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La comunicazione economico-finanziaria

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Academic year: 2021

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Capitolo 1

La comunicazione economico-finanziaria

Nel quadro di un testo che si vuole occupare nello specifico di comunicazione economico-finanziaria, dobbiamo iniziare ricordando che l'impresa o azienda ha la sua espressione giuridica nella società.

La comunicazione economica è la trasmissione di informazioni dalla direzione aziendale a tutti – o solo ad alcuni - gli interlocutori sociali circa l'evoluzione dell'assetto reddituale, finanziario e patrimoniale dell'impresa. Ecco perché la comunicazione finanziaria ne costituisce solo una parte circoscritta, cioè quella che si basa essenzialmente sulla relazione con gli operatori del mercato dei capitali – suoi particolari destinatari – all'interno del mondo finanziario. Per quest'ultimo s’intende il mercato dove le società che ne sono in possesso cedono le azioni. Le aziende che sono state scelte in questo lavoro di ricerca sono filiali di aziende farmaceutiche italiane di dimensioni differenti, ma nessuna delle quali risulta quotata in Borsa né sul mercato italiano né su quello spagnolo – che è quello al quale mi riferisco -. Conseguentemente, l'approfondimento riguarderà il corposo ambito della comunicazione aziendale, mentre saranno tenuti in secondo piano i nuclei più specifici della comunicazione economica e finanziaria.

Un punto fermo del concetto di azienda è lo svolgimento dell'attività economica attraverso una continua relazione con l'ambiente – imprescindibile che non si consideri solo quello fisico in senso stretto, ma in generale tutto ciò che comprende la collaborazione e/o la competitività con le altre imprese -. L'azienda come sistema aperto comprende l'analisi delle sue forze interne – punti di forza e debolezza – e di quelle esterne – opportunità e minacce -, in altri termini quello che il marketing è solito chiamare swot analysis. I modelli di comportamento che l'impresa può scegliere vanno da quello più prettamente passivo (vedi Yahoo che non ha reagito al recente attacco del competitor Google), a quello attivo-reattivo fino all'attivo-anticipatorio (anche conosciuto come proattivo, tipico per esempio del mercato dell'informatica e delle telecomunicazioni). Gli scambi economici, che intendiamo come cessione di

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fattori o beni in cambio di un corrispettivo economico, riguardano l'azienda ed i suoi clienti, fornitori e dipendenti, quindi tutti coloro che hanno verso di lei un concreto interesse economico.

Tuttavia, ci sono anche altri stakeholder, come le associazioni di consumatori o le istituzioni, che si relazionano con la società anche senza ricevere in cambio nessun tipo di corrispettivo economico. Infatti, si definisce “sistema degli stakeholder” l'insieme dei soggetti di diversa natura (persone, aziende, istituzioni e associazioni) che possono intrattenere scambi economici con l'azienda o avere con questa un rapporto indiretto ed occasionale, ma comunque portatori di un interesse. Ho parlato all'inizio di “interlocutori sociali” e adesso di “stakeholder”: semplicemente due modi differenti di chiamare gli stessi soggetti. Stakeholder deriva dall'inglese “to hold a stake”, che significa “fare una puntata”, nel senso di qualcuno che scommette sulla buona riuscita di un'azienda. Tale espressione non va, però, confusa con shareholder, dall'inglese “to hold a share”, possedere un'azione. In italiano, quindi, quest'ultimo termine si riferisce agli azionisti, ovvero coloro che possiedono azioni della società – è un concetto molto più ampio di quello che potrebbe sembrare perché chiunque può possedere un'azione -.

Lo studio di una realtà economica aziendale può scegliere approcci differenti: la massimizzazione del ruolo degli stakeholder, «impostazione secondo cui l'azienda deve definire le sue strategie mirando al soddisfacimento dell'intero sistema di stakeholder»1 – stakeholder approach -, la minimizzazione di

questo, dando importanza solo agli azionisti e «considerando implicitamente gli altri soggetti come una “zavorra sacrificabile”»2 – corporate governance – o il

contemperamento delle diverse istanze. Il lavoro svolto nasce dalla ricerca teorica su testi di economia aziendale, marketing e comunicazione d'impresa, ma una buona parte è frutto di interviste dirette a responsabili delle Relazioni Istituzionali, di Regulatory Affair, Marketing e Relazioni Interne ed Esterne delle aziende oggetto di studio. Conseguentemente, diventa difficile poter affermare che l'approccio prescelto sia il primo, laddove il punto di vista è ovviamente quello del dipendente dell'impresa in oggetto.

1 A. Quagli, Comunicare il futuro, Franco Angeli, Milano, 2004, p. 2 2 Ibidem

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Di primaria importanza, soprattutto in una ricerca come questa che si concentra su alcune aziende italiane con sede all'estero, è anche il concetto di globalizzazione. S’intende con quest’espressione l'abbattimento delle frontiere economiche (fisiche o virtuali) che dovrebbe portare a facilitare gli scambi economici. Anche Kotler, in apertura del capitolo dedicato al marketing strategico, ricorda che «lo scenario economico contemporaneo è determinato da due forze fondamentali: la tecnologia e la globalizzazione».3 Storicamente

parlando, l'Italia visse durante la seconda guerra mondiale un periodo di pura autarchia. S’intende per questa l'autosufficienza economica o “economia chiusa”, ovvero l'assenza di relazioni commerciali con l'estero e un ecosistema economico nazionale non influenzato dalle tendenze internazionali. Un esempio può essere individuato nell’'Italia fascista a partire dal '35 e nella Germania nazista. Il clima teso delle relazioni internazionali e il pericolo di un'imminente dichiarazione di guerra aveva spinto diversi Paesi ad accogliere il principio economico in base al quale una nazione deve essere in grado di produrre autonomamente tutto ciò di cui ha bisogno. In Italia fu adottata una politica autarchica come risposta alle sanzioni economiche, quali il blocco del commercio, imposte dalla Società delle Nazioni per l'invasione dell'Abissinia. L'efficacia delle misure decise da quella che dopo la seconda guerra mondiale si sarebbe chiamata Nazioni Unite fu, in realtà, diminuita dal fatto che diversi paesi con cui l'Italia aveva intensi rapporti commerciali non aderivano alla Società delle Nazioni e dall'applicazione blanda date da altri al blocco. Un risultato corretto, però, fu lo sviluppo che l'autarchia portò all'industria chimica.4 La notizia risulta interessante nel quadro di quello che

successivamente racconterò circa la storia della Zambon Group.

Gli anni '60, poi, rappresentarono la forte volontà di aprire le frontiere (a questo proposito è degno di nota il fatto che la Comunità Europea sia nata proprio come unificazione prima economica e, solamente più tardi, politica). Tra le aziende italiane studiate, la Zambon arriva in Spagna proprio nel 1960 e la Menarini apre la sua attività imprenditoriale nello stesso paese nel 1961 con la denominazione sociale di Laboratori Menarini S.A. Delle tre, solo la

3 P. Kotler, Il marketing secondo Kotler, edizione italiana a cura di Walter Giorgio Scott, Il Sole 24 Ore Edizione, Milano, 2004, p. 3

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Wassermann arriva dopo – nel 2003 – nonostante fosse attiva in Italia già dal 1948 e si fonde con il laboratorio locale Bama-Geve. Zambon e Menarini, cioè, sono arrivate nella penisola Iberica negli anni del boom economico italiano, la Wassermann al tempo della globalizzazione.

Ciò che è stato interessante analizzare ha riguardato i cambiamenti nella forma comunicativa che le aziende scelte manifestano nella loro relazione con l'ambiente esterno, vale a dire a seconda dei canali preferiti, a seconda che si tratti di comunicazione aziendale periodica oppure occasionale ed in base alla categoria di stakeholder. Tuttavia, nonostante i continui scambi con l'ambiente esterno, mi sento di abbracciare l'ipotesi di Rosella Ferraris Franceschi secondo cui «le aziende vengono studiate in quanto soggetti economici attivi provvisti di apprezzabili margini di discrezionalità, la cui dinamica è fortemente influenzata, ma non determinata in via assoluta dal mercato».5

Tra le varie possibilità di comunicazione indiretta, è oggi evidentemente di primo piano rispetto alle altre, l'interazione attraverso il web. Gli antichi latini sostenevano che “verba volant” mentre “scripta manent” e così forse si spiega uno dei motivi dell'enorme successo di questo tipo di comunicazione. Le società farmaceutiche, evidentemente, non sono rimaste indietro ed hanno iniziato già da anni a sfruttare con entusiasmo questo mezzo di comunicazione pieno di potenziale. Il testo del messaggio, scritto o registrato che sia, può, infatti, essere integralmente conservato e, di solito, le aziende s’impegnano a promettere chiarezza e completezza. La quantità di informazioni accessibile è enorme, nel senso che il flusso informativo che Internet propone ne esce molto potenziato soprattutto per gli investitori privati (questi, infatti, non hanno le stesse possibilità di quelli pubblici di accedere alle fonti informative). Si pensi solamente agli archivi – serie storiche o bilanci – o a tutti i link esterni che sono inseribili in una pagina web e che possono «prospettare all'utente anche l'acquisizione di dati riferiti ad altre aziende, a dati settoriali, a scenari macroeconomici, oppure il contatto con altri soggetti in grado di fornire ulteriori dati più elaborati in merito all'azienda considerata».6 Da non

dimenticare, poi, la riduzione dei costi e l'abbattimento delle barriere tra le

5 R. Ferraris Franceschi, Problemi attuali dell'economia aziendale, Giuffrè Editore, Milano, 1998, p. 7 6 A. Quagli, cit., p. 20

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diverse tipologie di comunicazione: scritta/orale, diretta/indiretta, obbligatoria/ volontaria.

È vero anche, evidentemente, che Internet non può risolvere di per sé tutti i mali ed è quindi incapace di eliminare definitivamente le asimmetrie informative tra l'interno e l'esterno dell'impresa. Tali fenomeni sono contrastati, per esempio, da tutti quegli imprenditori che producono oggetti di qualità e vogliono che ci sia ampia e veritiera diffusione di informazione affinché, aumentata la consapevolezza dei clienti, possa aumentare anche il prezzo loro richiesto. Vedremo nella parte dedicata alla concreta “vita” aziendale delle tre imprese analizzate che nel settore farmaceutico, profondamente regolato, i prezzi vengono in realtà decisi dal Ministero della Sanità, curiosamente la stessa entità che poi dovrà pagare per quei farmaci che sono concessi gratuitamente dal Sistema Nazionale.

Tornando alle potenzialità di Internet e focalizzandosi soprattutto sulle informazioni finanziarie, questo strumento permette un incredibile aumento della quantità di informazioni proposte – come detto poco sopra – oltre ad un incremento della qualità. Migliorano, quindi, la selettività (l'uso dei link, così come dei glossari e dei motori di ricerca interni permette una lettura non sequenziale), la segmentazione (l'accesso pull permette la personalizzazione ed i codici di accesso la gerarchizzazione degli utenti), l'interazione, la stabilità dei riferimenti (pagine digitali come punti di riferimento stabili), la fidelizzazione dell'utenza (registrazione sul sito, forum), la sicurezza dei dati (Quagli sottolinea come non vada dimenticato che «la diffusione delle informazioni via web da parte della società emittente avviene senza filtri operati da intermediari informativi»7, quindi dovrebbero risultare “meno

contaminate”).

Ne esce rafforzato anche lo spazio, nel senso che le multinazionali abituate a lavorare in ambienti internazionali sono sempre più disposte a pubblicare on-line i propri bilanci in lingue diverse (secondo quanto riporta Quagli, «Microsoft rende disponibile l'equivalente della lettera agli azionisti in ben 11 lingue – tra cui l'italiano – ed il proprio bilancio leggibile secondo 6 possibili set di principi

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contabili distinti per Paese»).8

Infine, Internet permette un uso più razionale anche del tempo. C'è maggiore tempestività nel fornire le informazioni, un continuo aggiornamento - purtroppo non sempre accompagnato dalla tracciabilità (tener traccia delle modifiche) - ed una temporalità illimitata.

Nella comunicazione azienda-stakeholder si possono individuare quattro fasi: quella che va dall'insorgere dell'evento alla registrazione nel sistema informativo del mittente, l'effettiva trasmissione del messaggio, la decodifica da parte dei destinatari ed il feedback (Internet agisce soprattutto tra la seconda e la terza fase). Per quanto riguarda l'affidabilità e le regole alle quali tale mezzo deve aderire, si segue il principio della “pari disclosure” stabilito dalla SEC e la Direttiva Europea sulla Trasparenza dei Mercati n. 45 del 26 marzo 2003. Secondo la Stock Exchange Commission, «quando un utente richiede un documento via web alla società emittente quest'ultima deve dare comunicazione allo specifico richiedente (principio della “notice”) del recapito avvenuto (es. tramite e-mail) e deve esistere prova della ricezione informatica (principio della “evidence”). Il principio dell' ”access”, inoltre, stabilisce che l'accesso ai documenti deve essere agevole e consentire l'archiviazione nel computer dell'utente».9

Tuttavia, il nostro ambito di studio riguarda aziende non quotate che non devono in alcun modo sottostare agli obblighi imposti a quelle quotate da parte di organismi di controllo di tipo pubblico (Consob) o privato (Borsa Italia). La scelta di focalizzarsi su società non quotate per un mercato come quello italiano – anche se poi lo studio analizza l'operato delle loro filiali estere – è un cammino piuttosto obbligato. Il 98% delle aziende, infatti, rientra nelle piccole imprese con meno di 15 dipendenti. Seppure una dimensione tanto ridotta non rappresenti il caso di nessuna delle tre, stiamo pur sempre parlando di aziende familiari, nate tutte tra la fine del 1800 e la prima metà del '900. Nonostante da allora siano molto cresciute ed il portafoglio prodotti si sia notevolmente ampliato, restano imprese familiari nella concezione imprenditoriale, anche laddove – come nel caso di Zambon – l'approccio alla gestione aziendale sia dei

8 Ivi, p. 22 9 Ivi, p. 26

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più moderni e innovatori.

In terra spagnola la situazione delle 3 competitor non è affatto diversa, anzi ancora più rappresentativa. A livello geografico, infatti, l'industria farmaceutica è spaccata su due fronti: le multinazionali, soprattutto statunitensi, con sede a Madrid, e le imprese familiari italiane - ma anche tedesche - concentrate nell'area di Barcellona. La maggior parte delle società del secondo gruppo arrivarono negli anni '60 e si stabilirono in Catalogna investendo soprattutto nel chimico, avvantaggiato dal know how della forte industria tessile locale.

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