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INTERVENTO DEL VICE AVVOCATO GENERALE DELLO STATO AVV. LEONELLO MARIANI

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INTERVENTO

DEL VICE AVVOCATO GENERALE DELLO STATO AVV. LEONELLO MARIANI

IN OCCASIONE DELLA CERIMONIA DI INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2018

DELLA CORTE MILITARE DI APPELLO (1° MARZO 2018)

______

Signor Presidente, signor Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione, signori Magistrati, Autorità tutte, Signore e Signori,

anche quest’anno l’Avvocato Generale dello Stato mi ha affidato il gradito compito di rappresentarlo alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario della Magistratura militare: è pertanto per me un grande onore e privilegio esser qui presente per porgere a Lei, Signor Presidente, ed a tutta la Magistratura militare il saluto dell’Avvocato Generale dello Stato, degli avvocati e procuratori dello Stato e mio personale.

Un particolare saluto Le rivolgo a nome dei Colleghi delle sedi di Roma, Venezia e Napoli nei cui distretti operano i Tribunali militari territoriali.

• La Sua relazione, signor Presidente, ha saputo dar conto con estrema efficacia dei lusinghieri risultati raggiunti nell’anno decorso dalla Magistratura militare la quale, in tutti i gradi di giudizio e in tutte

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le sue articolazioni territoriali, è stata in grado di assolvere ai compiti alla stessa assegnati nel pieno rispetto degli standard temporali fissati dalla legge 24 marzo 2001, n. 89 garantendo che l’intero procedimento penale militare, dalla fase delle indagini sino a quella della decisione, si svolga e si concluda entro termini ragionevoli di durata, nell’assoluta osservanza del precetto di cui all’art. 111, comma 2, della Carta fondamentale.

Non può nel contempo non esprimersi il più vivo apprezzamento per l’avanzato stadio del processo di informatizzazione dell’attività degli uffici giudiziari militari sotto il profilo della digitalizzazione dei fascicoli processuali, della telematizzazione dei procedimenti penali e della conseguente virtualizzazione degli uffici di segreteria e di cancelleria.

E, per questo aspetto, ben può dirsi che la Magistratura militare stia da tempo svolgendo un ruolo di precursore in vista dell’avvio, dopo quello civile e amministrativo, del processo penale telematico.

• Ho molto apprezzato, signor Presidente, il modo con cui, nelle Sue considerazioni finali, Lei ha inteso affrontare, con tono pacato, spirito costruttivo e atteggiamento propositivo, la questione del ruolo e del “destino” della Magistratura militare.

Si tratta, com’è noto, di questione ricorrente, periodicamente affrontata a livello parlamentare senza peraltro che nessuno dei vari e variegati progetti e disegni di legge presentati nel corso del tempo e delle varie legislature sia sinora riuscito a trovare l’auspicato approdo legislativo.

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E, di conseguenza, costituisce questione necessariamente destinata a riproporsi ogni anno in occasione dell’Assemblea generale a dimostrazione del fatto che la riforma del magistero penale militare costituisce esigenza reale ed avvertita dall’intera categoria magistratuale.

Come Lei ha giustamente osservato, sig. Presidente, la “crisi” della Magistratura militare non nasce, come accade per tutte le altre magistrature e per lo stesso Istituto al quale appartengo, dalla sproporzione, per eccesso, tra la domanda di giustizia o, più in generale, tra i compiti assegnati, e le risorse, umane e materiali, a tal fine disponibili: cito qui il caso, a me vicino, dell’Avvocatura dello Stato che, a fronte di un organico di poco più di 320 avvocati e procuratori dello Stato in servizio, ha registrato l’impianto, nel 2017, di circa 170.000 affari nuovi i quali, naturalmente, si aggiungono a quelli già pendenti.

Al contrario, caso più unico che raro nel panorama pubblico italiano, il disagio della Magistratura militare trae origine, come Lei ha sottolineato, dalla sottoutilizzazione di un Corpo magistratuale che si distingue altrimenti per efficienza e capacità: sottoutilizzazione che a sua volta dipende, come evidenziato nella Sua relazione, da un riparto di competenze, tra giudice ordinario e giudice militare, per un verso anacronistico e, per un altro, incompleto e irrazionale che sovente riserva all’uno o all’altro giudice, senza alcuna valida giustificazione logica, fattispecie criminose contigue.

Non sta a me, signor Presidente, indicare quale sia la scelta migliore

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per avviare a soluzione quello che, a tutti gli effetti, rappresenta il problema di fondo dell’Ordine giudiziario militare e, quindi, se sia più opportuno far confluire la Magistratura militare, eventualmente costituendola in sezione specializzata, nell’alveo della giurisdizione ordinaria oppure se sia meglio conservarla quale ordine autonomo, eventualmente ridisegnandone la giurisdizione, estendendola, come da Lei auspicato, a fattispecie criminose, attualmente attribuite alla cognizione del giudice ordinario e che purtuttavia impingono su interessi specificamente e squisitamente militari: sì da riservare al giudice militare l’intera gamma dei reati commessi da appartenenti alle Forze armate o a Corpi di polizia militarmente ordinati.

Quel che è certo è che, quale che sarà la scelta che il legislatore riterrà di operare nella sua sovrana discrezionalità, l’opzione prescelta dovrà comunque essere in grado di (continuare a) garantire e salvaguardare quei livelli di efficienza, essenziali e strumentali al buon funzionamento di ogni Forza armata e di ogni Corpo militare, che i Giudici militari riescono attualmente ad assicurare.

Perché, come già ebbi modo di sottolineare nel corso dell’intervento svolto l’anno scorso, la specificità dell’ordinamento militare postula necessariamente l’esistenza di un giudice specializzato: non solo per la specialità del corpus normativo che è chiamato ad applicare, ma anche perché, come è stato giustamente sottolineato, il principio di gerarchia sul quale quell’ordinamento si fonda e l’efficacia della stessa azione di comando esigono ineluttabilmente - direi, ontologicamente - celerità nell’accertamento delle responsabilità individuali e certezza ed

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effettività nell’applicazione delle pene; quella certezza e quella celerità che la Magistratura militare è appunto in grado di garantire.

E, del resto, come Lei ha ricordato, è la stessa Corte costituzionale che, nella recente sentenza n. 215/2017, ha fatto leva su tale - innegabile - specificità per dichiarare non fondata la questione di legittimità dell’art. 226 del codice penale militare di pace, vale a dire della norma che prevede e punisce l’ingiuria c.d. militare, nella parte in cui sanziona penalmente condotte ingiuriose poste in essere per cause estranee al servizio o alla disciplina militare.

La questione, com’è noto, era stata prospettata, e proprio da codesta Corte militare d’appello, con riferimento all’art. 3 della Costituzione assumendo a tertium comparationis il diverso trattamento sanzionatorio ora riservato alla ingiuria c.d. comune, già prevista come reato dall’art.

594 cod. pen. e poi declassata da illecito penale a illecito civile per effetto dell’abrogazione di detta norma da parte dell’art. 1, lett. c) del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7.

L’Avvocatura dello Stato, che era intervenuta nel giudizio avanti alla Corte in rappresentanza del Governo, aveva sostenuto la conformità a Costituzione della norma denunziata osservando appunto che la specificità dell’ordinamento militare e la speciale condizione dei soggetti attivi e passivi del reato giustificavano la persistente illiceità penale della condotta posto che, mentre la norma di cui all’art. 594 cod. pen. tutela(va) essenzialmente l’interesse individuale all’onore e alla dignità personale e, solo indirettamente, quello generale all’osservanza, da parte dei consociati, delle regole di corretto

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comportamento, la disposizione di cui all’art. 226 cod. pen. mil. pace tutela al contempo sia l’interesse e la dignità del singolo militare sia l’interesse, superindividuale, della stessa istituzione militare.

Interesse, questo, che si compendia nella garanzia della disciplina militare quale fattore imprescindibile di coesione e, di riflesso, di funzionalità e, perciò, di efficienza della Forza armata, efficienza suscettibile di essere compromessa da comportamenti ingiuriosi lesivi, a prescindere dalle motivazioni soggettive, dell’ordinato e corretto svolgimento dei rapporti tra militari e quindi, e in definitiva, della stessa disciplina militare.

La Corte, come detto, ha condiviso questa impostazione riconoscendo che l’ordinamento militare è caratterizzato “da specifiche regole ed esigenze” che impongono “una più rigorosa osservanza di regole di comportamento, anche relative al comune senso civico, quali quella di non recare offesa all’onore o al decoro di altri soggetti inseriti nel medesimo ordinamento”.

Il principio di specificità dell’ordinamento e della condizione militare - il quale assume dunque anche una peculiare valenza organizzativa in relazione al principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. e, come recita l’art. 89 del codice dell’ordinamento militare, in funzione della difesa dello Stato e della salvaguardia delle libere istituzioni - caratterizza del resto l’intera normativa in materia.

A prescindere dal fatto che, non a caso, l’art. 117, comma 2, lett. d) della Carta fondamentale riserva la “difesa” e le “Forze armate” alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, costituendo così un ambito interdetto al potere legislativo regionale, ogni profilo attinente

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all’ordinamento e alla condizione militare è infatti soggetto a regole speciali - speciali dal punto di vista soggettivo, perché indirizzate ad una particolare categoria di soggetti, i cittadini in armi, e speciali dal punto di vista oggettivo, perché dettate in funzione delle peculiari esigenze dei corpi militarmente organizzati - e, in taluni casi, pure eccezionali, regole compendiate in un vasto corpus normativo essenzialmente costituito, sul versante amministrativo, e a livello legale, dal d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 e, a livello regolamentare, dal d.P.R. 15 marzo 2010, n. 90, e su quello penale, dai codici penali militari di pace e di guerra.

Tale compendio normativo abbraccia ogni profilo della condizione militare, dal reclutamento - che si svolge secondo regole e richiede requisiti diversi e più stringenti rispetto a quelli richiesti per la generalità dei dipendenti pubblici - allo stato giuridico, dalle modalità di godimento ed esercizio di diritti fondamentali costituzionalmente garantiti - i quali sono suscettibili di subire significative compressioni e limitazioni: si pensi, tra gli altri, al divieto di sciopero e ai vincoli all’esercizio del diritto di associazione - all’apparato sanzionatorio, previsto a presidio e garanzia dell’osservanza dei principi di gerarchia e disciplina militare - il quale contempla illeciti e sanzioni, disciplinari e penali, affatto peculiari -: specificità che caratterizza infine - e, per quanto s’è detto, non potrebbe non caratterizzare -, anche lo speciale plesso giudiziario che, ai sensi dell’art. 103, comma 3, Cost., è chiamato ad applicare, in tempo di pace ed in tempo di guerra, le pene previste dai rispettivi codici militari.

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Le scelte e le soluzioni ordinamentali ed organizzative che il legislatore opererà nel campo della giustizia militare dovranno pertanto necessariamente tener conto dell’intrinseca specificità dell’ordinamento in seno al quale quella Magistratura svolge la sua funzione giusdicente.

Tali scelte e soluzioni sono invero ormai ineludibili perché, come efficacemente disse un anno fa l’allora Presidente dr. Block, “la giustizia militare assume sempre più l’immagine di una candela che si affievolisce progressivamente ma non si spegne.

Orbene occorre fare una scelta: o rinfocolare la fiamma o spegnerla del tutto”.

Nell’auspicio dunque che quella fiamma sia, come merita, rinfocolata, l’Avvocatura dello Stato ringrazia, assieme a Lei, Signor Presidente, la Corte tutta e tutti i Giudici militari per l’impegno profuso nella propria attività formulando l’augurio di un sereno e proficuo lavoro nell’anno giudiziario a venire.

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