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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA FACOLTA’ DI AGRARIA CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN SCIENZE E TECNOLOGIE ANIMALI

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA

FACOLTA’ DI AGRARIA

CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN SCIENZE E TECNOLOGIE ANIMALI

TESI DI LAUREA

USO DELLA TERMOGRAFIA AD INFRAROSSI

PER L’ANALISI DELLA TEMPERATURA

SUPERFICIALE DEL CAPEZZOLO DI BUFALE

SOTTOPOSTE A DIVERSE MODALITA’ DI

MUNGITURA.

RELATORE: Ch. mo Prof. Massimo Morgante CORRELATORE: Dott. Michele Gatto

LAUREANDO: Anna Concollato

MATRICOLA N. 560306/STN

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2

ABSTRACT ... 5

RIASSUNTO ... 7

1.PREMESSA ... 10

2. INTRODUZIONE ... 13

2.1 LO SPETTRO ELETTROMAGNETICO E LA BANDA DELL’INFRAROSSO ... 13

2.2 TEORIA TERMOGRAFICA ... 15

2.2.1 Radiazione del corpo nero... 16

2.2.2 La legge di Plank sull’irraggiamento ... 16

2.2.3 La legge di Wien ... 17

2.2.4.La legge di Stefan-Boltzmann ... 17

2.3 LA TERMOCAMERA... 19

2.3.1 Emissività... 20

2.3.2 Temperatura ambientale riflessa ... 21

2.3.3 Distanza ... 21

2.3.4 Umidità relativa ... 22

2.3.5 Descrizione dello strumento ... 22

2.4 APPLICAZIONI DELLA TECNOLOGIA AD INFRAROSSO ... 23

2.4.1 Applicazioni della termografia nei ruminanti domestici ... 24

2.4.1.1 Piccoli ruminanti ... 24

2.4.1.2 Bovini da carne ... 26

2.4.1.3 Vacca da latte ... 28

2.5 CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DELLA MAMMELLA... 31

2.5.1 Anatomia della mammella ... 31

2.5.2 Il ruolo dell’ossitocina ... 32

2.6 CENNI SULLA PRATICA DELLA MUNGITURA NELLA BUFALA E SULLE PROBLEMATICHE AD ESSA CORRELATE ... 33

2.6.1 Gli impianti e la sala di mungitura ... 33

2.6.2 La mungitura ... 35

2.6.3 Patologie del capezzolo legate al livello di vuoto applicato ... 37

3. MATERIALI E METODI ... 42

3.1 GENERALITA’ AZIENDA ... 43

3.2 PROTOCOLLO DEL LAVORO ... 43

(3)

3

3.2.2 Il software ... 47

3.2.3 Analisi termografica delle immagini ... 51

3.2.4 Analisi dei tempi di mungitura e della quantità di latte prodotto applicando rispettivamente alto e basso vuoto. ... 51

4. RISULTATI E DISCUSSIONI ... 52

4.1 RISULTATI DELL’ANALISI DEL CAPEZZOLO IN TOTO ... 52

4.2 RISULTATI DELL’ANALISI DEL CAPEZZOLO DIVISO NELLE SUE TRE AREE ... 57

5. CONCLUSIONI ... 65

(4)
(5)

5

ABSTRACT

(6)

6

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7

RIASSUNTO

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elaborandole con il programma ThermaCam Researcher Basic 2.8 Software. I risultati degli effetti dei livelli di vuoto sul tessuto del capezzolo mostrano evidenti differenze tra BT e TT, e tra MT e TT in tutte le fasi. Molto più interessante è la differenza di temperatura tra i livelli di HV e LV nel PM e IAM: si può notare un interessante gap tra HV (2,53°C) e LV (1,81°C), indice di un maggior afflusso di sangue che comporta un minore stress per il

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1.PREMESSA

Nel campo della biologia e della medicina veterinaria, l’uso della termografia ad infrarossi è relativamente recente; finora sono stati condotti studi principalmente nella clinica del cavallo sportivo (Bowers et al., 2004; Eddy, 2001; Weil, 1998; Turner, 1991;) e degli animali da reddito (Nikkhah et al., 2005; Berry et al., 2003; Tessier et al., 2003; Tivey e Benhazi 2002; Scott et

al., 2000).

La termografia ad infrarossi, genera immagini relative alla temperatura superficiale del corpo misurata in tempo reale, è veloce, non invasiva ed è considerata un buon strumento diagnostico. L’informazione termica rilevata dallo strumento è un’espressione del metabolismo dei tessuti e della circolazione sanguigna: un incremento o decremento può essere legato a variazioni psicologiche o fisiologiche.

Il funzionamento della termocamera si basa sulla rilevazione senza contatto dell’energia termica emessa dagli oggetti con detector aventi proprietà piroelettriche. Questa energia viene poi convertita attraverso circuiti integrati in un segnale elettronico che viene in seguito elaborato da software specifici al fine di produrre immagini digitali e realizzare calcoli analitici della temperatura attraverso il computer.

La visualizzazione delle immagini ad infrarosso, immagini termiche o radiazioni di calore, viene fatta utilizzando diverse colorazioni in scala per mettere in evidenza i punti caldi, quelli freddi e le differenze di calore esistenti tra le varie parti della superficie esaminata. Si ottiene così una rappresentazione termica del gradiente termico tra zone diverse del corpo e un modello di distribuzione termica dell’oggetto.

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infrarossi. Si è dunque indagato sul rapporto tra parametri di mungitura e benessere degli animali in lattazione, più rispettosi della fisiologia di tale specie da latte e, quindi, in linea con i recenti orientamenti normativi che pongono in primo piano il benessere in allevamento.

Prima di entrare nel dettaglio su come si è svolta la sperimentazione, verranno riportati alcuni aspetti generali relativi alla teoria termografica, alle caratteristiche della termocamera, alle sue varie applicazioni per finire con la descrizione della pratica della mungitura e delle problematiche ad essa correlate.

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2. INTRODUZIONE

2.1 LO SPETTRO ELETTROMAGNETICO E LA BANDA

DELL’INFRAROSSO

La radiazione elettromagnetica è un mezzo di trasmissione dell’energia sotto forma di onde aventi entrambe le componenti, elettrica e magnetica. La sequenza ordinata dei raggi secondo i valori di lunghezza d’onda e frequenza è chiamata “spettro elettromagnetico” (Figura 1). Lo spettro è arbitrariamente suddiviso in intervalli di questi due parametri. Frequenza e lunghezza d’onda sono perciò le sole differenze tra i vari tipi di radiazione, dal momento che sono tutte governate dalle stesse leggi. Le varie regioni dello spettro si raccordano tra loro con continuità ed è praticamente impossibile circoscrivere in modo assoluto i limiti di ciascuna porzione.

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Figura 1. Spettro elettromagnetico. Fonte: [http://tes.asu.edu].

I raggi infrarosso sono percepiti come calore e questo è l’aspetto comune più facilmente rilevabile che li caratterizza, poiché originano dall’emissione di energia che deriva dagli urti tra le molecole che compongono la materia conseguenti alla loro agitazione termica.

Tutti i corpi aventi una temperatura sopra lo zero assoluto (-273,16°C) emettono infrarossi che aumentano al crescere della temperatura dell’oggetto per la maggior energia termica da esso irradiata.

La banda dell’infrarosso può essere ulteriormente suddivisa in quattro sottoregioni: infrarosso vicino (0,75-3 m), infrarosso medio (3-6 m), infrarosso lontano (6-15m ), infrarosso estremo (15-100 m).

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2.2 TEORIA TERMOGRAFICA

Per termografia si intende l’utilizzo di una telecamera ad infrarossi, o termocamera, per visualizzare e misurare a distanza l’energia termica irradiata da un oggetto, partendo dal rilevamento dell’intensità della radiazione infrarossa emessa, al fine di conoscere la temperatura superficiale e la sua distribuzione sull’oggetto, tramite la formazione di un immagine termica. Le modalità di trasmissione del calore sono essenzialmente tre: conduzione, convezione ed irraggiamento.

La prima avviene nel caso di corpi messi direttamente a contatto, la seconda è tipica dei fluidi o gas in movimento, la terza avviene indipendentemente dalla presenza di un mezzo: infatti non è altro che una forma di trasmissione delle onde elettromagnetiche (Flir Sistem, 2003).

Esistono due tipi di termografia: quella “a contatto” e quella “non a contatto”. La prima tecnica non è altro che una modalità di rilevamento della temperatura di un oggetto nella quale la trasmissione di calore al dispositivo di misura avviene prevalentemente per conduzione, con il vantaggio di consentire, attraverso l’inserimento del dispositivo, misurazioni all’interno del corpo in esame. Ad esempio un comune termometro a mercurio, funziona per contatto.

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2.2.1 Radiazione del corpo nero

Il corpo nero ideale ha un potere assorbente uguale a 1, cioè ha la capacità di assorbire tutta l’energia raggiante che incide dall’esterno su di esso, senza rifletterne o trasmetterne alcuna parte. Per corpo nero si intende quindi un oggetto con la capacità di assorbire tutte le radiazioni che lo colpiscono ad una lunghezza d’onda qualsiasi, ma che secondo la legge di Kirchhoff è ugualmente in grado di emettere radiazioni. Infatti, se viene riscaldato ad una temperatura uniforme, genera la cosiddetta radiazione del corpo nero le cui caratteristiche dipendono unicamente dalla temperatura raggiunta.

La costruzione di corpi neri reali, rappresentati da un’apertura di una cavità isotermica fatta di un materiale opaco assorbente, viene perciò usata in laboratorio come sorgente di radiazione di riferimento alle diverse temperature per le calibrazioni e le tarature delle macchine termografiche.

2.2.2 La legge di Plank sull’irraggiamento

Definisce l’emittanza energetica spettrale (W) della radiazione emessa dal corpo nero ad ogni lunghezza d’onda (e per una data temperatura (T), fornendo una descrizione della distribuzione spettrale dell’energia termica irradiata.

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Figura 2. Rappresentazione grafica della legge di Plank. Asse delle X: Lunghezza d’onda).

Asse delle Y: W (Emittanza spettrale). Fonte: [Flir 2004].

d’onda elevate. Si nota poi che per temperature maggiori l’emittanza è più alta e la lunghezza d’onda alla quale si raggiunge il massimo è minore (Figura 2).

2.2.3 La legge di Wien

Ricavata derivando la formula precedente, esprime il valore della lunghezza d’onda (max) della radiazione infrarosso alla quale si ha il picco di emittanza spettrale per una certa temperatura del corpo nero (T).

2.2.4.La legge di Stefan-Boltzmann

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è ottenuta integrando la legge di Plank per  da zero a infinito e fornisce una correlazione tra quantità totale di energia emessa da un corpo nero (W) e la sua temperatura (T).

Tuttavia i corpi reali, di cui andiamo a misurare l’irraggiamento termico, non rispettano quasi mai le leggi sopra illustrate per un lungo intervallo di lunghezza d’onda. Infatti sulla loro superficie si possono verificare processi di parziale assorbimento, riflessione e trasmissione della radiazione incidente che impediscono agli oggetti reali di comportarsi come un corpo nero.

Per il principio di conservazione dell’energia, dalla somma dei coefficienti di assorbimento (, riflessione ( e trasmissione (, dati ognuno dal rapporto tra il flusso energetico spettrale rispettivamente assorbito, riflesso o trasmesso dall’oggetto e quello incidente per qualsiasi lunghezza d’onda, si ottiene una relazione che è uguale a 1 e che corrisponde così all’intera radiazione incidente: 

Essendo poi i materiali, abitualmente interessati dalla termografia, opachi e quindi non trasparenti all’infrarosso, nella precedente uguaglianza si può trascurare il coefficiente di trasmissione che risulta, in questi casi, uguale a zero, semplificando la relazione: 

Poiché nessuna superficie reale emette quanto un corpo nero a pari temperatura, viene definito un altro fattore, chiamato “emissività” (, dato dal rapporto tra emittanza o flusso energetico spettrale emesso dall’oggetto e quello emesso dal corpo nero alla stessa temperatura e lunghezza d’onda. Un corpo di questo tipo viene detto “corpo grigio”.

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aggiungere che per i materiali particolarmente riflettenti entra in gioco solo il coefficiente di riflessione che risulterà quindi uguale a 1.

Per ottenere una relazione che rappresenti correttamente la radiazione di un corpo reale è necessario quindi modificare le prime formule che si riferivano ad un oggetto ideale inserendo un coefficiente che tenga conto dei fattori considerati, per poter dimostrare che il suo potere emissivo è identico a quello di un corpo nero alla stessa temperatura ridotta in proporzione per il valore del fattore di emissività secondo la formula di Stefan-Boltzmann

adattata: .

In questo modo, dal momento che l’emissività consente di descrivere la frazione dell’emittanza radiante del corpo nero prodotta da un oggetto con uguale temperatura, conoscere il valore di del corpo grigio in esame permette di ricavare la sua temperatura a partire dalla radiazione termica che emette.

2.3 LA TERMOCAMERA

Il funzionamento della termocamera si basa sulla rilevazione senza contatto dell’energia termica emessa dagli oggetti con detector aventi proprietà piroelettriche. Questa energia viene convertita attraverso circuiti integrati in un segnale elettronico che viene in seguito elaborato da software specifici al fine di produrre immagini digitali e realizzare calcoli analitici della temperatura attraverso il computer.

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mettere in evidenza i punti caldi, quelli freddi e le differenze di calore esistenti tra le varie parti della superficie esaminata. Si ottiene cosi una rappresentazione del gradiente termico tra zone diverse del corpo e un modello di distribuzione termica dell’oggetto.

La radiazione infrarosso, può essere emessa, assorbita, riflessa e trasmessa. Così la termocamera non rileva soltanto la radiazione dovuta alla temperatura dell’oggetto, ma anche quella che origina dalle zone circostanti e viene riflessa dall’oggetto stesso.

Entrambe queste radiazioni variano anche in base all’assorbimento atmosferico e il valore della misurazione può essere influenzato anche dalla temperatura ambientale.

Per una rilevazione precisa della temperatura superficiale dell’oggetto è quindi opportuno considerare tali fenomeni ed è possibile inserendo dei parametri che permettono di tenere conto delle caratteristiche dei vari corpi e delle situazioni ambientali in cui si opera, in modo da correggere i fattori di disturbo della misurazione sopra ricordati.

Tali parametri sono: l’emissività dell’oggetto, la temperatura riflessa, la temperatura atmosferica, la distanza tra oggetto e termocamera e l’umidità relativa.

2.3.1 Emissività

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niente. Per valori compresi tra 0 e 1 si è invece nella situazione del corpo grigio dove parte della radiazione incidente viene assorbita e parte riflessa. Il coefficiente di emissività dipende dal materiale, dallo stato della superficie, dalla temperatura e dalla lunghezza d’onda ed è solitamente calcolato per i vari materiali in diverse condizioni. Questi valori sono riportati nei manuali corredati alla strumentazione, ma per ottenere risultati migliori, spesso i rilevatori termografici prevedono un sistema di correzione che tiene conto del reale coefficiente di emissività che può essere misurato direttamente sul corpo in esame, ad esempio tramite termometria di contatto, o con l’impiego di una termocoppia oppure utilizzando materiali di riferimento di cui si conosce già il valore di emissività.

2.3.2 Temperatura ambientale riflessa

E’ il parametro che permette di bilanciare la radiazione riflessa dall’oggetto e quella emessa dall’atmosfera tra la termocamera e l’oggetto stesso. E’ importante soprattutto impostarla quando l’emissività è bassa, la distanza molto elevata e la temperatura del corpo simile a quella dell’ambiente.

2.3.3 Distanza

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2.3.4 Umidità relativa

Viene impostata per ovviare al fatto che la trasmittanza dipende in certa misura anche da questo parametro. Tuttavia per brevi distanze e valori di umidità normali si può utilizzare il valore predefinito pari al 50%.

2.3.5 Descrizione dello strumento

La termocamera utilizzata nelle esperienze è il modello ThermaCAM P25 della FLIR Systems.

Le immagini ad infrarosso sono memorizzate dallo strumento in formato JPEG standard su scheda Flash estraibile da 128 Mb e, tramite collegamento USB o inserimento della scheda di memoria nella porta del PC, le immagini sono successivamente trasferite su computer grazie al software ThermaCAM QuickView e analizzate con il programma ThermaCAM Reporter 7.0, basato su Microsoft Word.

Caratteristiche tecniche dello strumento: -Campo di vista: 24°x 18°

-Distanza minima di messa a fuoco: 0,3 m -Risoluzione spaziale: 1,3 mrad

-Detector FPA microbolometrico non raffreddato di IV generazione -Sensibilità termica a 50,60 Hz: 0,08°C a 30°C

-Campo spettrale: da 7,5 a 13 m

-Intervallo di misura della temperatura: da -40°C a +500°C -Risoluzione delle immagini: 320x240 pixel

-Frequenza di acquisizione immagine: 50 Hz -Digitalizzazione immagini: 14 bit

-Funzioni di misura: puntatore

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-Commento vocale: 30 secondi per ogni immagine -Controllo remoto: RS 232

-Uscite Video: PAL e S-Video

-Indicatore mostra lo stato della batteria, del supporto per il salvataggio e dello stato del sistema.

-Visore monoculare a colori

-Alimentazione: 2 batterie Li-Ion ricaricabili, autonomia 2 ore di funzionamento continuato.

-Caricamento nella termocamera o su supporto esterno con due vani.

2.4 APPLICAZIONI DELLA TECNOLOGIA AD INFRAROSSO

Le limitazioni tecnologiche delle apparecchiature disponibili in passato non hanno sempre permesso un’ampia applicazione in campo pratico della termografia ad infrarosso (IRT) e molte volte gli studi di questa tecnica sono stati trascurati per gli scarsi risultati ottenuti.

Eventuali dubbi sull’attendibilità delle informazioni ricavate con la termocamera possono sorgere sulla base delle interferenze che potrebbero essere create per esempio da fattori ambientali, dalle differenze fisiologiche tra i soggetti esaminati o da altre variabili, tra l’altro non sempre facilmente individuabili ed eliminabili. Tali osservazioni farebbero considerare la termografia un sistema d’indagine in grado di fornire dati poco ripetibili nelle diverse situazioni e quindi la renderebbero scarsamente applicabile nella pratica clinica e nella ricerca, perché incapace di fornire una misura oggettiva, come invece questa dovrebbe essere per definizione.

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di utilizzo pratico e negli studi scientifici con conseguente diffusione della termografia nei vari settori.

Le telecamere ad infrarossi attualmente sul mercato sono in grado di produrre immagini ad elevatissima risoluzione, in tempo reale e possono individuare anche piccole differenze di temperatura in un ampio range. Ciò consente di scattare immagini termografiche nitide anche di oggetti molto piccoli, molto grandi o in movimento. Si possono poi riprendere filmati e salvare fotogrammi, per eseguire analisi dettagliate e complete di eventi dinamici. Passi in avanti sono stati fatti anche nei software di supporto; infatti, confrontare visivamente immagini termiche può essere difficile perché a volte si tratta di cambiamenti di temperatura minimi, che è impossibile individuare a occhio nudo; sono state così rese disponibili funzioni che permettono di analizzare le immagini termografiche mostrando le differenze e consentendo di elaborare modelli statistici più accurati.

Tra i vantaggi dell’utilizzo della termografia c’è la mancanza di contatto che permette di mantenere lontano l’operatore da eventuali rischi e la rende una tecnica non invasiva evitando interferenze sull’oggetto, come possibili effetti meccanici sulla superficie. Il suo impiego riduce inoltre la necessità di manipolazione, rendendola utile per ricavare informazioni da oggetti difficili da raggiungere, non avvicinabili o in movimento. La rapidità di cattura dell’immagine nell’ordine dei millisecondi facilità poi la misurazione in situazioni dinamiche.

2.4.1 Applicazioni della termografia nei ruminanti domestici

2.4.1.1 Piccoli ruminanti

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ad un particolare stato fisiologico dell’animale. Ciò permetterebbe una futura applicazione dello strumento, ad esempio nella diagnosi a distanza, non invasiva della gravidanza e anche nella rilevazione di gestazioni multiple. Le misurazioni termografiche sono state eseguite a livello della testa, del dorso, della groppa e del perineo. Le regioni del dorso e della groppa si sono rivelate non appropriate per questo tipo di indagine. Infatti in queste zone il vello non era della stessa lunghezza e densità per tutti gli animali e sebbene ci si fosse preoccupati di separare ed abbassare il pelo, le differenze di temperatura erano presumibilmente molto più influenzate da questo elemento di disturbo o dalla modalità di allargamento del vello per mettere in evidenza la cute, che da fattori interni dell’animale legati al suo stato fisiologico. Sono state effettuate scansioni nella regione perineale di alcune pecore e capre e con il software è stata calcolata la temperatura media di un’area selezionata a livello della vulva. Sarebbe interessante indagare le possibili correlazioni tra la temperatura a questo livello e la fase del ciclo riproduttivo per verificare la capacità dello strumento nel rilevare i calori. Infatti lo strumento potrebbe essere utile per mettere in evidenza i primi segni dell’estro rilevando precocemente un ingrossamento dei tessuti attorno alla vulva per l’aumentato flusso sanguigno e l’edema; per migliorare la capacità di individuare il momento adatto per l’inseminazione e per valutare la sincronizzazione degli estri. Tuttavia per questo scopo sarebbe meglio disporre di un software superiore a quello usato, che, invece di selezionare sull’immagine termografica un’area rettangolare squadrata, permetta di considerare il profilo reale della regione anatomica da studiare in modo da ottenere valori della temperatura media relativi solo alla parte che interessa, tralasciando le zone circostanti che potrebbero alterare i risultati.

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immagini ad infrarosso della regione mammaria potrebbe essere utile anche per rilevare precocemente uno stato infiammatorio e le mastiti subcliniche. Le immagini ad infrarosso delle teste potrebbero essere utili per evidenziare precocemente lesioni localizzate a questo livello come avviene per esempio per la blue tongue. Inoltre le rilevazioni termografiche potrebbero essere associate a risultati di studi sperimentali sul comportamento animale per osservare la possibilità di utilizzo di questo strumento per indagare temi di psicologia animale, come ad esempio la lateralizzazione cerebrale.

Nelle pecore c’è da puntualizzare, in fine che la presenza del vello impedisce l’effettuazione di termogrammi di alcune regioni senza aver effettuato

precedentemente una adeguata tricotomia (Morgante et al, 2006).

2.4.1.2 Bovini da carne

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temperature oculari, misurati con la termocamera, erano maggiori e più precoci di quelli in altre zone del corpo (come naso, orecchio e tronco) e che c’erano alterazioni importanti della temperatura degli occhi da alcuni giorni fino ad una settimana prima della manifestazione di altri segni dell’infezione, clinici o sierici, come l’innalzamento della proteina della fase acuta.

In tali situazioni sarebbe possibile utilizzare la termografia ad infrarosso per il rilevamento non invasivo dei primi stadi di malattia negli animali da reddito e nello studio citato gli autori provarono un tipo di strategia, incorporando una stazione di rilevamento infrarosso nella zona di abbeverata, dal momento che gli animali visitano questa area con frequenza regolare. La stazione di rilevamento era affiancata da un sistema elettronico di riconoscimento per identificare automaticamente l’animale che si presentava all’abbeveratoio e per ottenere una sua immagine infrarosso della regione dell’occhio. Dagli indici di previsione, questo rappresenta un sistema in grado di indicare al responsabile dell’impianto se un animale sta mostrando segni precoci di malattia e se perciò necessita di cure mediche.

Lo stesso Schaefer et al., in un recente studio del 2006 trovarono che la termografia era in grado di rilevare segni di malattia respiratoria bovina (BRD) prima dei sistemi clinici convenzionali anche in un modello ad induzione spontanea.

Spire et al., (1999) usarono la tecnologia ad infrarosso per diagnosticare l’infiammazione causata da impianti auricolari di promotore della crescita contaminati, misurando differenze consistenti di temperatura e osservando le diverse immagini che provenivano dalle scansioni degli orecchi di questi animali, rispetto a quelli con impianti puliti o ai controlli senza impianto che apparivano più freddi.

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temperatura della superficie scrotale in 73 tori da carne. Si trovò che gli animali che presentavano quadri termografici anormali avevano un seme con alte percentuali di spermatozoi con vacuoli prossimali e basse percentuali con morfologia della testa e della coda normali rispetto a quelli con termogrammi accettabili. Inoltre tra i tori con dimensioni testicolari e qualità del seme normali, quelli con un quadro termografico anormale mostravano una ridotta capacità di fecondazione durante gli accoppiamenti naturali.

2.4.1.3 Vacca da latte

Nella vacca da latte gli usi della termografia ad infrarossi finora utilizzati includono il rilevamento precoce dell’estro (Hurnik et al., 1985), delle mastiti (Scott et al., 2000; Berry et al., 2003) e delle zoppie (Nikkhah et al., 2005). Hurnik et al., (1985) trovarono che l’area racchiusa dall’isoterma di 37°C sulla regione del gluteo della vacca tendeva ad allargarsi in corrispondenza dell’estro e che tale aumento diventava statisticamente significativo al terzo estro dopo il parto. Durante i primi 50 giorni del

postpartum le osservazioni termografiche comparate con la precisione della

rilevazione dell’allevatore accrescevano l’identificazione dell’estro; tuttavia l’utilizzo della tecnologia ad infrarosso era ostacolato dai falsi positivi (33% intorno al terzo estro dopo il parto) e dall’incapacità di rilevazione per alcune vacche (7%), così al momento attuale l’applicazione di routine della termografia per l’identificazione degli estri negli allevamenti di vacche da latte è limitata.

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maggiori per il benessere e dal punto di vista economico nell’allevamento della vacca da latte. Attualmente, il metodo standard utilizzato per rilevare le mastiti nelle lattifere è la conta delle cellule somatiche (SCC), tuttavia, le alterazioni rilevabili con questo metodo sono evidenziate in ritardo nello sviluppo di un’infezione mammaria oppure non identificano tutti i tipi di infezione, come quelle subcliniche, o come quelle che impiegano un po’ di tempo per mostrare i segni clinici. Per di più, anche i sintomi clinici generali, come le variazioni della temperatura interna o rettale, si sviluppano in ritardo nel corso dell’infiammazione. Un segno affidabile di risposta infiammatoria è l’aumento frequente della temperatura nella stessa area infiammata, perciò, un metodo alternativo per l’identificazione precoce delle mastiti potrebbe essere la misurazione dell’energia termica infrarossa irradiata dalla ghiandola mammaria, dal momento che questa rappresenta il sito dell’infezione.

Usando il modello di mastite “endotossina indotta”, Scott et al., (2000), trovarono che l’infiammazione poteva essere diagnosticata mediante le differenze di temperatura, usando la termografia più precocemente di quanto si potesse fare sia usando la conta delle cellule somatiche, sia l’albumina sierica bovina (BSA). La concentrazione di BSA raggiungeva il picco 6 ore dopo l’induzione, mentre gli aumenti di temperatura rilevati con la termografia erano evidenti entro un’ora dall’induzione della mastite.

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Un’altra ingente perdita economica nell’allevamento della vacca da latte è rappresentata dalle zoppie. Nikkhah et al., (2005) esaminarono ed eseguirono la termografia degli unghioni di 16 Holstein per rilevare patologie delle parti distali degli arti. Misurarono le temperature del cercine coronario, di una zona di controllo cutanea prossimale rispetto a questo e calcolarono la differenza () tra i due valori, eseguendo le rilevazioni in due diversi stadi di lattazione per vedere se ci fossero effetti o correlazioni tra le temperature registrate e le anormalità osservabili sul piede. Si notò che la temperatura del cercine coronario e il T erano più alti nelle vacche in lattazione da meno di 200 giorni rispetto a quelle in tarda lattazione, inoltre il era maggiore nell’unghione laterale rispetto al mediale.

Secondo gli autori tale aumento di temperatura, misurato sugli unghioni laterali, poteva dipendere dalla maggior frequenza di emorragie della suola da questa parte del piede, verificatasi nel corso del loro studio. Forse un ruolo determinante sull’aumento di temperatura registrato è stato svolto dalla gravità delle lesioni, che è stata tre volte maggiore nell’unghione laterale; un’altra ipotesi è che, essendo l’unghia laterale più sottile ed il peso del corpo maggiormente distribuito da questa parte, la crescita più rapida dell’unghione laterale determinava un rapido turnover tissutale con aumentato flusso ematico e di nutrienti.

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Poiché le temperature più alte dello zoccolo si rilevarono nelle vacche sotto i 200 giorni di lattazione, tra le quali erano più frequenti le emorragie della suola che indicano infiammazione, la misurazione della temperatura dello zoccolo tra le vacche ad inizio lattazione potrebbe essere utile per monitorare la salute del piede al fine di rilevarne un’infiammazione.

Tuttavia, sono necessarie ulteriori informazioni sulla relazione che esiste tra le osservazioni termografiche e le anormalità degli unghioni, oltre che un’ ulteriore quantificazione dei fattori indipendenti dalle patologie incidenti sulla temperatura del piede, prima che la termografia ad infrarosso possa essere raccomandata per l’ uso in allevamento.

Altri studi hanno utilizzato la termografia ad infrarosso per valutare l’infiammazione attribuibile alla marchiatura con il ferro incandescente ed a freddo (Schwartzkopf-Genswein e Stookey, 1997).

2.5 CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DELLA MAMMELLA

2.5.1 Anatomia della mammella

L’apparato mammario della vacca da latte è costituito da quattro strutture ghiandolari, ciascuna terminante con un capezzolo. Le ghiandole sono formate da complesse ramificazioni di alveoli, costituiti da cellule secernenti avvolte da cellule mioepiteliali (o a canestro) che, contraendosi in seguito al riflesso di eiezione lattea, permettono al latte di defluire dai corti dotti alveolari ai più grandi dotti galattofori, fino a raggiungere la cisterna del latte per poi incanalarsi in essa e infine nel canale del capezzolo.

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prodotto, mentre nella pecora la percentuale varia da un 50% delle razze ad attitudine lattifera a un 30% delle razze da carne. Per quanto riguarda la bufala, invece, il 95% del latte viene stoccato negli alveoli, in attesa del riflesso mediato dall’ossitocina (L’informatore Agrario, 2006).

2.5.2 Il ruolo dell’ossitocina

Il principale responsabile del riflesso dell’eiezione lattea è l’ossitocina, prodotta nell’ipotalamo a livello del sistema nervoso centrale. In conseguenza dell’eccitazione di appositi recettori che si trovano nel capezzolo, si diparte un impulso nervoso che raggiunge l’ipotalamo e fa sì che l’ossitocina venga rilasciata nel circolo sanguigno per raggiungere in circa un minuto la mammella dove si lega a specifici recettori delle cellule mioepiteliali causandone la contrazione e quindi la fuoriuscita del latte (L’informatore Agrario, 2006).

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Figura 3. Il riflesso neuroendocrino che porta all’eiezione del latte (L’informatore Agrario, 2006).

2.6 CENNI SULLA PRATICA DELLA MUNGITURA NELLA BUFALA E SULLE PROBLEMATICHE AD ESSA CORRELATE

2.6.1 Gli impianti e la sala di mungitura

Generalmente la mungitura viene fatta due volte al giorno, talvolta tre. Esistono diversi tipi di impianti di mungitura: a spina di pesce, a tandem,

circolari. Ognuno di essi ha caratteristiche diverse: il primo, che è anche il più

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Le sale con impianti a tandem, devono avere un corridoio laterale di scorrimento-smistamento, dal momento che le bufale, disposte in linea una dietro l’altra durante la mungitura, possono uscire dalla posta appena cessata l’emissione del latte e lasciarla libera per una compagna ancora da mungere. In tal modo quelle “lunghe da mungere” non creano problemi di attesa per le altre. Negli impianti ben meccanizzati ad ogni operatore possono essere assegnati 6 gruppi di mungitura, con una performance oraria di 40 capi/uomo, contro i normali 18-20.

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2.6.2 La mungitura

La mungitura, per le sue ripercussioni sull’economia aziendale, sullo stato sanitario delle bufale e sulle caratteristiche qualitative del latte, costituisce un’operazione che necessita di particolare attenzione sia nell’organizzazione che nell’attuazione pratica. Dal punto di vista economico è da rilevare, infatti, che nell’allevamento delle bufale da latte la mungitura è l’operazione che richiede il più elevato impiego di manodopera e la disponibilità di impianti tecnologicamente evoluti. Inoltre tale operazione, se non viene effettuata correttamente, può procurare microlesioni all’interno dei dotti capezzolari con la conseguente insorgenza di patologie (mastiti) e l’ottenimento di un latte con cariche batteriche negative per qualità e quantità (Bittante G. et al., 1997). Il principio di funzionamento della macchina mungitrice si basa sull’applicazione di un vuoto parziale al capezzolo che consente di aprire il canale capezzolare e di estrarre il latte dalla mammella. Ciò rappresenta indubbiamente la principale causa diretta di stress per l’animale e dell’insorgenza di patologie a carico dell’apparato mammario. L’effetto viene limitato utilizzando un vuoto pulsante che permette di ripristinare la circolazione sanguigna e linfatica nei tessuti mammari. I livelli di vuoto operativo comunemente utilizzati durante le operazioni di mungitura variano soprattutto in funzione della specie animale e della tipologia di impianto, situandosi più frequentemente su valori compresi fra 35 e 45kPa.

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latte”, anch’esso azionato dalla pompa. Il numero ottimale di pulsazioni è di 50-60 al minuto. Gli impianti più moderni sono inoltre provvisti di dispositivi di distacco automatico dei gruppi portacapezzoli allo svuotamento della mammella, per evitare pericoli di lesioni all’organo qualora la mungitura non possa essere adeguatamente sorvegliata e si prolunghi eccessivamente. Per evitare di danneggiare il capezzolo si devono perciò considerare la pressione del vuoto, la frequenza del pulsatore, le caratteristiche e l’integrità delle guaine sono anch’esse molto importanti a questo riguardo e vanno regolarmente controllate (Bittante G. et al., 1997).

Da ciò che viene riportato nella rivista “L’informatore Agrario, 2006” e nel bollettino interno redatto da “Ufficio Qualità del Gruppo Grifo Latte” i principi su cui impostare una corretta routine di mungitura sono i seguenti: • le bufale devono essere calme prima dell’inizio della mungitura;

• l’ordine di mungitura non è casuale, ma deriva dallo stato sanitario (in un allevamento con problemi di mastiti da patogeni contagiosi occorre dividere gli animali in tre gruppi e mungere prima il gruppo sano, quindi il gruppo intermedio e infine il gruppo infetto);

• l’eliminazione dei primi getti dai capezzoli ben puliti e asciutti: va effettuata subito dopo la pulizia del capezzolo, ma è sottovalutata in molte aziende; in realtà risulta fondamentale per l’identificazione tempestiva ed efficace degli animali affetti da mastite. L’operatore deve eliminare i primi getti sul pavimento, valutando l’eventuale presenza di frustoli di fibrina, precoci spie dell’insorgenza di un processo infiammatorio. Inoltre il latte presente in cisterna è la frazione che contiene la più elevata concentrazione di batteri, dunque è ragionevolmente conveniente eliminarlo;

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• la rimozione corretta dei gruppi alla fine della mungitura: deve avvenire nel momento appropriato, scongiurando così il pericolo della sovra mungitura; • la disinfezione post-mungitura: questo momento è fondamentale in un’ottica di prevenzione delle infezioni mammarie, l’apposizione di un disinfettante adeguato sull’intera superficie del capezzolo è il metodo più efficiente per abbattere la carica batterica sulla sua cute e ridurre l’entrata di patogeni in mammella attraverso l’orifizio che rimane aperto per almeno mezz’ora dopo la mungitura. Questo lasso di tempo è una vera occasione per i batteri ambientali di superare con successo le difese aspecifiche mammarie e causare l’insorgenza di un processo infiammatorio.

2.6.3 Patologie del capezzolo legate al livello di vuoto applicato

Un corretto funzionamento dell’impianto di mungitura è essenziale sia per il benessere della bufala che per ottimizzare la produttività e mantenere una mammella sana. Un impianto di mungitura che non funziona correttamente può fisicamente causare lesioni a livello del capezzolo, le quali compromettono, in seconda battuta, tutta la funzionalità della mammella. I difetti che si riscontrano più spesso nel funzionamento di queste macchine sono:

- errata regolazione del sistema di pulsazione; - cattivo funzionamento della linea del vuoto.

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Figura 4: Schema che riassume gli eventi che portano allo sviluppo di un’infezione Mammaria (Quaderni della Ricerca, 2004).

In conseguenza di elevati livelli di vuoto sono state evidenziate la congestione delle pareti del capezzolo, la formazione di edemi a causa della dilatazione dei capillari sanguigni (Hamann, 1993) e un maggior numero di sfinteri capezzolari aperti dopo la mungitura (Rein emann et al., 2001). Un’elevata ipercheratosi all’apice del capezzolo (Rasmussen et al., 1994), è stata rilevata in risposta alla tensione meccanica operata dalla mungitrice, che può essere interpretata come una normale reazione fisiologica del tessuto per aumentare l’efficienza dello strato di cheratina del dotto del capezzolo e quindi prevenire la penetrazione di agenti patogeni.

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condizioni dello sfintere. Tale tempo è influenzato principalmente dalla preparazione della mammella (pre-mungitura) e dal limite che viene posto per l’attivazione dello stacco automatico del gruppo di mungitura. L’ipercheratosi dell’apice del capezzolo può essere esacerbata dai disinfettanti, che causano irritazione chimica alla cute, e migliorata dall’uso di disinfettanti con un’alta concentrazione di emollienti (Quaderni della Ricerca, 2004).

Figura 5. Alterazioni dello sfintere del capezzolo pre- o post- mungitura.

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3. MATERIALI E METODI

L’indagine si è inquadrata in un progetto più ampio svolto dal dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie di Padova. L’obiettivo di questa ricerca è stato quello di valutare l’influenza dei diversi livelli di alto e basso vuoto sui cambiamenti di temperatura del capezzolo nella bufala, prima, durante e dopo il processo di mungitura, attraverso la termografia ad infrarossi.

3.1 GENERALITA’ AZIENDA

La ricerca si è svolta presso l’“Azienda Agricola Circe Società Semplice” situata a Pontinia in provincia di Latina. Si tratta di un’Azienda che alleva circa 1200 bufale in stabulazione libera, alimentate con la tecnica dell’unifeed (distribuito due volte al giorno rispettivamente alle 9.00 del mattino e alle 17.00 del pomeriggio), di cui 390 sono in lattazione e munte due volte al giorno: alle 6.00 del mattino e alle 16.30 del pomeriggio.

3.2 PROTOCOLLO DEL LAVORO

All’interno della mandria sono stati considerati due gruppi di 14 bufale, le quali venivano munte a 42kPa e dopo tre settimane di adattamento a livelli di vuoto progressivamente più bassi, erano munte a 36kPa, usando gli stessi parametri di pulsazione. I test erano eseguiti in una sala con 28+28 poste disposte in parallelo, con un modesto sistema di mungitura dotato di gruppi leggeri (1,78kg), rimotori automatici dei gruppi ed un sistema elettronico di conduzione del bestiame.

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Le immagini termografiche (Flir Sistem, ThermaCam P25) dell’area posteriore della mammella e dei capezzoli erano catturate prima della mungitura (PM), durante la mungitura (M), immediatamente dopo la mungitura (IAM) e fino a 5 minuti dopo la mungitura (AM+).

3.2.1 Eseguire una termografia

L’utilizzo pratico della termocamera è abbastanza intuitivo e le funzioni, alle quali si accede facilmente grazie al joystick e ai pulsanti posti sul corpo dello strumento, la rendono all’apparenza simile ad una macchina fotografica digitale.

Tuttavia questa è solo la prima impressione e incominciando ad utilizzare la termocamera ci si rende conto che non è sufficiente “scattare una foto” per sfruttare a pieno le funzionalità della macchina.

Infatti, prima di eseguire la raccolta dell’immagine lo strumento deve essere tarato affinché la temperatura superficiale misurata sull’oggetto studiato sia reale e vengano meno i fattori di disturbo derivanti dall’ambiente e dalle caratteristiche della struttura esaminata.

L’operazione preparatoria è importante perché permette di focalizzare al meglio l’attenzione sull’area di maggior interesse in modo da permettere la rilevazione di differenze della temperatura superficiale minime dovute a fattori interni all’oggetto e quindi di interesse diagnostico clinico.

Per impostare lo strumento si sceglie dal menù delle funzioni la voce “Analisi” e dal sottomenù si entra nella regolazione dei “Parametri oggetto” che permette di impostare i valori dei seguenti parametri:

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2. “Temperatura ambientale riflessa”: per bilanciare la radiazione riflessa sull’oggetto e quella emessa dall’atmosfera tra la termocamera e l’oggetto stesso;

3. “Distanza”: per bilanciare l’assorbimento della radiazione tra l’oggetto e la termocamera dovuto alla “trasmittanza”, che diminuisce all’aumentare della distanza. Si deve tener conto infatti della presenza di un mezzo tra l’oggetto e lo strumento, rappresentato dai gas dell’atmosfera terrestre che hanno anch’essi proprietà termiche e sono importanti da considerare per evitare eccessive attenuazioni della radiazione emessa dal corpo;

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simpatico, l’arrivo in un ambiente a temperatura diversa rispetto a quello dell’esame, la rimozione di coperte o bendaggi, le differenze stagionali della lunghezza del pelo e le tosature. Così, affinché la scansione sia efficace, è essenziale la verifica delle condizioni ambientali in cui è condotta la misurazione.

Le scansioni andrebbero compiute in un ambiente a temperatura controllata, a circa 20°, o in ogni caso non superiore ai 30°, con luce attenuata e non sotto i raggi diretti del sole per evitare erronei riscaldamenti della cute, in assenza di correnti d’aria e attendendo circa 20 minuti in modo che avvenga l’acclimatazione all’ambiente dell’esame termografico.

L’animale deve essere correttamente immobilizzato, non strigliato né spazzolato almeno da almeno due ore prima della misurazione, con il pelo di lunghezza regolare, deve avere il mantello pulito e asciutto, senza pomate, loro residui o altri materiali estranei. Lo sporco sull’animale altera l’emissività e la conducibilità e l’eccesso di umidità aumenta la perdita locale di calore verso l’ambiente o verso zone più secche del mantello (Palmer 1981, Turner, 1991).

Altri accorgimenti da tenere, soprattutto per quel che riguarda il cavallo sportivo, sono la sospensione nelle 24 ore precedenti l’esame dell’esecuzione di massaggi e dell’agopuntura in tutta la settimana precedente. Qualsiasi attività fisica o trattamento sedativo sono da evitare, in quanto influenzerebbero il flusso ematico in generale e in particolare la perfusione sanguigna cutanea.

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Inserendo la scheda Flash nel PC è possibile scaricare sul computer le immagini memorizzate nella termocamera per poterle successivamente analizzare con il software per lo studio termografico.

3.2.2 Il software

Il programma ThermaCAM Researcher Basic 2.8 SR-1 rappresenta il software di base per analizzare le immagini termografiche.

Un termogramma è l’immagine dell’energia termica irradiata da un oggetto e della sua distribuzione su di esso. In questa rappresentazione visiva delle temperature i gradienti termici vengono mostrati utilizzando diverse colorazioni ed ogni tonalità corrisponde ad una determinata emissione di calore. Così i punti rappresentati dai colori posti più in alto sulla scala dei valori a lato dell’immagine corrispondono alle zone più calde. Al contrario ai punti il cui colore compare più in basso su questa scala corrispondono le temperature più fredde (figura 6).

Figura 6.

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Scegliendo la voce “Impostazione immagine” e poi “scala” è possibile modificare la tavolozza dei colori con la quale rappresentare la distribuzione termica e i limiti del range di temperatura della scala.

La scelta dei diversi tipi di tavolozza permette di visualizzare l’immagine termografica e identificare i gradienti termici con diverse colorazioni e tonalità che sono importanti per il colpo d’occhio e permettono una prima grossolana interpretazione dei risultati (figura 7).

Figura 7. Rappresentazione della stessa immagine termografica con cinque diverse tavolozze di colori: iron, grey, greyred, rain, yellow.

Scegliendo “Analisi” sempre dalla prima finestra si apre un sottomenù dal quale si possono selezionare diverse funzioni: “Puntatore”, “Area”, “Linea”. Scegliendo da questo nuovo elenco “Puntatore” compare sulla termografia un cursore e cliccando in un qualsiasi punto dell’immagine si può conoscere il valore della temperatura corrispondente.

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49 Figura 8.

E’ possibile inoltre scegliere “area” per selezionare sull’immagine termografica una regione delle dimensioni desiderate (figura 9).

Figura 9.

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50 Figura 10.

Figura 11.

Nel riquadro sottostante l’immagine sono riportati i valori relativi alla temperatura minima, massima, differenza tra massima e minima, media e deviazione standard (ds).

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3.2.3 Analisi termografica delle immagini

L’analisi termografica delle immagini è stata effettuata con il software specifico sopra descritto: ThermaCAM Researcher Basic 2.8 SR-1. Il capezzolo di ciascuna mammella era diviso in 3 aree: base, corpo e apice (BT, MT, TT), per ciascuna delle quali è stata calcolata la temperatura massima, minima, media e la deviazione standard. I dati sono poi stati divisi nei diversi intervalli di tempo considerati e nella fase di post-mungitura ogni 30 secondi, sia nel caso in cui è stato applicato l’alto (HV) che il basso vuoto (LV). In seguito è stato analizzato anche il range di distribuzione delle frequenze della temperatura a livello della base (BT), del corpo (MT) e apice (TT) del capezzolo all’applicazione di alti e bassi livelli di vuoto, durante il tempo di monitoraggio della mungitura.

3.2.4 Analisi dei tempi di mungitura e della quantità di latte prodotto applicando rispettivamente alto e basso vuoto.

Nella tabella sotto riportata, abbiamo raccolto due parametri fondamentali quali la quantità di latte prodotto (MGG) (kg) e il tempo di mungitura totale (tMGG) (min), applicando rispettivamente alto e basso vuoto. In entrambe i casi per ogni parametro, sono state individuate la media associata alla deviazione standard (ds) e il range di variazione minimo e massimo.

Tabella1. Analisi dei tempi di mungitura e della quantità di latte prodotta applicando rispettivamente alto e basso vuoto

PARAMETRI 42kPa 36kPa

range range

media±ds min max media±ds min max Produzione latte (MGG) (kg) 4,1 ± 2,09 1,05 11,52 3,6 ± 1,54 1 8,50 Tempo di mungitura totale (tMGG)

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4. RISULTATI E DISCUSSIONI

4.1 RISULTATI DELL’ANALISI DEL CAPEZZOLO IN TOTO

Tabella 2. Suddivisione per classi di tempo della temperatura media del capezzolo in toto, ds e delta PM, applicando rispettivamente HV e LV.

Nella tabella sovrapposta, abbiamo suddiviso per classi di tempo la temperatura media del capezzolo in toto, la ds e il delta PM ottenuto per differenza delle classi tempo con PM, rispettivamente nel caso dell’HV e del LV.

Si può notare nel caso dell’HV che tra PM (29,98°C) e IAM (32,51°C) c’è una differenza di ben 2,53°C la quale non è indifferente, e come tra IAM (32,51°C) e i 5 minuti (32,21°C) successivi alla mungitura il gap sia minimo 0,30°C.

Per quanto riguarda il LV invece, la scala di temperatura dalla quale partono le misurazioni è leggermente più alta rispetto all’HV, probabilmente perché le misurazioni per i due diversi livelli di vuoto sono state effettuate in periodi diversi. Tra PM (31,52°C) e IAM (33,33°C) si può riscontrare un gap di

HIGH VACUUM LOW VACUUM

ClasseTempo Media ds DeltaPM ClasseTempo Media ds DeltaPM

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1,81°C, mentre tra IAM (33,33°C) e i 5 minuti (33,42°C) c’è un’interessante, seppur minimo, aumento di +0,09°C.

Spostando l’attenzione sui tempi di mungitura (Tabella 1), si può notare che nel caso dell’HV i tempi hanno una media di 11,4±2,90 minuti con un range minimo di 5,69 minuti e un massimo di 22,03minuti capo; per quanto riguarda il LV invece la durata media è di 12,9±3,40 minuti con un range minimo di 5,46 minuti e uno massimo di 23,45 minuti capo.

Queste considerazioni ci fanno capire che la durata della mungitura nei due casi non varia di molto sia nella media che nel range minimo e massimo, dunque il gap riscontrato tra le temperature prese dallo IAM in poi, non è dovuto al tempo di mungitura, ma presumibilmente dal livello di vuoto applicato.

Grafico 1. Distribuzione dei valori medi di temperatura del capezzolo in toto per ogni intervallo di tempo considerato, nel caso dell’HV e LV.

Nel Grafico 1 abbiamo riportato l’andamento della temperatura media che nelle diverse classi di tempo sembra essere simile, però se osserviamo con maggior attenzione possiamo notare che il LV influenza maggiormente

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l’innalzamento termico medio del capezzolo in toto, rispetto all’HV; questo perché le misurazioni dapprima con l’HV e poi il LV sono state eseguite in due momenti diversi e probabilmente nel secondo caso, le condizioni ambientali e/o fisiologiche dell’animale (tre settimane di adattamento del capezzolo a livelli di vuoto progressivamente più bassi) hanno influenzato in modo rilevante le misurazioni. Questo fatto potrebbe, ma non è detto, giustificare l’improvviso aumento di temperatura nel caso del LV dai 3,30 minuti successivi la mungitura, tutto ciò si può osservare in questo grafico e con maggior precisione nel Grafico 2.

Grafico 2. Distribuzione dei valori DeltaPM del capezzolo in toto per ogni intervallo di tempo considerato, nel caso dell’HV e LV.

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Grafico 3. Analisi statistica della temperatura media del capezzolo in toto, applicando rispettivamente HV e LV (a & b con P ≤ 0,05).

Nel Grafico 3 in seguito ad un’analisi statistica abbiamo riscontrato una differenza statisticamente significativa tra le temperature medie del capezzolo in toto registrate con HV e LV.

Come possiamo osservare, nelle Tabelle 4 e 5 sono riportate le differenze statisticamente significative (P ≤ 0,05) rilevate dapprima nel caso del LV, relative agli intervalli di tempo PM e i 5 minuti successivi alla mungitura, mentre per quanto riguarda l’HV sono stati individuati tre intervalli di tempo statisticamente significativi: IAM e PM, 5min e PM, IAM e 5min.

Gruppo Media Ds

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Tabella 4. Confronto tra PM e i 5min successivi alla mungitura nel caso del LV, unico intervallo di tempo per il quale è stata riscontrata una differenza statisticamente significativa relativa alla differenza di temperatura media con P ≤ 0,05.

Tabella 5. Confronto tra gli intervalli di tempo nel caso dell’HV, per i quali sono state individuate differenze statisticamente significative, relative alla differenza di temperatura media con P ≤ 0,05.

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4.2 RISULTATI DELL’ANALISI DEL CAPEZZOLO DIVISO NELLE SUE TRE AREE

Grafico 4. Distribuzione della temperatura media nelle diverse zone di divisione del capezzolo, nel caso dell’HV.

La situazione che si propone in questo grafico richiama quella del Grafico 1, solamente che in questo caso il capezzolo viene esaminato con più precisione nelle sue tre aree. Si può notare con chiarezza il repentino innalzamento termico a livello del TT e MT immediatamente dopo la mungitura (IAM) e

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come poi la temperatura si stabilizzi nei 5 minuti successivi; solo a livello della BT abbiamo un andamento costante della temperatura. Va notato il gap tra TT e MT nell’intervallo di tempo IAM.

Grafico 5. Distribuzione della temperatura media nelle diverse zone di divisione del capezzolo, nel caso del LV.

Nel Grafico 5, che considera il LV, possiamo osservare come la temperatura media della BT dai 3,30 minuti successivi alla mungitura subisca un’impennata rispetto a quanto accade nel Grafico 4, con un gap di ben 1,26°C, lo stesso sembra succedere per l’MT e il TT. Questo grafico ci aiuta a

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capire l’improvviso innalzamento termico medio del capezzolo in toto nel caso del LV nei 3,30 minuti successivi alla mungitura, influenzato per lo più dall’apice del capezzolo il quale rispetto alle altre zone risulta essere maggiormente sottoposto alle forze di pressione esercitate dal vuoto.

Grafico 6. Analisi statistica della temperatura media nelle tre aree di suddivisione del capezzolo, applicando l’HV (a & b & c con P ≤ 0,05).

Nell’analisi statistica del Grafico 6, abbiamo riportato la temperatura media delle tre aree di suddivisione del capezzolo ( BT, MT, TT), applicando l’HV. Si tratta di tre medie statisticamente significative (P ≤ 0,05) e diverse tra loro, che ci illustrano come rispetto al capezzolo nel suo complesso la temperatura media della BT sia leggermente superiore a quella della MT e molto lontana

HIGH VACUUM

Gruppo Media Ds

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da quella del TT. Questo lo si può osservare anche nel Grafico 4, dove la temperatura iniziale (PM) della BT, risulta essere più alta rispetto alle altre due zone e si mantiene su quella linea per tutto il tempo della misurazione, mentre la temperatura del MT e TT nell’intervallo PM subiscono un forte ed improvviso innalzamento mantenendo la media al di sotto di quella della BT.

Grafico 7. Analisi statistica della temperatura media nelle tre aree di suddivisione del capezzolo, applicando il LV (a & b & c con P ≤ 0,05).

In questo istogramma, l’analisi statistica riporta la temperatura media di BT, MT, TT, applicando il LV. Anche in questo caso le tre medie sono statisticamente significative (P ≤ 0,05) e diverse tra loro. Rispetto al grafico precedente le temperature medie sono più elevate.

LOW VACUUM

Gruppo Media Ds

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Grafico8. Distribuzione della frequenza dei range di temperatura (0,33°C) sulle tre zone di suddivisione del capezzolo ( base del capezzolo BT, corpo del capezzolo MT e apice del capezzolo TT) applicando livelli di HV e LV vuoto durante il tempo di monitoraggio della mungitura.

Con il Software ThermaCAM Researcher Basic 2.8 SR-1, abbiamo analizzato la distribuzione della frequenza dei range di temperatura su: BT, MT e TT nel caso dell’HV e LV (Grafico 8).

Possiamo vedere sulle ordinate la percentuale delle frequenze di temperatura, sulle ascisse i range di temperatura e sull’asse z gli intervalli di tempo. I diversi colori rappresentano le percentuali della frequenza di temperatura dell’area considerata. Per quanto riguarda la regione BT nell’HV e LV, si presenta una percentuale di frequenza di temperatura nel tempo quasi speculare. Nell’area relativa alla MT, le percentuali di frequenza della temperatura sembrano avere un range leggermente più ampio (e quindi più variabile) nel LV rispetto all’HV, dunque sembrerebbe che l’HV abbia una variabilità di temperatura minore rispetto al LV. Infine a livello del TT, nel

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grafico relativo al LV, possiamo notare un picco isolato nell’ultimo periodo di rilevazione temporale non presente nell’HV. Se compariamo questo grafico con il Grafico 5, in cui è possibile notare lo slancio finale della temperatura media del TT, possiamo ipotizzare che questo sia stato condizionato maggiormente proprio dalla temperatura di questa superficie isolata.

Dopo aver fatto tali considerazioni dapprima sul capezzolo nel suo complesso e poi sulle sue tre zone di suddivisione, si è potuto constatare che la differenza di temperatura media negli intervalli di tempo successivi allo IAM tra HV e LV, non è dovuta ai tempi di mungitura in quanto sono molto simili, ma probabilmente al tipo di vuoto applicato.

Si è cercato di motivare l’improvviso innalzamento termico medio del capezzolo in toto nel caso del LV nei 3,30 minuti successivi alla mungitura, e si è visto che sembra influenzato per lo più dall’apice del capezzolo il quale rispetto alle altre zone risulta essere maggiormente sottoposto alle forze di pressione esercitate dal vuoto.

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superficiale del capezzolo, perciò, riducendo il vuoto operativo, il ripristino della temperatura fisiologica dei tessuti del capezzolo è più rapido (Morgante

et al., 2008).

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5. CONCLUSIONI

La termocamera è risultata un metodo pratico per la rilevazione di alterazioni della temperatura superficiale di un corpo, sia in aumento sia in diminuzione, durante una situazione di stress. Analizzando i risultati ottenuti eseguendo le due prove di mungitura, abbiamo evidenziato dei dati importanti.

Prima di tutto bisogna ricordare che le misurazioni con i due livelli di vuoto sono state realizzate in due momenti diversi e che il passaggio è avvenuto gradualmente in tre settimane: questi 15 giorni sono stati fondamentali perché hanno permesso al capezzolo di non subire uno stress eccessivo. Un’osservazione piuttosto interessante è relativa ai tempi di mungitura, infatti si è visto che essi sono molto vicini nella media e che dunque il gap riscontrato tra le temperature prese dallo IAM in poi, non è dovuto ai tempi di mungitura,ma probabilmente dal livello di vuoto applicato.

L’analisi termografica ha determinato che l’HV influenza maggiormente l’innalzamento termico del capezzolo rispetto al LV. Durante l’osservazione e studio dei dati si è potuto rilevare un improvviso innalzamento termico del capezzolo in toto nel caso del LV nei 3,30 minuti post-mungitura, presumibilmente dovuto all’aumento termico del TT il quale rispetto alle altre zone del capezzolo è sottoposto in maggior misura alle forze di pressione esercitate dal vuoto.

Tutte queste analisi hanno dimostrato una superiore sensibilità termica del MT e del TT rispetto alla BT, applicando indistintamente HV o LV. Ciò può implicare una maggiore influenza del capezzolo e quindi alterazione anatomica: è necessario dunque prestare molta attenzione alla pratica della mungitura dal momento che la produzione lattea rappresenta la principale fonte di guadagno per le aziende di bufale da latte.

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anche essere causa dell’insorgenza di patologie a carico dell’apparato mammario nelle diverse specie da latte. L’azione meccanica esercitata durante la mungitura dall’effetto combinato del vuoto, delle guaine e del peso del gruppo, induce dei cambiamenti nei tessuti del capezzolo che ne possono alterare la resistenza all’ingresso dei batteri patogeni causa di infezioni mastitiche (O’Shea, 1987; Neijenhuis et al., 2001).

Un’elevata ipercheratosi all’apice del capezzolo (Rasmussen et al., 1994), è stata rilevata in risposta alla tensione meccanica operata dalla mungitrice, che può essere interpretata come una normale reazione fisiologica del tessuto per aumentare l’efficienza dello strato di cheratina del dotto del capezzolo e quindi prevenire la penetrazione di agenti patogeni. Questo tipo di lesioni si riscontrano spesso in modo visibile e palpabile sull’apice e meno frequentemente sulla zona centrale del capezzolo. La severità delle lesioni dipende dalle forze meccaniche del sistema di mungitura, specialmente dalla forza compressiva della guaina (Michel et al., 1974). Le papille dello strato epiteliale del canale del capezzolo hanno una direzione diversa nei tre diversi tratti del canale, (prossimale, medio e distale) e quindi anche la cheratinizzazione assume una direzione diversa a seconda del tratto coinvolto. Le forze meccaniche applicate ripetutamente sull’epitelio stimolano la produzione di cheratina a livello di sfintere, in un primo periodo, e lungo tutto il canale successivamente, in funzione della stimolazione durante la mungitura. L’esposizione all’HV durante la mungitura, rallentando la circolazione sanguigna nei tessuti, influisce inoltre sulla temperatura superficiale del capezzolo, perciò, riducendo il vuoto operativo, il ripristino della temperatura fisiologica dei tessuti del capezzolo è più rapido (Morgante

et al., 2008).

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Inoltre grazie allo studio termografico si è potuto dare un ulteriore conferma: conviene utilizzare un livello di vuoto inferiore se si vuole preservare il benessere del capezzolo della bufala e dunque la sua produzione, anche se a prima vista potrebbe risultare più svantaggioso perché i tempi di raccolta del latte si allungherebbero (ma molto relativamente).

Tra le prospettive future sarebbe importante effettuare un monitoraggio della mungitura molto più accurato, portandolo a 20-30 minuti post-mungitura e non fermandosi a 5 minuti come in questo caso, in modo da poter valutare con maggior accuratezza l’influenza del vuoto sul capezzolo ed eventualmente stabilire dei controlli periodici sul suo stato di salute.

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