• Non ci sono risultati.

C.R.P.A. S.p.A. - Pubblicazioni - e-book del CRPA - Gli alimenti per la vacca da latte: i foraggi

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "C.R.P.A. S.p.A. - Pubblicazioni - e-book del CRPA - Gli alimenti per la vacca da latte: i foraggi"

Copied!
84
0
0

Testo completo

(1)

G G l l i i a a l l i i m m e e n n t t i i p p e e r r l l a a v v a a c c c c a a d d a a l l a a t t t t e e : : i i f f o o r r a a g g g g i i

Ma M ar ri ia a Te T er re e sa s a Pa P ac cc ch hi io ol li i

Gi G iu us se ep pp pe e F Fa at tt to or ri i

(2)

A cura di Maria Teresa Pacchioli e Giuseppe Fattori Testi

Elena Bortolazzo, Aldo Dal Prà, Roberto Davolio, Marco Ligabue, Adelfo Magnavacchi, Stefano Pignedoli, Maria Teresa Pacchioli, Fabrizio Ruozzi, Vincenzo Tabaglio, Paola Vecchia Analisi compositive dei foraggi

Alessandra Immovilli, Cristina Panciroli Progetto grafico e impaginazione Giuseppe Fattori

Editore

Centro Ricerche Produzioni Animali – C.R.P.A. S.p.A. – Viale Timavo 43/2 – 42121 Reggio Emilia Questa pubblicazione è stata realizzata da CRPA con il finanziamento del Programma di Sviluppo Rurale dell’Emilia-Romagna 2007-2013, Misura 111 Azione 2 “Azioni trasversali di supporto al sistema della conoscenza”.

È consentita la riproduzione di testi previa autorizzazione da parte di CRPA.

Foto e disegni sono proprietà degli autori.

Ringraziamenti

Un particolare ringraziamento ad Angelo Barilli, il quale da ricercatore e direttore ha avviato e portato avanti in CRPA la sperimentazione in foraggicoltura, unendo al rigore scientifico la grande attenzione alle esigenze di agricoltori e allevatori.

Si ringraziano anche le numerose strutture di ricerca che si occupano di agricoltura e produzioni animali, soprattutto emiliano-romagnole, che con CRPA hanno realizzato numerosi progetti. Dai loro risultati, pubblicati e divulgati nel corso degli anni, provengono buona parte delle conoscenze ed indicazioni riportate nel testo.

Reggio Emilia, dicembre 2014 Reggio EmEE ilia,a dicem

(3)

Pr P r es e se en nt t az a z i i on o ne e

I foraggi sono alimenti destinati al bestiame costituiti da piante intere, utilizzate fre- sche appena sfalciate o dopo conservazione. La pianta da foraggio può essere usata a diversi stadi di maturazione e molto spesso piante che alla maturazione completa forniscono granelle (concentrati) hanno una valenza come foraggera negli stadi fe- nologici precedenti.

Se la conservazione dei foraggi avviene per essiccazione (naturale o forzata) si parla di fieno, se avviene per acidificazione della massa in anaerobiosi si ha l'insilato.

I foraggi sono tradizionalmente usati nei sistemi zootecnici intensivi, mentre il pa- scolo, in cui l'erba non viene tagliata ma assunta direttamente dagli animali, ca- ratterizza i sistemi estensivi.

Queste poche indicazioni illustrano una suddivisione dei foraggi scolastica, ma ancora utile, in quanto le basi delle tecniche di produzione e conservazione sono ri- maste le stesse negli anni.

Quella che invece è cambiata molto è l'organizzazione dei sistemi zootecnici e con questa la dimensione delle aziende, il livello produttivo delle bovine, il grado di meccanizzazione e la disponibilità di manodopera.

La produzione e l'utilizzazione dei foraggi segue questi cambiamenti, che richiedono:

specie più produttive in termini di quantità e qualità; modifiche dei cantieri di lavoro per rendere più efficienti la raccolta e la conservazione dei prodotti, riducendo le perdite; una migliore conoscenza del valore nutritivo dei foraggi, indispensabile per fare fronte alle esigenze nutrizionali di bovine più produttive.

Questo testo riunisce informazioni utili per produrre e valutare i foraggi destinati all'alimentazione della vacca da latte. I dati e le indicazioni riportate, pur nel formato schematico e succinto dell'e-book, derivano in buona parte dai risultati di numerosi progetti di studio e sperimentazione che CRPA ha portato avanti come coordinatore e partner entro lo strumento della Legge Regionale n.28/98 "Promozio- ne dei servizi di sviluppo al sistema agro-alimentare”, realizzati con il contributo dalla Regione Emilia-Romagna e grazie alla collaborazione e il supporto di numerose aziende agricole e produttori di mezzi tecnici.

(4)

4

So S om m ma m ar ri io o

L

Le e p pi ia an nt te e f fo or ra ag gg ge er re e

7 Erba Medica 13 Loiessa 17 Prato polifita 25 Mais

L

La a r ra ac cc co ol lt ta a e e l la a c co on ns se er rv va az zi io on ne e d de ei i f fo or ra ag gg gi i

31 Conservazione

35 Fienagione tradizionale 43 Fienagione in due tempi 47 Insilamento

La L a v va al lu ut ta az zi io on ne e d de ei i f fo or ra ag gg gi i

53 Campionamento 57 Valutazione sensoriale 61 Composizione nutrizionale

79 Sicurezza igienico sanitaria dei fieni

(5)

L L e e p p i i a a n n t t e e f f o o r r a a g g g g e e r r e e

(6)

6

(7)

L'erba medica è la foraggera prativa più diffusa in Italia. In pianura pada- na vengono effettuati 4 o più tagli (6 o 7 in presenza di irrigazione); la pro- duzione è variabile a seconda dell'età della coltura e della disponibilità di acqua, ma in generale è massima nel secondo anno.

Quello di erba medica è anche il prato più produttivo, sia in termini di so- stanza secca che di proteina: considerando un valore medio di proteina grezza della biomassa verde del 20% sulla sostanza secca, la potenzialità produttiva di un medicaio non irrigato di secondo anno è di 2,8 tonnellate di proteina per ettaro, praticamente il doppio di quanto si può ottenere dalla coltivazione di una stessa superficie di soia (irrigata) e 3 volte quello che si potrebbe ottenere dal pisello proteico in semina autunnale.

La quantità di foraggio prodotto dall'erba medica e la sua qualità sono influenzate da diversi fattori, primo tra tutti lo stadio di maturazione al mo- mento dello sfalcio, poi la varietà scelta, le condizioni di crescita (per esempio piovosità, caratteristiche del suolo, trattamenti eseguiti).

In generale, l'anticipo del taglio determina una biomassa con minore so- stanza secca, ma con un contenuto unitario di proteina più elevato e fibra molto digeribile.

Per ottenere un foraggio di qualità l'erba medica dovrebbe essere sfalciata ad inizio fioritura, quando il rapporto tra sostanza secca, contenuto di pro- teina e qualità della fibra raggiungono un livello di compromesso ottimale tra quantità prodotta e qualità del foraggio.

La semina

Negli ambienti centro-settentriona- li la semina va effettuata in primave- ra, durante il mese di marzo; nella fascia dell’alta collina è possibile po- sticipare fino a metà aprile. Negli areali meridionali, con decorso pri- maverile caldo e siccitoso, è bene anticipare la semina per ottenere un sufficiente accrescimento delle piante prima dell'aumento delle temperature.

La preparazione del letto di semina deve essere accurata, come per tutte le specie a seme piccolo; per un'emergenza omogenea e pronta è bene rullare il terreno prima e dopo la semina.

La semina va fatta a file distanti 12- 15 cm, utilizzando 25-40 kg/ha di se- me; la dose più alta va impiegata nei terreni più pesanti o con preparazio- ne meno accurata. Per favorire una pronta emergenza, la profondità di semina non deve superare 1-1,5 cm.

E E r r b b a a m m e e d d i i c c a a

( ( M M e e d d i i c c a a g g o o s s a a t t i i v v a a L L . . ) )

Erba medica. Produzione media dell'Italia del nord (pianura e collina)

(8)

8

È una specie poliennale che si adatta a numerose situazioni pedoclimatiche, ma la sua elevata produttività si mani- festa appieno nei terreni profondi di medio impasto o argillosi della pianura e della collina.

Infatti:

• sopporta la siccità e le elevate temperature per periodi prolungati;

• è sensibile al freddo solo nei primi stadi di sviluppo;

• teme il ristagno idrico;

• non si adatta a terreni sciolti, che sono generalmente poveri di potas- sio e di calcare;

• non tollera i terreni a reazione aci-

da; il pH del terreno deve infatti es- sere compreso fra 6,5 e 8,0. Con valori di pH inferiori la simbiosi ri- zobica si instaura con difficoltà e viene compromessa la durata del prato.

La temperatura ottimale di accresci- mento per l’erba medica è compresa tra i 20 e 25°C: entro tali valori si ha la mas- sima velocità di fotosintesi e di azoto fissazione.

La pianta arresta la propria crescita attiva entrando in riposo vegetativo con temperature inferiori a 5°C, tollerando tuttavia anche temperature invernali di –15°C ed estive di 35-40°C.

Pianta poliennale che fornisce la massima produzione in terreni profondi, di medio impasto e argillosi

T

TE EC CN NI IC CA A C CO OL LT TU UR RA AL LE E

L'erba medica è una specie poliennale (si considera una vita produttiva media di 3-4 anni), pertanto è una coltura miglioratrice: grazie all'assenza di lavorazioni si determina infatti un aumento della sostanza organica del suolo. Inoltre, residua nel terreno rilevanti quantità di azoto organico in favore delle colture in succes- sione. Di norma viene inserita in rotazione dopo il cereale vernino e viene segui- ta da una sarchiata o di nuovo dal cereale, colture in grado di avvantaggiarsi dell'azoto che la leguminosa lascia nel suolo. Non è bene che la coltura succeda a se stessa a causa dell’accumularsi nel terreno di sostanze tossiche e parassiti che comprometterebbero la durata del prato.

Nelle aziende zootecniche, che hanno necessità di produrre rilevanti quantità di foraggio, può essere adottata una rotazione che preveda l'erbaio autunno-vernino.

Oltre al loglio italico (loiessa) anche il frumento o un altro cereale da sfalcio sfrutta appieno la fertilità residua nel terreno.

La scelta delle varietà di medica è estremamente importante: infatti una scelta corretta consente di ottenere il massimo produttivo in una data zona e una soddi- sfacente durata del prato. L’impiego di varietà selezionate impone particolari attenzioni alla pratica colturale e alle modalità di fienagione, al fine di non compromettere i vantaggi produttivi raggiungibili. Anche l’acquisto della semente è importante: le ditte specializzate forniscono in genere una garanzia sufficiente per quanto riguarda purezza, germinabilità, energia germinativa del seme. I principali criteri di scelta di una varietà riguardano l’adattabilità all’ambiente, il tipo di conduzione aziendale e la destinazione del foraggio.

L'adattabilità all’ambiente rappresenta l’aspetto più importante da tenere in considerazione: per ambiente si intende l’insieme dei fattori climatici (piovosità, temperature), pedologici (pH, calcare attivo, tessitura del terreno) e orografici (altitudine ed esposizione). Una componente importante dell’adattabilità è costi-

C CA AR RA AT TT TE ER RI IS ST TI IC CH HE E F FI IS SI IO OL LO OG GI IC CH HE E

(9)

tuita dal grado di resistenza all’inverno, che è determinata dalla dormienza. La dormienza consiste infatti nell’attitudine della pianta ad arrestare l’attività vege- tativa in inverno per un periodo più o meno prolungato: durante la stasi vegetati- va le piante non vengono danneggiate dal gelo. Per gli ambienti settentrionali sono utilizzate le varietà dormienti; negli ambienti centro-meridionali sono proponibi- li le varietà semi-dormienti o non dormienti.

In situazioni difficili, per esempio in aziende collinari senza possibilità di irriga- zione, la scelta varietale deve essenzialmente puntare sulla rusticità, al fine di ga- rantire una buona durata del prato, con un buon equilibrio fra produzione e qualità del foraggio. In situazioni ottimali, in terreni fertili, irrigui, l’agricoltore può spingere verso una intensificazione produttiva, scegliendo varietà ad elevata vigo- ria, resistenti ai tagli anticipati e frequenti e preoccuparsi anche di una migliore qualità del foraggio con l’impiego di varietà fogliose e a stelo sottile.

Anche l'uso foraggero indirizza la varietà: per la fienagione tradizionale sono da preferire varietà fogliose con persistenza dei palchi inferiori; il fusto cavo facilita l'essiccazione della pianta riducendo il tempo e quindi le perdite di fienagione, a vantaggio della qualità. Se il foraggio viene essiccato tramite aeroessiccazione o disidratazione, poiché lo sfalcio viene normalmente praticato ad uno stadio vege- tativo anticipato rispetto alla fienagione tradizionale, è indispensabile scegliere varietà resistenti ai tagli anticipati e frequenti, con precocità di ripresa vegetativa dopo l’inverno ed elevata vigoria. Anche in questo caso le caratteristiche di foglio- sità, fusto cavo e non grossolano sono importanti per la qualità finale del prodotto.

Per avere un'elevata qualità del foraggio va praticato il taglio anticipato e quindi l’uso di varietà idonee deve essere fatto anche per produrre fieno.

Grazie alla simbiosi rizobica, il medicaio in produzione è completamente auto- sufficiente nei confronti dell’azoto; un suo eventuale apporto potrebbe addirittu- ra comprometterne la durata. Va evitata anche la distribuzione di liquami nei primi tre anni in copertura, che favorisce lo sviluppo delle specie infestanti a scapito delle piante di medica.

Si ricorda che gli apporti di fosforo e potassio risultano inefficaci in terreni in cui fosforo e potassio superano rispettivamente le soglie di 30-35 ppm di P2O5assi- milabile e di 150-180 ppm di K2O scambiabile. Oltre che dalla dotazione del terre- no, la somministrazione di concimi chimici dipende anche dalla quantità di letame dato in fase di impianto.

(10)

10

L'irrigazione

L’erba medica è dotata di una radice fittonante molto profonda, in grado di utilizzare anche l’acqua che si trova in profondità nel terreno; questo consente alla pianta di produrre discrete quantità di foraggio anche nel periodo estivo. In condizioni di siccità la medica risponde bene all’irrigazio- ne, con incrementi produttivi anche rilevanti; con un apporto irriguo di 1.000 m3/ha (pari a 100 mm di pioggia) effettuato in due interventi si possono ottenere aumenti di produ- zione variabili da 2 a 4 t/ha di sostanza secca, quantità paragonabili alla pro- duzione di un taglio. Nell’anno di impianto è bene ridurre l’apporto irri- guo a 600 m3/ha (pari a 60 mm di pioggia), per evitare il rischio che le giovani piante, trovandosi in condi- zioni idriche favorevoli, non sviluppi- no a sufficienza l’apparato radicale.

Anche per l’irrigazione, così come per il diserbo, è opportuno considerare attentamente i costi dell’intervento e il beneficio che si ottiene, privilegiando l’utilizzazione dell’acqua di irrigazio- ne sulle colture più idroesigenti.

Il seguente schema di concimazione può essere un esempio consigliabile.

ALL'ARATURA

• 40 t/ha di letame (che apportano circa 100 kg/ha di P2O5 e 280 kg/ha di K2O), integrate da 50-80 kg/ha di P2O5in terreni poveri di fosforo;

• se non è disponibile il letame, in terreni poveri possono essere somministrati 100-200 kg/ha di P2O5e 150-250 kg/ha di K2O;

ALLA SEMINA

• può essere utile in condizioni di scarsa fertilità una somministrazione di azoto molto ridotta (20-30 kg/ha), per sostenere la pianta nei primi stadi di svi- luppo, quando la simbiosi non si è ancora instaurata; non superare le dosi indicate per non favorire le infestanti e frenare l'instaurarsi della simbiosi;

NEGLI ANNI INTERMEDI

• solo se il terreno è povero in potassio, è necessario intervenire a fine inverno con 80-100 kg/ha di K2O;

• il fosforo va apportato, anch’esso a fine inverno, solo in accertate condizioni di carenza: se il terreno è ben dotato, la somministrazione di P2O5in copertura non porta beneficio né alla produzione né alla longevità del prato;

NELL'ULTIMO ANNO

• l’impianto si presenta generalmente più o meno infestato: può essere conve- niente in questi casi incrementare la produzione complessiva favorendo le graminacee avventizie con un apporto di 100-150 kg/ha di azoto a fine inverno o alla levata.

Il diserbo chimico del medicaio è indispensabile nel caso esso sia destinato alla pro- duzione di seme o di farine disidratate. Nella coltura da foraggio, invece, si consi- glia di intervenire solo in caso di reale necessità, valutando il tipo di infestazione, le caratteristiche delle infestanti per l'uso foraggero e il costo del trattamento.

Con due irrigazioni si possono ottenere aumenti

di produzione paragonabili a un taglio in più

(11)

Le avversità

Quelle di origine batterica e fungina raramente sono causa di danni rilevanti, tali da giustificare interventi fitosanitari.

Normalmente una corretta tecnica agronomica (rotazioni appropriate e una razionale sistemazione del terreno che eviti il ristagno idrico), evitano l'insorgere di tali fitopatie.

Al contario alcuni insetti possono raggiungere livelli di presenza tali da causare seri problemi: gli afidi, che si nutrono di linfa, rallentando lo sviluppo degli steli, il fitonomo (Hypera postica), la crisomela (Phytodecta fornicata) e l’apion (Apion pisi F.), che provocano erosioni fogliari.

In caso di attacchi conviene, se il medicaio è sufficientemente sviluppato, anticipare il taglio; in caso di attacchi rilevanti e se il ricaccio non è sufficientemente sviluppato si può intervenire con prodotti specifici. I principi attivi ammessi da uti- lizzare in questi casi sono le piretrine naturali, la lambda cialotrina, tau-fluvalinate e imidacloprid.

Fitonomo (Hypera postica) Apion (Apion pisi F.)

(12)

12

(13)

L L o o i i e e s s s s a a

( ( L L o o l l i i u u m m m m u u l l t t i i f f l l o o r r u u m m L L . . ) )

La famiglia delle graminacee comprende i cereali da granella e molte foraggere;

anche se le specie da granella, soprattutto i frumenti, possono essere proficua- mente utilizzati come erbaio per produrre foraggio, le principali graminacee tipi- camente foraggere sono: l'erba mazzolina (Dactylis glomerata L.), la festuca arundinacea (Festuca arundinacea Schreb.), il fleolo (Phleum pratense L.), il lo- ietto inglese (Lolioum perenne L.), la loiessa (Lolium multiflorum L.), il bromo catartico (Bromus willdenowii Kunth) e inerme (Bromus inermis Leyss.).

Tra queste si trovano specie poliennali utilizzabili nei prati e nei pascoli, ma anche specie che ben si adattano all'uso annuale da erbaio come la loiessa, nota anche come loglio o loietto italico. Pianta molto produttiva (sino a 40-50 tonnellate di verde e 8-10 tonnellate di sostanza secca per ettaro) come tutte le graminacee, la loiessa risponde molto bene alla fertilità residua del terreno e alla concimazione, anche organica, risultando adatta alla rotazione con il prato di erba medica, e quindi utilizzata molto spesso nelle aziende zootecniche.

Il foraggio di loiessa può essere usato insilato o come fieno. A fronte di una abbondante produzione di biomassa con un contenuto di sostanza secca attorno al 20% (inferiore ad altre graminacee), la fienagione della loiessa può essere diffi- cile in condizioni climatiche che ostacolano l'essiccazione del fieno. Per questo è necessario seguire alcuni accorgimenti al momento della raccolta, come per esempio l'impiego di falcia-condizionatirici. Lo sfalcio dell'erbaio è da eseguire ad inizio spigatura, ma sono disponibili varietà che spigano in periodo differenziati tra fine aprile e fine maggio. A partire dalla fioritura le piante lignificano rapida- mente. Il foraggio di graminacee si caratterizza per l'elevato apporto di fibra, ben digeribile se lo sfalcio della pianta avviene prima della lignificazione del culmo, un non trascurabile contenuto di zuccheri nei fieni (sino al 8-12% della sostanza secca), mentre l'apporto proteico difficilmente supera il 10% della sostanza secca.

T

TE EC CN NI IC CA A CO C OL LT TU UR RA AL LE E

La scelta della varietà di loiessa deve essere funzionale al tipo di impiego (p.e fie- no o insilato) preferendo comunque quelle più resistenti alle avversità. Le varie- tà di loiessa si distinguono anche per il numero di cromosomi. Le tetraploidi hanno un numero di cromosomi doppio (2n=28) rispetto alle diploidi (2n=14), presenta- no foglie più larghe e, in generale, organi più sviluppati e colorazione più intensa;

La semina

Per l'erbaio di loiessa la semina avviene in genere tra fine settembre e inizio ottobre. È bene non andare oltre perchè il gelo può scalzare le piantine in radicamento. Alcune va- rietà hanno poi una scarsa resi- stenza al gelo. In generale la loiessa non ha grossi problemi di impianto, anche se essendo una specie a seme piccolo una buona preparazione del letto di semina è sempre preferibile.

La rullatura del terreno prima e do- po la semina è auspicabile.

La semina avviene a file distanti 13- 18 cm, con quantità di seme variabi- li per le varietà diploidi (25-30 kg /ha) e le tetraploidi (30-35 kg/ha).

La profondità di semina non deve superare i 2 cm.

(14)

14

per contro contengono più acqua delle diploidi (2-3%). Considerando che la pro- duttività è comunque paragonabile tra diploidi e tetraploidi, per la fienagione sa- rebbero da preferire le prime, scegliendo tra le più tardive.

La precocità è un altro elemento di scelta. In pianura padana le varietà precoci spigano attorno al 20 di aprile, le tardive un mese dopo. Le precoci sono indicate se si intende sfruttare questa caratteristica per avere a disposizione un erbaio che, comunque, libera terreno in tempo utile per la semina del mais, mentre le tardi- ve sono certamente più produttive perchè il ciclo è più lungo.

Perchè la loiessa possa esprimere le sue potenzialità produttive è necessario fornire soprattutto azoto

La loiessa è una specie autunno verni- na particolarmente adatta agli ambienti freschi e fertili di pianura e di collina. Infatti:

• si adatta a tutti i tipi di terreno;

• è sensibile alle alte temperature e ai periodi prolungati di siccità;

• risponde molto bene alla fertilità del suolo e alle concimazioni.

La loiessa germina con almeno 1-2°C, ma una volta insediata vegeta anche a basse temperature; le condizioni otti- mali di crescita sono intorno ai 18- 20°C, mentre dai 35 °C cessa ogni accrescimento.

C

CA AR RA AT TT TE ER RI IS ST TI IC CH HE E F

FI IS SI IO OL LO OG GI IC CH HE E

Diserbo

L'erbaio di loiessa in genere non necessita di diserbo: la velocità di insediamento e l'aggressività della coltura sono sufficienti a controllare lo sviluppo delle malerbe.

(15)

Perchè la loiessa possa esprimere le sue potenzialità produttive è necessario forni- re elementi nutritivi a sufficienza, soprattutto azoto. La coltura si presta quindi molto a ricevere reflui zootecnici, che però a volte sono impiegati in modo ecces- sivo, con rischi di lisciviazione dell'azoto e/o eccessivo sviluppo della coltura, che alletta, può marcire ed è difficile da raccogliere. Inoltre, non sono da escludere ri- schi di presenza di nitrati nel foraggio. Utilizzando i reflui zootecnici per la conci- mazione azotata vengono inoltre apportati anche fosforo e potassio, per i quali la coltura non ha però particolari esigenze. Uno schema di concimazione per l'erba- io in purezza può essere il seguente:

• AZOTO – 100-150 kg (di cui 50 all'aratura). Vale la pena di ricordare che nella quantità indicata vanno considerati anche: eventuali effetti residui della coltura precedente; l'efficienza dell'azoto presente nei reflui distribuiti.

• FOSFORO e POTASSIO – per la loiessa sono sufficienti nel terreno le quanti- tà minime di 8-10 mg/kg di P assimilabile e 100 mg/kg di K scambiabile; al di sopra di tali soglie l'apporto non dà alcun miglioramento produttivo.

(16)

16 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 166666666666666666666666666666666666666666666666666666666666666666666666666

(17)

P P r r a a t t o o p p o o l l i i f f i i t t a a

Quando una biomassa foraggera è ottenuta da un prato composto da più specie vegetali si parla di prato polifita. Un insieme di aspetti tra i quali la zona altime- trica (pianura, collina o montagna), le condizioni pedo-climatiche, il sistema zoo- tecnico collegato, possono generare condizioni di uso e gestione del prato polifita diversificate, che si posizionano tra i due casi estremi:

• il prato polifita avvicendato (artificiale) di durata limitata, ma comunque più longevo di un medicaio, ottenuto con la semina di poche specifiche foraggere o miscugli;

• il prato permanente (asciutto) o stabile (irriguo), di lunga durata, in cui alle diverse specie seminate si aggiunge nel tempo una importante e diversificata flora spontanea con valore foraggero più o meno importante.

I prati polifiti abbinano graminacee e leguminose con lo scopo di trarre vantaggio da entrambe le famiglie botaniche.

Pr P ra at to o av a v vi v i ce c en nd d at a t o o

Quando il prato è usualmente parte di un avvicendamento colturale, la natura del terreno determina la scelta delle leguminose, soprattutto in riferimento al pH, alla scarsità di calcare e alla presenza di ristagni idrici: il trifoglio, bianco e violetto, è la specie che si adatta meglio alle diverse situazioni. Le graminacee sono invece più condizionate dal clima. Nelle situazioni pedo-agronomiche meno facili (terre- ni argillosi di difficile preparazione, terreni soggetti a ristagni idrici, ecc.) è prefe- ribile utilizzare la Festuca arundinacea e in seconda istanza la Dactylis glomerata (erba mazzolina). E' consigliato non superare le 6-7 specie complessive.

T

TE EC CN NI IC CA A CO C OL LT TU UR RA AL LE E

In generale, la produzione di un prato avvicendato non supera le 14 tonnellate di fieno per anno, ma il livello produttivo è sempre molto legato alla disponibilità o meno di irrigazione. La tecnica di coltivazione deve mirare a prolungare il più pos- sibile il periodo di utilizzazione del prato, la cui durata può essere influenzata dalla semina, dalla concimazione e dalla eventuale risemina.

La semina

La semina avviene generalmente in primavera. Le dimensioni dei semi, soprattutto delle leguminose, sono molto ridotte, per cui è richiesta un'accurata preparazione del letto di semina, così come la rullatura prima e dopo la messa a dimora del seme.

Le dimensioni e i pesi specifici dei semi nei miscugli sono differenti, per cui sono da preferire le semi- natrici universali a righe di tipo meccanico. Come per l'erba medica la distanza fra le righe consigliata e di 12-15 cm, la profondità 1-1,5 cm.

La quantità di seme richiesta è varia- bile: per calcolare la dose di seme nel miscuglio si parte dalle quantità consigliate per la semina in purezza delle diverse specie e si tiene conto della presenza percentuale della stessa nel miscuglio: per esempio, per un trifoglio bianco, che ha una dose in purezza di 8 kg/ha di seme ed entra in un miscuglio al 10%, so- no richiesti 0,8 kg di seme per ettaro.

(18)

18

Si tratta di colture poliennali di lunga durata, pertanto non ci sono vincoli per la precessione, è consigliabile, piuttosto, far seguire una coltura in grado di utilizza- re la fertilità residua.

Tra i principali criteri di scelta delle varietà da consociare, oltre alla adattabilità alle condizioni pedoclimatiche e al livello produttivo delle singole componenti, vi è certamente la necessità di far coincidere l'epoca di spigatura delle graminacee con l'epoca di fioritura delle leguminose:

• nei miscugli in cui è presente l’erba medica, è bene utilizzare varietà tardive di erba mazzolina e Festuca arundinacea;

• nei miscugli in cui le leguminose sono costituite da trifoglio bianco o lupi- nella, scegliere varietà di graminacee a precocità intermedia;

• quando si inserisce il fleolo, è necessario utilizzarne le varietà più precoci.

Le fasi di raccolta del foraggio cominciano a maggio, quando inizia la spigatura della graminacea più rappresentata nel prato, perchè le leguminose subiscono mi- nore peggioramento della qualità quando si supera lo stadio fenologico ottimale (prefioritura). La tempestività nella raccolta è indispensabile per tutte le grami- nacee: si tenga presente comunque che per la festuca arundinacea le foglie e gli steli tendono a lignificare ed indurire più rapidamente che in altre specie.

Gli sfalci successivi al primo sono effettuati ogni 4 - 5 settimane. Considerando che le graminacee hanno un basso grado di rispigatura , i ricacci sono formati da sole foglie. Il foraggio quindi perde di qualità meno rapidamente che in primavera.

Concimazione

• All'aratura 20-40 t/ha di letame, unitamente a 30-50 kg/ha di N alla semina, 100-150 kg/ha di P2O5e 100-150 kg/ha di K2O.

• Negli anni successivi al primo in funzione anche del peso della componente graminacea rispetto alle leguminose è consigliata la distribuzione di circa 200 kg/ha di N di cui metà a fine inverno ed il resto dopo il primo sfalcio.

La natura del terreno determina la scelta delle leguminose, mentre le graminacee sono più condizionate dal clima

Irrigazione

I prati possono essere gestiti sia in asciutto sia, dove possibile, con irriga- zione. Il livello di nutrienti e di acqua disponibili influenza la composizione botanica del cotico e la sua produttivi- tà. C'è comunque sempre una predo- minanza di graminacee, soprattutto nei primi tagli, mentre nei tagli estivi ed autunnali si assiste ad un ritorno delle leguminose.

L'irrigazione, consente di mantenere una buona presenza di graminacee anche nei tagli estivi.

(19)

• In autunno inoltre è bene apportare 50 kg/ha di ciascun elemento.

• Per le concimazioni di mantenimento è da preferire, quando è possibile, l'uti- lizzazione dei reflui zootecnici in sostituzione dei concimi minerali.

Un eccesso di azoto rispetto al fosforo e al potassio favorisce le graminacee, mentre una carenza di azoto associata a una migliore disponibilità di fosforo determina una maggior presenza delle leguminose.

I

IL L R RI IN NN NO OV VO O DE D EI I PR P RA AT TI I D DE EG GR RA AD DA AT TI I

Nei prati degradati, deve il cotico è rarefatto o dove buona parte delle specie presenti sono cattive foraggere o le infestanti hanno preso il sopravvento, è possibile effettuare una serie di interventi per rinnovare il prato.

• Razionalizzare la concimazione. Essa è un potente fattore di modificazione della composizione del prato poiché l’azoto favorisce le graminacee, mentre il fosforo e il potassio (con azoto equilibrato) favoriscono il recupero delle leguminose.

• Trasemina. Serve per infittire il cotico con la semina diretta di buone foraggere;

avviene senza lavorazione del terreno o con leggera erpicatura. La sua fattibilità dipende dalla disponibilità di acqua per assicurare la pronta emergenza. Il contenimento del cotico preesistente, che altrimenti finirebbe per soffocare le giovani piantine in via di affermazione, può esssere effettuato mediante trattamento disseccante, taglio o pascolamento diretto.

• Risemina. Quando il degrado è totale conviene procedere al rinnovo completo del cotico. Dopo una lavorazione superficiale, si semina un miscuglio a più componenti.

Lungolavitadelpratopuòessered'aiuto"arieggiare"ilcoticoconun'erpicaturaprimaverile.

(20)

20

Pr P r at a t o o st s t ab a bi il l e e

I prati stabili irrigui sono colture foraggere che non entrano in avvicendamento con le altre coltivazioni aziendali e derivano da inerbimento più o meno sponta- neo del suolo. Si dicono stabili perchè il cotico non è rotto o modificato so- stanzialmente negli anni: la loro composizione è condizionata, più che per i prati artificiali, dal clima e dal tipo di suolo, dalla tecnica di coltivazione e di utilizza- zione. Il prato stabile viene tradizionalmente concimato con fertilizzanti organici (letame e liquami aziendali), meno con quelli di sintesi, è irrigato per scorrimento ed è sfalciato 4-5 volte nell'anno; la produzione arriva fino a 15 tonnellate di fie- no per ettaro e per anno. La composizione nutrizionale del fieno riflette so- stanzialmente la composizione floristica del prato, in genere dominato dalle graminacee: a valori elevati di fibra (attorno al 55% sulla sostanza secca di NDF), ma con buona digeribilità, si accompagna modeste quantità di proteina (non più del 10-11% SS). Il fieno di prato associa a tutte le caratteristiche compositive e die- tetiche del foraggio di graminacea una varietà floristica che si può riflettere sull'appetibilità della razione e gli aromi del latte.

In Regione Emilia-Romagna i prati stabili irrigui sono presenti nelle province occidentali, soprattutto nel comprensorio del Parmigiano Reggiano. Un lavoro di studio condotto da CRPA una decina di anni fa nelle province di Parma e Reggio Emilia su un campione di 90 aziende zootecniche, ha rivelato che il 60% dei prati stabili superava i 75 anni e circa l'85% i 25 anni; di conseguenza solo un 15 % è stato seminato o rinnovato nell'arco degli ultimi 25 anni.

Su questi prati sono state censite nel complesso più di sessanta specie botaniche presenti in modo significativo e continuativo nei cotici erbosi. Le specie presenti nel prato stabile appartengono alle famiglie botaniche delle graminacee, le più importanti sia come numero che come contributo alla produzione. Le legumino-

Nelle province di Parma e Reggio Emilia il 60% dei prati stabili supera i 75 anni e circa l'85% ha più di 25 anni

Pieve di Bibbiano (RE) Prato di graminacee e leguminose di cui si conosce la esistenza dall’anno 1300 circa

(21)

se, come ad esempio i trifogli, hanno un elevato valore foraggero e sono presenti soprattutto nel periodo successivo al primo taglio; poi si trovano numerose altre specie in alcuni casi con discreto valore foraggero, altre con aromi molto caratte- ristici o proprietà officinali. Questa grande varietà di specie, attraverso l'alimenta- zione delle bovine, conferisce al latte e quindi, al formaggio quelle particolari caratteristiche che lo possono diversificare da quello ottenuto a partire da erba medica o erbai annuali.

Una conduzione molto intensiva del prato, caratterizzata anche da sfalci frequenti può determinare un impoverimento delle specie presenti che, nei casi limite, porta alla "monocoltura permanente" di loiessa (Lolium multiflorum). Una coltivazio- ne meno spinta, invece, permette una maggiore biodiversità, aumentando il nu- mero di specie presenti. Nei prati con una maggiore ricchezza floristica le specie graminacee più rappresentate, oltre alla loiessa e a Poa spp, sono l'erba mazzoli- na (Dactylis glomerata), i bromi (Bromus spp.), le festuche (Festuca spp), l'ave- na altissima (Arrhenatherum elatius) e il bambagione (Holcus lanatus).

Concimazione

Nei prati stabili la concimazione costituisce uno strumento di riequilibrio floristico e produttivo.

Il prato può utilizzare efficacemente i reflui zootecnici (letame e liquame), che pos- sono essere sfruttati in maniera razionale su cotiche prative a predominanza di graminacee: è però necessario tenere in conto del potenziale aumento di sviluppo delle infestanti. Inoltre, con i liquami si apportano contemporaneamente anche fosforo e potassio, a vantaggio di un migliore sviluppo delle leguminose.

La dose di azoto da distribuire negli anni di produzione si calcola con il metodo del bilancio basato sugli asporti della biomassa sfalciata. La contemporanea pre- senza di graminacee e leguminose rende delicata e complessa la quantificazione della dose di azoto da distribuire, dal momento che un'abbondanza di azoto favorisce le graminacee. Le leguminose sono piante azotofissatrici e ciò impedi- sce una esatta determinazione della dose di azoto basata sulle asportazioni, perché una quota più o meno rilevante di elemento viene ricavata direttamente dall'atmo- sfera. Nei regimi seccagni, dove vengono effettuati 2 - 3 tagli, la ripartizione si fa- rà in due dosi uguali, una alla fine dell'inverno e l'altra dopo il primo taglio.

L’apporto di fosforo e potassio è in funzione della dotazione del terreno: in caso sia scarsa, si effettueranno distribuzioni annuali o periodiche, calcolate sulla ba- se delle asportazioni e delle precedenti reintegrazioni.

In ogni caso i quantitativi da distribuire per i tre elementi sono simili a quelli indi- cati per i prati avvicendati.

Le infestanti

La conduzione del prato può favorire la presenza di alcune specie infestanti, che incidono negativamente sulla qualità del foraggio e, in alcuni casi, risultano dannose o tossiche per il bestiame: il ranuncolo deprime l’appetibilità e digeribilità del foraggio per la presenza di frutti con acheni pungenti e, inoltre, la pianta produce il glucoside anemonina, tossico ed irritante per il bovino. Questa sostanza tuttavia si trova nel foraggio fresco, mentre si degrada con il processo di fienagione. Lo sviluppo del ranuncolo è associato alla elevata concentrazione di sostanza organica e azoto, insieme ad una sufficiente umidità nel suolo. Anche l’apporto di letame può favorire la presenza di queste specie, creando un circolo vizioso, perché gli animali alimentati con fieno contenente questa pianta, producono letame con un’alta percentuale di semi. Altra specie infestante di rilievo, presente nel periodo primaverile è la stellaria, che si sostituisce alle specie con buon valore foraggero.

(22)

22

L LA A S ST TO OR RI IA A DE D EL L PR P RA AT TO O ST S TA AB BI IL LE E I IR RR RI IG GU UO O

Il prato stabile è sempre stato un importante elemento dell’economia e del paesaggio dell’area tipica del Parmigiano – Reggiano e della pianura padana occidentale. È la ri- sorsa più antica per l’alimentazione delle bovine da latte e nella zona sopravvivono anco- ra prati che risalgono al 1700.

La sua origine si trova nelle alte pianure, dove si trovavano gli insediamenti umani. Que- ste aree erano irrigate con acque provenienti da torrenti che fluiscono dagli Appennini alla pianura. Il prato si trovava anche nelle zone con fontanili e pozzi. Il suo nome si de- ve al fatto che una volta impiantati non erano mai “rotti”. Ci sono riferimenti al prato stabile dal secolo XII, epoca in cui sono stati arginati e regimentati fiumi e torrenti, che in precedenza annegavano la pianura apportando fertilità ai prati stabili.

Dopo il 1550 si accentuò una forma organizzativa differente nelle zone occidentali della pianura caratterizzata dalle coltivazioni foraggere a fini zootecnici, favorite per l’abbondante presenza d’acqua nel territorio. Infatti, i prati erano impiantati solo dove c’era la possibilità di irrigare, poiché l’acqua nei periodi estivi è essenziale per la loro redditività. Il loro livellamento era fondamentale per favorire così la massima utilizza- zione dei pochi quantitativi d’acqua a disposizione. Nonostante la discreta piovosità dell’ambiente emiliano di pianura, le piogge sono distribuite prevalentemente nel pe- riodo autunno – vernino ed in primavera, per poi risultare scarse ed irregolari nella sta- gione estiva, allorquando il prato, caratterizzato da apparati radicali superficiali, manifesta le massime esigenze idriche.

Nelle province di Reggio Emilia e Parma nel 1878 la superficie a prato stabile era 7.810 ettari e con tendenza ad aumentare. L’irrigazione, effettuata con le acque del torrente Enza, era possibile ed anche abbondante soltanto nella prima metà dell’estate: dall’ini- zio di luglio l’apporto diventava difficile e a volte mancava completamente l’acqua.

Era pratica comune utilizzata per la fertilizzazione il terricciato, vale a dire il letame me- scolato con terra che veniva distribuito all’inizio dell’inverno con il duplice scopo di nu- trire e ripristinare il prato in seguito all’erosione superficiale causata dalle ripetute irrigazioni per scorrimento. Tale pratica è oggi andata completamente persa, a causa degli elevati costi e difficoltà che essa comporta. Oggi nella maggioranza dei casi ci si li- mita a far maturare semplicemente e definitivamente in campo il cumulo di letame. Alla perdita della frazione pedofisica che invece era presente nel vero terricciato, le migliori espressioni di questa pratica propongono oggi un paio di rivoltamenti meccanici del cu- mulo, che solo raramente è dislocato tra arginelli di terreno zappato preventivamente e ruspato accuratamente. La letamazione del prato veniva effettuata utilizzando il letame bovino: mediamente un agricoltore calcolava che 2 capi di bestiame “grosso” produces- sero il letame necessario per un ettaro di prato.

L'uso del prato stabile antico Era abitudine effettuare tre sfalci, di cui il primo e il terzo erano comune- mente destinati alla fienagione. Il primo taglio si realizzava alla fine di maggio o inizio di giugno (maggiati- ca), il secondo (guaime), a meta di luglio (non abbondante per la scarsi- tà dell’acqua) e il terzo alla fine d’agosto inizio di settembre era incerto e a volte si utilizzava come pascolo. Le principali specie di que- sti prati, citate nella bibliografia, erano:

• per il taglio primaverile: poa, lo- lio, festuche, l’Anthoxanthum;

• per il taglio estivo: la pastinaca, il trifoglio pratense e repens, l’orio- la e le cicorie;

• per il taglio autunnale: i trifogli, l’achillea e i ranuncoli.

(23)
(24)

24

(25)

Il mais è una pianta annuale e rappresenta uno dei più importanti cereali coltivati al mondo per l'alimentazione umana e per l'uso zootecnico.

Il mais è in generale la coltura principale nei sistemi zootecnici basati sull'impie- go di foraggi insilati e/o farine di cereali. Buona parte del mais prodotto in Italia è impiegato per l’alimentazione degli animali, come pianta intera trinciata ed insi- lata per i ruminanti ed in particolare dei bovini; come farine e altri derivati della granella per i monogastrici.

Se le condizioni pedoclimatiche lo consentono le aziende che allevano vacche da latte utilizzano un sistema di coltivazione che prevede la doppia coltura: mais per insilato (ibridi precoci o a maturazione media) in combinazione con erbai di lo- iessa o cereali autunno vernini per l'insilamento. Il mais è un forte utilizzatore di azoto di origine organica, utilizzabile soprattutto all'aratura, quindi è adatto alle aziende che hanno una grande disponibilità di reflui zootecnici.

Il mais esprime le sua potenzialità produttive in coltura irrigua, sia per la produzio- ne di foraggio (in primo o secondo raccolto), sia per la granella. La produzione di biomassa ottenibile con la pianta a maturazione cerosa è attorno alle 60-70 t/ha di biomassa con un a sostanza secca del 32%; tale produzione è da diminuire del 15- 20% in condizioni di coltura asciutta. La produzione di granella si attesta media- mente a 10-12 t/ha, il prodotto in questo caso è raccolto ad un umidità del 20-22%.

T

TE EC CN NI IC CA A CO C OL LT TU UR RA AL LE E

Non è raro che il mais sia coltivato in monosuccessione (ristoppio) in alcune realtà della pianura padana. Tuttavia, l’avvicendamento colturale è auspicabile per evi- tare: effetti negativi sulla struttura del terreno; lo sviluppo di erbe infestanti (flo- ra avventizia di sostituzione); la diffusione di patogeni responsabili di marciumi.

I terreni più adatti al mais sono quelli profondi, ma ben drenati: il rispetto di que- ste due condizioni rende la coltura adattabile alle diverse tessiture del terreno; il pH minimo tollerato è di 5,5 e sono da preferire terreni non salini. Molto importanti sono le condizioni climatiche per la gestione della coltura; la pianta infatti neces- sita di una temperatura minima per la germinazione di 8 °C, ma lo sviluppo risulta ritardato a temperature inferiori a 14°C.

Semina

La semina avviene tradizionalmente la prima metà di aprile, quindi l'impiego del mais come coltura principale lascia scoperto il terreno in inverno.

Le sistemazioni del terreno devono garantire lo sgrondo delle acque in eccesso, da evitare soprattutto in fase di emergenza e successivamente alla raccolta. La gestione delle lavorazio- ni pre-semina è condizionata dalla precessione: aratura in autunno o la- vorazioni primaverili più leggere se il mais è preceduto da erbaio autunno vernino o da una cover crop.

L’investimento di semina in coltura principale irrigua per granella varia da 6 a 8 piante a m2(6 per varietà tardive, 7 per varietà medio-precoci, 8 per varietà precoci), si è soliti au- mentare di una pianta l’investi- mento, a parità di condizioni, per la coltura destinata alla produzione di mais ceroso. La semina di precisione viene eseguita, ad una profondità di 4-5 cm (con interfila a 45 o 75 cm).

M M a a i i s s

( ( Z Z e e a a m m a a y y s s L L . . ) )

(26)

26

I mais utilizzati in agricoltura sono generalmente ibridi. Questi sono classificati secondo la precocità, cioè sui giorni impiegati per giungere a maturazione, se- guendo generalmente la classificazione definita dalla FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura): il numero 100 corrisponde agli ibridi più precoci, il numero massimo di 800 è dato ai più tardivi. La durata del ciclo in giorni ha un valore puramente convenzionale e comparativo.

In Italia non sono comunemente utilizzati mais al di sotto dei FAO 200 ed al di sopra dei FAO 700. Per la produzione di insilato ceroso, risulta fondamentale la scelta della classe di precocità e anche se non esistono precise regole possono es- sere utili alcune indicazioni: sono sconsigliabili i cicli particolarmente brevi (FAO 300) che lasciano scoperto il terreno troppo presto e producono poco; i cicli molto lunghi, invece (FAO 700), sono invece consigliati solo dove le condizioni agrono- miche e pedologiche, consentono: semine entro la prima decade di aprile; di non avere problemi di portanza delle macchine utilizzate per la raccolta.

Il mais esprime le sua potenzialità produttive in coltura

irrigua, sia per la produzione di foraggio, sia per la granella

Il mais è una pianta monoica, con stelo unico, grosso e carnoso, raramente accestito. Il fusto o culmo (“stocco”) è distinto in nodi e internodi; a ciascun nodo è presente una singola foglia e le foglie sono distribuite sul culmo in due file opposte o distiche; ogni foglia consi- ste in una lamina espansa collegata a una guaina che avvolge il culmo.

I nodi basali hanno la tendenza a formare ramificazioni o culmi di accestimento (polloni) e sviluppano radici avventizie.

L’infiorescenza maschile è una pan- nocchia (“pennacchio”) posta all’apice dello stelo, le infiorescenze femminili sono delle spighe (dette “pannocchie”) poste alle ascelle della settima, ottava foglia.

C

CA AR RA AT TT TE ER RI IS ST TI IC CH HE E F

FI IS SI IO OL LO OG GI IC CH HE E

(27)

Concimazione

Le operazioni di fertilizzazione devono tenere conto della precessione colturale (per esempio mais che segue un prato di erba medica) della previsione dell'asportato dal campo con l’ipotetica produzione raccolta, che può variare a se- conda della classe FAO o per la presenza o meno di irrigazione. In ogni caso va te- nuto conto che l'asportazione minima per la produzione di mais a maturazione cerosa per trinciato, in condizioni agronomiche e climatiche non avverse, è di 200 kg di azoto per ettaro. Il fabbisogno medio della coltura è di 200 kg/ha di P2O5e di K2O (ossido di potassio).

Irrigazione

La coltura risulta esigente sul fronte del fabbisogno idrico e sensibile alla carenza in tutte le sue fasi, in particolare in fioritura ed allegagione dove eventuali danni alla pianta e di conseguenza alle produzioni possono essere significativi.

L’irrigazione a scorrimento (con grande disponibilità d'acqua), può arrivare a 4 irrigazioni con un turno di 10-12 giorni e fino a 3000 m3/ha; con irrigazione a pioggia non si superano generalmente i 2-3 interventi da 50-70 mm/ha. Va comunque sempre ricercata la migliore tecnica da applicare per la riduzione dei volumi d'acqua impiegati.

La scelta del momento ideale di raccolta, unitamente all’ottimale gestione del

“cantiere di lavoro”, rappresentano la fase di cruciale importanza per la produzio- ne dell’insilato di mais di qualità. Il punto di compromesso va ricercato fra la tra quantità e la qualità della produzione.

I fattori da considerare per la produzione di un buon trinciato sono vari:

• la quantità di sostanza secca della pianta intera, che si deve attestare intorno al 33 %;

• la lunghezza di taglio intorno ai 15 millimetri;

• corretto uso dei dispositivo rompi-granella presente nelle trinciatrici, perché la granella deve essere incisa, ma non spezzata o eccessivamente schiacciata;

• trinciare ad un’altezza superiore ai 15 centimetri dal suolo per evitare l’imbrattamento da terra.

Aflatossine

La destinazione del mais a specie di- verse (poligastrici e monogastrici) e le diverse matrici utilizzate (farine di granella o insilati di pianta intera), diversificano le problematiche re- lative alla presenza di micotossine nel mais. I ruminanti manifestano infatti una minore suscettibilità alle aflatossicosi, grazie alla capacità di alcuni microrganismi ruminali di detossificare certe micotossine creando metaboliti meno dannosi all’animale.

Analizzando la specie Zea mays L., la matrice maggiormente esposta al ri- schio derivato da aflatossicosi è certamente la farina, infatti, partico- lari condizioni climatiche, sommate a stress termici e danni strutturali provocati da parassiti, espongono la pianta allo sviluppo di funghi del ge- nere Aspergillus flavus e parasiticus soprattutto a carico delle infiore- scenze femminili (pannocchie).

L’insilato di mais invece, per le parti- colari caratteristiche chimico-fisiche (pH, umidità, temperatura ed anae- robiosi della trincee) non rappre- senta una matrice particolarmente idonea allo sviluppo di aflatossine. Le altre micotossine che infestano le piante di mais sono le fumonisine (Fusarium moniliforme) e lo zeara- lenone (Fusarium graminearum e culmorum).

(28)

28

So S om m ma m ar ri io o

L

Le e p pi ia an nt te e f fo or ra ag gg ge er re e

7 Erba Medica 13 Loiessa 17 Prato polifita 25 Mais

L

La a r ra ac cc co ol lt ta a e e l la a c co on ns se er rv va az zi io on ne e d de ei i f fo or ra ag gg gi i

31 Conservazione

35 Fienagione tradizionale 43 Fienagione in due tempi 47 Insilamento

La L a v va al lu ut ta az zi io on ne e d de ei i f fo or ra ag gg gi i

53 Campionamento 57 Valutazione sensoriale 61 Composizione nutrizionale

79 Sicurezza igienico sanitaria dei fieni

(29)

L L a a r r a a c c c c o o l l t t a a e e l l a a

c c o o n n s s e e r r v v a a z z i i o o n n e e d d e e i i f f o o r r a a g g g g i i

(30)

30

(31)

Co C on n s s e e r r v v a a z z i i o o n n e e

I foraggi non possono essere conservati così come raccolti, ma debbono essere opportunamente trasformati in quanto la pianta verde, per il suo alto contenuto in acqua, andrebbe incontro a un rapido deterioramento. La trasformazione dell’erba deve essere quanto più rapida possibile così da ottenere un prodotto sta- bile, adatto a una lunga conservazione (fieno, insilato, ecc.), che mantenga al mas- simo le qualità nutritive presenti al momento della raccolta.

Il processo di trasformazione deve interrompere nel più breve tempo possibile l'azione di enzimi, batteri, lieviti e muffe che conduce a perdite di sostanze nutri- tive e poi al deterioramento del foraggio.

La conservazione dei foraggi può essere ottenuta tramite fienagione (tradiziona- le o in due tempi) o insilamento. La fienagione può essere definita anche conserva- zione a secco, in quanto consiste nel sottrarre acqua dai tessuti vegetali, fino ai valori di umidità del 12-15%.

(32)

32

L'insilamento consiste nella conservazione per acidificazione: in un ambiente che diventa rapidamente anaerobico le fermentazioni della biomassa producono aci- di (prima acetico, poi lattico) che abbassano il pH del foraggio impedendo lo svi- luppo della microflora di degradazione.

P

PE ER RD DI IT TE E Q QU UA AN NT TI I- -Q QU UA AL LI IT TA AT TI IV VE E

Le tecniche della fienagione e dell'insilamento si caratterizzano per perdite di so- stanza secca e di valore nutritivo differenti durante il periodo che intercorre tra lo sfalcio e la stabilizzazione del prodotto pronto per la conservazione.

In generale il foraggio subisce diverse perdite:

• in campo per attività di respirazione della pianta dopo lo sfalcio;

• in campo per dilavamento in caso di pioggia;

• causate da interventi meccanici durante la fienagione in campo, la raccolta e il trasporto;

• di fermentazione che avvengono dopo la raccolta.

Perdite in campo

Le maggiori perdite si hanno durante il periodo di permanenza in campo del fo- raggio. Le perdite di respirazione sono dovute al fatto che nella pianta falciata continua il metabolismo cellulare fino a quando la massa raggiunge un'umidità del 15% (il fenomeno si riduce considerevolmente già con umidità del 30-40%).

La combustione degli zuccheri (respirazione) provoca una diminuzione qualitati- va e quantitativa della sostanza secca mediamente del 6-8%. Eventuali piogge au- mentano l'umidità del foraggio e prolungano la respirazione, con perdite che possono arrivare fino al 20%.

Per ottenere un prodotto stabile e a lunga conservazione, la

trasformazione della pianta deve essere la più rapida possibile

(33)

A parità di altre condizioni, l'entità delle perdite di respirazione dipende anche dalla tecnica di conservazione prescelta, ma in media si aggira sui seguenti valori:

• 10-13% per la fienagione tradizionale;

• 4-10% per la fienagione in due tempi e l'insilamento.

Le perdite per dilavamento sono dovute alle piogge che asportano i componenti nutritivi solubili in acqua (sali minerali, zuccheri, amidi, acidi organici, composti azotati semplici).

Le perdite variano in funzione dell'intensità della pioggia e dell'umidità del fo- raggio al momento dell'evento piovoso. Maggiore è l'umidità mantenuta dalla pianta, minori sono gli affetti della pioggia: considerando una precipitazione di 20-30 mm le perdite oscillano tra il 2 e 3% della sostanza secca con foraggio al 30% di umidità, mentre sono del'1% con foraggio appena falciato; nel caso di pre- cipitazioni intense, con foraggio quasi secco, le perdite possono aumentare consi- derevolmente fino a superare il 40%.

Perdite per interventi meccanici

Dipendono dal numero e dal tipo di operazioni che il foraggio subisce durante la permanenza in campo, la raccolta e il trasporto. Oltre a perdite di sostanza secca si può verificare un netto calo qualitativo, in quanto è la frazione più pre- giata del foraggio, cioè le foglie, che rischia di essere perduta durante gli interventi meccanici; di conseguenza le leguminose presentano maggiori perdi- te rispetto alle graminacee.

Le perdite meccaniche possono essere: fino al 35% nelle leguminose, che con un picciolo molto fragile perdono prevalentemente le foglie; dal 5 al 15% nelle graminacee, dove le lamine fogliari sono abbastanza resistenti. Il rischio di perdite aumenta in modo considerevolmente tanto minore è l'umidità del fo- raggio: 10-12% per la fienagione tradizionale; 3-8% per la fienagione in due tempi e l'insilamento.

Perdite di fermentazione

Dopo la raccolta, a causa del compattamento della massa, nel foraggio si hanno minori scambi gassosi; ciò favorisce l'attività di muffe e microrganismi che degra- dano proteine e carboidrati. I fieni “riscaldati” sono poco digeribili, soprattutto per le proteine. Infatti, a causa dell'aumento di temperatura nella massa, zucche- ri e amminoacidi reagiscono tra loro formando composti indigeribili (prodotti di Maillard), che causano l’imbrunimento del fieno.

Anche in questo caso le perdite dipendono dal tipo di tecnica di conservazione:

10-15% nella fienagione tradizionale (raccogliendo un foraggio troppo umido pos- sono aumentare al 30%); 3-10% per la fienagione in due tempi e l'insilamento.

Attenzione ai rischi connessi alla fermentazione del fieno: molto spesso non si tie- ne in debito conto il contenuto in zuccheri dei fieni, soprattutto di certi erbai, e con il foraggio stoccato troppo umido si rischia di avere un potenziale fermentati- vo che porta il fieno all'autocombustione.

La tabella che segue mette a confronto i parametri produttivi delle diverse tecni- che di conservazione del fieno. I valori in tabella si riferiscono a un'applicazione corretta delle diverse tecniche e sono da ritenersi puramente indicativi.

Confronto fra diversi sistemi di conservazione

(34)

34

(35)

F F i i e e n n a a g g i i o o n n e e t t r r a a d d i i z z i i o o n n a a l l e e

Il processo di fienagione si compone di diverse fasi: taglio e condizionamento, spandimento e rivoltamento, andanatura e raccolta in balle.

La velocità di essiccazione del foraggio, oltre che dall'acqua presente nella pianta al momento dello sfalcio, dipende dalla specie foraggera, dallo stadio vegetativo, dalla eventuale concimazione o irrigazione, dall'andamento climatico e dalla mas- sa foraggera prodotta.

Mediamente occorrono dai 3 ai 4 giorni di tempo favorevole per completare l'es- siccazione in campo. Con la fienagione tradizionale le perdite complessive varia- no dal 30 al 40% della sostanza secca ottenibile dalla pianta verde, ma possono anche oltrepassare anche il 50%. Nonostante queste basse rese, la fienagione tra- dizionale è un metodo di conservazione largamente diffuso in Italia.

T

TA AG GL LI IO O E E C CO ON ND DI IZ ZI IO ON NA AM ME EN NT TO O

La scelta dell’epoca di sfalcio riveste un ruolo determinante nel processo e deve essere gestita in modo da raggiungere il miglior compromesso fra quantità pro- dotta e qualità del foraggio. Per limitare l’imbrattamento del foraggio con la terra, salvaguardare le gemme basali e ottenere un ricaccio più pronto dopo lo sfalcio, si consiglia di regolare la falciatrice a un’altezza di taglio non inferiore a 5-7 cm.

In caso di falciatrice rotativa la velocità non deve essere inferiore a 8-10 km/h;

con velocità di lavoro inferiori si ha un’eccessiva trinciatura del foraggio, con un aumento delle perdite. Nelle falciatrici rotative sono stati introdotti sistemi che seguono il profilo del terreno attraverso la sospensione del gruppo falciante: que- sta innovazione consente di praticare alte velocità di avanzamento riducendo nel contempo pericolosi contatti violenti con il terreno e conseguente “carico di terra”

della massa vegetale.

Un secondo effetto positivo è costituito dalla costanza dell’altezza di taglio, che fa- vorisce un ricaccio più uniforme del cotico erboso. In alcuni casi questi sistemi possono fungere anche da dispositivi di sicurezza, qualora si sia in presenza di cu- muli di terra o piccoli ostacoli. Tutto ciò si traduce in un aumento della produtti- vità del cantiere di raccolta, in un miglioramento della qualità del foraggio e dell’uniformità del prato.

(36)

36

Tipologie di falciatrici e misure medie

Falciatrici con lama a movimento alternativo

• Lama oscillante e controlama fissa – Larghezza lavoro: 1,5-3 m – Velocità avanzamento: 4-8 km/h – Velocità lame: 2,3-3 m/s

– Capacità lavoro: 1,2-1,8 ha/h – Potenza assorbita: 2-2,5 kW/m – Altezza di taglio: > 2 cm

• Doppio elemento oscillante – Larghezza lavoro: 1,5-3,5 m – Velocità avanzamento: 8-10 km/h – Velocità lame: 2,5-3 m/s

– Capacità lavoro: 2,5-2,8 ha/h – Potenza assorbita: 2-2,5 kW/m – Altezza di taglio: > 2 cm

Falciatrici con lama a movimento rotativo

• A dischi

– Larghezza lavoro: 1,4-2,5 m – Velocità avanzamento: 10-15 km/h

– Velocità dischi: 1500-3000 giri/min (80-90 m/s) – Numero dischi: 2-6

– Capacità lavoro: 1,0-2,0 ha/h – Potenza assorbita: 10-20 kW/m

• A tamburo

– Larghezza lavoro: 1,4-3,5 m – Velocità avanzamento: 10-12 km/h

– Velocità dischi: 1500-3000 giri (80-90 m/s) – Capacità lavoro: 1,5-2,8 ha/h

– Potenza assorbita: 15-20 kW/m – Altezza di taglio: > 5-6 cm

Le condizionatrici e le falcia-condizionatrici provvedono a schiacciare e a sfibra- re gli steli del foraggio rendendo più rapida e omogenea la fase di essiccazione tra foglie e steli. Si riducono così del 30-50% i tempi di permanenza del foraggio in campo e la sua esposizione alle intemperie, ottenendo sensibili diminuzioni delle perdite meccaniche e di valore nutritivo.

S

SP PA AN ND DI IM M E EN NT TO O/ /R R I IV VO OL LT T A AM ME EN NT TO O/ /A AN ND DA A N NA AT T U UR R A A

Dopo lo sfalcio, il foraggio viene lasciato in andane (spazi in lunghezza tra due fi- le). In questa disposizione la biomassa è troppo ammassata e l'essiccazione è diffi- coltosa. Di conseguenza, per facilitare la perdita di acqua sono necessari una serie di interventi meccanici per rendere uniforme l’apporto di radiazione solare e fa- cilitare il ricambio di aria nello strato di foraggio.

Questi interventi hanno lo scopo di:

• aprire l’andana in uno strato uniforme, subito dopo il taglio (aumento della superficie esposta);

• rivoltare lo strato quando il contenuto di acqua è sceso al 50-60%;

• restringere in andana il foraggio quasi secco per diminuire il riassorbimento notturno e/o per asciugare il terreno scoperto su cui rivoltare l’andana.

(37)

Tipi di condizionatrici e misure di riferimento

Condizionatrici a rulli in gomma e/o metallo lisci o scanalati (per schiacciatura)

Indicate per foraggi di erba medica, trifogli e leguminose in genere. Lavorano facendo passare il foraggio tra due rulli con superfi- ci variamente sagomate che provocano fenditure longitudinali e lesioni trasversali degli steli.

Inoltre, il lancio all’indietro del foraggio schiacciato contro i ”grembiali” del carter della macchina porta alla formazione di un’anda- na più soffice rispetto a quella ottenuta con la semplice falciatrice; tuttavia, l’azione non deve essere troppo energica per non perde- re quest’ultimo vantaggio. Per migliorare la qualità del lavoro della macchina la larghezza degli organi condizionatori dovrebbe essere pressoché uguale a quella degli organi falcianti. E’ preferibile che i condizionatori a rulli siano abbinati a falciatrici a dischi.

Queste le misure di riferimento:

• Larghezza lavoro: 1,5-3,5 m

• Velocità avanzamento: 8-12 km/h

• Velocità rulli: 700-1000 giri/min

• Capacità lavoro: 3-3,5 ha/h

• Potenza assorbita: 15-20 kW/m

Condizionatrici a denti o flagelli (per sfibratura)

Sono indicache per foraggi di erbai e prati monofiti di graminacee e di prati permanenti dove queste specie abbondano; è consi- gliato anche per materiali destinati alla disidratazione (essiccamento più rapido).

Nel condizionamento per abrasione della cuticola, il foraggio è sottoposto all’azione di flagelli in acciaio o, più recentemente, in materiale plastico, calettati o fissi su uno o due alberi rotanti posti perpendicolarmente alla linea di avanzamento della macchina.

Gli utensili possono avere forme diverse, come bacchette singole o riunite a mazzetti, lamine, spazzole; comunque siano, la loro azione è quella di intaccare soprattutto la parte basale degli steli e proiettare all’indietro il foraggio contro il carter. La qualità del lavoro migliora con l’aumentare della massa di foraggio, mentre con i condizionatori a rulli avviene l’inverso.

Di norma con i flagelli si ottengono andane più soffici rispetto a quelle ottenute con i condizionatori a rulli perché gli steli rimango- no rigidi, però, sempre rispetto ai condizionatori a rulli, con i flagelli si hanno maggiori perdite di foglie, soprattutto nelle legumi- nose. I condizionatori a flagelli possono essere abbinati a tutti i tipi di falciatrici; diventano indispensabili con quelle a tamburo.

Queste le misure di riferimento:

• Larghezza lavoro: 2,0-3,5 m

• Velocità avanzamento: 8-12 km/h

• Velocità rulli: 700-1000 giri/min

• Capacità lavoro: 3-3,5 ha/h

• Potenza assorbita: 15-20 kW/m

(38)

38

Il rivoltamento-spandimento del foraggio è una delle operazioni colturali più importante del cantiere di fienagione, specie quando la massa foraggera è notevo- le. Infatti, l’asciugatura del foraggio è determinata prevalentemente dall’aria che penetra all’interno del cumulo, mentre il sole, aumentando la temperatura dell’aria e riducendone nel contempo l’umidità relativa, accelera il processo di eva- po-traspirazione. Nel primo taglio si può arieggiare il foraggio mediamente dopo 6-8 ore dallo sfalcio e nel secondo taglio è possibile anticipare di qualche ora.

L’operazione è eseguita con girelli voltafieno specifici e consiste nel sollevare il fo- raggio da terra e ridistribuirlo in modo omogeneo. I girelli sono prevalentemente caratterizzati da un numero variabile di rotori (da 2 a oltre 6) dotati alle estremi- tà di bracci radiali muniti di molle, singole o in coppie, i quali per rotazione consentono il rimescolamento, il rivoltamento e l’arieggiamento del foraggio.

La forma, lo spessore, la lunghezza e l’inclinazione delle molle rappresentano ormai specifiche tipiche di ogni costruttore. Il rivoltamento va eseguito a breve distanza di tempo dallo sfalcio, quando la parte superiore dell’erba tagliata inizia ad appassire ed il terreno rimasto scoperto si è asciugato.

L'andanatura/ranghinatura serve a favorire la raccolta del foraggio sia per quanti- tà di foraggio raccolto a parità di superficie, sia per aumentare la capacità di lavo- ro (minor numero di passaggi). Le soluzioni meccaniche più diffuse per l’andanatura prevedono sempre sistemi rotativi con rotori singoli o multipli e con bracci mobili per la presa, il trasporto e il rilascio del prodotto. Esistono tipologie di ranghinatori a stella, a pettine e rotativo.

Sul mercato sono oggi disponibili ranghinatori che, anziché trascinare il foraggio per creare le andane, lo carica, tramite denti, su un nastro trasportatore che provvede poi a scaricare il prodotto formando l’andana. La principale differenza rispetto ai tradi- zionali ranghinatori sta proprio nell’eliminazione del trascinamento del foraggio, che permette di limitare gli inquinamenti da terra e riduce il distacco delle foglie.

Una falciatura ottimale limita l’imbrattamento con la terra,

ottiene un pronto ricaccio e riduce le perdite di fienagione

Riferimenti

Documenti correlati

previsto ai sensi del II comma dell’art. 42 in data 28.02.2005, esecutiva a tutti gli effetti, il Comune ha adottato il Programma Integrato di Riqualificazione Urbanistica

Fiorenzuola 1972 Green Basket Palermo Omnia Basket Pavia Fidelia Torrenova Bologna Basket 2016 Virtus Kleb

Sistemazione in Camera Classic Vista Valle Trattamento di Pensione Completa Plus ALTO ADIGE - CASTELDARNE (BZ).. 1 NOTTE DAL 21 GENNAIO AL

Miscuglio di sementi specifico per la realizzazione di tappeti erbosi sottoposti ad intenso calpestio in zone con clima arido e secco.Ottima capacità a rigenerarsi conferendo al

In ultima analisi, l’obiettivo imprescindibile sia nella visione strategica (PAT) sia nelle modalità operative (P.I) è quello che i C.S. sono patrimonio della collettività,

L’area assume la destinazione che aveva con l'adozione della Variante in esame (delibera CC n.. La sistemazione definitiva delle diverse condizioni di degrado, come

La Posizione Finanziaria Netta consolidata al 31 dicembre 2020 è positiva per € 22,1 milioni, rispetto a € 41,4 milioni al 31 dicembre 2019, con una riduzione di € 19,3 milioni,

nella lattazione successiva rispetto a bovine con una concentrazione ridotta di calcio al quarto giorno post-parto (Tabella 1), a sottolineare l’importanza della durata