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Capitolo 4 – STRESS, BURN-OUT E INSEGNANTI

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Academic year: 2021

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Capitolo 4 – STRESS, BURN-OUT E INSEGNANTI

L’ autore che ha elaborato per primo il concetto di stress è Selye. Lo stress, in questa concezione biologica, è una specie di segnale d’allarme che scatta quando qualcosa turba il nostro equilibrio psicofisico. L’autore individua tre stadi della risposta dell’individuo agli agenti stressanti (stressors): la “reazione di allarme” (l’organismo è modificato dallo stressor e mobilita perciò le proprie difese); la “resistenza/adattamento” ( periodo in cui l’organismo si adatta all’agente nocivo) e infine la fase dell’esaurimento ( quando l’azione dello stressor è prolungata, lo stress dell’organismo persiste e le sue risorse si esauriscono, allora l’organismo può soccombere in modo più o meno completo). Inoltre, Selye distingue tra eustress e distress :

“l’eustress produce effetti desiderabili quali un

miglioramento delle capacità di risposta attiva, mentre il

distress provoca deterioramento delle prestazioni,

depressione, risposte inappropriate e, più in generale, conseguenze negative dal punto di vista psicofisico”.1

In ogni caso, secondo Selye lo stress non può essere evitato in quanto è parte integrante della vita. Questa concezione, nata in ambito medico, è molto 1

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importante per una nuova comprensione e cura di numerose patologie vecchie e soprattutto nuove. Ma a sua volta è stata integrata anche da altri modelli che sottolineano quanto siano vari gli stressors, in quanto non si limitano a quelli fisici e biologici ma comprendono anche fattori psicologici, sociali e culturali. Non a caso una delle aree in cui si è indagato il fenomeno dello

stress è stata quella lavorativa, in particolare da parte

di psicologi del lavoro ma anche di sociologi del lavoro e dell’organizzazione.

Il modello che oggi è prevalente è infatti quello chiamato psicosociale. L’uomo viene considerato una

unità integrata di mente e corpo inserito in un ambiente complesso (a sua volta scomponibile in vari ambienti), e

lo stress e le risposte ad esso sono viste come funzioni di un rapporto circolare tra individuo e ambiente. L’individuo, nel corso della sua vita, fronteggia le “domande” provenienti dall’esterno e dall’interno (es:lavorative, malattia, matrimonio, atteggiamento e attese negative e irrealistiche verso di sé e verso gli altri ecc..) utilizzando le “risorse” di cui al momento può disporre (es :salute fisica, personalità, sostegno sociale, atteggiamenti e attese positive e realistiche ecc.). Da questo “incontro” scaturiscono stati di equilibrio o

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disequilibrio. Tuttavia tale esito non è meccanico ma è mediato da processi cognitivi, ovvero da processi di valutazione individuale delle fonti di turbamento esterne e/o interne. Questa valutazione, a sua volta, dipende sia da fattori interni all’individuo sia da fattori ambientali e

“consentirà all’individuo di reagire allo stato di disequilibrio, nel tentativo di ristabilire l’ omeostasi. Tale reazione è importante dal momento che avrà delle ripercussioni sulle abilità future e sul carattere dell’individuo”2.

Naturalmente, alcune di queste reazioni saranno

adattive, mentre altre possono essere disadattive,

ovvero non solo incapaci di risolvere il problema ma tali da creare ulteriori problemi negativi che a loro volta provocano uno stato maggiore di stress con sintomi di vario genere (fisici, cognitivi, comportamentali).

Il burnout è un particolare tipo di risposta allo stress negativo, che si osserva sempre più frequentemente nelle “professioni di aiuto” (insegnanti, medici, infermieri, psicoterapeuti, assistenti sociali, educatori ecc..). Dopo mesi di impegno, cioè, il personale ha come un “crollo del morale”, un atteggiamento di nervosismo e irrequietezza o di apatia, indifferenza verso il proprio lavoro. Secondo Cherniss,

2

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“il burnout rappresenta, da un punto di vista psicologico, un particolare tipo di risposta ad una situazione di lavoro sentita come intollerabile”3.

Inizialmente il soggetto ha una sensazione di

stress e di esaurimento che non ritiene alleviabile

mediante una soluzione attiva del problema. Da qui nasce una specie di “fuga psicologica”, con l’illusione di poter evitare così il problema, mentre invece non si fa che aggravarlo, alimentando un circolo vizioso, fatto di irritazione, prostrazione, svuotamento, delusione e impotenza crescenti. Il burnout , più ancora nettamente dello stress, è un fenomeno psicosociale ed è comprensibile in modo migliore utilizzando strumenti propri della psicosociologia. In questa prospettiva i fattori di stress lavorativo risultano dalla interazione tra individuo e ambiente e il burnout si comprende considerando

“ i rapporti del lavoratore con l’equipe in cui è inserito, con i colleghi e i superiori, con la struttura organizzativa dell’azienda o dell’ente di cui fa parte”4.

In particolare, secondo Cherniss , l’analisi dovrebbe mettere a fuoco i seguenti aspetti: a) la

struttura costituita da ruoli, occupati da persone; b) i meccanismi culturali ( norme, abitudini, regole implicite

3

 C. Cherniss, La sindrome del burnout. Lo stress lavorativo degli operatori dei

servizi socio-sanitari,Centro Scientifico Torinese, Torino, 1983. Si veda anche G.Sica, La formazione attraverso la psicologia di comunità nell’emergenza, Andrea Valeerini Editore, Pisa, 1997

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ed esplicite ecc); c) le persone (con diverse storie, caratteristiche, personalità ecc) che occupano i ruoli. Secondo molte ricerche le principali fonti di stress lavorativo sono: 1) fonti intrinseche alla mansione (es: fattori fisico/ambientali come rumorosità, temperatura, illuminazione ecc ma anche carico di lavoro, orari prolungati ecc); 2) ambiguità di ruolo ( mancanza di chiarezza rispetto al compito) e conflitto di ruolo (richieste tra loro incompatibili:ad es l’insegnante riceve dal preside il messaggio di essere benevola e tollerante con gli allievi mentre i colleghi si aspettano da lei che sappia essere molto rigida e severa); 3) lo sviluppo di carriera (es: alte aspirazioni che poi vengono deluse; competitività tra colleghi; promozione ad un lavoro in cui non ci si sente all’altezza; mancate promozioni o paura di licenziamento ecc); 4) le relazioni di lavoro (es: incongruenza tra il ruolo occupato e quello che si vorrebbe; lavorare accanto a personalità poco sensibili alle emozioni altrui e fredde; stile di leadership, ecc); 5) la struttura ed il clima organizzativo (es: senso di appartenenza all’organizzazione o senso di alienazione).

Particolarmente interessanti sono le teorie di C. Maslach e di Edelwich e Brodsky. Secondo Maslach, la sindrome del burnout ha tre aspetti specifici: l’

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esaurimento emozionale, la spersonalizzazione e la ridotta realizzazione personale sul lavoro. Una persona

“che è eccessivamente coinvolta si “apre” sempre più verso gli altri tanto da sentirsi sopraffatta dalle richieste emozionali che essi le impongono”.5

La risposta a questo è allora l’esaurimento emozionale, ovvero il sentirsi sfiniti emozionalmente. A questo punto, per liberarsi da queste sofferenze, l’individuo cerca di “ sottrarsi al coinvolgimento con gli altri”, per es riducendo al minimo il contatto, lavorando in modo “burocratico” e “ freddo”, tanto da arrivare a volte a provare, difensivamente, una “fredda indifferenza” verso gli altri e i loro bisogni o addirittura un “disinteresse cinico”. E’ qui che inizia la spersonalizzazione : l’individuo comincia a detestare gli altri e di rimbalzo se stesso. E ciò da’ luogo a profondi

sensi di colpa per il proprio comportamento. Si arriva

così al terzo momento dove compare

“ il sentimento di una ridotta realizzazione personale sul lavoro. La persona inizia a sentirsi inadeguata per quel lavoro, fallita, depressa.”6.

Questo sentimento, naturalmente, è particolarmente penoso, in quanto il lavoro costituisce una delle dimensioni essenziali della vita.

5 ivi, p 61 6

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Secondo Edelwich e Brodsky, invece, il burnout è lo stadio finale di una mancata evoluzione professionale in senso maturo. Secondo gli autori,

“l’ingresso nella professione di molti giovani operatori è caratterizzato da uno stadio di entusiasmo idealistico e da nobili e grandiose aspirazioni in cui si ritiene di alleviare le sofferenze degli altri (oppure, nel campo dell’insegnamento, portare la cultura laddove questa manca) e così via. Lo stadio successivo è quello della stagnazione, in cui l’operatore continua a lavorare, ma comincia ad accorgersi che il lavoro non soddisfa del tutto i suoi bisogni psicologici; il terzo e successivo stadio è quello della frustrazione, in cui l’operatore comincia a pensare di “non aiutare realmente nessuno” e di “non servire a nulla”; infine […] si entra nello stadio finale caratterizzato da apatia, noia, disinteresse per il lavoro e ,in certi casi, anche nausea e disgusto per il lavoro stesso. E’ in questa fase che emerge il burnout vero e proprio”.7

Naturalmente, il fenomeno dello stress e anche del burnout interessa, e non poco, anche il corpo docente, in tutti i gradi scolastici, come del resto è intuibile dalla nostra analisi delle due ricerche sociologiche nel cap 3.

Innanzitutto, il ruolo di docente è molto complesso in quanto è composto da vari “segmenti” corrispondenti a varie funzioni come per es, trasmettere la cultura, valutare gli alunni, programmare il lavoro didattico, comprendere, gestire e farsi carico dei problemi motivazionali degli alunni ecc.. Naturalmente, tali “segmenti” possono entrare tra loro in conflitto e in ogni caso richiedono capacità e atteggiamenti mentali

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diversi. Si pensi per es. ad un insegnante che si trova “bersagliato” dai colleghi perché si comporta in un certo modo mentre i genitori si aspettano che egli si comporti in modo del tutto diverso. Oppure si pensi al caso in cui l’insegnante stesso può sentire, ad es., il bisogno di aiutare un allievo che si trova in difficoltà in una certa circostanza nello stesso momento in cui sente anche il bisogno di prendere provvedimenti per il suo comportamento indisciplinato . In secondo luogo, la società esercita sulla scuola pressioni crescenti in direzione di un numero maggiore di responsabilità, mentre al tempo stesso vi è un declino del prestigio sociale di questa professione. Gli insegnanti, spesso, si sentono oberati da richieste non solo eccessive ma anche incongrue, nel senso che non competono, in senso proprio, a tale ruolo, così come loro lo vivono (es : educazione stradale, educazione alla salute, per non parlare poi di finalità puramente assistenziali e di custodia). In terzo luogo, le finalità della scuola non sono chiare e ciò alimenta ulteriormente la crisi di identità del docente, già sollecitata dalla carenza denunciata riguardante la formazione iniziale dei docenti, il loro aggiornamento, per non parlare poi della retribuzione e della carriera.

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Naturalmente, oltre ai precedenti fattori “strutturali”, vi sono alla base dello stress e del burnout anche fattori individuali. In particolare: 1) la tendenza ad attribuire il successo o l’insuccesso a fattori interni e/o esterni a sé 8; 2) il rapporto tra Sé “ideale” e Sé

“reale” ( meccanismo della “delusione”). 9 ; 3) la

motivazione della scelta professionale ( lo stress e il burnout colpiscono di più coloro che hanno scelto la professione come “ripiego”). Vi sono poi i fattori

psicosociali ( che riguardano specifiche situazioni “locali”

che possono essere suddivise così: 1) la dimensione fisica e psicologica dell’ambiente di lavoro (scuole urbane/scuole rurali; attrezzature e sussidi didattici; “mentalità burocratica” ecc). 2) il rapporto con gli allievi (per es: da un lato l’allievo pretende di essere considerato “unico”, dall’altro l’insegnante ha molta difficoltà, data la numerosità delle classi, a “individualizzare” la propria prestazione; inoltre l’insegnante deve “fronteggiare” anche molti temi che fanno parte dei processi psichici dell’età evolutiva, e ciò costa molta “fatica psichica”; infine vi sono i problemi dell’indisciplina, del comportamento aggressivo e ostile, talvolta fino alla violenza, o la demotivazione e la scarsa 8

 ivi, p 103, 104 9 ivi p 104, 105

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cooperazione ecc, che provocano un senso di inadeguatezza e di frustrazione.; 3) il rapporto con i colleghi ( che possono essere sia fonti di sostegno che fonti di frustrazione, in quanto il collega può essere anche il “competitore” nella carriera. Al contrario il gruppo è un importante sostegno anche psicologico, soprattutto quando si forma non solo in base a ordini dall’ “alto”, ma anche di volta in volta “dal basso” in funzione dei problemi concreti mutevoli da affrontare); 4) il rapporto con la dirigenza ( si pensi per es: ai vari stili di leadership, accentratrice o democratica, o alle funzioni proprie del dirigente, da un lato “burocratiche”, dall’altro “professionali”); 5) il rapporto con i genitori (dove vi può essere collaborazione, all’interno di una divisione del lavoro, oppure conflittualità in quanto o il genitore o l’insegnante o entrambi invadono i “confini” dell’altro).

Da quanto detto appare chiaro che i fattori potenziali di burnout sono così numerosi che non sorprende che una certa quota di insegnanti finisca in una situazione “patologica”. L’insegnamento, non dimentichiamo, è una tipica professione di aiuto perché

“fondata su una relazione tra persone […] avente come finalità ultima la crescita personale ed intellettuale dell’utente (allievo) ad opera dell’operatore (docente)”.10

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Così come il processo di apprendimento è sorretto da motivazioni affettive, anche il processo di insegnamento coinvolge non solo competenze tecniche e intellettuali ma anche una forte componente affettiva ed emotiva, un notevole coinvolgimento. Di fronte a uno

stress prolungato, allora, l’insegnante si “adatta”

patologicamente ad esso e si distacca, difensivamente, dal contatto fisico e dal coinvolgimento emotivo. E in questo modo la relazione non è più una relazione di aiuto, ma diventa un “lavoro di semplice routine (spiegazione, interrogazione, compilazione di documenti ecc)”11. E se il processo si inasprisce l’insegnante può

arrivare ad altre “soluzioni” come per esempio prima l’assenteismo e poi il cambiamento della professione. In ogni caso, alta è la sofferenza : patologie psicosomatiche, perdita di interesse, colpevolizzazione o di sé o degli altri, magari alternativamente, sconforto ecc.

Negli anni ’60 si parlava molto di “capitale umano” (come del resto se ne ricomincia a parlare anche oggi) a proposito dello “spreco dei talenti” dei giovani. Sarebbe opportuno rendersi finalmente conto

 ivi, p 120 11 ivi p 120,121

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che anche nel caso degli insegnanti si assiste ad un analogo “spreco” di passione e intelligenza.

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