• Non ci sono risultati.

Gruppo Solidarietà

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Gruppo Solidarietà"

Copied!
92
0
0

Testo completo

(1)

Il presente documento viene redatto dal Forum Nazionale del Terzo Settore per dare inizio ad un dibattito, che auspichiamo ampio e partecipato, con l’obiettivo di giungere, al termine del percorso, a definire le nuove strategie del Terzo Settore in questa fase caratterizzata da problematiche e sfide in larga parte inedite.

Questo Libro Verde – espressione, lo sappiamo, un po’ abusata, ma utile per definire un percorso che si intende compiere – è rivolto alle organizzazioni del Terzo Settore aderenti o meno al Forum Nazionale del Terzo Settore o a quelle che vi aderiscono localmente (Forum regionali e territoriali), parti sociali, organizzazioni religiose e ecclesiali, Università e centri di studio e ricerca, Istituzioni e sistema delle autonomie locali interlocutori internazionali dai quali auspichiamo un contributo di pensiero per lo sviluppo ed il consolidamento del Terzo Settore.

Il Forum Nazionale del Terzo Settore si è ufficialmente costituito il 19 giugno 1997 ed è parte sociale riconosciuta. Rappresenta ad oggi 79 organizzazioni nazionali di secondo e terzo livello – per un totale di oltre 94.000 sedi territoriali - che operano negli ambiti del Volontariato, dell'Associazionismo, della Cooperazione Sociale, della Solidarietà Internazionale, della Finanza Etica, del Commercio Equo e Solidale del nostro Paese.

Il Forum del Terzo Settore ha quale obiettivo principale la valorizzazione delle attività e delle esperienze che le cittadine e i cittadini autonomamente organizzati attuano sul territorio per migliorare la qualità della vita, delle comunità,attraverso percorsi, anche innovativi, basati su equità, giustizia sociale, sussidiarietà e sviluppo sostenibile.

WWW

.

FORUMTERZOSETTORE

.

IT

(2)

LE SFIDE DELL’ITALIA CHE INVESTE SUL FUTURO

LIBRO VERDE

DEL TERZO SETTORE

(3)
(4)

LE SFIDE DELL’ITALIA

CHE INVESTE SUL FUTURO

LIBRO VERDE DEL TERZO SETTORE

(5)

I lettori che desiderano informarsi sulle pubblicazioni

e documenti del Forum Nazionale del Terzo Settore possono consultare il sito internet www.forumterzosettore.it

o contattarci al seguente indirizzo:

Forum Nazionale del Terzo Settore Piazza Mattei 10 - 00186 - Roma Tel 06 68892460 - Fax 06 68 96522 [email protected]

(6)

INDICE

1. Premessa: l’avvio di un percorso 4

2. Il nuovo contesto sociale 6

3. Terzo Settore: identità e ruolo 9

3.1 Il Terzo Settore in Italia: alcuni dati 9

3.2 Il Terzo Settore in Europa 14

3.3 L’identità del Terzo Settore 16

3.4 Verso una nuova stagione costituente 19

3.5 La sfida della visibilità e trasparenza 21

3.6 Gli interlocutori del Terzo Settore 23

4. Le sfide del Terzo Settore 26

4.1 Terzo Settore, rappresentanza e rapporto con le istituzioni 26 4.2 Terzo Settore, globalizzazione, modello di sviluppo

sostenibile e cooperazione 29

4.3 Terzo Settore, cultura ed educazione 33

4.4 Terzo Settore, economia e impresa 37

4.5 Terzo Settore e lavoro 41

4.6 Terzo Settore, vigilanza e advocacy 45

4.7 Terzo Settore e sicurezza 48

4.8 Terzo Settore e welfare 56

4.9 Terzo Settore e immigrazione 62

4.10 Terzo Settore e famiglia 66

5. Per una nuova legislazione per il Terzo Settore - Spunti di

riflessione 71

5.1 Cenni sullo stato dell’arte 71

5.2 Terzo Settore e Costituzione 72

5.3 Quali i modi per preservare e promuovere un Terzo Settore

vivo e dinamico? 74

Appendici 81

Abstract del Rapporto preliminare di ricerca “Le reti del Terzo

Settore” 81

Gli aderenti al Forum Nazionale del Terzo Settore 85

(7)

1. PREMESSA: L’AVVIO DI UN PERCORSO

Questo documento viene redatto dal Forum Nazionale del Terzo Settore per dare inizio ad un dibattito, che auspichiamo ampio e partecipato, con l’obiettivo di giungere, al termine del percorso, a definire le nuove strategie del Terzo Settore in questa fase, successiva al riconoscimento formale del proprio ruolo e del valore della sussidiarietà, caratterizzata da problematiche e sfide in larga parte inedite.

E’ nostro obiettivo, inoltre, dare una risposta fattiva e ragionata all’invito, contenuto nel Libro Bianco del Welfare presentato alcuni mesi or sono, di avviare una “fase costituente del Terzo Settore italiano”.

Crediamo sia importante che siano le stesse organizzazioni sociali che lo compongono a dover scrivere l’agenda del futuro di un soggetto che, sempre di più, è chiamato ad assumere la sfida di una propria autonoma politicità per far crescere solidarietà, sussidiarietà e partecipazione.

Questo Libro Verde – espressione, lo sappiamo, un po’ abusata, ma utile per definire un percorso che si intende compiere – è rivolto alle organizzazioni del Terzo Settore non solo a quelle aderenti al Forum Nazionale del Terzo Settore o a quelle che vi aderiscono localmente (Forum regionali e territoriali), ma insieme anche alle organizzazioni che, pur non appartenendo al Forum, riconoscono la necessità di avviare un percorso comune in questa particolare fase di riorganizzazione che il nostro settore sta vivendo. Inoltre si pone l’obiettivo di aprire un confronto con quanti – organizzazioni non profit (ACRI, Fondazione per il Sud, Fondazioni private…), parti sociali riconosciute (in primo luogo sindacati e confederazioni cooperative), organizzazioni religiose e ecclesiali, Università e centri di studio e ricerca, Istituzioni e sistema delle autonomie locali (CNEL, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Regioni, Enti Locali, Agenzia per le Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale, Agenzia delle Entrate, sistema delle Camere di Commercio, etc.), interlocutori internazionali (es. Rappresentanza Commissione EU in Italia, Centro Economico Sociale Europeo, etc.) - dai quali auspichiamo un contributo di pensiero per lo sviluppo ed il consolidamento del Terzo Settore.

Nota metodologica

Il testo che segue, che è frutto del lavoro collegiale del Coordinamento

(8)

con il contributo del Consiglio Nazionale del Forum del Terzo Settore, non ha come obiettivo giungere ad una perfetta definizione di indirizzo in relazione ai differenti temi che vengono affrontati, ma di dare spunti di riflessione capaci di sviluppare studio e dibattito. Eventuali incongruenze stilistiche o lacune contenutistiche sono quindi da mettere in conto, nella prospettiva di giungere ad un testo programmatico al termine del percorso. Contestualmente alla raccolta di contributi e riflessioni, nei prossimi mesi auspichiamo si possa anche procedere alla raccolta di buone pratiche che le organizzazioni di Terzo Settore stanno sviluppando nei diversi ambiti oggetto della riflessione di questo Libro verde. Vorremmo, infatti, che le nostre future proposte partissero dal fare, dalla ricca esperienza di idee in azione che caratterizza questo settore della società e che ne rappresenta l’originale apporto etico e culturale.

Il documento è quindi aperto alla discussione pubblica per un periodo di alcuni mesi. Contributi scritti potranno essere inviati al Forum via posta o, preferibilmente, via email a [email protected] e per facilitare il confronto e la discussione verrà predisposto un apposito spazio sul nostro sito.

Al termine di questa fase di consultazione, verrà redatto un documento di priorità e proposte (“Libro bianco”) che – dopo ulteriore ampio confronto - sarà, ci si augura, piattaforma condivisa del nuovo terzo settore e base della attività del Forum Nazionale Terzo Settore.

(9)

2. IL NUOVO CONTESTO SOCIALE

I ragionamenti che intendiamo sottoporre all’attenzione delle organizzazioni sociali e di tutti i cittadini partono da una comune analisi della situazione che sta vivendo il Paese ed in particolare di tre fattori, che influiscono in profondità sull’azione del Terzo Settore nel suo complesso:

l’indebolirsi dei legami sociali, che porta i cittadini a provare cre- scente difficoltà nel “fare comunità”, cioè ritrovarsi in un tessuto so- ciale coeso intorno a valori, regole condivise e vincoli solidali e piuttosto il proporsi, in forme sempre più marcate, di un diffuso senso di insicurezza, che può sfociare in atteggiamenti di paura e di rifiuto delle relazioni con l’altro;

il riproporsi, in termini talvolta anche drammatici della “questione sociale”, dovuta ad un rapido e progressivo peggioramento delle con- dizioni di vita di persone e famiglie, soprattutto in alcune aree del Paese;

la crisi dei tradizionali strumenti della rappresentanza, tanto poli- tica (fine dei partiti di massa e persino d’opinione) quanto sociale, con conseguente diminuzione della partecipazione attiva dei cittadini e degli spazi di democrazia diretta.

Tutto ciò appare particolarmente evidente alla luce della drammatica crisi che, partita dai mercati finanziari, sta ripercuotendosi pesantemente in tutti gli ambiti della vita economica, in ogni parte del mondo.

L’Italia, in particolare, vive l’odierna situazione di recessione con più apprensione rispetto ad altri Paesi europei in quanto la sua condizione è maggiormente complessa.

Come recenti rapporti hanno rilevato, l’Italia è al sesto posto tra i Paesi OCSE per il più elevato gap tra ricchi e poveri e tale disuguaglianza è cresciuta negli ultimi quindici anni in modo superiore ad ogni altro Paese.

Nella situazione di crescita economica, che ormai abbiamo alle spalle, i ricchi hanno ottenuto benefici in misura nettamente superiore rispetto ai poveri ed alla classe media. Basti pensare che il 10% più ricco detiene

(10)

oggi circa il 42% del valore netto totale della ricchezza del Paese.

La condizione di povertà ha raggiunto negli ultimi mesi oltre otto milioni di cittadini – come ha confermato l’ultimo rapporto dell’Istat – interessando in particolare i nuclei familiari con figli o persone anziane a carico e quelli del Mezzogiorno. All’interno di questa fascia si trovano, inoltre, due milioni 893 mila persone che vivono in condizioni di estrema povertà, con un livello di spesa mensile di molto inferiore ai livelli di indigenza.

Siamo di fronte alla crisi di un modello di sviluppo che, avendo disancorato il profitto dal lavoro ed essendo disinteressato alla corretta redistribuzione della ricchezza, ha messo a repentaglio la stessa possibilità di futuro dell’ecosistema del nostro pianeta ed ha causato fame, guerre, migrazioni. Questa è, a ben vedere, una crisi contemporaneamente finanziaria, energetica ed ambientale.

In questi ultimi mesi si sono susseguiti tentativi, più o meno credibili, più o meno concreti, di mettere mano alla stesura di nuove regole globali, capaci di scongiurare il ripetersi degli eventi che hanno condotto all’odierna crisi. In realtà, a ben vedere, ben pochi sono stati finora i risultati, se si eccettua la definitiva acquisizione della consapevolezza di essere in un sistema interdipendente con sempre più attori, come la scelta di allargare definitivamente il tavolo dei Grandi a ben 20 Paesi sta a dimostrare.

Chi, come i volontari e gli animatori delle organizzazioni sociali, ha in questi anni operato concretamente per affermare e rendere visibile un diverso modello di sviluppo, che ponesse al centro la dignità ed il benessere di ogni persona, non può oggi tacere di fronte ad un mondo incapace di darsi nuove regole. Il Terzo Settore, pur nella frammentarietà della sua esperienza, deve sapersi offrire come luogo di discussione critica e di definizione di un più umano e sostenibile modello di società. La sua capacità di produrre buone pratiche, oltre che la forza che gli deriva dal coinvolgimento democratico dei cittadini ai propri progetti, rende oggi il Terzo Settore un possibile protagonista di una nuova fase della vita economica, oltre che sociale e politica, del nostro Paese.

In questi anni, infatti, uno dei mali che ha colpito l’Italia è stata la progressiva erosione del senso di appartenenza al Paese, visibile tanto

(11)

nella disaffezione alla partecipazione politica quanto nel generale abbassamento della passione civica e, in molti casi, dello stesso rispetto verso le istituzioni ed i beni pubblici.

In questo contesto non possiamo ignorare i processi politici in atto, a partire dalla recente riforma in senso federale del Paese. Il Terzo Settore, che in questi anni ha sostenuto con forza ogni riforma volta ad accrescere gli spazi di partecipazione e di responsabilizzazione dei cittadini, non può che vedere con favore un processo di autentico federalismo. Si dovrà, tuttavia, vigilare affinché in questo passaggio non vengano lesi i principi di uguaglianza dei diritti di tutti i cittadini e non si vada a minare l’unità nazionale, fondata su un vincolo solidale.

Le forze politiche – che negli ultimi 15 anni hanno tutte mutato più volte denominazione ed in molti casi alleanze, ma che mantengono ancora quasi inalterate le leadership – sembrano in gravi difficoltà nel guidare quel processo rinnovatore di cui il Paese sembra avere urgente necessità.

In particolare il sistema bipolare, che dovrebbe garantire chiarezza di scelte per il cittadino e stabilità di governo, si è finora rivelato inadeguato nel creare un clima di collaborazione tra le forze politiche e di rispetto tra le stesse. La continua contrapposizione, spesso simile alla rissa, la legiferazione solo tramite decreti, lo spoil system in Italia troppo simile alle clientele, i costi eccessivi del sistema politico sono aspetti problematici con i quali il cittadino deve fare i conti. Il Terzo Settore, che non si considera lontano dalla politica, pur rivendicando la propria autonomia da essa, è chiamato, quindi, insieme a tutte le forze sociali del Paese, a fare la sua parte per contribuire alla riforma delle istituzioni e delle modalità con cui si agisce nel servire lo Stato, senza assecondare derive di antipolitica e qualunquismo.

(12)

3. TERZO SETTORE: IDENTITÀ E RUOLO

3.1 Il Terzo Settore in Italia: alcuni dati

Il Terzo Settore in Italia è un fenomeno articolato e complesso, che ha le sue radici – in specie per quanto attiene il volontariato - in esperienze avviate addirittura nel XIII – XIV secolo.

Riuscire a rilevarne le dimensioni è però opera complessa per alcuni motivi, fra i quali:

l’individuazione di quali esperienze rientrano o meno sotto la catego- ria “Terzo Settore”;

la determinazione, considerato che è un genere da attività non con- traddistinta generalmente da una quotidianità (quale può essere ad esempio il mondo del lavoro e i suoi metodi di rilevazione statistica), della scala cronologica da considerare (a seconda se si chieda ad un cittadino se ha partecipato almeno ad una attività di Terzo Settore nell’arco di anno, o di un mese, o di una settimana si possono avere risultati molto diversi);

la distinzione tra i soggetti che sono stati partecipi di iniziative del Terzo Settore e quelli che sono stati soggetti attivi nell’organizzarla (un conto è rilevare i partecipanti di attività svolte da una associa- zione sportiva, altro è rilevare i soggetti che organizzano tali attività);

l’informalità, che caratterizza molte attività riconducibili al Terzo Set- tore, sottraendole quindi a qualsiasi tentativo di rilevazione e censi- mento.

Nonostante le difficoltà sopra riportate, la rilevanza del fenomeno è lievitata negli anni, tanto che negli ultimi dieci anni sono state avviate le prime rilevazioni statistiche anche da parte di istituzioni pubbliche.

Nel 2001 l’ISTAT, nell’ambito dell’8° Censimento Generale dell’Industria e dei Servizi, ha realizzato la prima raccolta sistematica di dati sul non profit. Da essa risultavano:

235.232 unità istituzionali (pari al 5,4% di tutte le unità istituzionali);

(13)

488.523 addetti (pari al 2,5% del totale degli addetti).

I volontari stimati risultavano oltre 3.200.000 persone. L’ammontare delle entrate era di oltre 38 Mld €.

Successive rilevazioni realizzate dall’ISTAT nel 2003 sulle Organizzazioni di volontariato, nel 2005 sulle Fondazioni e sulle Cooperative sociali hanno consentito di meglio stimare i dati riferiti a 3 ambiti del complesso universo del no profit.

Ecco i sintetici dati:

QUANTITÀ ORGANIZZAZIONI E INDICE DENSITÀ

ISTAT-ANNO OGGETTO NUMERO ORG UNITÀ X100.000ABITANTI

2003 Volontariato 21.0211 36,3

2005 fondazioni 4.720 8,0

2005 Coop. sociali 7.363 12,5

RISORSE UMANE PER TIPOLOGIA

ISTAT ANNO OGGETTO N.VOLONTARI %SUL TOTALE N.DIPENDENTI %SUL TOTALE

2003 Volontariato 825.955 95,2 11.900 1,4

2005 fondazioni 46.144 29,5 81.581 52,2

2005 Coop. sociali 30.478 10,9 211.307 75,8

Il totale dei dipendenti è di 304.788 (circa 1,3% sul totale degli occupati) (per gli altri dati vedi tabelle nella pagina successiva)

Nel novembre 2007, da un ricerca di Unioncamere, risultava che l’intero no profit esprimeva circa 800.000 posti di lavoro (pari al 3,5 % dell’occu- pazione nazionale). Inoltre risulta che l’iscrizione agli organismi non pro- fit interessa il 23,1% della popolazione adulta, mentre l’iscrizione ai sindacati il 12,1%, quella alle associazioni di categoria il 6,6% e quella ai partiti politici solo il 3,8%.

Nel giugno 2008 è stato pubblicato il 1° Rapporto CNEL/ISTAT sulla Economia sociale. In esso - oltre ai dati riferiti al volontariato, alle fondazioni e alla cooperazione sociale basati sulle rilevazioni già sopra segnalate - sono stati riportati dati relativi alle Organizzazioni Non Governative (ONG) e alle Associazioni di Promozione Sociale (APS).

1Si precisa che si tratta delle sole associazioni di volontariato iscritte ai Registri regionali al 31/12/2003. Non rientrano nel computo quindi tutte quelle associazioni di volontariato che non sono iscritte a tali registri

(14)

SETTORI DI ATTIVITÀ PREVALENTE

SETTORE ATTIVITÀ PREVALENTE VOLONTARIATO FONDAZIONI COOP SOCIALI

(2003) % (2005) % (2005) %

Cultura, sport e ricreazione 16,7 17,6 6,3

Istruzione e ricerca 3,2 21,2 12,4

Sanità 28,0 2,8 5,3

Assistenza sociale 37,3 17,4 34,9

Ambiente 4,4 1,0 -

Sviluppo economico e coesione sociale 0,2 4,2 37,1

Tutela dei diritti e attività politica 2,8 0,3

Filantropia 3,6 25,5 3,9

Cooperazione e solidarietà internazionale 3,4 1,1

Religione 0,4 8,5

Relazioni sindacali e rappresentanza interessi - 0,5

Altro 0,1

TOTALE ASSOLUTO 21.021 4.720 7.363

UTENTI

ISTAT-ANNO N. UTENTI PER ISTITUZIONE

2003 Volontariato 6.863.050 325

2005 fondazioni 16.190.267 3430

2005 Coop. sociali 3.428.852 466

RISORSE ECONOMICHE

ISTAT ANNO RISORSE ECONOMICHE(MLN€) FONTE PUBBLICA DI CUI DA CONVENZIONI

2003 Volontariato 1.630 50,1% 38,2%

2005 fondazioni 15.625 15,7% 15,7%

2005 Coop. sociali 6.381 69,3% 69,3%

Per un totale di 23.636 milioni di € (circa il 1,6% del PIL)

Alla data le ONG sono 239, impiegano 27.000 persone (di cui 12.500 volontari e 11.500 dipendenti) con un ammontare complessivo delle entrate di circa 1 Mld €. Le APS iscritte al registro nazionale sono 141, impiegano circa 50.000 persone ( di cui 18.000 religiosi, 13.000 volontari e 8.000 dipendenti) con un ammontare complessivo delle entrate di circa 600 milioni €. Inoltre, stante al registro c/o il CONI, le associazioni sportive sono oltre 60.000.

Infine, stante l’Annuario Statistico italiano 2008 dell’ISTAT, reso pubblico nel novembre 2008

(15)

“Nel 2008 la partecipazione, in termini di impegno, dei cittadini alle attività sociali e di volontariato risulta stabile rispetto al 2007. Nel 2008

il 9,0 % delle persone di 14 anni e più partecipa alle attività gratuite di volontariato (circa 5,4 milioni di cittadini);

l’8,8% a riunioni di associazioni culturali (circa 5,3 milioni di citta- dini;)

il 15,8% si limita a versare soldi a un’associazione (circa 9,5 milioni di cittadini).

Il Nord è più impegnato, infatti le attività di volontariato nell’area coinvolgono l’11,9% dei cittadini di 14 e più anni, tale quota scende all’7,8% nel Centro e al 5,8% nel Sud.”

Da ultimo, il Rapporto 2010 dell’Eurispes riporta i dati relativi alla fiducia dei cittadini nelle istituzioni:

82,1% Volontariato 75,3% Carabinieri

70% Presidente della Repubblica 67,2% Polizia

47,8% Magistratura 47,3% Chiesa

35,7% Associazioni imprenditori 26,9% Parlamento

26,7% Governo 12,1% Partiti

La fiducia verso il Terzo Settore è ulteriormente suffragata dai dati relativi al 5x1000 – lo strumento di sussidiarietà fiscale che consente al contribuente di indirizzare tale quota delle proprie tasse verso il Terzo Settore e la ricerca scientifica e sanitaria - utilizzato nel 2006 da circa 16 milioni di contribuenti (i 2/3 del totale), dato sostanzialmente confermato negli anni successivi.

Il Terzo Settore è però spesso rappresentato come un “pulviscolo”

composto da decine di migliaia di organizzazioni, frammentato, disperso e disorganizzato. Non risulta che sinora si sia fatta adeguata riflessione circa le reti del Terzo Settore, in specie sulla loro capacità di aggregazione e di promozione, sostegno, orientamento del fenomeno, ed in particolare sulle reti di livello nazionale.

Per aumentare la conoscenza del fenomeno e la consapevolezza dei diversi attori coinvolti, come Forum Nazionale del Terzo Settore abbiamo

(16)

svolto una ricerca sulle reti ora a partire da quelle aderenti al Forum, realizzata grazie al contributo della Fondazione CARIPLO, (cfr. Abstract in appendice; per il testo completo cfr. sul sito www.forumterzosettore.it).

Da tale ricerca emergono alcuni dati di un certo interesse.

Il primo riguarda l’ampiezza delle reti esaminate. Considerando meramente i dati accertati sulle organizzazioni che hanno risposto al questionario i numeri sono di per sé significativi. Quando si parla di 53 reti nazionali che associano oltre 94 mila enti di base, circa 350 mila lavoratori, circa 1,6 milioni di volontari, muove risorse economiche di circa 8 miliardi di €, è evidente che ci riferiamo ad un ambito di assoluto rilevo, dove il modello organizzativo delle reti lascia prefigurare un universo del Terzo Settore ben diverso da come viene comunemente percepito e disegnato. E’ probabile che l’estendere la ricerca alle altre circa stimabili 150-200 reti di rilievo nazionale possa contribuire a una nuova e diversa raffigurazione e consapevolezza del Terzo Settore e, conseguentemente, delle sue potenzialità, delle modalità di sostegno e sviluppo e anche delle sue responsabilità.

Il secondo attiene al superamento dell’immagine pulviscolare del Terzo Settore. I numeri da soli non dicono molto. È dirimente capire, in altre parole, se le decine di migliaia di organizzazioni sono assimilabili ad un pulviscolo che agisce in modo disperso o se sono presenti linee di collegamento tra esse che legittimano una visione di queste organizzazioni come un sistema con un qualche grado di integrazione.

È evidente che una risposta definitiva richiederebbe, come sopra accennato, approfondimenti diversi, ma alcune osservazioni possono essere fatte: si consideri, ad esempio, che 45 organizzazioni su 53 si caratterizzano per articolazioni territoriali e/o settoriali, cui le organizzazioni di base e le persone partecipano – e dunque sono articolate in sub organizzazioni regionali, provinciali o su entrambi i livelli o raccolte secondo specifiche aree di interesse; che gli enti sono estremamente ben ramificati sull’intero territorio nazionale; che l’80% ha in essere relazioni formalizzate con altri enti, aderenti e non al Forum. Certo tutti questi non sono che indizi, ma coincidono nel dare l’immagine di organizzazioni caratterizzate da una pluralità di interrelazioni reciproche.

Dunque, si può dire, in prima approssimazione che, dai dati raccolti dalle organizzazioni aderenti al Forum, il modello organizzativo delle reti

(17)

pare essere dotato di tutti i prerequisiti necessari a giocare un ruolo significativo sia a livello nazionale che locale nelle politiche del Paese.

3.2 Il Terzo Settore in Europa

L’esperienza del Terzo Settore non è prerogativa solo italiana. Essa è presente in moltissimi Paesi con rilevante impatto, tanto che anche l’ONU ne segue i percorsi: si veda ad esempio il recente “Measuring Civil Society and Volunteering. Initial Finding from Implementation of the UN Handbook on Nonprofit Institutions”, del 2007, dove sono riportati i principali dati relativi alle esperienze in corso in 31 Paesi (fra i quali, oltre a molti Paesi europei, sono studiati i casi di Argentina, Camerun, Nigeria, Filippine, Vietnam, etc.)2.

Il Terzo Settore pecca ancora di una sua chiara definizione anche a livello europeo, in specie per quanto attiene il volontariato, che nella esperienza italiana è fortemente segnato dal concetto di gratuità dell’attività, mentre in quella europea fa maggiormente riferimento alla semplice adesione volontaria.

Pur nella ancora incertezza definitoria, vi sono dati che testimoniano della rilevanza del fenomeno, in particolare, a livelli dell’Unione Europea, sotto la definizione di “economia sociale” entro la quale rientra anche l’esperienza del volontariato così come svolta in Italia. A tal proposito riteniamo importante il testo “L’economia sociale nell’Unione Europa”, uno studio del 2007 realizzato dal Centro internazionale di ricerca e di informazione sull’economia pubblica, sociale e cooperativa (Ciriec) su richiesta del Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE)3. Dal punto di vista macroeconomico, l’economia sociale in Europa ha un impatto considerevole sia in termini umani che economici. Essa impiega più di 11 milioni di persone, pari al 6,7% dei lavoratori dipendenti dell’UE. Vede coinvolti decine di milioni di cittadini in attività di volontariato, il cui operato è pari a circa 4,8 milioni di lavoratori full time.

Anche in Europa il fenomeno delle reti del Terzo Settore è diffuso.

Nei diversi paesi europei le associazioni che rappresentano le società e le organizzazioni dell’economia sociale sono state create principalmente in

2cfr. http://www.ccss.jhu.edu/index.php?section=content&view=9&sub=11

3cfr. www.eesc.europa.eu/groups/3/categories/soceco/A_DI_CES97-2007_DI_en-rev.doc

(18)

una prospettiva settoriale e ciò ha dato vita a gruppi “familiari” di organizzazioni rappresentative:

famiglia delle cooperative: Eurocoop (consumo), ACME (assicurazioni), Cecodhas (edilizia), CECOP (produzione e lavoro), Cogeca (agricol- tura), GEBC (banche), UEPS (farmacie). Queste organizzazioni, a loro volta, sono affiliate a una confederazione recentemente fondata: Coo- peratives Europe.

famiglia delle società mutualistiche: AIM (mutue), ACME (assicura- zioni), AISAM (mutue assicuratrici);

famiglia delle associazioni e delle organizzazioni di azione sociale:

CEDAG (associazioni di interesse generale), EFC (fondazioni), Piat- taforma europea delle ONG sociali, CEFEC (imprese sociali, iniziative per l’impiego e cooperative sociali).

Gran parte di queste organizzazioni rappresentative a livello europeo appartengono a loro volta alla CEP-CMAF, la Conferenza europea permanente delle cooperative, mutue, associazioni e fondazioni, che costituisce attualmente il principale interlocutore delle istituzioni europee per quanto concerne il settore dell’ecomomia sociale europea.

In alcuni paesi le associazioni rappresentative hanno superato il livello settoriale costituendo organizzazioni intersettoriali che fanno espressamente riferimento all’Economia sociale. Esempi al riguardo sono:

la CEPES (Confederazione spagnola delle imprese dell’economia sociale), il suo corrispettivo francese CEGES (Consiglio delle imprese, degli imprenditori e dei raggruppamenti dell’economia sociale), le organizzazioni belghe VOSEC (fiamminga) e Concertes (vallone), la Piattaforma dell’economia sociale e solidale in Lussemburgo e la Conferenza permanente dell’economia sociale in Polonia.

Un tale movimento ha cominciato a segnare anche le politiche pubbliche nell’Unione Europea. Si segnala in particolare che il Parlamento Europeo:

il 22 aprile 2008 ha approvato la “Risoluzione sul Contributo del vo- lontariato alla coesione economica e sociale” (2007/2149(INI))4

il 19 febbraio 2009 ha approvato la “Risoluzione sull’economia so- ciale” (2008/2250(INI))5, un importante documento che richiede nelle sue Raccomandazioni:

4cfr. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2009:259E:0009:0013:IT:PDF

5Si tratta di un documento che ha avuto quale Relatore l’On. Patrizia Toia (cfr:

http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=REPORT&reference=A6-2009- 0015&language=IT )

(19)

-il riconoscimento del concetto europeo di economia sociale;

-uno status giuridico chiaro, attraverso il riconoscimento giuridico;

-il riconoscimento statistico, poiché senza dati non si possono pen- sare adeguate politiche:

-il riconoscimento dell’economia sociale come partner specifico nel- l’ambito del dialogo sociale;

-il contributo che può portare l’economia sociale alla ridefinizione del mercato e al nuovo modello sociale europeo;

-lo scambio di esperienze a livello locale, nazionale ed europeo.

3.3 L’identità del Terzo Settore

Il Terzo Settore rappresenta la parte numericamente più consistente del non profit italiano. E’ composto da organizzazioni private del volontariato, dell’associazionismo, della cooperazione sociale ed internazionale profondamente radicate nella società italiana e attive da anni nella vita del Paese. Realtà diverse per storie, culture e modelli organizzativi, ma unite dalla condivisione di forti valori comuni: la dignità e promozione della persona, l’uguaglianza dei diritti come base del patto di cittadinanza; la dimensione comunitaria e partecipativa come orizzonte di una possibile convivenza che promuove pace e legalità.

Si caratterizzano per l’impegno nella direzione di in una società solidale, laica e pluralista, in cui culture e religioni diverse sappiano incontrarsi e dialogare. Credono in un autentico sviluppo umano, in cui l’obbiettivo della crescita economica vada di pari passo con quello della tutela dei diritti e dei beni comuni, della qualità della vita, dell’ambiente e delle relazioni sociali.

Vivono immerse nella società e nelle sue contraddizioni, antenne sensibili alle trasformazioni che l’attraversano. Sono un laboratorio del cambiamento sociale, animato da cittadine e cittadini che guardano con fiducia al futuro e scelgono di essere protagonisti attivi della sua costruzione.

Operano in ambiti diversi ma sono accomunati dalla vocazione a misurarsi, nei territori e nelle comunità locali, coi problemi concreti; a promuovere l’azione collettiva delle persone in nome dell’interesse generale e del bene comune.

Nel tempo nuovo e difficile della globalizzazione le organizzazioni del Terzo Settore ne vedono i rischi e le opportunità. A sessant’anni dalla

(20)

Dichiarazione Universale dei diritti umani, la loro negazione è ancora normalità quotidiana in tanta parte del pianeta, così come vengono disattese le più recenti Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia e la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.

Disuguaglianze, guerre e conflitti, uso irresponsabile delle risorse naturali sono il risultato di un mondo dominato dalla legge del più forte, in cui perdono centralità i valori della vita e della dignità umana. Eppure ci sarebbero le risorse per garantire a tutti gli esseri umani una vita degna e la sicurezza del futuro, se i diritti tornassero ad essere la chiave di un diverso modello di sviluppo.

Il nostro Paese non è immune da questi problemi. Viviamo in una società frammentata, incapace di anteporre l’idea del bene comune agli interessi particolari e di fare sistema fra le sue componenti. Nuove povertà, precarietà delle condizioni di lavoro e di vita colpiscono strati sociali sempre più estesi alimentando un diffuso sentimento di insicurezza e di sfiducia. L’invadenza del mercato e dei consumi negli stili di vita e negli orientamenti culturali produce nelle persone una profonda crisi di senso e una condizione di grande solitudine. Scontiamo l’assenza di un progetto comune in cui riconoscersi, la caduta verticale dell’aspettativa di futuro e della speranza. Nuove paure e tensioni avvelenano le relazioni sociali e indeboliscono i legami comunitari.

Per invertire questa tendenza dobbiamo ricostruire un nuovo equilibrio fra la dimensione individuale e collettiva del vivere civile, recuperare la consapevolezza dell’interdipendenza dei destini umani, del nesso fra libertà e sicurezza reciproca, fra diritti dei singoli e responsabilità sociale.

Ricostruire legami sociali, dare nuovo senso alla comunità. Servono più cultura, confronto e dialogo, strumenti indispensabili dell’autonomia e della libertà delle persone. Serve un nuovo welfare, che non sia solo risarcimento per gli ultimi ma strategia del benessere sociale diffuso, investimento nel capitale umano e nel futuro del Paese.

Determinante è il contributo dell’azione volontaria dei cittadini e della libera iniziativa sociale che persegue il bene comune. Associazioni, gruppi di volontariato, cooperative sociali e imprese sociali promuovono i valori della prossimità e della gratuità, della partecipazione e dell’autorganizzazione; valorizzano il protagonismo dei soggetti portatori di bisogni, mettono in rete competenze e risorse, sperimentano dal basso soluzioni concrete; contribuiscono a costruire un nuovo orizzonte di senso

(21)

fondato sul benessere collettivo; animano lo spazio pubblico, attuano i principi costituzionali della responsabilità civica e della sussidiarietà, promuovendo la democrazia partecipativa e quella economica che rafforzano e completano la democrazia rappresentativa.

Le organizzazioni sociali che perseguono questi obbiettivi operano nella trasparenza, praticano la democrazia diretta, mobilitano energie di volontariato, mettono in atto anche iniziative di rilevanza economica. Il Terzo Settore opera nel mercato ma non è del mercato perché risponde a una mission diversa da quella del profitto, usa gli strumenti del mercato dal punto di vista della centralità della persona e dei diritti.

I soggetti dell’economia sociale, cresciuti negli ultimi anni in capacità economica e organizzativa, sono una risorsa decisiva per l’innovazione delle politiche di welfare, ma non limitano il proprio ruolo alla sola produzione di servizi. Mantengono un equilibrio fra la dimensione economica e quella ideale della propria azione, sono anzitutto volano di partecipazione e di nuova cittadinanza.

Per questo motivo il Terzo Settore vuole esprimere una soggettività politica e rivendica la propria autonomia come parte sociale integrata nel

“sistema Paese”.

Oggi, di fronte alla crisi del Paese e alle difficoltà crescenti del rapporto fra cittadini e istituzioni, occorre investire di più nell’iniziativa autonoma dei soggetti sociali e nella loro capacità di progettazione unitaria, dare voce e visibilità ad una società civile partecipe e impegnata, che rivendica un ruolo politico e intende concorrere con pari dignità alle decisioni pubbliche.

L’autonomia e l’unità del Terzo Settore sono una risorsa irrinunciabile.

Autonomia non vuol dire estraneità verso la politica e le istituzioni, ma capacità di offrire un contributo originale alla ricostruzione delle reti di cittadinanza e al rinnovamento della politica, colmando la distanza che oggi separa la sfera istituzionale dalla società. Unità significa sintesi alta di culture e pratiche diverse, capacità di tradurre in valore la pluralità, di contaminarsi e arricchirsi reciprocamente nell’azione comune: un bene da tutelare e preservare, non certo a prescindere dai contenuti ma attraverso la verifica costante di valori e obbiettivi comuni.

(22)

Per raccogliere la sfida del tempo nuovo e rispondere alle crescenti aspettative della società e delle istituzioni, anche le organizzazioni di Terzo Settore devono saper operare un salto di qualità assumendo nuove e più alte responsabilità.

3.4 Verso una nuova stagione costituente

Sin dalla seconda metà degli anni ’70, in specie nel mondo del volontariato, emergono le esigenze di superamento di quella frammentarietà caratterizzata da concorrenza, conflitti, sovrapposizioni, assenza di comunicazioni, di scambi culturali, di comparazione e verifica di esperienze, che aveva indebolito l’incidenza e l’efficacia storica dell’azione volontaria nel Paese. Diverse realtà decisero insieme di dar vita ad un processo di collegamento democratico, autogestito, di tipo federativo. Ciò attraverso una formula di aggregazione che, partendo dalle realtà dei gruppi presenti nella comunità territoriale - a livello provinciale e regionale - li unisse anche a dimensione nazionale.

Negli anni ’90, con l’evoluzione e l’articolarsi delle esperienze del Terzo Settore si accresce l’esigenza di costruire nuovi strumenti. Il Forum del Terzo Settore è nato come risposta ad un’esigenza diffusa tra le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale e la cooperazione sociale negli anni immediatamente successivi all’avvio della crisi politica e morale del Paese della prima metà degli anni Novanta. Tra il 1994 ed il 1997 – anno in cui si costituisce formalmente il Forum – si sviluppa, infatti, all’interno del Terzo Settore italiano la convinzione di dover mettere in maniera più incisiva ed unitaria al servizio del Paese la grande risorsa di democrazia, partecipazione civica e concretezza che esso possedeva e che il Paese non sembrava più riuscire a trovare. Il Terzo Settore, conscio delle sue potenzialità e delle differenze presenti al suo interno, fece la scommessa di presentarsi in forma unitaria agli interlocutori politici e alle altre espressioni della società italiana. Esso giungeva a quell’appuntamento forte di una considerazione pubblica crescente, in quanto i cittadini vedevano nei soggetti del Terzo Settore organizzazioni meritevoli di fiducia e capaci di dare risposte convincenti ai problemi sociali esistenti. Tali organizzazioni, inoltre, erano in forte fase espansiva, sia come aderenti, sia come attività tanto nell’ambito dell’azione volontaria quanto nella produzione di servizi alla persona.

Negli anni successivi il Forum riuscì ad ottenere risultati importanti sul fronte del riconoscimento del ruolo del Terzo Settore, sia favorendo la

(23)

legiferazione specifica, sia ottenendo l’accreditamento quale parte sociale. In quella stagione il Forum fu anche protagonista dell’innovazione del rapporto tra cittadini e istituzioni e del significato di interesse pubblico che portò alla riforma Bassanini (prima riforma organica dell’ordinamento dei ministero e loro competenze), alla legge 328/00 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) e all’inserimento, nell’art. 118 della Costituzione Italiana, del principio di sussidiarietà.

Oggi, passato oltre un decennio, lo scenario attuale in cui si muove il Forum è differente. Non mancano – senza dubbio – i segni di una perdurante crisi morale, ma altri elementi si sono aggiunti: il processo di ridefinizione dell’assetto politico italiano, che sembra orientarsi secondo uno schema bipolare, se non proprio bipartitico; l’accelerazione dei percorsi volti a ridisegnare il sistema di welfare del Paese, anche sotto la spinta dell’unificazione europea e della percezione del profondo cambiamento intervenuto in questi anni nel quadro sociale italiano (invecchiamento della popolazione, precarizzazione del lavoro, crescita dell’immigrazione…). Anche per il Terzo Settore molto è cambiato in questi anni, sia sotto il profilo della sua percezione dall’esterno, sia nel modello organizzativo. Dopo gli anni, infatti, della valorizzazione del volontariato e della cittadinanza responsabile, si è venuto diffondendo nel Paese un clima orientato a maggiore individualismo che non favorisce l’impegno personale nelle organizzazioni che fanno della solidarietà e dell’azione sociale la loro ragion d’essere. Uguale difficoltà si è potuta riscontrare nella promozione e nella gestione di servizi, che ha visto contestualmente una ampia crescita dell’attività del Terzo Settore – sia in termini assoluti, sia qualitativi – ed un restringimento degli spazi di pianificazione e progettazione sociale. In altri termini, il Terzo Settore è cresciuto e si è dotato spesso di strumenti adeguati per rispondere alle sfide che gli sono proprie, ma non è riuscito ad affermare pienamente la propria specificità nella società italiana e l’autonoma politicità nel rapporto con le istituzioni. Al riconoscimento del ruolo non si è accompagnato un ampliamento dello spazio pubblico in cui operare ed il Terzo Settore si è trovato spesso relegato a funzioni di mero gestore di politiche sociali da altri definite.

Alla luce di queste pur sommarie indicazioni risulta chiaro che il ruolo del Terzo Settore deve essere ripensato per gli anni a venire secondo nuove strategie. A prescindere dalle forme che vorrà darsi, rimane

(24)

immutata l’esigenza di avere un soggetto unitario di rappresentanza – il Forum del Terzo Settore – fondato su un rinnovato patto tra le organizzazioni che scelgono di farne parte, impegnate a concorrere alla realizzazione degli obiettivi che insieme si stabiliranno, nel rispetto dell’autonomia, pluralità e democrazia di ciascuno.

3.5 La sfida della visibilità e trasparenza

Le organizzazioni del Terzo Settore coinvolgono, nel loro insieme, diversi milioni di cittadini nelle proprie attività e godono, secondo diverse rilevazioni statistiche effettuate negli ultimi anni, di una larga fiducia da parte dei cittadini italiani.

Questo aspetto, però, non deve ingannarci. Se, infatti, la valutazione generale nei confronti del Terzo Settore (e, più ancora, del volontariato) è estremamente positiva, pochi sono i riscontri sulla capacità delle organizzazioni sociali che lo compongono di riuscire ad incidere nella definizione dell’ “agenda pubblica” del Paese.

In altri termini si può affermare che il Terzo Settore è valutato uno strumento efficace per rispondere ai bisogni concreti e di senso delle persone e delle comunità, ma non ha voce nel prospettare un autonomo disegno di società.

Le ragioni di questa afasia (quanto voluta e quanto imposta è difficile valutarlo) sono forse da ricercarsi nella propensione del Terzo Settore italiano di operare principalmente nei territori, con reti leggere di supporto, senza strutture organizzative rilevanti alle spalle e avendo come obiettivo più il raggiungimento del risultato concreto che la visibilità del processo messo in atto per ottenerlo. Vi sono, talvolta, anche questioni etiche che hanno spinto organizzazioni ad operare lontane dagli spalti mediatici, ma in larga parte questo è dovuto ad una scarsa propensione alla comunicazione delle stesse strutture. Il loro modello organizzativo, infatti, generalmente consente a tutti i soci di essere bene informati delle azioni che si intraprendono e dei loro risultati e questo risulta appagante per soggetti che ricercano il consenso solo su una ristretta area territoriale.

Tutto questo oggi pone, però, una serie di seri problemi.

Innanzitutto senza comunicazione è difficile per il Terzo Settore emergere quale soggetto sociale che, pur nella sua pluralità, può

(25)

concorrere alla vita del Paese, in particolare per far crescere democrazia sociale e sussidiarietà. Le azioni che le centinaia di migliaia di organizzazioni sociali italiane mettono in campo ogni anno sono una vera e propria agenda sociale del Paese e mettono in luce strategie di costruzione di coesione sociale assai differenziate tra loro, ma spesso innovative ed efficaci, in grado di essere esemplari anche per le politiche pubbliche.

In secondo luogo la scarsa visibilità del Terzo Settore allontana i potenziali cittadini volontari dall’impegno. Non essendovi più o avendo minor radicamento i tradizionali soggetti formativi comunitari (oratori, movimenti politici) si riducono i luoghi nei quali le organizzazioni sociali possono fare la propria proposta di impegno e partecipazione. Sempre di più appare necessario rendere visibile l’azione sociale per far nascere il desiderio di prenderne parte, di passare da spettatori a protagonisti.

Infine la mancanza di comunicazione rischia di mettere il Terzo Settore in un cono d’ombra anche nei confronti dei propri sostenitori e finanziatori.

Poca informazione significa anche poca trasparenza, con tutto quello che ne può derivare, sia nelle organizzazioni sociali, sia nella fiducia dei cittadini.

A questo riguardo molto è cambiato in questi ultimi tempi con l’introduzione di norme tese a far crescere la raccolta di fondi per i soggetti del Terzo Settore – prima la cosiddetta “Più dai meno versi” e poi il Cinque per mille – che hanno prodotto un forte ampliamento della platea dei donatori anche nei confronti di organizzazioni che fino a poco tempo fa mai avevano immaginato tale prospettiva né si erano sentite in dovere di rendere conto delle proprie attività se non ai propri associati.

Oggi, di fronte ad oltre 15 milioni di contribuenti che hanno scelto di devolvere il proprio cinque per mille in gran parte proprio alle organizzazioni sociali, la questione cambia radicalmente. La necessità di trasparenza e l’obbligo di comunicare non possono più essere considerati accessori all’azione sociale volta al raggiungimento dell’obiettivo indicato.

In questa direzione, quindi, urge un significativo sforzo comune di tutte le organizzazioni del Terzo Settore, che dovranno utilizzare meglio gli strumenti già oggi a disposizione ed insieme crearne di nuovi, anche pretendendo che gli organi di informazione di servizio pubblico (a partire

(26)

dalla RAI) facciano la loro parte. Insieme a questo non dovranno esserci tentennamenti nel procedere verso un sistema di rendicontazione che, senza burocratizzare le organizzazioni, dia certezza di trasparenza ed eticità.

3.6 Gli interlocutori del Terzo Settore

Come soggetto sociale il Terzo Settore si pone nella prospettiva di interloquire con tutti i soggetti, pubblici e privati, che concorrono alla realizzazione di un Paese democratico, fondato sui valori della sussidiarietà e solidarietà.

E’, però, importante che queste relazioni siano fondate su basi corrette affinché possano dare risultati positivi e non ingenerare processi di dipendenza o, ancor più di sudditanza.

In primo luogo interlocutori del Terzo Settore sono tutti i soggetti che compongono la cosiddetta “società civile”, a partire dalle organizzazioni non profit e dalle altre parti sociali riconosciute – cooperazione, sindacati, organizzazioni datoriali.

Il Terzo Settore – caratterizzato dagli elementi sopra esposti – si distingue dal resto del mondo non profit per modello organizzativo ed in parte anche per finalità, ma ritiene importante favorire la crescita di tutto il mondo non profit, stringendo una solida alleanza con organizzazioni che, in modo trasparente e con criteri etici rigorosi, si pongono l’obiettivo di raccogliere risorse economiche e destinarle a differenti settori ad alto valore sociale. In particolare, come già ci si è mossi in questi ultimi anni, il Terzo Settore potrà costruire collaborazioni con il sistema delle fondazioni – sia quelle private sia quelle di origine bancaria. L’esperienza della Fondazione per il Sud, sia pure ancora nella sua fase di avvio, ci dimostra, infatti, la ricchezza di strategie comuni e lo stesso sistema dei Centri di Servizio al Volontariato, sia pur perfettibile, indica la possibilità di una collaborazione proficua anche tra soggetti diversi per peso economico e forma giuridica. Queste relazioni, però, debbono essere improntate al massimo rispetto reciproco e, soprattutto, non devono limitarsi al solo dato economico, che vede senza dubbio il Terzo Settore in condizioni di inferiorità. La comune progettualità deve veder concorrere pariteticamente – come si è fatto per la Fondazione per il Sud – Terzo Settore e fondazioni, ciascuno secondo la propria specifica mission.

(27)

Con le organizzazioni del lavoro, variamente intese, il Terzo Settore ha sempre avuto un rapporto assai ricco, spesso avendo in esso una vera e propria “incubatrice” di organizzazioni, basti pensare alla cooperazione sociale, nata nell’alveo della cooperazione, o alle tante associazioni di volontariato, cooperazione internazionale o di promozione sociale sviluppatesi nelle confederazioni sindacali. Lo stesso mondo di Confindustria ha recentemente promosso organizzazioni non profit, il sistema di Unioncamere ci sta accompagnando con convinzione e coraggio nel percorso verso l’impresa sociale ed in alcuni casi imprese for profit stanno oggi sostenendo la nascita di associazioni di volontariato tra i propri dipendenti.

Tutte queste esperienze, che non possono non farci piacere, non debbono, però, farci dimenticare la necessità che le altre parti sociali si rapportino con il Terzo Settore riconoscendolo come altro da sé e portatore di interessi specifici, sia pur in gran parte convergenti con i propri. Sindacati e organizzazioni di categoria – con i quali si dovrà intensificare il lavoro – possono essere preziosi alleati per vedere un pieno riconoscimento del ruolo politico del Terzo Settore, ma debbono probabilmente iniziare a vedere in noi un interlocutore presente e preparato, capace di dire la propria nella concertazione sociale.

Il rapporto con la politica, o meglio con il sistema dei partiti che articola la nostra democrazia, è altrettanto strategico per organizzazioni che – come è già stato affermato – non si pongono in alternativa alla rappresentanza istituzionale e vogliono rafforzare la partecipazione attiva e democratica dei cittadini. Da quando è venuta affermandosi l’autonomia del Terzo Settore il rapporto con le forze politiche è stato sempre piuttosto complesso, sia per i continui cambiamenti che si sono succeduti negli ultimi anni nel nostro Paese, sia per l’evidente difficoltà dei partiti di dialogare con la società e le sue forme organizzate. Tutto si è risolto in un rapporto diretto tra cittadino e vertice del partito (quando non tra cittadino e leader) o in un rapporto di tipo lobbistico, che ha favorito le organizzazioni più ricche e scaltre, a scapito di chi, come il Terzo Settore, è portatore di “interessi deboli”, per quanto reali e ispirati al bene comune.

Con l’affermarsi dello schema bipolare (pur imperfetto, come abbiamo già rilevato) ancor più le relazioni tra Terzo Settore e politica si sono rarefatte, dal momento che non è stato finora affrontato da nessuna forza

(28)

politica in campo il nodo della partecipazione dei soggetti organizzati alla vita politica. Qualcuno, a dire il vero, ha provato ad inglobare parti di Terzo Settore (o presunto tale), ma l’esperienza non ha dato buoni frutti, dato che questo non può oggi vivere senza una sua autonomia culturale e sociale.

Infine le istituzioni sono interlocutori delle nostre organizzazioni e del Terzo Settore in quanto soggetto sociale, in particolare le istituzioni locali e gli enti da esse costituiti. Il Terzo Settore , come analizzeremo più avanti in questo Libro Verde, è stato oggetto in questi ultimi dieci anni di grande attenzione da parte degli Enti Locali, che hanno compreso la sua propensione a risolvere problemi e a adattarsi a situazioni complesse, ma assai poco hanno colto le sue vere potenzialità nel costruire coesione sociale e promuovere innovazione. Infatti, a fronte della diminuzione delle risorse economiche – soprattutto nell’ambito del sociale e della cultura – gli Enti Locali hanno “esternalizzato” attività affidandole al Terzo Settore, considerato spesso più come esecutore di politiche da altri decise che come partner progettuale. Naturalmente il processo di crescita del Terzo Settore anche nella gestione non è considerarsi negativamente, ma bisognerà operare con determinazione per far sì che questo non penalizzi la sua autonomia e non affievolisca la sua propensione alla rappresentanza dei bisogni.

Nell’ambito delle relazioni con le istituzioni un rapporto del tutto particolare è quello instauratosi con l’Agenzia per le ONLUS, cui è affidato dal Governo il compito di vigilare e di promuovere il Terzo Settore. L’Agenzia, infatti, è un interlocutore privilegiato con il quale affrontare non soltanto le questioni relative al controllo del variegato mondo del non profit, ma anche lo studio e la proposizione di politiche innovative per il potenziamento del medesimo. Naturalmente il ruolo dell’Agenzia – che non è di rappresentanza del Terzo Settore, ma di tutela e promozione – dovrà essere ulteriormente riconosciuto dalle stesse istituzioni pubbliche, anche nella prospettiva di creare una vera autority del Terzo Settore, con strutture e risorse adeguate al compito rilevante che questo ha assunto nella società italiana.

(29)

4. LE SFIDE DEL TERZO SETTORE

4.1 Terzo Settore, rappresentanza e rapporto con le istituzioni

Come già è stato osservato in precedenza, il Terzo Settore italiano ha acquisito solo a partire dall’inizio degli anni Novanta la consapevolezza di essere un soggetto sociale e di dover, come tale, ricercare le forme più appropriate di rappresentanza.

Fin dal principio sono emerse due modalità di intendere la rappresentanza del Terzo Settore, entrambe estremamente impegnative: la rappresentanza delle organizzazioni sociali che lo compongono e la rappresentanza di soggetti, tematiche, bisogni che sono centrali per la vita del Terzo Settore, ma assenti dal dibattito pubblico.

Il Terzo Settore si è quindi, da subito, posto il problema di come coinvolgere i differenti soggetti che lo compongono, per giungere ad una rappresentanza unitaria (o quanto più possibile semplificata), tanto a livello nazionale quanto a livello territoriale.

I dati precedentemente esposti sui numeri delle organizzazioni sociali e sulla loro recente evoluzione aggiungono un elemento, tutt’altro che secondario per la nostra riflessione: il Terzo Settore è tuttora in crescita, sia per numero di organizzazioni, sia per numero di persone coinvolte (tanto a titolo volontaristico quanto come dipendenti). Se, infatti, si sta esaurendo un modello di azione volontaria che ha caratterizzato una lunga fase del nostro Paese, non diminuisce, al contempo, l’impegno della cittadinanza organizzata.

Inoltre le indicazioni numeriche esplicitano anche un altro fattore positivo: il Terzo Settore – ed al suo interno soprattutto il volontariato – gode di un’altissima stima da parte dei nostri concittadini. Questo, almeno in teoria, dovrebbe facilitare lo sforzo di chi vuole rappresentare unitariamente questo mondo e dare ad esso voce nella società italiana.

Una parte importante nella definizione della rappresentanza delle organizzazioni di Terzo Settore è stata giocata in questi anni dalle leggi speciali che si sono susseguite e che hanno normato i diversi ambiti di azione sociale. Volontariato, associazionismo di promozione sociale, cooperazione sociale e cooperazione internazionale (per fermarci solo

(30)

alle principali forme giuridiche definite, ma l’elenco potrebbe essere assai più lungo) sono oggi definizioni chiare nella società italiana più in virtù delle leggi che per le attività che esse svolgono ed è bastato l’inserimento di un nuovo soggetto, “trasversale”, come le ONLUS, per mettere in discussione molte certezze acquisite. Il confronto con altri modelli – in particolare guardando all’Unione Europea di cui facciamo parte – evidenzia la debolezza delle nostre categorie e pone in dubbio la validità di alcune divisioni.

All’interno del Terzo Settore, inoltre, si sono manifestate spinte ad una rappresentanza distinta delle varie “famiglie” di organizzazioni in quanto ciò è apparso utile ad un riconoscimento valoriale dei soggetti, contrastando così un modello di rappresentanza soltanto funzionale al raggiungimento di obiettivi politici o lobbistici.

Questa impostazione è emersa anche in contrasto alla tendenza delle organizzazioni ad aggregarsi in base a categorie esterne al Terzo Settore, ma bene presenti nella società italiana – soprattutto nei decenni scorsi – quali quelle di destra – sinistra o laici – cattolici.

E’ oggi evidente a tutti che tale modalità aggregativa è piuttosto anacronistica e spesso anche concretamente difficile da utilizzare, sia per il venir meno delle spinte ideologiche e partitiche sul Terzo Settore, sia per l’oggettiva trasversalità che la gran parte delle organizzazioni ha nel tempo assunto.

Un ultimo elemento rilevante da sottolineare rispetto alla rappresentanza delle organizzazioni è quello relativo alla loro grandezza. Nel Terzo Settore vi sono, infatti, organizzazioni con milioni di associati ed altre con poche decine e questo, se non sapientemente tenuto in conto, provoca uno squilibrio che porta a cancellare la voce di tante piccole organizzazioni estremamente significative nei luoghi della propria azione sociale. La costruzione delle reti, che ha ovviato a questo problema nel mondo dell’associazionismo di promozione sociale e della cooperazione sociale, è ancora poco sviluppata nel volontariato, anche in conseguenza di una legge, la 266 del 2000, che non ne prevede l’esistenza.

Per quanto riguarda la rappresentanza delle istanze sociali del Paese, che il Terzo Settore si ritiene titolato a fare, la situazione è ancora più complessa e stratificata. Le organizzazioni hanno differente propensione

(31)

all’azione politica e benché tutte – o quasi – si spendano perché i propri valori vengano assunti da tutta la società, diverso è il modo con cui cercano di attuare questa aspirazione.

In particolare le difficoltà a questo riguardo che sembrano essere presenti nel Terzo Settore italiano sono la sua scarsa incidenza nella sfera pubblica per eccellenza, la comunicazione sociale, e la debolezza nel rapporto con la politica, che determina l’agenda pubblica italiana in assoluta autonomia.

Di fronte a questa situazione possiamo quindi porci alcune domande, nella convinzione che dal modello di rappresentanza che il Terzo Settore saprà costruirsi dipende in larga misura anche la modalità e l’efficacia delle relazioni con le istituzioni:

E’ opportuno mantenere una rappresentanza unitaria del Terzo set- tore o è preferibile seguire un modello federativo che veda valo- rizzate le differenti identità (volontariato, associazionismo, cooperazione…)?

La suddivisione del Terzo Settore è oggi data dalle leggi speciali che si sono susseguite negli anni, che rispondono a scelte regolative spesso incongruenti o parziali. Inoltre – come il confronto con la legislazione europea ci manifesta – dividere il Terzo Settore secondo “famiglie” è caratteristica solo italiana, destinata probabilmente ad essere supe- rata nell’intensificarsi dei rapporti con gli altri Paesi dell’Unione. Una rappresentanza federativa, inoltre, potrebbe facilitare l’adesione delle piccole organizzazioni, ma rischierebbe di rendere estremamente debole la proposta comune del Terzo Settore.

Quale modello di governance può consentire al Terzo Settore di va- lorizzare, insieme, piccole e grandi organizzazioni, singole associa- zioni e reti nazionali?

Il Forum del Terzo Settore ha fino ad ora scommesso sullo sviluppo di Forum regionali e territoriali, in grado di garantire rappresentanza sia ai livelli locali delle organizzazioni in rete, sia alle organizzazioni non aggregate. In molte situazioni, però, sono nati problemi e non si è fino ad ora riusciti a garantire un effettivo coinvolgimento di tutte le espressioni del Terzo Settore. In particolare appare evidente una scarsa cultura – anche nel nostro mondo sociale – della rappresentanza, che implica diritti e doveri e impone a ciascun soggetto di aver piena co-

(32)

scienza del proprio ruolo in un determinato territorio, a partire dal tema della rappresentatività.

E’ possibile far nascere reti associative intorno ad oggetti specifici di azione sociale delle organizzazioni? Accresce questo la forza delle nostre idee nel contesto pubblico?

Qualsiasi soggetto di rappresentanza vasto appare naturalmente meno dinamico e propositivo di quanto non possano essere reti tra organiz- zazioni omogenee per ambito di azione sociale e cultura politica. Lo sviluppo della rappresentanza unitaria non può annullare tali aggre- gazioni che, anzi, sono da favorirsi nella prospettiva di una più ricca identità comune. Fondamentale, però, studiare forme che non svuo- tino il soggetto di rappresentanza di funzioni politiche, lascandogli solo il compito di lobby e di interlocuzione istituzionale.

Di quali temi dovrebbe occuparsi il Forum del Terzo Settore come soggetto di rappresentanza unitaria delle organizzazioni e delle reti?

Rimangono aperti due temi rilevanti: come rappresentare gli interessi delle organizzazioni, che spesso sono tra loro divergenti, e come rap- presentare le istanze di quanti vedono nel Terzo Settore il loro unico garante di cittadinanza (poveri, diversamente abili, immigrati, per fare qualche esempio). In questi anni si sono confrontate dentro il Forum opinioni differenti, ma fino ad ora non sono state definite in modo esaustivo le aree di pertinenza dell’attività di questo soggetto di rap- presentanza.

4.2 Terzo Settore, globalizzazione, modello di sviluppo sosteni- bile e cooperazione

Di fronte al presentarsi in forma sempre più drammatica della crisi alimentare, climatica e economico-finanziaria, è indispensabile che la società civile si interroghi su quale potrebbe essere un nuovo progetto di società.

Le crisi globali sono sorte da un modello economico alimentato da risk- taking e speculazione, dotato di standard asimmetrici incapaci di monitorare con efficacia tale comportamento. La crescente opacità del sistema finanziario ha nascosto il pericolo del risk-taking. Il modello attuale di crescita si basa sullo sfruttamento eccessivo ed insostenibile delle risorse naturali.

(33)

Come noto, nell’economia classica la crescita assume un carattere sempre positivo, Forse per questo motivo gli economisti non hanno mai pensato che essa dovesse essere assoggettata a qualche limite. E’ evidente che essa è stata concepita in una fase storica del processo capitalistico in cui la disponibilità di materie prime sembrava inesauribile. A ciò si affiancava una concezione della scienza fondata sulla separazione dei saperi dove l’economia veniva considerata come un sistema isolato.

Le crisi globali, sorte da un modello di crescita viziato, hanno mietuto milioni di vittime. I più colpiti sono i poveri ed i deboli, i gruppi con scarsa influenza politica e scarso potere di contrattazione in tutte le parti del mondo ed in particolare nei Paesi a reddito medio-basso. Milioni di lavoratori sono stati licenziati. Le donne, i giovani e i lavoratori sono stati i più colpiti in assoluto. È in aumento la disparità nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, entro il 2015, sembra un sogno lontano, con i Paesi poveri che devono affrontare un grave calo nelle entrate del bilancio, mentre i budget dei donatori per l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo e la cooperazione internazionale hanno intrapreso una decrescita probabilmente irreversibile.

Se vogliamo cogliere nel loro più autentico significato le istanze delle ONG (Organizzazioni Non Governative) e delle organizzazioni di società civile e di tutti coloro che, nei diversi angoli del mondo, lottano per una maggior giustizia sociale, per la gestione partecipata delle risorse e dei beni comuni, allora dobbiamo aggiungere una riflessione sul tema dell’autonomia. In sintesi, per autonomia intendiamo “il progetto di una società dove tutti i cittadini hanno una eguale possibilità effettiva di partecipare alla legislazione, al governo, alla giurisdizione ed infine all’istituzione della società”(Castoriadis, 2005). In quest’ottica passare dal concetto di competizione alla cooperazione diventa necessario per perseguire in modo efficace l’obiettivo dell’equità.

Possiamo quindi facilmente delineare un circolo vizioso tra crescita, competitività e dipendenza, così come è importante notare l’esistenza di un circolo virtuoso tra sobrietà, sostenibilità ed autonomia.

Innanzitutto una società più sobria che favorisce il raggiungimento di un’effettiva sostenibilità ecologica. La chiusura dei cicli bioeconomici è possibile solo su scale regionali o locali, dove sono disponibili i dati e dove è possibile un migliore controllo circa la sostenibilità dei processi di

(34)

produzione. E’ vero che più piccolo non significa necessariamente più efficiente da un punto di vista ecologico, tuttavia strutture produttive di dimensioni medio-piccole consentono un maggiore controllo partecipato della tecnologia, e dunque maggiormente in grado di operare scelte in favore di un’autentica sostenibilità ecologica. In pratica si tratta di progettare un sistema economico territoriale autosostenibile, cioè rigenerabile, capace di offrire un’alternativa vitale non solo per le generazioni presenti, ma anche per quelle future:

La responsabilità sociale si declina nella valorizzazione auto soste- nibile dei territori? (La difesa dei beni comuni)

Possiamo tradurre essenzialmente nella riscoperta, nel mantenimento e nella valorizzazione dei sistemi ecologici, sociali e delle conoscenze presenti in un determinato territorio. Questi sistemi comprendono i così detti “beni comuni” (acqua, aria, territorio, biodiversità, saperi condivisi, diritti degli animali, etc.) per difendere i quali, come noto, le comunità locali devono essere mobilitate, in particolare nei Paesi del Sud del mondo (Shiva, 2003).

E anche in questo campo le buone pratiche sono ormai consolidate dal promuovere il consumo di prodotti agricoli biologici, favorire l’affer- mazione della filiera corta e diffondere l’organizzazione di mercati lo- cali, anche promuovendo le scelte dei singoli a favore dei consumi vegetali. Promuovere il turismo sostenibile, a basso impatto sul terri- torio e ad alta valenza ambientale e paesaggistica. Adottare, come strumento necessario per l’organizzazione delle attività e manifesta- zioni il bilancio preventivo ambientale e azzerare, attraverso azioni di riduzione, contrasto e compensazione la produzione di CO2.

La responsabilità sociale si declina anche nella formazione di con- sumatori responsabili?

Il ruolo del Terzo Settore risulta centrale se vogliamo organizzare cam- pagne per diffondere la promozione di stili di vita basati su pratiche di risparmio energetico. Gli esempi di buone pratiche in questo contesto sono molteplici: come volgere maggiore attenzione nell’acquisto degli elettrodomestici; risparmiare acqua dell’acquedotto e scegliere acqua del rubinetto anziché in bottiglia; ridurre il consumo di prodotti ani- mali; privilegiare mezzi pubblici e bicicletta; differenziare quote cre- scenti di rifiuti nelle nostre case, anzi a prevenire la produzione dei rifiuti stessi con modelli di acquisto e consumo responsabili; consen-

Riferimenti

Documenti correlati

Ieri sera si è infatti tenuto il primo giovedì di shopping sotto le stelle con i negozi del centro aperti fino alle 22.30 e diverse performance di musica dal vivo previste in

Un volontariato che tenta di esprimersi all’in- terno di contesti di normalità; volontari come cittadini che pongono attenzione ai bisogni, alle esigenze e ai diritti; persone che

nell'edificio dopo la costruzione di quest'ultimo per iniziativa di parte dei condomini, non rientra nella proprietà comune di tutti i condomini, ma appartiene in proprietà a quelli

Psicologa, psicoterapeuta, didatta del centro milanese di terapia della famiglia, vice direttore e docente del centro padovano di terapia della famiglia, socio

Hanno partecipato al primo torneo di calcio Donare è Vita squadre delle diverseCircoscrizioni di Palermo, insieme a quelle dell’IRCCS ISMETT, dell’AsTraFe(Associazione

• I dati da Voi forniti verranno trattati per il corretto inquadramento fiscale del contributo a Voi corrisposto dal Comune di Milano. • Il trattamento sarà effettuato con

QUALORA UN’INIZIATIVA SI SVOLGA IN UN LUOGO CHE NON SIA NELLA DIRETTA DISPONIBILITÀ DEL PROPONENTE OVVERO PRESUPPONGA UNA COLLABORAZIONE/CONDIVISIONE DA PARTE DI

Un altro aspetto interessante che emerge da questa tabella riassuntiva, pur nelle differenze tra le diverse rilevazioni, è la parte minoritaria di coloro che hanno donato soltanto