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AperTO - Archivio Istituzionale Open Access dell'università di Torino

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11 July 2022

AperTO - Archivio Istituzionale Open Access dell'Università di Torino

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Ragionando assieme sull’importanza di ragionare: Risposta ai commenti.

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This version is available http://hdl.handle.net/2318/1717406 since 2019-12-01T10:37:08Z

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI TORINO

Questa è la versione dell’autore dell’opera:

Bucciarelli, M., Ragionando assieme sull’importanza di ragionare: Risposta ai commenti,

Giornale Italiano di Psicologia, n. 4, 2019, pp. 901-911

Ragionando assieme sull’importanza di ragionare

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2 Riassunto

La teoria dei modelli mentali, secondo la quale ragionare consiste nella costruzione e manipolazione di modelli mentali di possibilità, distingue il ragionamento in intuitivo e deliberato, sottolineando il valore di quest’ultimo. Seguendo gli assunti della teoria, l’articolo bersaglio ha argomentato che la scuola, con i suoi carichi ed i suoi tempi veloci, non favorisce il ragionamento deliberato, che richiede tempo. I numerosi e generosi commenti degli studiosi esperti dei tremi trattati, qui accolti in una narrazione a più voci, offrono la possibilità di riflettere assieme. La proposta di una

prospettiva specifica su cosa significhi ragionare a scuola, e su come il ragionamento possa essere insegnato, ha infatti suscitato consensi e dissensi. Ragioniamoci senza fretta.

Abstract

Mental model theory assumes that reasoning consists in the construction and manipulation of mental models of possibilities. The theory distinguishes between intuitive and deliberate reasoning and emphasizes the importance of the latter. Following the theory assumptions, the target article argued that school, with its loads and fast times, does not favor deliberate reasoning, which takes time. The numerous and generous comments made by scholars who are expert on the topics covered in the article, and collected here in a multi-voice narrative, offer the possibility of reflecting together. The proposal of a specific perspective on what it means to reason at school and how reasoning can be taught aroused consents and disagreements. Let us reason without haste.

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3 Se dal dono per la principessa possiamo partire, Legrenzi raccoglie la provocazione (tale perché ovviamente la capacità di ragionare non può essere considerata in assoluto la più importante) e propone la bontà al posto del ragionamento. Ripropone la favola raccontata nel film “Nuovo Cinema Paradiso”, nella quale una principessa promette ad un soldato che se l’attenderà cento notti sotto il suo balcone lei sarà sua. Il soldato abbandona l’impresa alla novantanovesima notte e ciò viene così interpretato: se la principessa fosse stata buona, il soldato l’avrebbe attesa perché non avrebbe temuto la possibilità che al termine della prova la principessa non avrebbe mantenuto la promessa. Legrenzi elogia quindi il valore della bontà, menzionando ingiustizie sociali che imputa alla cattiveria intesa come assenza di bontà. L’articolo bersaglio, invece, si è focalizzato

sull’assenza di pensiero sottostante azioni immorali, in linea con quanto osservava Hannah Arendt nel suo libro “La banalità del male” (1963), dove descrivendo il processo al criminale nazista Adolf Eichmann ne mette in luce la passività nell’esecuzione degli ordini e l’assenza di pensiero.

Tornando alla storia della principessa e del soldato, e cogliendo a mia volta la provocazione di Legrenzi, osservo che se il soldato avesse ragionato, una principessa che chiede tale prova tanto buona non deve essere! Forse valeva la pena per il soldato ragionarci su e non cimentarsi nell’impresa.

Pastore, Dellantonio e Job argomentano che non possiamo aspettarci che una migliore capacità di ragionamento incida sull’adozione o meno di comportamenti morali. Ciò mi consente di qualificare quanto da me affermato: il ragionamento deliberato può farci apprezzare i vantaggi della cooperazione sulla competizione (vedi Merlone e Butera), e perciò può favorire scelte morali.

Certamente, come ricordano gli autori, il ragionamento nel dominio morale non implica la valutazione della verità delle premesse; una credenza morale, differentemente da una credenza fattuale, non può basarsi su evidenze. Forse perciò esiste una stretta correlazione tra forza di una credenza morale e forza dell’emozione da essa suscitata, correlazione assente nelle credenze fattuali (Bucciarelli e Johnson-Laird, 2019).

Ragionare consiste nel costruire modelli di possibilità e quanti più sono i modelli da costruire tanto più difficile è il compito. Morra approfondisce il rapporto tra ragionamento e capacità di memoria di lavoro, assai rilevante al presente dibattito in quanto la costruzione di modelli alternativi di stati di cose presuppone la capacità di mantenere attivi tali modelli nella memoria di lavoro. E’ vero, come sostiene, che sono pochi gli studi che hanno esplorato il modo in cui la capacità della memoria di lavoro permetta di costruire e manipolare modelli mentali (Morra, 2001; Morra, Pascual-Leone, Johnson e Baillargeon, 1991). Tra questi, alcuni hanno evidenziato come all’aumentare della capacità della memoria di lavoro aumenti l’accuratezza in compiti di

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4 ragionamento sillogistico, proposizionale e relazionale (Bara, Bucciarelli e Johnson-Laird, 1995;

Bara, Bucciarelli e Lombardo, 2001).

La costruzione di modelli di possibilità multipli è modulata, come evidenzia Butera, dal confronto con l’altro. C’è un confronto che consente di crescere e di cui beneficiano tutti i componenti del gruppo, e dall’altra un confronto come competizione, che porta l’individuo ad adottare obiettivi competitivi che, riducendo la memoria di lavoro (Crouzevialle e Butera, 2017), portano a focalizzarsi su una singola possibilità invece che ampliare la flessibilità di pensiero (Butera, Sommet e Toma, 2018). L’antidoto proposto da Butera per questo pericolo in agguato è l’uso generalizzato in classe dell’apprendimento cooperativo strutturato, accompagnato da formazione su valori e vantaggi della cooperazione.

Interventi, insomma, che consentano al bambino di comprendere il suo essere interconnesso con gli altri e che, come ricorda Merlone, l’esito delle sue scelte strategiche dipende da quelle di altre persone e che i suoi ragionamenti è opportuno ne tengano conto. Merlone esemplifica come attraverso attività esperienziali in classe si possa spiegare anche ai bambini i vantaggi che la cooperazione porta con sé (Merlone e Romano, 2017). Gli effetti collaterali negativi di scelte non ottimali possono essere spiegati ai bambini utilizzando video che simulano gli effetti di scelte individuali sulla collettività. Nello specifico, Merlone ha realizzato brevi cortometraggi che illustrano fenomeni delle scienze sociali utilizzando mini figure LEGO

(https://media.unito.it/?content=8817).

Sempre in tema di presa di decisione nei bambini, Marchetti e Massaro suggeriscono l’utilità che future ricerche approfondiscano alcuni aspetti. In questa direzione vanno studi sulla consapevolezza dei bambini che le scelte altrui poggiano su norme e aspettative di equità (Castelli, Massaro, Bicchieri, Chavez e Marchetti, 2014) e studi sul ruolo del pensiero intuitivo (i.e., bias) nelle decisioni dei bambini (Massaro, Castelli, Sanvito e Marchetti, 2014).

Dell’opportunità che la scienza diventi un gioco, come suggerito da Merlone, è sostenitrice Bottino, la quale sottolinea l’importanza di sviluppare approcci che incidano in modo positivo sull’autoefficacia dello studente, sugli aspetti di gratificazione personale. Sottolinea l’importanza di far leva sulla curiosità e sul pensiero critico proponendo, tra le attività didattiche, il game-based learning ovvero l’utilizzo di giochi per l’apprendimento, con forte impatto motivazionale sull’apprendimento così come sullo sviluppo di abilità di ragionamento (Freina, Bottino e Ferlino, 2019). Il gioco che fa uso di tecnologie ingaggia i bambini in attività di pensiero lento, di ragionamento deliberato. Come ben argomenta Miglino sulla base di studi sperimentali (Cerrato et al., 2017; Di Fuccio, 2017), attività ludiche possono essere inserite in interventi educativi con l’effetto di inserire la “lentezza”, ma anche il confronto con l’altro. Tra le attività didattiche che promuovono

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5 il pensiero critico Bottino suggerisce anche l’information problem solving, ovvero un tipo di attività didattica che mira a sviluppare la capacità di acquisire, comprendere e giustificare informazioni, e l’inquiry-based learning, ovvero metodologie che coinvolgono lo studente nella progettazione e realizzazione di indagini per acquisire conoscenza su un fenomeno.

Pastore, Dellantonio e Job sottolineano che i modelli mentali descrivono i modi in cui le persone ragionano, ma non garantiscono il ragionamento corretto, e perciò è importante apprendere in modo esplicito tecniche funzionali all’analisi degli argomenti. Ciò è in linea con gli assunti della teoria dei modelli mentali: essi rappresentano solo gli stati di cose più salienti, ma per ragionare in modo accurato spesso occorre costruire modelli completi. La costruzione di diagrammi che rendano visibili il modo in cui le premesse supportano le conclusioni, aiutando a comprendere i legami tra le affermazioni su cui poggia l’argomento, è una strategia per costruire modelli “esterni” completi (Bauer e Johnson-Laird, 1993). Inoltre, certamente le persone possono ragionare facendo uso di regole, ma prima di svilupparle/adottarle passano da una comprensione che comporta la costruzione di modelli mentali. Il ragionamento, infatti, è primariamente un processo semantico, non sintattico. I modelli mentali sono rappresentazioni semantiche e perciò il ragionamento è influenzato dal contenuto su cui le persone ragionano, e di ciò è opportuno tenere conto nell’insegnare a ragionare.

Da qui l’importanza, come ricorda Cubelli, che la scuola migliori la capacità di utilizzare il linguaggio a scopo argomentativo in modo non disgiunto dai contenuti su cui ragionare.

Come sostiene Gangemi, gli individui sono ragionatori pragmatici, legati al contesto e al contenuto delle premesse. In linea con la teoria dei modelli mentali, sostiene che intuizione e ragionamento deliberato sono guidati dagli scopi delle persone, che definiscono cosa è razionale e cosa è irrazionale (Gangemi, Mancini e Johnson-Laird, 2013; Mancini e Gangemi, 2018). Argomenta quindi l’importanza di far cogliere al bambino, quando impegnato in apprendimenti, l’utilità di ciò che sta facendo, in modo che veda le ricadute pratiche dei propri sforzi cognitivi, così da essere motivato a investire risorse cognitive e tempo.

In linea con Mercier e Sperber (2011), Ferrante sostiene che l’utilità pratica per cui il ragionamento si è evoluto è il poter interagire e comunicare in modo efficace. Sulla base dell’assunzione che il gruppo consente di incontrare punti di vista diversi dal nostro e di affinare le nostre opinioni come conseguenza del nostro contro-argomentare, studi hanno dimostrato l’efficacia dell’uso del dialogo per costruire argomentazioni. I partecipanti in uno studio, ragazzi di 11-12 anni, erano invitati a generare e valutare ragioni a sostegno del punto di vista del loro gruppo, anticipare le ragioni di gruppi con punto di vista differente, immaginare contro-argomentazioni a favore del punto di vista del proprio gruppo, e porre domande per ottenere evidenze a difesa del punto di vista del proprio gruppo (Kuhn e Crowell, 2011). Ciò che tali studi hanno rilevato è che per ottenere un

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6 miglioramento nell’argomentare occorre una lunga pratica che porta ad usare nelle argomentazioni anche il riferimento esplicito a norme epistemiche, quali ad esempio Che evidenza hai di quanto sostieni?

L’importanza dello sviluppo del pensiero critico è argomentata da Nardelli sulla base del fatto che nell’“infosfera digitale” chiunque può immettere contenuti, ed è perciò di estrema importanza determinare l’autorevolezza di una fonte di informazione. In particolare, la capacità a falsificare ipotesi può essere sviluppata per mezzo dell’apprendimento dell’informatica; il bambino può verificare da solo le proprie ipotesi costruendo simulazioni di fenomeni di varia natura (Nardelli, 2017a) ed è perciò che l’apprendimento dei principi dell’informatica è trasversale all’apprendimento di varie discipline (Nardelli, 2017b). Nardelli sostiene l’importanza di insegnare tali principi utilizzando il più possibile oggetti fisici (vedi Tinti e Trapani). Parlando del concetto di ricorsione, Nardelli ci tiene a precisarne il significato in informatica, differente da quello di loop ripetuti di azioni (i.e., iterazioni) utilizzato nell’articolo bersaglio. Rilevante per il dibattito, Anzai e Ueasato (1982) hanno dimostrato che il 64% degli adolescenti che nel loro esperimento affrontavano problemi con struttura iterativa e la identificavano correttamente, erano anche in grado, successivamente, di trovare soluzioni ricorsive ad un secondo insieme di problemi. Al contrario, solamente il 33% degli adolescenti che non avevano avuto esperienza precedente con l’iterazione erano capaci di elaborare funzioni ricorsive. Da qui l’assunzione che la comprensione dell’iterazione possa aiutare la comprensione della ricorsione.

La decisione di vari paesi europei di introdurre l’insegnamento dell’informatica a scuola (European Schoolnet, 2015) riflette un crescente riconoscimento dell’importanza del pensiero computazionale, che non si riferisce esclusivamente alla capacità di leggere e scrivere un linguaggio di programmazione, ma anche ai processi cognitivi sottostanti di soluzione dei problemi che consentono tali capacità (Romàn-Gonzàlez, Pérez-Gonzàles e Jiménez-Fernàndez, 2016). Arfé e Vardanega ritengono che proprio avviando al pensiero computazionale la scuola persegue l’obiettivo di insegnare a ragionare in modo deliberato. Il bambino, incontrando problemi che prevedono l’elaborazione di algoritmi, ovvero di istruzioni eseguibili da terzi, esercita la capacità di scomporre un problema complesso in sotto-problemi, la capacità di astrazione, il ragionamento analogico etc. In generale, l’ingaggiare il bambino nel pensiero computazionale favorisce lo sviluppo delle funzioni esecutive, fortemente implicate nei processi di ragionamento (Arfé, Vardanega, Montuori e Lavanga, 2019). Gli autori auspicano che il pensiero computazionale diventi parte integrante del lavoro svolto dalle varie discipline scolastiche, quali ad esempio la lettura e la matematica, sebbene ritengano che l’insegnamento di quest’ultime non abbia l’obiettivo principale di insegnare a ragionare. Alcuni

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7 commenti, di opinione differente, evidenziano la stretta connessione proprio tra lettura e ragionamento e tra matematica e ragionamento.

Per quanto concerne lettura e ragionamento, Pinto tratta delle inferenze implicate nella lettura in caso di molteplici testi che variano rispetto a dimensioni quali, ad esempio, il genere, la struttura, la velocità di fruizione e produzione, il mezzo utilizzato. Come giustamente osserva, ciò comporta una revisione dei nostri assunti sulle rappresentazioni mentali implicate nella comprensione del testo:

avremo non solo un modello di base del testo, una rappresentazione proposizionale ed un modello situazionale, ma anche un “nodo” per ogni testo che incorpora informazioni rilevanti sulla fonte, e collegamenti tra nodi per mezzo di connessioni di supporto o di confutazione. Costruire un modello integrato coerente delle informazioni è un’operazione altamente complessa, che comporta abilità di pensiero critico che sostenga il lettore, durante la ricerca di coerenza, nella valutazione di argomenti e attendibilità delle fonti. Importanti in tal senso interventi meta-cognitivi orientati a promuovere la capacità di elaborazione dei testi negli studenti (Pinto, Tarchi e Bigozzi, 2019).

Mazzoni ricorda il ruolo fondamentale della metaconoscenza nell’insegnamento e nell’apprendimento, come evidenziato da ricerche sui processi metacognitivi di base coinvolti nello studio (Mazzoni, Cornoldi e Marchitelli, 1990). La consapevolezza metacognitiva del docente è fondamentale, ricorda; se parliamo dell’insegnare a ragionare, il docente dovrà essere consapevole dei processi di base del ragionamento implicato negli apprendimenti specifici. Da qui l’importanza per i docenti di conoscere le abilità di base dei bambini a partire dalle quali elaborare programmi didattici. Rispetto alla consapevolezza metacognitiva del discente, Mazzoni esorta a promuovere negli studenti la consapevolezza del proprio modo di funzionare e la conoscenza di strategie efficaci ai fini dell’apprendimento, strategie che permettono di esercitare un controllo su quello che si studia e su come lo si studia (Mazzoni e Cornoldi, 1991). Mazzoni riflette quindi sull’importanza di focalizzarsi sui processi implicati nell’insegnare e nell’apprendere, non solo sui contenuti.

Bombi sottolinea come, sebbene la ricerca in psicologia dello sviluppo e dell’educazione sia spostata dai prodotti ai processi, l’insegnamento sia regolato da una preoccupazione ossessiva per i contenuti. Tra l’altro, evidenzia come vi sia una propensione a inserire il nuovo (es. nuove materie) senza riflettere sul fatto che ciò comporta eliminare parte del vecchio. L’asservimento ai contenuti, ricorda Bombi, ha come conseguenza un insegnamento nozionistico e superficiale. Evidenzia inoltre che le indicazioni nazionali sul curriculo per la scuola primaria propongono traguardi senza specificare quanto tempo occorre per raggiungerli. Bombi propone quindi una riflessione sui tempi della scuola, a più livelli, evidenziando tra l’altro l’importanza del tempo speso dai bambini agendo maggiormente in prima persona.

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8 Ianì focalizza il proprio commento sull’apprendere attraverso il corpo. A partire da evidenze

empiriche sulla natura sensomotoria dei modelli e delle simulazioni mentali (Ianì, 2019), sottolinea l’importanza di strutturare ambienti di apprendimento nei quali si possano rafforzare le tracce mnestiche attraverso il rinforzo di elementi di natura sensomotoria sia alla codifica che al recupero delle informazioni (Ianì e Bucciarelli, 2018). In particolare, porta evidenze a favore dell’importanza dei modelli mentali cinematici nella comprensione del linguaggio così come nella comprensione dell’azione (Ianì, Foiadelli e Bucciarelli, 2019). Cubelli è critico rispetto al fatto che le esperienze sensomotorie possano, ad esempio nella lettura di un testo, favorire il ragionamento. Ma è pur vero che se ragionare significa costruire e valutare implicazioni, allora tali implicazioni possono emergere anche da esperienze sensomotorie. E di fatto, per esempio, accompagnare con gesti congruenti lo studio di concetti scientifici facilita la produzione di inferenze basate sul discorso, così come accompagnare con gesti la formulazione di algoritmi ne favorisce l’accuratezza (per evidenze nei bambini si vedano, rispettivamente, Cutica, Ianì e Bucciarelli, 2014 e Bucciarelli, Mackiewicz, Khemlani e Johnson-Laird, 2016). Tuttavia, come ricorda Cubelli, training centrati su esperienze sensomotorie non sono alternativi a pratiche di apprendimento basate su test e procedure di valutazione.

Bonatti è critico rispetto alla tesi che comprendere significhi simulare, per due motivi. In primo luogo dati in letteratura sull’osservazione di azioni rivelano che persone che non hanno effettori implicati in determinate azioni sono comunque in grado di comprenderle. E aggiungo, coerentemente, che l’effetto enactment, per cui la comprensione di frasi di azioni è facilitata nell’ascoltatore quando le frasi sono accompagnate da gesti congruenti, è rilevabile anche in persone tetraplegiche (Ianì, Albezano, Pia e Bucciarelli, 2016). Ma la spiegazione sembra risiedere nel fatto che sia la corteccia premotoria ad essere coinvolta nell’effetto enactment in osservazione (Ianì, Burin, Salatino et al., 2018). Bonatti inoltre critica l’assunzione che comprendere significhi simulare citando studi su infanti mentre osservano il movimento di forme presentate a video. Tali studi utilizzano l’abituazione e rilevano che gli infanti trovano meno sorprendente il movimento più giustificabile verso uno stato meta. Gli autori di questi studi concludono che i bambini possono interpretare il comportamento degli oggetti in termini di obiettivi senza che tali oggetti debbano essere caratterizzati come agenti. Nei termini da me proposti, si potrebbe qui argomentare che il movimento “più giustificabile” sia quello più facilmente simulabile e che tali studi non sono in contraddizione con quanto sostenuto nell’articolo bersaglio. In modo analogo, una possibile interpretazione del comportamento degli infanti preverbali negli studi di Bonatti (Téglás, Girotto, Gonzalez, & Bonatti, 2007; Cesana-Arlotti, Téglás, & Bonatti, 2012) è che il loro comportamento (qui inteso come movimenti e fissazioni oculari) rifletta una simulazione cinematica piuttosto che un ragionamento probabilistico.

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9 Come Bonatti, anche Cornoldi e Carretti evidenziano l’importanza di sviluppare metodi per migliorare la comprensione della matematica, evidenziando la stretta connessione tra matematica e ragionamento. Sostengono che proprio il problem solving matematico metta in luce il ruolo del ragionamento deliberato (spesso gli errori di ragionamento matematico sono dovuti a frettolosità) e argomentano l’importanza di potenziamento cognitivo in tale direzione. Nella loro esperienza la scuola ha solitamente ben accolto interventi di potenziamento cognitivo per migliorare la capacità di ragionamento matematico (Cornoldi, Carretti, Drusi e Tencati, 2015), così come la capacità di comprensione del testo (Carretti, De Beni e Cornoldi, 2019).

Tinti e Trapani evidenziano come tecniche manipolative costituiscano un valido supporto per l’apprendimento del bambino, favorendo lo sviluppo delle abilità numeriche, di calcolo e di soluzione di problemi. Tali tecniche possono incidere anche a livello emotivo-motivazionale in quanto possono favorire un senso di auto-efficacia nel bambino. Tinti sottolinea come le esperienze negative possano portare i bambini a sottrarsi ad un compito e quelle positive possano costituire una spinta motivazionale (si vedano Schmidt, Tinti, Levine e Businaro, 2010; Schmidt, Tinti, Levine e Testa, 2010). Sottolinea quindi il ruolo benefico che possono avere le emozioni rispetto al ragionamento. Ciò è in linea con i risultati di ricerche che evidenziano come le emozioni favoriscano il ragionamento quando la reazione affettiva è rilevante rispetto ai contenuti semantici su cui ragioniamo (Blanchette e Caparos, 2013). Porru e Lucangeli argomentano che trovare piacevole lo svolgimento di un compito è, però, qualcosa che non emerge fin dall’inizio, ma che va conquistato superando fasi che suscitano emozioni negative quali tristezza, rabbia e paura. Evidenziano pertanto l’importanza di interventi metacognitivi attraverso i quali il bambino venga a conoscenza del fatto che provare tali emozioni costituisce un passaggio naturale; ciò può motivare il bambino a perseverare nell’esecuzione del compito (Moè e Lucangeli, 2010). Numerosi studi hanno riguardato in particolare l’ansia per la matematica ed hanno rilevato come questa porti il bambino a focalizzarsi sul pericolo che avverte (esempio un brutto voto o una figuraccia davanti ai compagni) impedendogli di ragionare (vedi Butera su come obiettivi competitivi riducano la memoria di lavoro ostacolando così il ragionamento).

D’Amico sottolinea la stretta connessione tra ragionamento ed emozione, obiettando rispetto all’assunto secondo il quale essi costituiscono due sistemi indipendenti, e argomentando che non esiste ragionamento intelligente scevro dall’influenza emotiva (si veda per una rassegna D’Amico, 2018). A tal riguardo è opportuno specificare che l’assunzione di indipendenza di ragionamento ed emozione (peraltro evolutivamente più recente il primo e più antico il secondo) non esclude che i due sistemi possano influenzarsi a vicenda, quindi che il ragionamento possa modificare l’emozione (a riguardo D’Amico parla della possibilità di regolare le emozioni), o che viceversa l’emozione possa

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10 influire sul ragionamento (a questo proposito, ad esempio, D’Amico parla di come emozioni negative possano interferire con il ragionamento matematico). E’ quindi fortemente auspicabile che la strutturazione e pianificazione degli apprendimenti in generale, e dell’apprendimento della capacità a ragionare in particolare, tenga in debita considerazione ciò che sappiamo su come le emozioni, positive e negative, possano favorire oppure ostacolare il ragionamento.

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