I SEZIONE: LO STUDIO PRELIMINARE
CAPITOLO 1: I
LL
UOGOIl luogo, inteso come area in cui si sono esplicati i fatti salenti della collettività, è premessa e fondamento di qualsiasi intervento: “…La città stessa è la memoria collettiva dei popoli; e come la memoria è legata a dei fatti e a dei luoghi, la città è il locus della memoria collettiva. Questo rapporto tra il locus e i cittadini diventa quindi l’immagine preminente, l’architettura, il paesaggio; e come i fatti rientrano nella memoria, nuovi fatti concrescono nella città. In questo senso del tutto positivo le grandi idee percorrono la storia della città e la conformano… E così l’unione tra il passato ed il futuro è nell’idea stessa della città che la percorre, come la memoria percorre la vita di una persona, e che sempre per concretarsi deve conformare ma anche conformarsi nella realtà…” (A. Rossi, L’Architettura della città, pp 178-180). L’approccio progettuale ad un tema tanto complesso viene quindi inevitabilmente condizionato dalle tendenze sviluppatesi nella peculiarità del sito: la memoria storica può diventare elemento su cui fondare la ricostruzione dell’identità perduta di una porzione edilizia, il suo riuso, il proposito di valorizzazione ed attualizzazione . In altre parole, la storia non è più vista come un peso da sopportare, cui adattarsi passivamente, ma un ampio repertorio da cui attingere per muovere i primi passi ed argomentare i vari spunti nell’iter compositivo.
1.1 Sassari: la città ed il suo volto
Ubicata al centro della vasta regione a nord-ovest della Sardegna, capoluogo di Provincia, è costruita su un vasto tavolato a 225 m. s.l.m., digradante verso il Golfo dell’Asinara.
Con i suoi 129.000 abitanti è un importante centro agricolo, commerciale e culturale, collocato all’incrocio di vie di comunicazione stradali e ferroviarie, sede di industrie operanti in prevalenza nei settori della trasformazione dei prodotti agricoli, ma anche di imprese meccaniche, del vetro, dei mobili, farmaceutiche e dell’abbigliamento. L’aspetto complessivo, moderno, lascia spazio a richiami e stilemi d’origine medievale, nei singoli fabbricati nell’assetto urbanistico e nell’intrecciarsi dei vicoli che intersecano le arterie principali del centro storico racchiuso, fino alla metà del XVIII sec., dalla cinta muraria pentagonale.
All’estremità della zona antica, sono sorti importanti rioni a carattere prevalentemente residenziale, serviti da ampie vie: Monte Rosello, Colle Cappuccini, Porcellana, Luna e Sole, Monte Bandinu.
L’oggetto della presente tesi ha giustificato l’interesse verso gli episodi pregevoli della città storica, di seguito presentati.
Corso Vittorio Emanuele.
E’ l’arteria principale della città, l’antico cardo chiamato Platha de Codinas, che attraversava, suddividendolo in due parti pressoché uguali, il centro storico cittadino, racchiuso dalle mura. Dei portici presenti al piano terra degli edifici insistenti sulla via, dal periodo medievale fino al Seicento, non resta ora alcuna traccia; la caratteristica più evidente si ravvisa nell’apertura graduale della sede stradale man mano che si procede verso Piazza d’Italia, il ‘salotto sassarese’, quasi anticipato da slarghi sempre più ampi, come Piazza Azuni e Piazza Castello.
Piazza Azuni.
Iniziò ad assumere l’aspetto attuale verso la metà del XIX sec., dopo l’abbattimento, nel 1853, della Chiesa di Santa Caterina; Piazza Azuni (prima Piazza Santa Caterina, appunto) si configurò come uno dei punti animati della vita cittadina, nella parte alta del Corso, che ospitava la ‘passeggiata’, spostatasi poi, agli inizi del ‘900, in Piazza d’Italia.
Piazza Tola.
Nell’odierna Piazza Tola (prima Carra Manna) venne edificato, nel 1577, il palazzetto di famiglia del barone d’Usini Don Giacomo Manca, appartenuto successivamente al Duca dell’Asinara, che morì nel 1805 durante i lavori di realizzazione della sua nuova dimora, attuale sede del Comune.
Rappresenta l’unico esempio cospicuo dell’architettura civile sassarese d’immediato aggiornamento, mutuato dal Rinascimento italiano. L’edificio è stato oggetto di numerosi restauri che ne hanno in gran parte modificato e svilito l’aspetto, soprattutto all’interno; del prospetto originario, a due piani, successivamente sopraelevato, rimane un solenne portale affiancato dagli stemmi della Casata, due finestrelle dell’ammezzato e cinque grandi aperture del piano nobile; si ha anche notizia di un vasto giardino retrostante, al centro del quale vi era un pozzo. E’ oggi sede della Biblioteca Comunale cittadina.
Il Duomo.
E’il risultato di numerosi rifacimenti ed integrazioni, condotti sulla pieve romanica esistente sin dal XII sec., nel centro storico sassarese.
All’esterno risaltano l’imponente facciata barocca, con le nicchie contenenti le statue dei martiri turritani e di S.Nicola da Bari, cui l’impianto è dedicato, ed il campanile,
portato alla configurazione attuale nel Settecento. L’interno, d’impronta gotica, ospita diverse opere di valore, risalenti ai secoli precedenti.
Il Palazzo Ducale.
La costruzione, avvenuta tra la fine del ‘700 ed i primi anni dell’800, rappresentò un momento estremamente significativo nella storia e nel panorama architettonico-edilizio cittadino.
Sorse, su commissione di Don Antonio Manca, marchese di Mores e Duca dell’Asinara, su un’area in pieno centro storico; l’opera venne diretta, molto probabilmente, dall’architetto piemontese Valino, tra il 1775 ed il 1805, e realizzata da maestranze lombarde con aiuti locali.
Il Palazzo, abitato per lungo tempo dal nipote del proprietario, Don Vincenzo Manca, subì in seguito diverse modifiche per adattarsi a sede della Prefettura, dell’amministrazione provinciale, nonché del Municipio, che lo acquistò nel 1900 e che ancora oggi vi mantiene le funzioni principali.
L’edificio consta di quattro piani, compreso il seminterrato, insistenti su un’area irregolare, con la facciata principale rivolta verso la piazza; l’esterno si presenta ‘grandioso ed imponente’ per la composizione architettonica settecentesca, derivata dalla tradizione piemontese, per i singoli elementi e per la scelta della pietra calcarea del paramento.
L’Università degli Studi.
Nel 1559 venne edificato, per mano dei Padri Gesuiti, giunti allora in città, il Collegio di Studi di San Giuseppe, episodio significativo per l’attività edilizia coeva, esempio per le costruzioni civili dei secoli successivi, nonché riferimento storico fondamentale: lo Studio Generale venne infatti denominato, nel 1634, Università di Sassari, prima Università della Sardegna.
La parte autentica, giunta sino a noi, risulta essere soltanto quella retrostante, verso i giardini pubblici: la ‘manica lunga’ consta di quattro piani, formati secondo gli stilemi cinque-seicenteschi, e nella sua parte centrale sono presenti quattro imponenti contrafforti, occupanti l’altezza di due piani, collegati da archi che danno origine ad un terrazzino. Regolari ed ornate da mostre appaiono le finestre, che si aprono nel paramento di pietrame intonacato.
L’aspetto odierno delle restanti zone è da attribuirsi al progetto d’adattamento della vecchia sede, affidato nel 1927 all’ing. Raffaello Oggiano; la lunga facciata modulare, animata solo nella parte centrale, per la diversa e più ricca conformazione delle aperture costituisce un chiaro esempio del genere ‘ministeriale’ ed è ripresa in una veste più semplice nell’ampio cortile interno.
Fra il 1926 ed il 1933 si procedette alla decorazione dei principali ambienti interni; nel 1940 venne sistemato, per mano di Filippo Figari, l’atrio.
La Stazione ferroviaria.
Realizzata nel 1881, ha attualmente un aspetto diverso dal primitivo progetto: l’avancorpo centrale è stato sopraelevato e ad esso sono state aggiunte le ali laterali, che hanno alterato l’equilibrio compositivo della facciata classicista.
La cinta muraria.
Venne iniziata nel XIII sec. dai Pisani, con lo scopo di difendere i cittadini dalle frequenti scorrerie provenienti dal mare e dalle mire dei potenti locali che ambivano ad impossessarsene; successivamente ampliata dai Genovesi, Aragonesi e Spagnoli, fu arricchita da numerose torri quadrate (36 secondo alcune fonti) e da un’unica torre cilindrica, Durandola.
Fu preservata fino alla metà del XVIII sec., quando s’iniziò la demolizione, seguita nel 1840, dallo scardinamento delle quattro porte, ubicate secondo i punti cardinali. I resti più importanti sono costituiti dalla torre merlata di Porta S.Antonio e da quella, leggermente più alta, in corso SS.Trinità (lungo il quale sono anche visibili alcuni brani delle antiche mura) che presenta delle singolari feritoie e tre stemmi raffiguranti particolari significativi per la città.
Fontana del Rosello.
Da molti considerata la fontana ornamentale più interessante ed illustre di tutta la Sardegna. La presenza della fonte, cui era affiancato un lavatoio, è attestata già nel 1295 col nome di Gerusele (o Gurusello o Gerusello, poi Uruselli) evolutosi infine in Rosello, in un punto importantissimo per la città, quando ancora non esisteva l’acquedotto.
I restauri condotti fra il 1595 ed il 1606 le conferirono l’aspetto attuale: fu collocata la struttura, studiata da artigiani genovesi in forme tardo-rinascimentali, composta da due parallelepipedi sovrapposti, di pianta rettangolare, con le facce scandite da riquadri in marmo verde su fondo bianco e sormontati da due archi semicircolari incrociatisi secondo le diagonali, su cui insisteva da principio la statuina di S.Gavino a cavallo.
Oggi la zona è diventata marginale, in una vallata sovrastata dal ponte omonimo. La Chiesa di Santa Maria di Betlem.
Sorse, ai margini del centro storico, nell’area di Santa Maria di Campulongu, donata ai benedettini dal giudice Costantino I de Lacon–Gunale nel 1106, allorquando vi si stabilirono i Francescani fra il II ed il III decennio del Duecento. Edificata fra l’VIII e l’ultimo decennio del XIII sec., la Chiesa doveva apparire come una particolare commistione del gusto protogotico di ascendenza cistercense, importato dai Francescani, con
quello ‘arabeggiante’ tardoromanico, già presente nel sud dell’isola; l’impianto originario venne modificato dai successivi interventi, in alcuni frangenti difficilmente precisabili, attuati dal ‘400 all’800.
San Pietro di Silki.
La Chiesa, con l’annesso convento francescano, fu fondata nel XIII sec., con impianto romanico; la struttura originaria, di cui permane oggi solo il campanile, venne profondamente trasformata soprattutto nel XVII sec. L’interno, un’unica navata con copertura a botte lamellata e quattro cappelle sulla sinistra, conserva pregevoli dipinti e preziosi simulacri, come quello della Madonna delle Grazie, rinvenuto forse nel ‘400.
Particolare attenzione è stata rivolta all’immediato contesto dell’edificio oggetto dello studio: un’ideale area ovale il cui asse principale s’identifica nel collegamento fra l’emiciclo Garibaldi e Piazza d’Italia.
L’Emiciclo Garibaldi.
Uno dei fulcri cittadini, importante snodo viario, ha una pianta semicircolare (in origine doveva ricalcare un cerchio) sulla cui parte curva si affaccia una corte continua di edifici, interrotta soltanto dalle storiche arterie che conducono a Piazza d’Italia. Nella parte opposta è
lambita dai giardini pubblici che, col loro esteso e curato verde, costituiscono un amena interruzione del tessuto edilizio.
Palazzo Giordano.
Il palazzo del senatore Giuseppe Giordano Apostoli sorse nel 1878 nel lato sud della Piazza d’Italia, sulla base delle direttive dell’ingegnere Giuseppe Pasquali, che realizzò il progetto, e dell’architetto Luigi Fasoli, che completò i lavori dopo la morte del primo.
L’edificio, a lungo ritenuto il più bello di Sassari, è un significativo esempio del neogotico ‘romantico-storico’; di pianta rettangolare, con prospetto articolato su tre livelli, a sviluppo orizzontale, presenta il piano terra rivestito in trachite a bugnato rustico, separato tramite una cornice marcapiano, dai due piani successivi, intonacati, dotati di finestre bifore (al primo) e monofore trilobate (al secondo), tutte con cornici di forma ogivale. Conclude i prospetti un cornicione aggettante, che regge il coronamento balaustrato, sotto il quale insiste una serie di archetti pensili archiacuti. Nei magazzini, al piano interrato, ebbe sede la prima tipografia del giornale locale ‘La Nuova Sardegna’; nel 1921 fu acquistato dal Banco di Napoli, di cui ancora oggi è sede.
Palazzo della Provincia.
L’iniziativa prese l’avvio il 31 dicembre 1872, con la donazione alla Provincia, da parte del Comune, dell’area sulla quale, il 18 ottobre successivo, ebbe inizio la costruzione della nuova sede provinciale. I lavori, diretti dal cavaliere Giovanni Borgnini e dall’ingegner Eugenio Sironi, autore del progetto, si conclusero il 10 luglio 1880, quando entrò in funzione l’orologio posto a coronamento della facciata.
L’edificio, che insiste sul lato nord-est della vasta Piazza d’Italia, costituisce l’imponente fondale scenico del ‘salotto sassarese’ cui, in origine, era collegato da un piano inclinato, sostituito successivamente dalla terrazza che doveva configurarsi come un’esedra. La struttura, a pianta rettangolare, su una superficie di 4456 mq, comprende all’interno tre corti, e due avancorpi che s’affacciano sul retrostante viale Umberto, bilanciati secondo l’asse di simmetria, denunciato al centro dell’enorme basamento bugnato, dal portale carrozzabile nel prospetto principale. In quest’ultimo sono facilmente leggibili gli influssi neorinascimentali, nel corpo centrale, in aggetto, scandito al primo e secondo piano, da sei semicolonne corinzie giganti, che si trasformano all’estremità del suddetto corpo, in lesene, per assicurare l’arretramento delle ali.
All’interno numerosi sono gli elementi di pregio e le sale riccamente ornate, fra cui la famosa aula consiliare, decorata tra il 1878 ed il 1882 dal catanese Giuseppe Sciuti.
Piazza Castello.
La conformazione odierna trova la sua origine alla fine del XIX sec., dopo l’abbattimento, decretato da una delibera del consiglio comunale, nel 1869, del Castello Aragonese, sostituito dalla Caserma La Marmora, sede della Brigata Sassari.
La piazza ospita due degli episodi urbani più discussi: i grattacieli costruiti fra il 1952 ed il 1965 ad opera di Fernando Clemente, allievo di Giovanni Michelucci, con la collaborazione di Franco Tassi, uno dei più esperti strutturisti dell’isola nell’uso del cemento armato.
Via Roma.
Era il vecchio “Stradone Nazionale”, il raccordo della strada Cagliari-Sassari-Porto Torres col tratto che conduce al Porto Turritano e che ora viene identificato nel parallelo viale Umberto, dove si trovavano piccole case ed osterie con locanda. Attualmente è forse la più maestosa arteria cittadina, qualificata da edifici di pregio architettonico e sociale, e costituisce, come negli intenti iniziali, l’importante asse viario che collega il salotto sassarese con le zone residenziali di recente espansione.
1.2 Sassari: la città ed il suo passato.
1.2.1 L’evoluzione storica.I primi insediamenti della città di Sassari, sebbene di data incerta, possono sicuramente farsi risalire ad un tempo remoto, come attestano le numerose testimonianze rinvenute nel territorio circostante, alcune delle quali conservate nel Museo Sanna: l’imponente ziqquratt di Monte d’Accoddi, edificata verso il 2400 a.C., i vari nuraghi, le grotticelle sepolcrali, le vestigia romane del II sec. d.C, come le strade e l’acquedotto.
La località in questione ospitò poi, nell’VIII sec., un nucleo di cittadini che fuggivano da Turris Libyssonis (odierna Porto Torres) per cercare rifugio dalle scorrerie saracene e si stabilirono probabilmente nel cosiddetto Pozzo di Villa, una piccola piazza attorniata da umili casette.
Il nome di Sassari è riportato per la prima volta in un registro del 1131, rinvenuto nel complesso conventuale di S.Pietro di Silki, dove si parla di ‘Iordi de Sassaro’; in un documento del 1135 è menzionata la Chiesa di Sancti Nicolai de Tathari.
La popolazione crebbe in un primo momento con ritmo piuttosto lento, per il flusso casuale, proveniente dalle regioni limitrofe, e soprattutto dal litorale; ma, a partire dal Duecento, si registrò un sensibile incremento, grazie alla felice posizione, al centro del Giudicato di Torres; Sassari subì, per tutto il secolo, nell’ordine, l’influenza dei Giudici, dei Pisani e dei Genovesi, fino a quando, nel 1294, si costituì in libero Comune, governato da un podestà e promulgò, nel 1316, gli ‘Statuti Sassaresi’, testimonianza dell’ordine giuridico, amministrativo, politico e urbanistico della città, nonché della presenza delle mura, delle consuetudini costruttive e dei materiali utilizzati.
La città aveva in quel periodo già assunto, con i suoi 12000 abitanti, quell’assetto urbanistico che rimase pressoché invariato fino agli inizi dell’Ottocento: le case costruite all’interno delle mura erano intercalate da campi e corti, separate da stradine strette e tortuose, nonostante si cercasse già con gli Statuti, di stabilire alcune norme di regolamentazione dell’attività edilizia.
Per tutto il XIV sec., Sassari fu oggetto di lotta fra gli Aragonesi, i Giudici di Arborea e i Doria; il difficile momento terminò con la pace stipulata, nel 1420 con gli Aragonesi, all’insegna della quale la ‘città regia’ (titolo conferito da Alfonso il
Magnanimo) potè godere di grandezza, serenità e riacquistare la sua posizione dominante.
Del Cinquecento si ricordano tristemente l’occupazione francese, che s’inserisce nell’ambito della lunga guerra intercorsa tra Carlo V e Francesco I, le frequenti invasioni dei Mori e le terribili epidemie di peste che, nel 1528 e nel 1582, decimarono la popolazione. Nell’ultimo quarto del secolo, si registrò in architettura una marcata influenza delle tendenze italiane, dovute alla presenza dei Gesuiti e degli architetti militari, chiamati per incrementare le fortificazioni.
Dopo la peste del 1652, si registrò un vero boom edilizio, soprattutto riguardante gli edifici religiosi e civili. Nel 1720 il Trattato di Londra pose fine alla dominazione spagnola e consegnò l’isola a Vittorio Amedeo II duca di Savoia e Re di Sicilia, che assunse il titolo di Re di Sardegna. Tale cambiamento politico ebbe i suoi effetti sull’urbanistica solo successivamente, nella costruzione di alcuni manufatti di pregio ed in particolare nelle nuove direttive urbanistiche.
Progetto di ristrutturazione della cinta muraria di Sassari, redatto nel ‘500 dall’architetto Rocco Cappellino.
1.2.2 Le ‘Appendici’ ed i Piani Regolatori.
Verso la fine del XVIII sec., nonostante gli sporadici tentativi di costruzione al di fuori della cerchia muraria entro la quale la città era rimasta confinata per cinque secoli, la struttura urbana permaneva pressoché identica alla sua origine medievale, come dimostrano le notizie desunte dal ‘semplice delineamento esterno della città’ richiesto dal Duca di Monferrato e realizzato nel 1806 dal bolognese Giovanni Masetti Raimondi, il primo violino di Sassari.
La topografia interna del centro abitato era costituita da una minuta tessitura alimentata da viuzze che serpeggiano tutt’ora tra gruppi di casette addossate le une alle altre, spesso sostenute da archetti di rinfianco; su di esse si distinguevano, per il loro aspetto più sontuoso, le chiese, attorno alle quali erano sorti i vari rioni, alcune case notabili dei tempo ed il Castello, costruito sopra la collina sovrastante il villaggio.
Gli interventi di edificazione nei terreni immediatamente circostanti le mura vennero legittimati dal Comune soltanto a partire dal 1829, dopo la visita di Carlo Alberto, che aveva dato il parere favorevole all’abbattimento della cinta ed all’espansione verso la campagna; per evitare che le costruzioni sorgessero in maniera disordinata, per l’arbitrio dei proprietari, nello stesso anno l’ingegnere Giuseppe Cominotti ricevette l’incarico di redigere il progetto di ampliamento.
A questo primo episodio di pianificazione, in cui si leggevano solo indicazioni relative ad una regolare disposizione degli isolati, separati da ampie strade, seguì nel 1837 l’approvazione del primo Piano Regolatore, recante la firma dell’ing. Enrico Marchesi: si diede l’avvio alle cosiddette ‘Appendici’ immediatamente fuori dalla Porta Castello, verso est. Nel disegno era previsto lo sviluppo a partire da Porta Nuova, risalendo lungo la facciata posteriore dell’Università, fino ad una piazza circolare a Pozzo di Rena (attualmente a semicerchio, l’Emiciclo Garibaldi) per poi volgere a sinistra in direzione di Porta Castello e concludersi in un’ampia piazza ottagonale, Piazza d’Italia, tutta circondata da portici, sulla scia della consuetudine torinese, reiterati anche nella via (v. Roma) che doveva congiungere l’area menzionata con la zona del Molino a Vento.
Pianta delle ‘Appendici’ di Sassari redatta nel 1836, da una pianta dell’ing. Enrico Marchesi.
Negli anni successivi, pur rimanendo invariate le direttive urbanistiche contenute nel piano, vennero disattese le iniziative riguardanti la forma ottagonale della Piazza d’Italia, oggigiorno quadrangolare, con superficie di 1 ettaro, e dei portici che avrebbero dovuto attorniarla, sicuramente più adatti ad un clima rigido come Torino, vennero edificati soltanto i tratti, dedicati a Crispo e Bargone, compresi fra Piazza Castello e Piazza d’Italia, quasi un diaframma fra due spazi pubblici di dimensioni e rilevanza visibilmente diverse. Il Comune si assicurò inoltre che nella zona venissero eretti edifici d’indiscusso pregio architettonico: il Palazzo della Provincia (1873),
sfondo maestoso della Piazza d’Italia, e Palazzo Giordano (1878), ad angolo di via Carlo Alberto, costituiscono gli esempi principali dell’intero panorama cittadino.
Pianta delle ‘Appendici’ di Sassari, nelle modificazioni succedutesi dopo il 1837.
Sassari andò via via espandendosi, a cominciare dai primi anni del 1900, da nord-ovest a sud-est, risalendo il pendio delle colline, ai piedi delle quali erano sorti i quartieri di Cappuccini, Porcellana, Baddimanna; nel 1907 l’ingegnere Eugenio Serra cercò di regolamentare la nuova attività edificatoria concentrandosi sul colle Cappuccini, che travalicava la barriera costituita dal Fosso della Noce, sulla creazione del Corso Margherita di Savoia e di Viale Dante, la cui alberatura proseguiva linearmente nei giardini pubblici, prospicienti l’Emiciclo Garibaldi, sulla definizione degli isolati e la tipologia degli edifici.
Altri momenti importanti si ebbero durante il ventennio fascista, quando il rilancio fu segnato dalla nascita dei quartieri residenziali di Viale Italia, di Monte Rosello, unito alla città dal Ponte dei Fasci, e dall’edificazione di alcuni manufatti storicamente ed architettonicamente significativi, come il Palazzo di Giustizia, la Piazza Conte di Moriana, gli edifici che ospitano i licei e gli istituti tecnici, alcune cliniche ed Università.
1.3 Sassari: gli indirizzi architettonici prevalenti.
Quando si passa ad esaminare ed evidenziare le caratteristiche che i movimenti artistici assunsero, ed il periodo storico in cui più forte e stimolante si manifestò la loro vitalità, dobbiamo usare molta cautela facendo riferimento alla Sardegna, dove alcuni indirizzi sembrano aver avuto scarsa incidenza, particolarmente per quanto riguarda il lasso di tempo fra il XVI ed il XX secolo, oppure essersi manifestati con un evidente scarto temporale rispetto al resto d’Italia.
Naturalmente, dobbiamo sempre tener presente, relativamente alle innovazioni in campo culturale ed artistico, la perdurante sottomissione dell'isola a domini stranieri: ciò che si produsse nei secoli citati ebbe come punto di riferimento prima la Spagna e poi il Regno di Sardegna (dall’8 Agosto 1720), nel quale era predominante la componente piemontese.
Nel Settecento la Sardegna iniziò a gravitare stabilmente nell'ambito italiano. Fin dai primi anni del secolo, soprattutto a seguito dalla grave crisi demografica ed economica prodotta dalla peste, nel 1652, si ebbe una buona ripresa edilizia: si iniziarono a costruire ed ampliare gran parte degli edifici privati cittadini, per rispondere alle aumentate esigenze di decoro da parte dei proprietari, appartenenti al ceto nobiliare e borghese ed al Clero, o ai loro interessi speculativi, legati al possesso delle vaste proprietà immobiliari date in affitto.
Le maestranze locali non erano però, tecnicamente, ben preparate, se si eccettua la categoria dei voltaroli, che si era tramandata la sapienza costruttiva di padre in figlio. La situazione cambiò notevolmente quando il governo piemontese inviò nell'isola architetti ed ingegneri militari, allo scopo di migliorare la difesa delle città costiere. Il loro contributo non si limitò però, soltanto a questo compito: essi si occuparono di numerose sistemazioni urbanistiche, modificando edifici chiesastici e civili, e dando vita a nuovi centri.
Essi ebbero inoltre il merito di aver dato corpo a quelle forme Barocche e Rococò che, fino a quel momento, avevano influenzato solo superficialmente l'architettura sarda, restando distinte, in maniera quasi impercettibile, dal Manierismo Classicista. Quest’ultima corrente ebbe infatti notevole peso nei periodi successivi proprio perché, il senso di gravità e sobrietà, tipico del Classicismo, ben si sposava con le concezioni tradizionali degli isolani che, spesso, continuavano a privilegiare la
linearità delle strutture, a discapito dello sfarzo che caratterizzò, in quell’epoca, molte altre fabbriche del continente.
Soprattutto nelle città giungevano quindi a compimento alcuni processi di commistione, non senza segnali d’attrito, fra le tendenze locali e gli interventi esterni, la cui serie di esempi più illustri, partita col rifacimento del Duomo (fine Seicento), passò attraverso i vari manufatti ed ornamenti dell’architettura sacra e si affermò nel rifacimento (fine Settecento) della Chiesa di Santa Maria di Betlem, il cui interno quattrocentesco gotico-catalano venne completamente riformato.
Le ultime propaggini del Barocco vennero dirette verso una rivisitazione della cultura classica, attraverso proposte nettamente rinascimentali, neoclassiche e puriste oppure verso nuovi indirizzi formali, alternati ad incertezze culturali e tecniche, prodotti da nuove considerazioni sull’idea dell’arte.
La novità introdotta nell’Ottocento consisteva in una marcata laicizzazione dei temi architettonici con la diretta conseguenza del trasferimento all’interno dei nuclei abitati della filosofia dell’arredo e di un suo uso qualificante in senso storico-culturale: nacque cioè il monumento pubblico, elemento d’arredo urbano, portatore di valori legati ai miti coevi ed alle prospettive della società civile e qualificante uno spazio spesso generico o anonimo. Contemporaneamente, alla tradizionale committenza religiosa, si aggiungeva una richiesta più varia di opere edili che trovava il supporto in amministratori municipali, in uffici e funzionari, in una classe borghese e signorile di fruitori privati, esigenti ed aggiornati. In pratica, l’entusiasmo riformatore si traduceva spesso in iniziative che solo sporadicamente assurgevano ad un valore degno di nota e la maggior parte dei palazzi continuava a seguire la scia di una conformazione piuttosto modesta e tradizionale con segni di modernità in facciata, che interessavano per il timbro provinciale di quei modi introdotti in una terra pressoché priva di tradizione.
Nel Novecento, i ricordi neoclassici fecero spazio al noeogotico e ad un timido liberty; soprattutto nel quartiere dei Cappuccini, sviluppatosi agli inizi degli anni Venti, sorsero dei dignitosi villini che testimoniavano il gusto per l’innovazione e per la modernità che si faceva pian piano strada.
Negli ultimi decenni del secolo si sono condotti grandi progressi in tema di una valida progettazione moderna, che non dimentica i modi compositivi tradizionali ed è comunque attenta alla valutazione delle testimonianze e degli episodi ereditati.
1.4 L’edificio sito in via Carlo Alberto, n°5.
L’origine del palazzo oggetto dello studio s’inserisce nelle linee evolutive appena tracciate e si colloca indubbiamente dopo il 1837, data d’approvazione del primo Piano Regolatore riguardante la zona, ed il 1899, quando alla presenza di Re Umberto I e Margherita di Savoia, venne inaugurato il monumento a Vittorio Emanuele II, al centro di Piazza d’Italia: da una foto scattata lateralmente, in quell’occasione, si distinguono chiaramente i prospetti su via Carlo Alberto e la facciata dell’edificio in questione.
Le poche conoscenze, per lo più indirette, sono state dedotte da brevi brani riguardanti l’immediato contesto; d’indubbia certezza è invece l’essenziale descrizione riportata nel Sommarione dei fabbricati dell’Archivio di Stato di Sassari. Sicuramente meno pregevole ed importante dell’adiacente Palazzo Giordano, aveva sin dall’inizio una conformazione semplice, quasi impersonale, che è rimasta pressoché invariata fino ad oggi, nonostante i numerosi interventi edilizi realizzati in varie fasi temporali; a dimostrazione di questo, sta il fatto che non sia censito dalla Sovrintendenza.
Esso occupava la parte anteriore, prospiciente via Carlo Alberto, di uno stretto lotto, con superficie di circa 1005 mq, compreso fra i due edifici dell’ultimo isolato immediatamente prima di Piazza d’Italia. Il fabbricato era strutturato su cinque livelli: il piano terra (8 vani), ultimamente di proprietà della Banca d’Italia, i due piani superiori (11 vani per ciascuno), destinati alle residenze, un unico locale al terzo piano ed il piano interrato (3 vani) in cui era contenuto il deposito della Banca. La facciata, con una lunghezza di circa 21 m., seguiva gli indirizzi architettonico-formali dell’epoca, sebbene con fattura ed ornamenti non particolarmente significativi; era suddivisa, in orizzontale, in due parti denuncianti la destinazione funzionale interna: il primo livello, con paramento di tufo squadrato, in cui era
ubicato l’ingresso, anche carrabile; la parte superiore, intonacata, scandita da aperture modulari, in cui originariamente spiccava, al centro del secondo livello, un piccolo terrazzo. Nello sviluppo verticale, concluso in sommità da un cornicione sporgente, risultavano evidenti tre zone, con quella centrale in leggero aggetto sulle altre.
Foto di v. Carlo Alberto scattata ai primi del ‘900: l’edificio centrale, sulla destra, è il palazzo oggetto dello studio.