tipo di cultura che denomino transmoderna.

Per modellare le caratteristiche di questo nuovo paradigma, riprenderò alcune delle valutazioni già esposte nel mio libro La sonrisa de Saturno. Il Transmodernismo prolunga, continua e trascende la modernità, è il ritorno, la copia, la sopravvivenza di una modernità debole, ridotta, light. La zona contemporanea per cui passano tutte le correnti, i ricordi, le possibilità; trascendente e apparente allo stesso tempo, volutamente sincretica nella sua ―multicronia‖. Un ritorno distante, ironico, che accetta la propria utile finzione. Il Transmodernismo è il postmoderno senza il suo essere innocentemente di rottura, è immagine, serie, fuga nel barocco e barocco come fuga e autoreferenza, catastrofe, loop, reiterazione frattale e insensata; entropia dell‘obeso, inflazione livida di dati; estetica dello strapieno e della sua sparizione, entropica, fatale. La sua chiave non è il post-, la rottura, ma la transustanziazione vasocomunicante dei paradigmi.

La Transmodernità non è un desiderio o una meta, semplicemente c‘è, complessa e aleatoria, non sceglibile;

non è buona né cattiva, benefica o intollerabile... ed è tutto

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ciò contemporaneamente... È l‘abbandono della rappresentazione, il regno della simulazione, della simulazione che si sa reale. (La sonrisa de Saturno. Hacia una teoría, pp.141-42).

Il primato del virtuale ci situa, dopo la morte dell‘antica metafisica, nella sfida di una nuova ontologia cibernetica, dell‘egemonia della ragione digitale. Ma non si tratta della celebrazione allegra, senza impegno etico e politico, di una supposta morte della realtà, ma della necessaria considerazione di come la realtà materiale sia stata amplificata dalla realtà virtuale. Ciò non può rinchiuderci nel regno dei segni; dopo i contributi della semiotica, che leggeva la realtà come insieme di significanti, deve aprirsi tutto un campo alla ―semiurgia‖ o analisi di come i segni generino realtà, sviluppando parimenti una ―simulocrazia‖, cioè lo studio di come i simulacri producano spazi ed effetti di potere.

Il prefisso ―trans-‖ connota non solo gli aspetti di trasformazione che vengo segnalando da tempo, ma anche la necessaria trascendenza della crisi della modernità, riprendendo le sue sfide etiche e politiche irrisolte (uguaglianza, giustizia, libertà...), e però assumendo le critiche postmoderne. Gli enunciati della post-politica o del post-dovere non possono risolversi nel nichilismo, ma nella formulazione di un orizzonte che assuma il vuoto ontologico come sfida razionale, creatrice e impegnata.

Per questo non abbiamo il bisogno della base incrollabile del noumenico, la cui inaccessibilità già Kant constatava; il regno dei fondamenti può essere sostituito da una

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fenomenologia dell‘assenza, che tuttavia, fattiziamente, non si impantani nella inazione del relativismo. Può anche essere sostituito da un uso regolativo, formale, dei valori e delle idee, senza ricorrere a un essenzialismo metafisico, dalla deliberazione e scelta delle regole del gioco per le diverse pratiche, da parte di un soggetto strategico situato, dall‘assunzione del compromesso ontologico delle scelte, dalla difesa a oltranza dell‘individuo, da una certa ironia scettica di fronte ai nuovi assalti dei fondamentalismi, ma non a discapito dell‘ideale democratico illuministico come orizzonte richiesto.

Ora, questa proposta l‘avevo già sviluppata nel mio libro El modelo Frankenstein. De la diferencia a la cultura post. La Transmodernità riprende le sfide della Modernità dopo il fallimento del progetto illuministico. Non rinunciare oggi alla Teoria, alla Storia, alla Giustizia Sociale e all‘autonomia del Soggetto, assumendo le critiche postmoderne, significa circoscrivere un possibile orizzonte di riflessione che si sottrae al nichilismo, senza compromettersi con progetti obsoleti, e tuttavia senza dimenticarli. È necessario riprendere i valori, dopo la perdita del loro fondamento metafisico, come ideali regolativi, simulacri operativi concordati nella loro necessità pragmatica, logica e sociale. Questi valori di carattere pubblico non saranno forse universali, ma sono universalizzabili. Parliamo dunque di trasformazione sociale, di trascendenza dalla mera gestione pratica, di compromessi argomentativi, di linee di speculazione che attraversano, trasformandosi e trasformando, l‘indagine razionale (cfr. p. 18).

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La globalizzazione ci introduce nel primato della simultaneità, la territorialità è sostituita dal cyberspazio dove il globale e il locale coesistono, formando il glocale (una azzeccata espressione di R. Robertson) offrendo un panorama né post- né multi-, ma trans-culturale, al di là della deriva reattiva postcoloniale che pare regredire a verso una premodernità identitaria. A sinistra e destra sembrano affilarsi le armi davanti a un pensiero debole che avrebbe relativizzato i criteri. Ma penso che dobbiamo essere cauti; la critica postmoderna ha evidenziato tutta una serie di fallacie e di obiettivi non discussi. La necessità di riprendere criteri solidi non ci può far dimenticare queste precauzioni, riconducendoci al punto di partenza, né i fondamentalismi, né la tradizione, né la teologia, né il giusnaturalismo, né i comunitarismi possono offrire un‘alternativa. Non si tratta di reazione, ma di futuro.

La Transmodernità si mostra come formula ibrida, totalizzante, sintesi dialettica della tesi moderna e dell‘antitesi postmoderna. Non c‘è rottura (da qui la necessità di abbandonare il prefisso post-), ma un ritorno fluido di una nuova configurazione delle tappe precedenti.

Un confronto delle caratteristiche dei tre momenti come propedeutica approssimativa, anche con il rischio di sembrare semplificativo, può darci una visione più intuitiva del processo e del nostro momento attuale:

MODERNITÀ POSTMODERNITÀ TRANSMODERNITÀ

Realtà Simulacro Virtualità

Presenza Assenza Telepresenza

Omogeneità Eterogeneità Diversità

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Centralizzazione Dispersione Rete Temporalità Fine della storia Istantaneità

Ragione Decostruzione Pensiero unico

Conoscenza Antifondamentalismo scettico

Informazione

Nazionale Postnazionale Transnazionale

Globale Locale Glocale

Imperialismo Postcolonialismo Cosmopolitismo transetnico

Cultura Multicultura Transculturale

Fine Gioco Strategia

Gerarchia Anarchia Caos integrato

Innovazione Sicurezza Società del rischio

Economia Economia New economy

industriale postindustriale

Territorio Extraterritorialità Ubicuo transfrontaliero Città Quartieri periferici Megacittà

Popolo/classe Individuo Chat

Attività Spossatezza Connettività statica

Pubblico Privato Oscenità

dell‘intimità

Sforzo Edonismo Individualismo

solidale

Spirito Corpo Cyborg

Atomo Quanto Bit

Sesso Erotismo Cybersex

Maschile Femminile Transessuale

Cultura alta Cultura di massa Cultura di massa personalizzata Avaguardia Postavanguardia Transavanguardia

Oralità Scrittura Schermo

Opera Testo Ipertesto

Narrativo Visivo Multimedia

Cinema Televisione Computer

Stampa Mass-media Internet

Galassia Gutenberg

Galassia McLuhan Galassia Microsoft

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Progresso/futuro Revival/passato Final Fantasy

(Transmodernidad, p. 34)

Osservando le tre colonne, percepiamo nella prima l‘impulso del pensiero forte moderno; nella seconda la rottura eterogenea e nella terza un cambio di registro che unisce entrambe nel compimento di una totalità incongruente, fittizia, ma reale. Non si tratta, ripeto, di una proposta, ma di una descrizione. Si tratta di considerare ciò che la situazione presente ha di proprio, di percepire come questa configuri un paradigma differente. È il passo precedente alla sua comprensione, la sua analisi e la sua successiva trasformazione di quanto in essa ci risulta lesivo.

Analizziamo il processo più da vicino. Il pensiero moderno non metteva in discussione la realtà ma la considerava dinamica e suscettibile di essere trasformata dagli attori sociali. L‘espressione linguistica postmoderna potenziò la semiosfera, il segno acquistò predominio sul referente, il mondo sembrava una serie di simulacri consumabili di forma indolore. La transmodernità ci offre una sintesi tra il materiale e la finzione. La realtà virtuale è senza esistere, non si riduce a mera affabulazione, ma si converte nella realtà vera. Il soggetto non si trova più impantanato nel fisico, ma nemmeno rimane relegato alla sua attenuazione passiva di fronte all‘eccesso di dati, è telepresente e in tal modo interattivo. L‘impero dello Stesso con la sua volontà moderna di sistema si rompe nella frammentazione post dell‘eterogeneo, per, infine, riconvertirsi in diversità assimilabili ‒ le identità

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riappaiono come raggruppamenti specifici di consumatori.

È il proprio universo cibermediatico che dà loro visibilità, siano essi minoranze etniche, sessuali, movimenti antiglobalizzazione o organizzazioni terroristiche.

Di fronte all‘idea di un centro stabilizzante, la critica postmoderna si pretese rizomatica, dispersa, irreconciliabile; il presente transmoderno si articola attorno alla metafora della rete, che istituisce una specie di equilibrio, instabile ma interconnesso. La temporalità moderna era progressiva e lineare. A essa si oppose la

―fine della storia‖. Oggi la celerità diviene quasi statica;

l‘istantaneità è un presente permanentemente attualizzato.

L‘Illuminismo ci restituito una Ragione autocritica ma forte; il pensiero postmoderno ha operato una minuziosa decostruzione; l‘era postmetafisica in questo momento sembra tentata dall‘equivoca totalizzazione del pensiero unico. L‘ideale di conoscenza moderna sostenuta dalla ragione pretendeva di raggiungere l‘universalità. La critica

―post-‖ crebbe nel relativismo e nel contestualismo. La transmodernità pretende di far rientrare (nel senso di normalizzare) la miriade di informazioni autodenominandosi quale ―società della conoscenza‖. Gli stati moderni sono stati nazionali. La loro rottura generò innanzitutto la postnazionalità, al di là della rottura, il panorama che incontriamo oggi è decisamente transnazionale. L‘economia, la cultura, la comunicazione, il futuro dell‘ambiente naturale oggi sono concepiti come una totalità interdipendente.

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Allo Stato moderno corrisponde un immaginario globale semplice, e cioè un anelito universalista per quanto riguarda la sua cultura e una vocazione imperialista per quanto riguarda la sua espansione politica: tenta di consolidare il proprio territorio e proiettarsi oltre esso.

Questo immaginario globale semplice fu duramente criticato dal pensiero postmoderno: la momentanea attrazione del locale resta presunta in questo insieme avvolgente che include lo specifico, il Glocale. Il progetto moderno fu contestato dalla creazione di un pensiero postcoloniale che sempre più si arena in un differenzialismo comunitarista, mentre la realtà sociale impone una transetnicità transculturale che ancora deve costruire un proprio cosmopolitismo.

Il progetto moderno delimitò le proprie finalità in un ottimismo progressista, il disincanto ―post-‖, cullato nella bambagia dello Stato sociale, esaltò lo yuppismo felice dell‘individualismo edonista. Il presente ci offre un panorama più insicuro e precario, l‘instabilità deve essere gestita strategicamente. L‘innovazione tecnico-scientifica non garantisce più la sicurezza della propria sostenibilità, la contemporaneità transmoderna è una ―società del rischio‖, dalla difficile geopolitica tra Oriente e Occidente alla minaccia del cambiamento climatico.

Se l‘era moderna fu contemporanea della rivoluzione industriale, la società postindustriale modificò i concetti di produzione, consumo, classe, attore sociale, ma oggi è la

―new economy‖, basata sulla globalizzazione finanziaria e sulle nuove tecnologie, configura un nuovo stadio. La

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determinazione di un territorio proprio, insediamento degli stati nazionali moderni, ha cessato di essere un fatto palpabile. La città diventa megacittà e il modello spaziale centro/periferia non rappresenta più un‘alternativa né di uno stile di vita agiato, né di un‘analitica del potere.

L‘ubiquo transfrontaliero stabilisce una nuova cartografia.

La nozione di cittadinanza si sforza di prolungare la formula moderna di azione politica. Ma al di là dell‘individuo postmoderno rinchiuso nella propria bolla edonista, spossato e indifferente, gli annunciati pericoli di autismo sono stati annullati da nuove forme di relazione, dai social network (come possono essere le chat, Facebook, Twitter) da uno stile di connettività statica, attraverso la quale i gruppi comunicano e interagiscono.

Un‘altra volta ci imbattiamo in una rischiosa sintesi transmoderna nella quale l‘azione e il soggetto acquistano un volto insospettato, a volte triviale, altre volte solidale o battagliero. La realtà non è formata tanto da circolazione di merci, di oggetti, quanto da pacchetti di informazione (byte). Lo spirito, sostituito postmodernamente dalla retorica del corpo, si converte per mezzo della tecnologia in cyborg e il sesso si trasforma al di là dell‘erotismo in cybersex, completando la conversione della cultura e della controcultura in cybercultura. È un consumo della carta in cui internet compie un salto qualitativo, vera egemonia dello schermo, di un processo che, nato con la fotografia, acquistò una nuova dimensione con il cinema e poi con la televisione. Passa dalla Galassia Gutenberg di una modernità che gira intorno alla stampa alla Galassia McLuhan, simbolo postmoderno dei mass media,

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giungendo infine all‘impero cibertecnologico che oggi potremmo denominare Galassia Microsoft.

La globalizzazione come totalità avvolgente da forma, quindi, ad una nuova situazione che richiede un rinnovato paradigma concettuale. Non siamo più nel post- ma nel trans-. È un perverso compimento dialettico che ingloba i propositi che nascono di tirarsi fuori, dai discorsi sull‘antiglobalizzazione al terrorismo integralista. Non c‘è

―fuori‖, dunque, poiché accade tutto in questo mondo, e con le strategie e gli strumenti che ci fornisce il presente.

Accettarlo è il primo passo per pensare la sua complessità geostrategica, economica, culturale. Le eruzioni arcaiche, gli appelli postmoderni o antimoderni sono anch‘essi frammenti di questo caos multiforme. La morte, la distruzione, la sfida... sono presenti anche in Internet. Questa è la condanna, ma anche la sfida che la Transmodernità ci riserva, affilare le armi della ragione nostro unico baluardo.

(Traduzione di Francesca Rizzi)

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La ricerca di R. M. Rodriguez Magda

di Victoria Sendón de León

Gli stessi discorsi che servono per disfarci dei miti antichi,

si convertono nella stessa maniera in nuovi miti ugualmente dannosi (Rosa M. R. Magda)

I bagliori di una nuova epoca, con il loro appello a nuove fondamenta teoriche, erano già presenti nel cammino intrapreso da Rosa M. R. Magda nel 1989, quando pubblicò La sonrisa de Saturno,3 il cui sottotitolo è rivelatore: ―Verso una teoria transmoderna‖. Dunque già lì erano gettate le basi ed era nominato ciò che più tardi sarebbe divenuto il punto d‘approdo della sua ricerca:

Transmodernidad,4 un‘opera ricca di contenuto e pensiero sistemico: se la Postmodernità costituisce il pensiero fin de siècle, la Transmodernità mira ad una fenomenologia del nuovo millennio.

Un lavoro come il suo, rispetto ad altri pensieri e accadimenti culturali del nostro tempo, può essere solo il risultato di una permanente attenzione portata sul presente. E di ciò abbiamo testimonianza nel suo lavoro di

3 R. M. Rodriguez Magda, La sonrisa de Saturno, Anthropos, Barcelona 1989.

4 R. M. Rodriguez Magda, Transmodernidad, Anthropos, Barcelona 2004.

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direzione della rivista Débats,5 le cui presentazioni presuppongono la conoscenza profonda di ogni singolo caso trattato, nel quadro delle varie monografie. Senza dimenticare le opere scritte tra l‘uno e l‘altro numero della rivista6 e senza dimenticare il Seminario de investigación che si svolge nella città di Valencia, da cui appare tutta la curiosità intellettuale di R. Magda e le sue esemplari, per non dire illuminanti, capacità analitiche.

Nel primo libro in cui è presente il riferimento al transmoderno, è già anche presente una riflessione critica nei confronti sia della Modernità, sia del pensiero debole della Postmodernità, che si conclude con la provocazione di Baudrillard: ―E se non si cercasse di opporre la verità alla speranza generalizzata come il più vero del vero? E se tutto questo non fosse né appassionante né esasperante ma terribile?‖7 Tuttavia, per R. Magda, questa proposta, davvero nichilista, era del tutto insufficiente. La superficie, l‘apparenza, l‘artificio come ambito della seduzione, senza altri retroscena, come se si trattasse di una successione di sequenze filmiche che finiscono quando si spegne lo schermo, accendono un segnale d‘allarme per la sua ribellione intellettuale: ―Malgrado ciò, il film è reale‖ – cosi dice l‘autrice, ed apre tutto un nuovo spessore di ricerca.

All‘improvviso, invece di seguire una traiettoria lineare, mi viene in mente di rilegge il finale della Transmodernidad per cercare d‘intuire, di comprendere, il processo di maturazione vissuto dalla nostra filosofa lungo tutto il suo cammino. Effettivamente, il suo ultimo capitolo, lei lo

5http://www.alfonselmagnanim.net/revista-debats

6Si veda: http://rodriguezmagda.blogspot.com.es/search/label/

biobibliografia

7 R. M. Rodriguez Magda, La sonrisa de Saturno, cit., p. 155.

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intitola: «Più niente del niente». In un primo momento mi sorprendo, però ricordo che questo ‗niente‘ aveva un altro senso che in Baudrillard. Mi concentro sulle mie sottolineature, sulle annotazioni stese in un‘altra lettura e scopro quello che lei chiama ―vacuità‖ dietro il ‗niente‘.

Sì, certamente si deve superare il nichilismo come forma ingannevole che occulta e trivializza l‘esperienza radicale, però più in là non comincia a lampeggiare, il reale ma il niente stesso. (p. 190)

Alla fine del capitolo, R. Magda polemizza con la dualità dell‘Occidente a fronte dell‘unità del pensiero orientale.

La dualità parmenidea dell‘origine — l‘Essere è, e il non Essere non è — di fronte al non dualismo del Tao te King di Lao Tse, il quale stabilisce l‘unità fra l‘Essere e il non Essere. Nella tradizione orientale il non Essere non è il Nulla occidentale, ma si riferisce ad un vuoto che eguaglia tutti gli esseri in un‘unità sacra. Non in là ma in qua. Un vuoto originale confermato dalla fisica attuale in ciò che si è chiamato il campo punto zero.

In questo capitolo si passano in rassegna mistici cristiani, filosofi come Heidegger, Sartre, Nietzsche, la tradizione zen giapponese o il percorso del buddismo medio, concludendo che ―ci situiamo più vicino a noi stessi nella vacuità che non nell‘autocoscienza‖. Come sintesi transmoderna propone una fenomenologia dell‘assenza, concetto il cui senso negativo si riferisce alla nostalgia di un Fondamento, all‘angoscia esistenziale o ad un nichilismo nietzscheano, che devono essere dimenticati.

Nel senso positivo, postula l‘assenza come la vacuità che sostiene l‘apparente consistenza delle cose. Un‘assenza che nella nostra tradizione necessita di un ontologia, una gnoseologia, una etica ed una estetica proprie.

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In definitiva, la sintesi dialettica fra la Modernità e la Postmodernità che, in questa fenomenologia dell‘assenza che propone Rodríguez Magda, darebbe luogo alla Transmodernità, porta più in la sua riflessione e cerca di salvare il divario esistente fra la filosofia occidentale e quella orientale.

La sintesi transmoderna

Il concetto di Transmodernità che R. Magda immette nel dibattito attuale, viene concepito all‘interno dello scenario globale, che l‘interconnessione converte in translocale. Allo stesso tempo la cultura locale ed il cosmopolitismo si fondono, non nel multiculturale, ma nel transculturale, a mo‘ di sintesi dialettica. Anche la società dell‘informazione si trasforma nella società della conoscenza, non nel senso di scoprire la verità per mezzo dei fenomeni (adaequatio), che ha costituito il fine della Filosofia dell‘Occidente, ma nel senso che la conoscenza si misura dalla trasmissibilità o quantità di conoscenza che si trasmette: ciò che non è trasmissibile non conta. Si vanno delineando sradicamenti epistemologici.

La transmodernità potremmo situarla nella sintesi che partendo dalla tesi della Modernità e dall‘antitesi della Postmodernità, supera entrambi i termini in un concetto nuovo che è la Transmodernità. Un concetto che indubbiamente corrisponde ad un tipo di società e di cultura che si inscrivono nelle due tappe precedenti. Se alla società industriale corrispose la Modernità e alla postindustriale la Postmodernità è la transmodernità che corrisponderebbe al nostro mondo globalizzato.

Se la Transmodernità ci appare come sintesi dialettica della tesi moderna e l‘antitesi Postmoderna, certamente ciò

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accade in modo light, ibrido e virtuale proprio dei nostri tempi. Ironicamente, a fronte delle pretese hegeliane, non come un dispiegamento dell‘Assoluto, ma costituendo il suo onnipresente svuotamento; non come una vera realtà, ma come virtualità reale; abbandona la struttura piramidale e arborescente del Sistema, per adottare il modello reticolare della appendice replicante.8

Quanto alla sua formazione accademica l‘autrice è figlia di una tradizione moderna, però la sua avventura intellettuale s‘inscrive generazionalmente nella fioritura del postmodernismo, situandosi in una posizione privilegiata in rapporto ad entrambe le tappe. Andando così ad analizzare lucidamente le basi teoriche sia dell‘una che dell‘altra tradizione, separa ed analizza le insufficienze e le contraddizioni di ambedue le correnti. Da questa prospettiva Magda realizza un percorso critico per concetti come ragione, libertà, uguaglianza, fraternità, i diritti ed i doveri, la politica, la città, la cultura europea, l‘etica e l‘estetica, tramutando così il suo libro Transmodernidad in un caleidoscopio dai riflessi multipli, che mostra i diversi aspetti del nostro mondo attuale: ―Descrivere il nostro presente è l‘inizio di una diversa configurazione epistemologica, di una serie di sradicamenti epistemici generati da un nuovo paradigma‖. Se il nucleo epistemologico della Modernità è stato la Ragione, e quella della Postmodernità lo smantellamento delle grandi narrazioni, il suo lavoro consiste nel risolvere l‘episteme propria della novità che lei stessa chiama transmoderna.

La sfida di un nuovo paradigma

È chiaro che Rodríguez Magda opera una descrizione

8 Ivi, p. 33

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fenomenologica degli sradicamenti epistemici che ci offre l‘evoluzione dei nostri tempi, tuttavia la sua ricerca non termina lì, ma si tratta di pianificare la ricerca del nuovo paradigma che identificherebbe il contenuto che definirà la transmodernità.

Insistiamo nel pensare politicamente ed eticamente con nozioni moderne, ripetiamo sia culturalmente che esteticamente i temi postmoderni, riflettiamo sulla globalizzazione con la perplessità di questo andare e venire tra entrambi i paradigmi finiti. La realtà è diversa, urge un pensiero transmoderno, se vogliamo comprendere ciò che sta succedendo è necessario pensare alla Globalizzazione nel paradigma della Transmodernità.9

Tuttavia, il traveling impeccabile con il quale la nostra autrice ci mostra la fermentazione di un mondo che cambia al ritmo della globalizzazione e della fibra ottica, ha incontrato un ostacolo imprevedibile nel crash del 2008. A volte questa profonda crisi sembra interrompere il corso di una storia che verosimilmente non procede dialetticamente, ma in modo discontinuo, a causa dell‘irruzione di ‗eventi‘ non previsti, come evidenzia Foucault nella sua Archeologia del sapere.10 O forse nessuna mappa coincide mai con il territorio. Sia quel che sia, il cambio di paradigma, così come lo pianifica l‘autrice, sta nel sentiero dell‘―oltre‖, quindi come afferma in varie occasioni, ―è il momento delle trasformazioni‖.

Quello che si verifica è che questa trasformazione risulta essere molto più profonda di ciò che abbiamo immaginato.

Un paradigma, come lo definì Thomas Kuhn, è un

9 Ivi, p. 6.

10 M. Foucault, Arqueología del saber, Siglo XXI, Madrid 1979. (Trad.

it., L‘Archeologia del sapere, Rizzoli 1969).

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modello scientifico che per un determinato periodo ci serve per spiegare il mondo, per comprenderlo e gestirlo.

Chiaramente la nozione di paradigma è estendibile al campo sociale, a quello politico, artistico, e culturale in generale, per fortuna che il paradigma dà senso ad una realtà e normalmente serve a varie generazioni.

Il paradigma che indica la transmodernità, senza dubbi comporta sia elementi della modernità sia elementi della postmodernità, però non tanto come sintesi, bensì come mutazione, come metamorfosi globalizzata. Ciò significa che nessuno dei presupposti che ci sono serviti per transitare in un‘epoca si possa convertire come dogma di una nuova, dove si trasformerebbe in mito, capace di impedirci di continuare a pensare in modo critico nella nuova fase.

Continuare a pensare

Qualunque siano le sfide presenti e future o gli effettivi segnali dell‘identità transmoderna, nella crisi e oltre la crisi, ciò che mi è chiaro è che ogni novità costituisce, per la filosofa Rosa M. Rodríguez Magda, una sfida intellettuale. So che non ella non tende ad adagiarsi su idee già elaborate e che il suo concetto di Transmodernità è sufficientemente aperto per pensare l‘‗inversione critica‘

del momento presente. Talvolta questa inversione la porta ad approfondire la sua ontologia dell‘assenza, più prossima alla trasformazione quantica che non alla sintesi dialettica. Questo sarebbe un punto di partenza che, come propone l‘autrice, ci porterebbe a concludere che l‘Essere è, in ogni caso, un punto di arrivo, e che i nostri concetti di realtà mancano di tocco di impermanenza, il che farebbe del transmoderno un modello instabile e insostanziale

―secondo il quale pensiamo la microfisica, la cosmologia,

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lo spazio mediatico, la macroeconomia, la geopolitica, la società della conoscenza, cyberontologia e anche le relazioni personali.‖11

Penso a Rosa M. R. Magda come a una ‗filosofa sentinella‘, una ‗filosofa delle urgenze‘, che continuamente osserva la realtà circostante e l‘analizza secondo parametri sia logici sia intuitivi, alla ricerca di nuovi concetti, perché questa è la vera funzione della Filosofia. E rimarrà sempre questa:

I filosofi rinunciano a essere profeti, e ci rallegriamo, i politici abbandonano le ideologie, i cittadini smettono di credere nei politici, e il mercato sembra non abbia bisogno né dei politici né degli Stati né delle grandi teorie. Intanto, noi, una manciata di anacroni, ci riuniamo nelle università, nei parlamenti, nelle pagine dei libri, a pensare che è ancora necessario pensare…12

(Traduzione di Francesco Forini)

11Ivi, p. 213.

12 Ivi, p. 80.

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Della traduzione transmoderna

di Carmen África Vidal Claramonte

L‘universo è doppio. Due Santi reiterano la stessa liturgia che s‘ignora come un rito, il quale esiste solo perché riflesso, e nessuno contempla.

Rosa María Rodríguez Magda (1997, p. 43).

Tradizionalmente, il verbo ―tradurre‖ è stato rilegato in una maniera quasi automatica alla ricerca dell‘equivalenza assoluta e alla trascrizione fedele di ciò che veniva detto da una lingua all‘altra.

Già da vari decenni tuttavia, grazie all‘evoluzione costante degli Studi di Traduzione ma soprattutto grazie al fatto che la traduzione è, una disciplina che si mescola e s‘impregna di tutto ciò che la circonda e che s‘immerge nel mondo e nei suoi cambiamenti, tradurre non è più la ricerca della fedeltà assoluta bensì questa si è convertita in un‘attività tanto appassionante quanto complessa, fintanto che si compie una conversione in uno spazio liquido ed extraterritoriale popolato da voci, le quali come i liquidi, trasbordano schizzano e inondano tutto quello che pretende esser solido (Baumann 2000; p. 9ss).

Il traduttore vive in una società globale che ha superato ogni barlume di dialettica binaria, nella quale si afferma l‘antipode della dialettica binaria, e al contrario si

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compiace nel mescolare e unire e far collidere maniere differenti di vedere il mondo.

Perciò mi sembra che sia davvero appropriato fondere le concezioni teoriche attuali riguardo alla traduzione con le riflessioni di Rodríguez Magda sulla transmodernità, perché le seconde vanno indubbiamente ad arricchire le prime, nella misura in cui ci spingono a costruire il testo tradotto in funzione di un cambio di paradigma che prende in considerazione le risposte dei teorici precedenti per superarle a causa di grande sfida, quella di intendere il nuovo Grande Racconto dei giorni nostri, la globalizzazione, come la diffusione di ―un magma fluttuante, diffuso però al contempo inespugnabilmente totalizzatore‖, usando le parole di Rodríguez Magda.

Per il traduttore è un dovere essere e stare al mondo, perché la traduzione è un lavoro inestricabilmente unito a quanto accade nell‘ambiente che ci circonda. Per questo nella percezione di un mondo transmoderno costruito sulla base di spazi cosmopoliti nel senso di Appiah, spazi dove ciò che incontriamo è ―universalità più differenza‖

(2006, p. 151), dove si accetta una verità ―universale‖ che è al contempo relativa, pluralista e, paradossalmente, fallace, ci avviciniamo più a questa realtà quotidiana che crea il linguaggio attraverso le parole che sceglie il traduttore.

Ϟ

Il punto di partenza della condizione transmoderna è quella del traduttore contemporaneo, dato che questa condizione impone la necessità di corrodere ciò che è omogeneo, di ingoiare l‘universalismo e di rendere possibili gli spazi limitrofi, la riterritorializzazione di una nuova forma di pensiero e di conseguenza della

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traduzione, secondo la quale la presunta comunità razionale che le lingue universali presuppongo sia fuori luogo. Tuttavia, non si tratta nemmeno, una volta assunta la crisi moderna e con essa il progetto è illustrato, che sia questa ―la scorciatoia per la mancanza di riflessioni o di politiche regressive‖ (Rodríguez Magda 1989, p. 133).

Sapendo superata la possibilità stessa della riunificazione della ragione nel momento in cui si traduce, non c‘è scusa per sentirsi giudicati, in come traduttori, al caos dell‘irrazionale (ivi. P. 134) fino ad arrivare ad assumere il cambio effettivo di paradigma ―garantendo a sua volta una nuova lettura della dell‘Illuminismo, un non abbandono del progetto di emancipatore‖(ivi, p. 138). Però è un ritorno ―distanziato, ironico, che accetta la sua utile finzione… è la galleria museale della ragione… è proporre i valori come freno o come favola, però senza dimenticare il perché siamo saggi, perché‘ il nostro passato lo è stato (ivi, p. 141). Si tratterebbe di vivere una transmodernità situata

―nell‘oltre‖, per dirlo nella maniera traduttologica di Homi Bhabha, abitando uno spazio che è ―parte di un tempo revisionista, un ritorno al presente per ridescrivere la nostra contemporaneità culturale… In questo senso, allora, quello spazio intervenuto oltre, diventa uno spazio d‘intervento nel qui ed ora… Il lavoro di delimitazione della cultura richiede un incoraggiamento con la ―novità‖

che non è parte del continuum di passato e presente. Ciò crea un senso del nuovo nei termini di un atto nascente di traduzione culturale‖ (Bhabha 1994, p. 7).

La nuova configurazione epistemologica sposta, quindi, gli antichi paradigmi gnoseologici e ci spinge a una sintesi dialettica di una tesi moderna e di un‘antitesi postmoderna difronte a pretese hegeliane, ―non come un dispiegamento dell‘Assoluto, al contrario costruendo il suo onnipresente svuotamento; non come una vera realtà, ma come una realtà virtuale; abbandona la struttura piramidale e

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arborescente del Sistema, per adottare un modello reticolare di un‘appendice replicante‖, riacquistando così

―la positività moderna e il vuoto postmoderno, un anelito di unità del primo e la fragilità del secondo... in una totale somma di contingenze, che dimentica il Fondamento e la Definizione, convertendosi in una cristallografia proliferante (Rodriguez Magda 2004, p. 33).

Considerati questi presupposti, il traduttore transmoderno compie il suo operato in uno spazio testuale che non e‘

mai lineare, ma che si va formando in un numero infinito di fili sempre intrecciati tra loro. Tutti questi non si diramano mai in un unico senso, bensì, si delineano spazi di molteplici dimensioni in cui si accordano e si contrastano diverse scritture. La transmodernità ci insegna che tutte le lingue si dirigono una verso l‘altra e funzionano con sistemi in costante traduzione, senza intenderla come una restituzione del senso ma come un inevitabile aumento o dimiuzione di esso, fintanto che le lingue sono sistemi aperti, esseri vivi e identità fluttanti (Fabbri 1994).

L‘abitudine ci obbliga a convincerci di ciò che è necessario, in questa società transmoderna, superare le opposizioni binarie per difendere un modello che prenda in considerazione tutti e ognuno dei molteplici fattori che convertono l‘arte del tradurre in modo che il lettore diventi produttore del testo insieme al traduttore, per accedere cosi‘ pienamente al fascino del significante e alla voluttuosità della scrittura (Barthes 1980 [1970], p. 2).

Il traduttore si nutre della gnoseologia del suo tempo, per questo niente gli sembra estraneo. I testi che gli giungono riflettono i valori di una società liquida nella quale la traduzione opera la maggior parte delle volte in un contesto di relazioni asimetriche tra le culture, e,

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nell‘appropriarsi di beni culturali estranei e transformarli nel discorso della cultura egemonica e incanalarsi in una rete di complicità che portano a negare la differenza culturale dell‘Altro, soprattutto se consideriamo che ciò che esiste attualmente è una globalizzazione disuguale che ha come rasoio livellatore quello che impongono le potenze mondiali, da cui si diffonde la percezione stessa della diversità, mentre aumentano gli abissi e i malintesi interculturali. In questo contesto, i dibattiti sui temi come la dipendenza delle lingue minoritarie rispetto a quelle dominanti, le conseguenze della standardizzazione linguistica o la globalizzazione del linguaggio del Potere per antonomasia, l‘inglese, diventano tanto importanti quanto l‘atto stesso del tradurre, perché sono fattori che il traduttore prende in considerazione affinché il suo operato sia il più etico possibile.

Considerato che al giorno d‘oggi la traduzione è inserita più che mai in questa società globale, la ricerca nel nostro campo inizia da una nuova concezione di traduzione che si sta focalizzando ultimamente nell‘analisi della reciproca influenza tra traduttori, globalizzazione e conflitti internazionali nell‘era dell‘ibridizzazione, in cui la cartina non è il territorio, dove le identità sono molteplici e fluide e l‘incrocio delle razze finisce per essere la nostra matrice culturale. In queste circostanze, la vita quotidiana è piena e circondata da testi che sorgono da situazioni conflittuali, che in molte occasioni hanno la sua origine nella differenza, nell‘inevitabilità di doversi confrontare con alcune forme del mondo che ci appaiono molto distanti.

Perciò le istituzioni e gli organismi internazionali iniziano a prendere atto che, ogni volta che parliamo, tutti siamo traduttori (Bauman 2002, p. 89). La traduzione è, perciò, una metafora fondamentale per il XXI secolo, un secolo caratterizzato da uno sradicamento su larga scala di persone a causa delle guerre, della repressione dei governi

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o semplicemente della povertà. Sono diverse migliaia quelle che hanno dovuto abbandonare i propri luoghi d‘origine, la propria cultura e la propria lingua in cerca di una vita migliore, e in queste circostanze la traduzione si converte in uno strumento indispensabile. La traduzione quindi non è solo un lavoro intellettuale, teorico o pratico, ma fondalmentalmente, visti i tempi che corrono, un problema etico (Ricoeur 2005, p. 50).

In questo contesto, il concetto di significato che sviluppa la transmodernità ci risulta estremamente utile, soprattutto perché ci fa riflettere sul fatto che questo concetto di significato è cambiato radicalmente: cerchiamo ora significati, significati che hanno flussi di possibilità. In una società transmoderna nella quale non c‘è solo un testo ma molteplici, il primo operato del traduttore consisterà nello smascherare la eteroglossia di questa rete che va tessendo le parole che dispensano significati mai neutri. Il discorso, qualsiasi discorso, è sempre il prodotto di determinati interessi, perché il ―footing‖, come lo chiama Potter (1996), à fondamentale per il risultato finale e per la costruzione linguistica dei fatti. Per esempio, utilizzando la tecnica che quest‘autore chiama ―esteriorità‖, si può, mediante risorse grammaticali, arrivare a descrivere i fatti in una forma più ―neutra‖, come se questi fatti fossero indipendenti dall‘agente che li produce: dire ―si scoprì che...‖ invece di ―scoprì che...‖, o usare nominalizzazioni che non mettono in chiaro chi è l‘agente e evitano così che il parlante si pronunci sulla responsabilità di una storia, etc. Da qui una delle principali responsabilità etiche del traduttore in una società trasmoderna sia considerare la natura incerta e ambigua del linguaggio, considerare che il linguaggio è molto di più che sole parole. Il significato del testo d‘origine va aldilà della traduzione, e a sua volta si permane in quella di un‘eteroglossia che si riflette nelle parole che sceglie il traduttore, nella sua selezione e

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