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Immagini, parole, ombre

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Academic year: 2021

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Immagini, parole, ombre

Giuseppe Maffei, Lucca

Ogni parola ha un alone semantico. Seguendo una sug- gestione di Anna Resnik possiamo immaginare questo alone semantico come un'ombra, ma un'ombra che non è sempre identica a se stessa. Mi piace immaginare ancora che la forma dell'ombra (dell'alone semantico) di ogni parola vari, nel linguaggio parlato, a seconda delle modalità con cui la parola viene pronunciata. L'ombra della parola «upupa» non può che essere, a causa delle due «u» per chi non conosce quell'uccello, un'ombra un po' sinistra ed è forse difficile che la sua ombra possa diventare quella di un uccello solare. E per parole con una quantità maggiore di suoni, la loro combinatoria è tale che possiamo immaginare veramente una quantità infinita di ombre.

La suggestione può essere applicata, credo, anche alle immagini. Anche le immagini hanno un alone semantico, possiedono un'ombra costituita, in questo caso, da diverse parole. Ma anche le parole «ombre» di immagini non possono essere sempre le stesse perché le modalità di rappresentarsi delle immagini è molto varia ed a diversi colori, a diverse sfumature, a diversi contorni non possono non corrispondere che suoni differenti.

Ne le parole ne le immagini dicono la verità, rivelano comunque l'essenza di ciò cui si riferiscono. La «cosa»

resta sempre un loro irraggiungibile «oltre». A mio awiso, è la consapevolezza di questa irraggiun-

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gibilità della «cosa» che può fondare una utilizzazione analitica di tecniche in cui venga dato spazio alle imma- gini, sia di quelle in cui viene compiuto un uso diretto di immagini mentali che di quelle in cui vengono offerti, ai pazienti, oggetti che consentono di giocare e, appunto, di immaginare (v. la tecnica analitica kleiniana e la sand play therapy). Se queste tecniche vengono cioè usate ritenendo che riescano a porre più vicini alla realtà della psiche, viene compiuto, credo, un «attacco» inconscio all'ambito del verbale. E nello stesso modo, se si usa l'ambito del verbale, ritenendolo più vicino o addirittura coincidente con la realtà della psiche, si compie pure un

«attacco» inconscio all'ambito dell'immaginario.

Se si rinuncia invece, radicalmente, alla raggiungibilità della «cosa», ambito del verbale e ambito dell'immagina- rio appaiono invece come ambiti dell'Esserci (Dasein) dell'uomo, modalità cioè di rapportarsi al mondo per via verbale e per via immaginativa (v. il saggio di Sartre sull'immaginario: la coscienza che prende forma immagi- nante).

Quando Kekulé immagina il serpentello che si chiude a cerchio e intuisce la struttura dell'anello benzenico, la scoperta della chimica organica è già avvenuta a livello immaginativo; poco dopo viene assunta dal livello verba- le. E viceversa certe scoperte a livello di verbalizzazione astratta necessitano di essere assunte a livello immagi- nativo.

Immagini e parole si rimandano le une alle altre in modo incessante: basti pensare ancora, nelle tecniche classi- che, all'uso dei sogni e dei giochi. E lo stesso vale, credo, anche per la terapia con la sabbia dove l'ombra verbale delle immagini create con l'aiuto dei «bambini» giochi e della «madre» sabbia, è essenziale, almeno nella psiche del terapeuta per il buon esito dell'esperienza.

Immaginare e parlare, fantasticare e pensare, sognare e pensare da svegli: si tratta di ineliminabili polarità, che se anche create di necessità dalla pre-esistenza del linguag- gio alla nascita del neonato, non per questo devono es- sere ritenute come completamente riducibili al livello del parlare, del pensare e del pensare da svegli. Non è pensabile che il riconoscimento della centralità del lin- 166

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guaggio nella costituzione della vita psichica debba de- terminare una sottovalutazione di tutto ciò che non ap- partiene alla sua sfera. La terapia della sabbia, se non è usata come un «attacco» al verbale, ma riconosce invece un proprio fondamento nella rinuncia alla «cosa»

può pertanto essere così ritenuta come una forma di terapia, che consente a chi la pratica di entrare in contatto non solo con le immagini idealizzate del proprio sé, ma anche con i luoghi della propria sofferenza e della propria incompletezza. E questo può essere particolarmente utile per quelle persone in cui il livello verbale ha come assunto un potere eccessivo, in cui è possibile osservare un distacco sia dal fondamento immaginativo (inalienabile) della vita psichica che dall'esperienza estetica. La produzione di forme esteticamente molto belle, se non diviene una delle tante modalità della propria idealizzazione, pone in contatto infatti con una sfera della vita psichica che per molte persone è molto lontana dalla coscienza e pressoché irraggiungibile: è per questo che l'attivazione di una ten- denza estetica può essere pure considerata, pertanto, come molto importante nella direzione di una riap- propriazione di modalità di esistenza, oggetto di mecca- nismi di diniego.

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