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roma 2020
edizioni di storia e letteratura
Vincenzo Paglia
la morte confortata
riti della paura e mentalità religiosa a roma nell’età moderna
con la trascrizione di Pompeo Serni
trattato utilissimo per confortare i condennati
a morte per via di giustizia
prima edizione: aprile 2020
isbn 978-88-9359-387-8 eisbn 978-88-9359-388-5
Tutti i diritti riservati
edizioni di storia e letteratura 00165 roma - via delle fornaci, 38 tel. 06.39.67.03.07 - fax 06.39.67.12.50
e-mail: [email protected] www.storiaeletteratura.it
Questa nuova edizione è stata resa possibile grazie al contributo dell’arciconfraternita di san giovanni decollato
detta della misericordia - roma
di Palombara Sabina (RM) RINGRAZIA
la EDITRICE DI STORIA E LETTERATURA
che ha gentilmente concesso l'autorizzazione alla pubblicazione riportata in APPENDICE della "Conforteria per la morte di Troilo Savelli"
Per approfondimenti sul tema:
http://www.storiaeletteratura.it/catalogo/la-morte-confortata-riti-della-
paura-e-mentalita-religiosa-a-roma-nelleta-moder/9700
préface
encore un livre sur la mort? oui, et ne nous en plaignons pas. le sujet n’est pas épuisé même pour l’europe des Xve-Xviiie siècles. voici en tout cas une contribution importante sur cette immense matière, rédigée avec vigueur et netteté et sur la base d’une documentation jusqu’ici peu exploi- tée. vincenzo paglia était bien armé pour cette nouvelle étude puisqu’il s’était déjà penché sur la confrérie romaine de la pietà dei carcerati1. des prisonniers aux condamnés, le chemin était tout tracé. l’auteur a eu raison de s’y engager.
le dossier qu’il nous présente s’appuie notamment sur deux beaux textes essentiels: celui de tullio crispoldi, Alcune ragioni da confortare coloro, che per la giustizia pubblica si trovano condannati a morte, 1572, et celui plus tardif et encore inédit, de pompeo serni, Trattato utilissimo per confortare i condennati a morte per via di giustizia. le premier en particulier comporte une comparaison freudienne avant la lettre tout à fait remarquable: de même qu’un enfant dans le ventre maternel ne voudrait à aucun prix en sor- tir, si on lui offrait d’aller voir la lumière du jour; de même ensuite nous ne voulons par quitter la terre pour le ciel, le temps pour l’éternité. pourtant, assure crispoldi, la vie hors du ventre maternel vaut mieux que l’existence foetale et la joie du paradis plus que les satisfactions provisoires d’ici-bas.
au cours de son exposé vincenzo paglia fait ressortir avec bonheur les liens entre confréries religieuses et mentalité urbaine et surtout entre organisations de battuti et confréries destinées à soutenir les condamnés à mort au moment de leur supplice. les premières ont engendré les secondes, tandis qu’on abandonnait la vieille et dure conception médiévale qui voyait dans le condamné à mort un futur citoyen de l’enfer.
1 v. paglia, «La pietà dei carcerati». Confraternite e società a Roma nei secoli XVI-XVIII, roma 1980.
Vincenzo Paglia, La morte confortata. Riti della paura e mentalità religiosa a Roma nell’età moderna, con la trascrizione di Pompeo Serni, Trattato utilissimo per confortare i condennati a morte per via di giustizia, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2020
ISBN (stampa) 978-88-9359-387-8 (e-book) 978-88-9359-388-5 – www.storiaeletteratura.it
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Questa seconda edizione de La morte confortata cade in un momento nel quale la cultura e la politica sono impegnate a confrontarsi con le questioni relative al senso della morte, in generale, e circa la illegittimità della pena di morte, in particolare. nel corso del novecento è avvenuto un profondo cam- biamento che ha come occultato la morte dalla sensibilità comune. parlarne è divenuto un tabù. a dire il vero, già negli anni cinquanta del secolo scorso, un noto antropologo inglese, geoffrey gorer, rilevava che, rispetto all’ottocento – quando la morte naturale era uno spettacolo normale adatto anche ai bambini e alla quale romanzieri e scrittori hanno dedicato pagine edificanti – le cose si stavano ormai rovesciando: la morte veniva con sempre maggiore decisione cacciata dalla società1. sino a non poterne parlare2. nella società si è realizzato un processo continuo e collettivo per «decostruirla»,
«esculturarla»3. ovviamente la morte ha continuato il suo mestiere. la con- seguenza amara è che si muore per lo più nella solitudine.
la morte, nella società contemporanea, è divenuta uno scandalo insop- portabile anche culturalmente: essa, infatti, ribadisce inesorabilmente il limite, la debolezza, la fragilità della vita di tutti, nessuno escluso. l’uomo moderno, che pure ha pensato di emanciparsi da dio, non riesce però a liberarsi dalla morte, che appare la sconfitta più radicale di quel delirio di onnipotenza che rischia di condurre l’uomo alla distruzione del creato e alla fine anche di se stesso. È urgente, anzi necessario, tornare a confrontarsi con essa e riscoprire l’importanza dell’accompagnamento e del conforto, mentre
1 la bibliografia sul tema della morte è notevolmente cresciuta in questi anni. riman- do, per qualche cenno, ai miei due volumi, Sorella morte. La dignità del vivere e del morire, milano 2016; Vivere per sempre. L’esistenza, il tempo e l’Oltre, milano 2018.
2 g. gorer, Death, Grief, and Mourning in Contemporary Britain, london 1965. cfr. m.
sozzi, Reinventare la morte, roma-bari 2009, pp. 38-42.
3 z. bauman, Il teatro dell’immortalità. Mortalità, immortalità e altre strategie di vita, bologna 1995.
Vincenzo Paglia, La morte confortata. Riti della paura e mentalità religiosa a Roma nell’età moderna, con la trascrizione di Pompeo Serni, Trattato utilissimo per confortare i condennati a morte per via di giustizia, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2020
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Questa nuova edizione viene pubblicata a distanza di molti anni dalla precedente. Resta, ovviamente, la gratitudine a un maestro come il prof. Gabriele De Rosa per l’amicizia e l’attenzione con cui mi ha seguito e stimolato nella ricerca. Al prof. Jean Delumeau, da poco scomparso, e i cui lavori sulla storia della mentalità e della vita religiosa, soprattutto cristiana, restano preziosi contributi per comprendere il presente, va la mia gratitu- dine per aver accettato a suo tempo di presentare questo lavoro.
Non posso non ricordare le preziose indicazioni offertemi dal prof. Mario Rosa, e gli utili suggerimenti del carissimo amico e studioso Luigi Fiorani di cui mi sono avvalso lungo la ricerca.
Vincenzo Paglia, La morte confortata. Riti della paura e mentalità religiosa a Roma nell’età moderna, con la trascrizione di Pompeo Serni, Trattato utilissimo per confortare i condennati a morte per via di giustizia, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2020
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ana Arciconfraternita Natività Agonizzanti
aom Arciconfraternita Orazione e Morte
arsi archivio romano compagnia di gesù
asgd archivio s. giovanni decollato
asr archivio di stato di roma
asv archivio segreto vaticano
asvr archivio storico vicariato di roma
bav biblioteca apostolica vaticana
bn biblioteca nazionale di roma
csgd Confraternita di S. Giovanni Decollato
surg Statuto, Urbis cum glossis Galganetti
Vincenzo Paglia, La morte confortata. Riti della paura e mentalità religiosa a Roma nell’età moderna, con la trascrizione di Pompeo Serni, Trattato utilissimo per confortare i condennati a morte per via di giustizia, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2020
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la morte confortata
Vincenzo Paglia, La morte confortata. Riti della paura e mentalità religiosa a Roma nell’età moderna, con la trascrizione di Pompeo Serni, Trattato utilissimo per confortare i condennati a morte per via di giustizia, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2020
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cammino, et in tempo che tengono tanta necessità d’esser sovvenuti dalle nostre orationi et sacrificii»24. numerosi sono i trattati e le istruzioni scritte dai gesuiti25 sull’assistenza ai moribondi e ai condannati a morte26. gli autori a volte, come ad esempio lo stesso polanco, hanno esercitato praticamente questo compito di confortatori dei giustiziati.
l’esempio dei gesuiti è significativo per il rapporto che in genere stabi- livano con l’istituzione carceraria, tuttavia in ogni grande città, nei secoli Xvi-Xviii, fiorirono opuscoli e trattati per assistere i condannati a morte.
Questo servizio di conforto si rese necessario ovunque ed era conveniente, per la delicatezza con cui doveva essere esercitato, un’accurata preparazione affidata, appunto, agli scritti di coloro che ne avevano avuta esperienza27.
24 mHsi, Mon. Lainii, t. iv, p. 76.
25 cfr. nota 31 del cap. iii.
26 l’apostolato verso i condannati a morte fu molto curato dai gesuiti. già era stata da loro iniziata la «pastorale carceraria» in italia (cfr. paglia, «La pietà dei carcerati»); ma una notevole attenzione fu posta all’assistenza ai condannati a morte sia nella pratica attiva che nell’edizione di opuscoli atti a confortare. cfr. quanto si riporta in de guilhermy, Ménologe de la Compagnie de Jésus, Appendice, pp. 288-289, circa alcuni padri che hanno assistito i condannati a morte. tra le conforterie più famose vi è quella di giuseppe biondi per la morte di troilo savelli (vedi, qui, in appendice). molto intensa fu anche la produzione di manuali o istruzioni, come quello già ricordato del polanco, sull’assistenza ai condannati a morte. riporto alcuni autori: g. p. castello, Guida spirituale degli afflitti condannati a morte, messina 1595, ristampato a cura di tommaso marquez, governatore della compagnia di s.
maria della pietà dell’azori; d. benini, Metodo per aiutare a ben morire i condannati a morte dalla Giustizia, verona 1619; d. de cordova, Aiuto de’ moribondi, e condannati a morte dalla Giustizia, napoli 1648, dedicato ai «signori della compagnia dei bianchi, fondata sotto il nome della beatissima vergine, madre di dio, maria, col titolo di succurre miseris, della città di napoli»; m. celi, Istruttione prattica per aiutare li condannati a morte, perugia 1648, stampato per istanza di lorenzo di pentidattilo, governatore dell’arciconfraternita di s.
maria della pietà di messina, degli azori di s. basilio.
27 a titolo esemplificativo, oltre quello del serni e del crispoldi, si possono ricordare il testo del domenicano medici zenobio, Trattato utilissimo in conforto de condannati a morte per via di giustizia, ancona 1572. l’autore, membro della compagnia della misericordia di firenze, lo dedica a messer lionardo della torre genovese. per la compagnia di milano si ha il testo di c. verri, Ricordi per esercitare il caritativo ufficio di eccitare cristianamente a morire quei meschini che sono dalla giustizia condannati a morte, milano 1672; dedicato dall’autore, cappuccino di cremona, al prefetto della compagnia delle case rotte. si possono ricordare le Costitutioni della congregatione, o scuola de’ confortatori della città di Bologna, del 1640, pubblicate da angelozzi, Le confraternite laicali, brescia 1978, pp. 185-203, cui si aggiun- gono le cronache di c. a. macchiavelli, maestro della compagnia, tratte dalle relazioni che, a norma di statuto ogni maestro doveva stendere al termine della «conforteria» di un condannato. per la francia, inoltre, si può vedere g. filère, La consolation des prisonnier et des criminels condamnés à mort, lion 1658. un lavoro che resta da fare è la raccolta dei testi
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ix
l’esecuzione della condanna a morte
al fine di una più chiara comprensione dello svolgersi delle varie parti dell’esecuzione, è utile descriverne schematicamente l’iter come avveniva a roma nel Xvii secolo1. in realtà ogni esecuzione ha avuto le sue particola- rità, con l’aggiunta di peculiari usanze nel corso dei secoli e dei luoghi, come si può vedere dallo stesso Trattato di serni e dalle note dei vari officiali della compagnia di s. giovanni decollato.
il compito della confraternita ha inizio dal momento dell’annuncio della condanna a morte. durante la permanenza nel carcere il detenuto, che era in attesa del giudizio, essendo il carcere ad custodiam e non ad poenam, veniva assistito dalle due confraternite di s. girolamo della carità e della pietà dei carcerati, deputate a tale scopo2. un messaggio del tribunale competente comunica nel tardo pomeriggio alla confraternita di s. giovanni decollato che al mattino del giorno dopo si sarebbe dovuta eseguire una sentenza capitale3. l’annuncio viene portato al fattore e al sagrestano della compa- gnia, i quali mobilitano un adeguato numero di consociati ed il cappellano.
tutti costoro nella notte si recano nella chiesa di s. orsola per prepararsi spiritualmente al delicato ufficio4.
1 lo schema delle esecuzioni fatte a roma si ripeteva, in genere, in tutto lo stato pon- tificio. spesso il «mastro di giustizia» di roma si recava in trasferta – con il relativo com- penso – nelle altre città per eseguire la condanna. così pure le confraternite deputate alla assistenza dei condannati ricalcavano gli usi di quella romana. un esempio si può vedere in J.-b. labat, Voyage en Italie, paris 1730; l’autore descrive l’esecuzione e la conforteria come avvenivano a civitavecchia (cfr. anche c. de paolis, Le esecuzioni capitali a Civitavecchia,
«lazio ieri e oggi», Xvi, 1980, 7, pp. 166-170).
2 cfr. paglia, «La pietà dei carcerati», passim.
3 asr, csgd, vol. 19, f. 182v.
4 Ibidem, f. 22v. cfr. f. riccardi, Direttorio per il maestro di cerimonie della venerabile arciconfraternita di S. Giovanni Decollato, in roma 1773, p. 20.
Vincenzo Paglia, La morte confortata. Riti della paura e mentalità religiosa a Roma nell’età moderna, con la trascrizione di Pompeo Serni, Trattato utilissimo per confortare i condennati a morte per via di giustizia, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2020
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nicola» per uccidere i mariti. l’operazione di polizia riuscì brillantemente:
erano implicate 50 persone, di cui più di 20 furono prese e carcerate a via giulia. sono due brani dai quali si può intravedere la ricchezza, anche per la storia sociale, di questa letteratura sulle «giustizie».
tali opuscoli ci rimandano alla analisi della partecipazione popolare alle esecuzioni capitali. Queste presentandosi come supplizi spettacolari, assu- mono quei tratti per i quali rimangono impresse nella memoria degli spet- tatori, divenendo così deterrenti per altre eventuali azioni criminali. nelle note della confraternita di s. giovanni decollato a volte si fa riferimento a questa concezione della giurisprudenza penale. in un esempio del 1657 si parla dell’incrudelirsi della esecuzione per favorirne la memoria sugli astanti. È il caso di un certo carlo di bartolomeo, di palombara, impiccato e squartato in piazza grimana a capo le case per furti fatti in casa appe- stata. nella rubrica della confraternita si legge «fu squartato in una maniera nuova per maggior terrore, cioè tagliategli le braccia e le cosce»17. la morte così comminata diviene supplizio perché non è semplicemente privazione del diritto di vivere, ma occasione e termine di una calcolata graduazione di sofferenze. sì che la morte-supplizio generalmente si può intendere come l’arte di trattenere la vita nella sofferenza all’interno di un contesto enfatico.
a parigi, ad esempio, si arrivò a delle esecuzioni notturne aux flambeaux18. l’esecuzione stabilisce tra la folla e il condannato delle relazioni di transfert e di identificazione. nel paziente si riversa la coscienza colpevolizzata di coloro che vi assistono, per cui l’esecuzione diviene una sorta di sacrificio espiatorio e il condannato la vittima offerta.
la compassione che spesso coglie il popolo nell’assistere alle esecuzio- ni, non è certo estranea ai sentimenti angosciosi per la propria morte e la propria colpa. il dialogo con cui il popolo vuole certificarsi del pentimento del condannato, la preghiera con cui lo accompagna nascono da questa identificazione angosciosa, e da un modo di affrontare già nell’immediato, anch’essa, la propria morte. così pure le reazioni violente contro il boia, quando non esegue con efficacia il suo compito (tutt’altro che un sentimen- to di pietà!) sono frutto di quella identificazione della folla con il colpevole che subito viene da essa graziato come innocente. nel caso della esecuzione dell’abate rivarola così si descrive la reazione del popolo: «fu dal carnefice tagliato lo spago della mannara, quale non tagliò affatto la testa e vedendola non affatto recisa, la terminò di staccare con il coltello. in questo mentre si
17 «nuovi studi politici», XXiv (1994), p. 95.
18 favre, La mort, p. 64.
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appendice terza
conforteria per la morte di troilo savelli
la narrazione della conforteria di troilo savelli fa parte di quella letteratura sulle
«giustizie» promossa ad edificazione dei lettori1. il giovane barone savelli, figlio del più famoso troilo ferito nella battaglia di lepanto a servizio del pontefice, viene giu- dicato dallo stesso governatore di roma2 e condannato a morte. l’esecuzione, com- minata per decapitazione, avviene il 18 aprile 1592 nel cortile di castel s. angelo.
il testo è scritto dal gesuita giuseppe biondi3 che in qualità di confortatore ha assi- stito il diciottenne troilo dalla notte in cui gli è comunicata la notizia della condanna a morte sino all’ora del decesso. la notorietà della famiglia savelli4 e la giovane età del condannato già da sé richiamano l’attenzione di molti romani attorno a questa vicen- da. ma la riconosciuta esemplarità dell’atteggiamento di questo giovane di fronte alla morte, ancor più stupefacente in rapporto alla dissolutezza della vita, spinge il gesuita a narrare dettagliatamente lo svolgersi della conforteria. lo stesso filippo neri, amico di famiglia e padrino alla cresima di troilo, è intervenuto. il p. pietro consolini5 rife- risce che il giorno avanti che si eseguisse la condanna«il santo padre filippo neri gli disse che andasse a vedere la fortezza di castel s. angelo dove era allora castellano il signor pietro aldobrandini6 che fu poi cardinale nipote di clemente viii (…). dicesi
1 il manoscritto che riporto è in bav, vat. lat. 10122, ff. 1r-21v.
2 sui motivi del processo riporto una relazione manoscritta della vicenda, cfr. pp. 269-273.
3 giuseppe biondi nasce ad agrigento, entra a 15 anni nella compagnia (1552), diviene provinciale a milano e muore a napoli nel 1598 (sommervogel, i, coll. 1546-1547).
4 la famiglia savelli inizia la sua ascesa quando nel 1430 martino v affida a battista savelli l’ufficio di maresciallo del conclave, carica che continua a tenere per tutto il secolo Xvi. il maresciallo riceve il tribunale e le carceri (la «curia savella»). vari pontefici (esem- plare fu l’intervento di gregorio Xiii il 27 gennaio 1575) dovettero regolare l’andamento del tribunale e delle carceri (br, VIII, pp. 106-108, Dum recte admnistrandae). alla fine del cinquecento inizia la decadenza della famiglia; innocenzo X con due chirografi, del 21 marzo e 7 aprile 1652, dà il colpo definitivo sopprimendo le carceri (cfr. paglia, «La pietà dei carcerati», pp. 16-39) e il tribunale. la dignità di maresciallo del conclave viene concessa ai chigi. cfr. n. del re, Il maresciallo di santa romana Chiesa custode del conclave, roma 1962.
5 sul consolini, oratoriano, cfr. incisa della rocchetta – vian, Il primo processo per S.
Filippo Neri, passim.
6 sull’aldobrandini, discepolo di filippo neri, cfr. e. fasano guarini, Aldobrandini Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, roma 1960, ii, pp. 107-112.
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che il medesimo santo pernottassi tutta quella notte in orationi e la mattina ordinò al portinaro che quando tornava il consolini subito lo facesse andare da lui, et andato il padre pietro prima che cominciasse a parlare il santo tutto allegro gli disse ogni cosa:
“è passato bene, è andato, è andato”, et in dir così alzava le mani verso il cielo. Quando poi fu portato il cadavere nella chiesa di s. maria in vallicella detta chiesa nova, il santo padre lo baciò e lo abbracciò più volte dando segno di allegrezza grandissima e replicando parole con le quali affermava che l’anima fosse già arrivata al paradiso e fu seppellito nel sepolcro che è dirimpetto alla cappella dell’assunta»7.
Questa nota posta in appendice ad un codice della conforteria aiuta a spiegare, a motivo appunto dell’intervento di filippo neri, la singolare attenzione di cui era circondato questo racconto. il mongitore8 dice che il manoscritto «romae vagatur per multorum manus». il testo oltrepassa i confini di roma, viene tradotto in lingua francese e dato alle stampe; una copia è conservata nella biblioteca nazionale di parigi dal titolo Discours pitoyable de la mort du seigneur Troile Sevelle décapité à Rome en l’age de dix huict ans, dans le Chateau Sainct-Ange, sur les huict heurs et demie du matin: sous le pontificat de N.S.P. le Pape Clemente VIII. Qui servira de miroir et consolation à toute personne, et d’un vray moyen pour se preparer à bien mourir. traduction d’italien en franqais, par p.d.p., trisiesme edition a paris, chez claude chapellet, 1598, pp. 1-569. il susseguirsi delle edizioni francesi manifesta il singolare interesse che suscitava il racconto di questa morte. il frontespizio stesso indica la funzione che è affidata al volumetto quando, lo pone come miroir, consola- tion e mezzo utile per prepararsi alla buona morte. il testo continua lungo il corso degli anni ad essere letto; ancora nel 1759 ne vengono manoscritte delle copie10.
l’interesse di tale narrazione, per il nostro scopo, risiede nella precisione con cui sono rilevabili non solo i temi che i confortatori propongono ai condannati, ma anche il modo di porli e le reazioni che suscitano negli animi dei malcapitati. il Trattato di pompeo serni, scritto molti decenni dopo, acquista ancor più spessore poiché, comparato con questo testo, si manifesta legato ad una tradizione lunga- mente sperimentata dalla confraternita di s. giovanni decollato, ed a ragione si pone come il testo più autorevole della scuola di conforteria di roma.
per l’edizione del testo mi sono attenuto alla stesura originale salvo alcune modifiche per le minuscole e una attenzione alla punteggiatura per favorire la comprensione del testo.
7 bav, vat. lat. 9430, f. 167v.
8 solo nella bav ci sono sette copie: vat. lat. 10122, ff. 1r-21v; vat. lat. 9430, ff.
152r-167v (anonimo, con qualche variante); vat. lat. 9727, ff. 1r-21v; vat. lat. 9392, ff.
135r-161v; vat. lat. 13409, ff. 1r-25v; vat. lat. 13412, ff. 162r-227v; urb. lat. 1737, ff. 42r-67v.
9 biblioteca nazionale di parigi, suppl. fr., nr. 2853. il testo viene ristampato in francese in a. carayon, Documents inédits concernant la Compagnie de Jésus, paris 1874, vol. XXiii, pp.
5-60.
10 È il testo del codice bav, vat. lat. 9727, ff. 1r-21v, copiato da giovanni stringari, veronese.
Conforteria per la morte di troilo Savelli 269
i
Breve relatione d’alcuni delitti del signor Troilo Savelli decapitato in Roma in Castel S. Angelo nel pontificato di Clemente VIII (BAV, Urb. Lat. 1704, ff.
297r-307v manoscritto del 1703).
/f. 297r/ la nobilissima casa savelli per antichi titoli e dignità suprema godeva in roma un prepotente dominio. silla savello fu uno dei maggiori valorosi capitani che possa vantare la casa, potente di molte castella e fece guerra con alessandro sforza a favore delli colonna si pose in piedi un esercito di 1020 combattenti per riparare alli mali che faceva il duca valentino collegato con i francesi per il matri- monio seguito con donna carlotta di francia.
troilo savelli, di cui venendo a parlare, non sarebbe stato inferiore di forza e d’audacia per abbattere qualsiasi prepotenza pronto, ardito, marziale, sfacciato nella fronte, assistito di giove, risoluto di marte, allevato però e nutrito sotto la disciplina della madre, poco conto faceva delle di lei ammonizioni nella sua vita immoderata. Questo giovinetto di /f. 297v/ 16 anni, fece amicizia assai stretta con un tal cola gaetano bastardo di Honorato gaetano, che fu protonotario aposto- lico, ambedue questi giovinetti vivevano con grandissima rilassatezza. margherita savella che sentiva le quotidiane querele dei suoi vassalli per le molestie del figliolo strepitava con minacciose ammonizioni, a segno tale che gli continui reclami, o per le moltiplicate querele, che tuttavia più di giorno in giorno crescevano, disperata di poter più vivere in così angustiati termini risolvette di prostrarsi ai piedi del padre comune, /f. 298v/ come effettivamente fece senz’altro riguardo al proprio sangue, col quale si aperse e col volto bagnato di lagrime lo pregò a voler dare qualche mortificazione al figliolo, acciò si emendasse dai vizi.
il papa haveva havuti contro troilo savelli una quantità de memoriali sopra li suoi trascorsi parte scrivessi in roma, e parte fuori cioè nei suoi proprii stati, che in sostanza contenevano le violenze fatte ai sudditi, levato l’honore a nobili matrone, defiorate le vergini, e fatti uccidere molti suoi vassalli, che da lui erano scoperti contrarii.
temevano grandemente li popoli /f. 299r/ che si trovavano a lui soggetti per l’esperienza che ne havevano della di lui risolutezza nell’operare, e di ordini ven- dicativi. il papa havendo intesa la madre così sensibilmente querelarsi pensò di mandare 200 sbirri in un suo principato, e farlo catturare. la cagione di ciò, non tanto derivava dalle espressioni della madre, quanto dal senso, che prodotto haveva tal tarquinio bacelli mercadante, la figliola dello quale era stata violata dal sudetto troilo in un castello degl’orsini, dove haveva preso riposo quella notte la di lui /f. 299v/ famiglia. si fece un grandissimo strepito appresso il papa, ma soffocato il fatto così brutto, restò chiara appresso il papa la persecutione di troilo per liberarlo dalla vendetta, che il papa ragionevolmente haveva stabilito per farlo contumace.
mutio prati gentiluomo del cardinale panvelano tanto stimato in corte atte- stò al papa che troilo savelli nel volsci haveva fatto lega con cola gaetano per
sovvertire quei popoli e renderli al suo dominio. sdegnato papa clemente diceva che traboccava la sua patienza e rovesciava in tal forma che non poteva trattenere il corso dell’emenda dei suoi vizi. fu con grandissima celerità spedito a roma /f.
300r/ il podestà di sinigaglia, e mandaro a roma il processo di certi carcerati per informare la corte. il papa volle sapere che persone fossero. disse il potestà:
«padre santo, esistono alcuni sicari del signor troilo savelli, che hanno fatto molti omicidi»; ordinò che fossero condotti a roma ed esaminati. fu obbedito il papa, ma penetrato l’indizio dal signor troilo, ordinò alli suoi esecutori che riscuotes- sero li suoi vassalli dalle mani della corte secolare. Questi, vicino a sinigallia, mentre il podestà passava con li sbirri, l’esecutori del savelli gli fecero a fronte dicendo: /f. 300v/ «famo li sbirri ancora noi, e vogliamo godere li nostri privilegi», di modo che si posero alla difesa. il podestà a cavallo, rispose: «signore questi sono esecutori del papa, che vuole far la giustizia delli delinquenti, perciò sono inviato a posta a roma, acciò nessuno audisca di impedire il viaggio». Quelli con più ardire essendosi approssimati, quanto sarebbe 3 canne di sito, gli presentarono avanti le loro carabine dicendo: «noi vogliamo li nostri huomini, che sono stati presi a sinigaglia, perché hanno da sentire il nostro principe savelli». il podestà non /f. 301r/ replicò altre parole a questi temerari, onde principiarono a sparare, ed essendo morti nella baruffa 5 huomini del papa, e 3 dalla parte opposta. li carcerati che videro pigliare le loro difese, cominciarono a far forza di fuggire, onde gli altri sette rimasti delli 12, per non perdere la loro vita si posero in fuga, abbandonando l’impresa; restarono li delinquenti in libertà. riferito il caso tre- mendo al pontefice sdegnato anco per gli altri ordinò la cattura del signor troilo come ribelle del papa. /f. 301v/ non era stata ancora fatta consapevole la madre sopra questo incidente, che travagliata dalle continue agitazioni, ritornò dal papa, il quale più sdegnato che mai gli rispose che meritava esser punito dei suoi falli.
il papa però tratteneva il castigo per non vituperare questa gran casa che haveva fatti tanti servizi alla chiesa, dalla quale era stata riconosciuta con il maresciallo.
il conclave non voleva condannarlo, in tutti li modi lo voleva salvare per il conto che esso faceva delli suoi meriti /f. 302r/ distinti dall’alta casa. con tutto ciò per non parere il papa, che esso abusasse la giustizia, lo fece prendere carcerato, col pensiero di farlo restare in castello qualche spazio di tempo e poi liberato. seguì la sua carceratione con grandissimo consenso delli suoi famuli e preghiere della madre che rese grazie al signore di questo servizio, che gli haveva fatto il papa.
furono poi carcerati li delinquenti, che levarono dalle mani della corte li huomini di savelli. non stiedero molto tempo, seguita la carceratione /f. 302v/ del signor troilo, a venire a roma li stessi vassalli, che erano stati da lui maltrattati nello honore e nella reputazione, ma dei quali uno palesò al papa in un memoriale, che troilo savelli haveva levato l’honore violentemente ad una sua figliola e vitu- perata la sua casa, che però essendo sparsa la fama di questi richiami, correvano gli altri senza ritegno ad informare il papa, il quale stupefatto di tanti vituperi in un giovane di nascita così distinta, pensando che tutti li suoi errori non si /f.
303r/ potevano assolvere che con la pena della vita, ordinò che sopra tutti questi delitti fosse fabbricato il processo; fu con grandissima diligenza ciò eseguito.
Conforteria per la morte di troilo Savelli 271
piazza campo de’ fiori con la forca. domenico pronti, gabinetto nazionale delle stampe.
dopo 8 mesi di carceratione, la madre del troilo ritornò dal papa, dicendo: «santo padre quando vostra santità si compiaccia di ritornarmi troilo mio figliolo darà grazia speciale con questi propositi che vostra santità gli dia la carcere per casa per qualche tempo che elle giudicherà». rispose: «il vostro figliolo è stato carcerato per questo», mostrandogli /f. 303v/ il memoriale che haveva dato lei ed insieme stava ad essere condannato per altri, mostrandogli il processo di più di 300 carte. come disse la madre: «padre santo, condannato?», «condannato – replicò il papa – per le sue scelerazioni che sono in queste carte». si partì l’afflitta madre dal papa ed andò a trovare il cardinale orsino e virginio orsino li quali pregò a dover intercedere per il figlio la scarceratione; procurandogli di mitigare il papa, dicendogli che l’es- ser stato mal guidato dal cola /f. 304r/ gaetano fin da fanciullo, grande scapestrato e di costumi corrotti, che per tale pratica era arrivato ad essere biasimato dalli stessi vassalli, ma che per l’avvenire gli si darebbero quelle leggi che sono più proprie.
il papa per debito dell’officio suo pastorale non volle ascoltare le scuse che gli adducevano quelli parziali del savelli ma ordinò che non si differisse il proseguire della causa. furono molti cardinali a pregare il papa per la remissione di questo giovanetto, ma nulla valsero /f. 304v/ le scuse e li pretesti, trattandosi di punti così gravi, di falli così vituperosi, e di delitti così enormi. si querelava grandemente la madre di troilo, dicendo essa essere stata la causa primaria di questo fatto atroce e restava con questo continuo stimolo che non la lasciava riposare né notte né giorno.
si interpose appo il papa anche il duca cosimo che mandò a roma per corriere espresso una lettera al papa concernente la sua liberatione ricordandolo /f. 305r/
in gratia sua santità, per tenerlo in siena ben custodito tutto quel tempo che sua santità avesse comandato.
tutte queste diligenze si resero vane, onde il papa per torsi d’attorno tutti questi stimoli ed inquietudini ordinò che fosse decapitato. gli fu annunziata la morte, la quale con grandissimo consenso riceveva in penitenza delle sue colpe. nessuno cre- derebbe mai che questo giovine dal giorno della sua carceratione facesse gran muta- tione: gran misericordia di dio, che non lascia in abbandono chi a lui di core ricorre.
È /f. 305v/ d’uopo sapere che presago forse di dover essere condannato come conscio dei suoi misfatti, che non poteva essere assoluto si diede subito ad esaminare la sua coscienza, facendo una esatta confessione delle sue colpe, e nel ricevere l’assoluzione dal suo prete confessore disse: «questa non basta a placare l’ira di dio contro di me e dunque mi contento di morire quando anche lo dovessi fare adesso e spargere tutto il mio sangue per amore di gesù. sono stato trascurato è vero dell’amore divino, perché /f. 306r/ ero cieco all’operare, ma ora che dio per sua divina misericordia mi concede tanto di lume, vedo il presente fatto mio, conosco essere reo di molte morti, mi spiace aver consumato il tempo così inutilmente. ora però che godo la grazia speciale, che dio mi fa, questi brevi momenti che mi restano di vita, saranno impiegati a suo honore». così diceva il giovane tutto infervorato nel divino volere, non pianse mai, non mai si sbigottì della morte, anzi intrepido pugnava contro le /f.
306v/ tentazioni diaboliche di dover essere liberato e riposto in vita. È cosa indebi- le che un giovane tanto rilassato ed immoderato, che haveva seguito le delizie del mondo, li piaceri, la carne, e fatti li altri mali che si sono narrati, e che in così breve
Conforteria per la morte di troilo Savelli 273 spazio cangiato pensiero divenisse angelico nei costumi. avanti la sua morte scrisse due meravigliose lettere alla madre per sua consolatione pregandola di non volersi turbare della sua morte, dicendogli che andava in paradiso a pregar dio per lei.
chiese /f. 307r/ anco perdono al papa, ai suoi vassalli servitori, a tutti che l’havevano servito. assistito dai padri nella sua morte, rese l’anima a dio con meraviglia di tutti.
ii
Morte dell’illustrissimo signor Troilo Savelli decapitato in Roma nel castello di S. Angelo a dì 18 aprile 1592.
/f. 1r/ erano 17 di aprile alle hore 4 di notte intorno il sabbato seguente, quando all’illustrissimo signor troilo savelli fu portata la nuova da un ministro della sua morte. Questo giunto nella camera dove egli si riposava gli disse: «signore, bisogna che vostra signoria illustrissima si vesta»; al che esso: «questa è ben hora à dire il vero un poco straordinaria, tuttavia dove mi volete voi condurre?». al che il ministro di sotto disse: «per dar luogo ad altri nuovamente venuti, prigionieri», ricavando questa scusa per non lo sbigottire. «così ad un tratto vi credo – rispose il signore – quel che voi dite. ma à dir il vero mi havete messa mezza paura»; et leva- tosi à sedere sul letto: «horsù vestiamoci – disse – nel nome di dio». cominciatosi a vestire: «datemi di gratia – disse quando volse scendere giù da detto luogo – quanto io fornisca di vestirmi»; et dando gagliardamente d’occhio ad una immagine, che quivi a posta teneva, della madonna con christo in seno, veramente, come egli poi mi riferì, ad essa si raccomandò, essendosi l’istessa sera, a punto un’hora prima di questa novella, levato et ingenocchiandosi in terra avanti /f. 1v/ l’imagine, con abondanti lagrime disse: «o gloriosa e benedetta vergine potessi io morire, se morir debbo, in questa disposizione qual nel cuore mi sente», et affermomi esso, che la sera si era colcato quasi sicuro del suo scampo. ma all’improvviso, contro il suo costume, per quello che riferiscono quelli soldati che l’havevano in custodia, i quali fingendo bene spesso di non vederlo, spesso s’accorgevano che esso furtiva- mente si prostrava in ginocchioni.
vestito che fu, dubitando il ministro che per la fresca età, in un frangente sì hor- ribile et improviso, ò se ò altri disperato non offendesse, gli volse di subito metter le manette, al quale egli volgendo mansuetamente le mani: «fratello – disse – eccomi quà pronto al voler tuo, et d’ogn’uno poiché così vuole dio». posteli le manette lo conducevano alla volta della cappella; quando, nell’uscire che fece della camera sua, segnatosi al meglio che puoté col segno della santa croce con ambo le mani, et voltato gli occhi al cielo forte sospirò, pure vedendo più gente, per aventura, di quel che faceva bisogno per mutarlo solamente di stanza: «questo – disse – egli è altro che mutarmi di stanza; ma con la grazia di dio son disposto a tutto». così, tacito scendendo alla cappella fu incontrato e ricevuto dal governatore, dal procuratore e da tre confortatori della misericordia, con modo conveniente al caso dicendogli uno di essi: «signore, l’hora che dio /f. 2r/ ci ha prefissa è corta, rendetevi nelle sue mise-
ricordiose mani»; et esso, senza turbarsi punto a si ria novella, con breve et dimesso sospiro voltatosi all’altare: «lodato sia dio – rispose – ecco me vi rendo, son qui disponete voi di me». così quei buoni et caritativi fratelli, insieme con alcuni padri del gesù, postisi a lui intorno con buoni, et acconci modi, addolcendo l’acerbità della novella l’andavano confortando; et esso a tutto acconsentendo, et sempre con parole avanzandoli percotendosi il petto, chinando il capo, bacciando il crocifisso, et chiedendo perdono, come morbida cera lasciavassi da ciascheduno maneggiare.
ricordagli uno dei confrati la confessione inanzi padre confessore, et mostratoli un padre della compagnia vestito con ogni altra cosa; al cui nome tutto in sé levato, et:
dove è – disse – il camiso et stola, per dire poi a suo tempo la santa messa, prima d’ogni altra cosa si confessò uscendo noi fora per dar libero il luogo.
confessatosi, et ritornato dentro cominciorno con varii spirituali esercitii, con- venienti al caso, à disporlo per il buon fine suo, et doppo havere alcuno favellato, anch’io così gli presi à dire: «signor troilo questo è quel passo che se una volta si fa bene s’acquista eterno bene, et se il contrario eterno male; a vostra signoria illustrissima tocca hora per divina providenza tanto più giusta, quanto più occul- ta, procurare di farlo bene. stretto è il passo, disuguale, spinoso, sassoso et duro ogn’uno lo crede, et voi signor lo provate. ecco gesù che con la bontà sua spia- nerà /f. 2v/ tutto. rincoratevi voi, signore, in lui che animoso risponderete, omnia possum in eo, qui me confortat». acciò egli: «conosco – rispose – pro misericordia del mio buon gesù, la necessità di far bene questo passo; aprovo in me la provi- denza di lui, et aggiungo alla providenza l’amore; poiché per singolare amore mi ha condotto qua, lo veggo, lo confesso et quante volte sono stato in bocca posso dire della morte, padre mio, la quale non ho dubio che se in quel punto colto mi havesse, perduta se ne sarebbe andata l’anima et il corpo insieme. ecco l’artificio del mio buon gesù, per salvarmi, ha eletta questa strada»; et chino, scoprendosi la testa, francamente dalla seggia in piedi levandosi, d’avantaggio soggionse: «ricevo, et accetto cotale morosa elettione, et cadendo in ginocchioni davanti l’altare, anzi ti ringrazio, – disse – o mio buon padre di così fedele et amante cura, che di me non solo smarito ma contumace, ancora figlio, hai havuta. a te sta hora spianarmi, et facilitarmi l’asprezza di questa via, poiché per essa ti è piaciuto incamminarmi»;
et piegatosi quasi col volto in terra, per un poco stette in oratione mentale. per il che fattolo sedere, a pena seduto, voltatosi a me: «padre – dissemi all’orecchio –, voi che tenete, per quel che io veggo, per mia gran fortuna, in questo mio si urgente bisogno, il luogo di dio, comandatemi: mi dò preso nelle vostre mani. del corpo ha disposto il prencipe, dell’anima disponete pur voi». all’hora io, prima d’ogni altra cosa dissi: «voglio signor mio che /f. 3r/ faciate la solita protesta che si costuma fare da timorati della fede»; la quale, con molto sentimento da lui publicamente fatta, seguendo sempre et replicando le parole mie, soggionsi: «fatti hora tutti questi atti di cuntrizione, che vi ricordarò, havendo l’occhio della vostra mente prima a dio offeso come sua creatura, suo famiglio, suo schiavo christiano et tanto benefiziato, rispetto all’offesa che havete commesso; et di tutte in generale doletevi di vivo cuore et delle più gravi rispetto al bene tralasciato al tempo perduto, et all’età con- sumata rispetto allo scandalo dato, et se da fare qualche cosa vi resta, mettetevi le
Conforteria per la morte di troilo Savelli 275 mani al petto; se restituire, se perdonare, o chiedere perdono: restituite, perdonate, et chiedete perdono; se sodisfare à voti, ò adempire promesse: sodisfate ogni cosa;
et finalmente se lascia debiti o voi lasciare testimoni del pentimento suo». lasciate alle quali cose, offerendosi pronto, tutte le conseguì con tanta devotione, che tutti all’hora mutorno stile di ragionar seco; et accorgendosi che dove prima pensavano trattare con un cuore giovanetto per non dire putto tenero et fiacco, hora faceva bisogno ragionar con un petto virile, generoso, et christiano a fatto. et così uno delli confortatori cominciò con molta prudenza a discorrere sopra l’horrore della morte dicendo: «signore non ci spaventino le acerbezze della morte, perché il dol- cissimo christo con l’agonia sua tutte le disacerbò. fissate il vostro pensiero in lui, et dite, pone /f. 3v/ me iuxta te, et se tal’hora sentirete come per forza l’acerbezza di lei, in questa breve notte dite, Pater mi, non sicut ego volo, sed sicut tu, fiat volun- tas tua». al che rispose egli: «più mi spaventano le sceleratezze della vita mia che l’acerbezza della morte. oh quanto ho mal speso questi diciotto anni; quanto male ha cognosciuto il mio salvatore; quanto ingrato alle cortesie sue son stato io; quanto ribelle alla sua santa legge; io son vissuto dimenticato di me stesso, et come sfrenato cavallo in questi ultimi anni senza freno ovunque mi hanno traboccato l’occasioni, li compagni, la mia cieca voglia mi son precipitato, pur voi mi dite che io dica: pone me iuxta te et fiat voluntas tua». all’hora soggiunse un altro atto di magnanimità, e non tremare delle fierezze della morte, d’humiltà riconoscere le sue colpe, ma di fiducia l’attendere al perdono di esse come vostra signoria illustrissima fa la quale può dire: propter nomen tuum Domine propitiaveris peccata me a multum est enim.
doppo questo, dissegli il proveditore: «hora, se piace a vostra signoria illustrissi- ma, si faccia l’ultimo testamento affinché resti con un sol pensiero dell’anima».
il coraggioso signore, senz’altra dimora subito scrivette, rispose, et cavatosi di saccocia un polizino, dettò il testamento speditamente in un tratto, nel quale otto cose si trovavano, a giudizio mio, notabili. la prima è di tenera devotione, perché raccomanda con tenerissime et religiosissime parole l’anima sua a dio; la seconda, di più che di giovenil prudenza poiché minutamente riconosce tutti i suoi; la terza, /f. 4r/ di grandissima contrittione, perché con sviscerato affetto domanda perdono a molti ancor nominatamente; la quarta, di gran magnanimità perché scongiura la signora sua madre a perdonare tutti li suoi contrarii, come esso mille volte perdona supplicandola con un lungo et christiano giro di parole, a non voler mai vendicarse, incolpando se stesso in tutte le cose; la quinta di pia religione lasciando a molti pii luoghi, et a molte pie chiese grossa limosina per remissione dei suoi peccati, dotan- do molte zitelle ad arbitrio dei suoi eredi; la sesta, di sincera giustizia, perché anco il suo dovuto lascia che si renda; la settima, di cortese gratitudine per rimunerare chiunque sia che l’ha servito in priggione; l’ultima, d’affettuosa riverenza perché con modi molto teneri et humani, chiede ben cento volte perdono alla signora sua madre con molti altri compimenti.
finito il testamento: «ecco, – disse – signore, libero è questo tempo a fatto per l’anima sola», et rivoltatosi a me: «padre, – dissemi – ella è vostra, comandate pure, che questo solo mi resta». «signore, – dissi io – datevi a gesù»; «mi dò», replicò egli prontamente; «donatevi»: «mi dono»; «consacratevi»: «mi consacro»; «fattevi tutto
suo»: «et come, padre, mi farò tutto suo, se son così indegno, et forse anco nemi- co?». in questo mentre, quello che haveva scritto il testamento avisò che bisognava publicamente leggerlo affinché con debiti testimonii si chiudesse; il che facendosi, mentre egli lo leggeva, occorsero tre cose di consideratione; la prima, che leggendosi come egli raccomandava à dio l’anima sua accostatosi a me /f. 4v/: «il corpo non lo raccomando perché non è più mio, fa già così non fosse stato, et a ben raggione che non havendone in vita havuto niuna cura, non habbia in morte, per pena ne possa havere, faccino dunque quello che si vogliono, io lo sacrifico a dio, quale egli si sia; non mi valerà, padre, tale oblatione?». «valerà», risposi io. la seconda, leggen- dosi i legati, fu avertito che legando egli come legava, si scopriva colpevole in una cosa colpevole in che colpevole non era, et il testamento, come io dicevo, si salverà ugualmente la coscienza, et la fama. a questo, levatosi la montiera, o vogliam dire berettino: «o padre, – replicò mezzo ridendo – alla fama abadate adesso alli pontigli del mondo? et all’honore vi rimettete? salvisi l’anima et perisca quanto in me fu et può essere di vano. non vi ricordate di quello che poco fa mi dicevate: mihi mundus crucifixus est, et ego illi? l’anima non resta intaccata, et se l’honore sarà, secondo il cieco mondo, tocco serva per soddisfatione delle dovute pene». la terza, che in questo istante gli fu portata la sua beretta, et volendosegli togliere la montiera di capo: «che fatte?», dissi. «gli vogliam dare la sua beretta». «eh, lasciatemi – disse, et sotto voce soggionse – guardate un poco, hor vogliono honorare quel capo che fra poche hore m’ha da essere per le mie colpe mozzo!».
letto dunque il testamento et chiuso, buttandomesi quasi addosso con mode- stissima dolcezza: «padre, – mi disse – io mi son riconciliato, ma con la reverenza vostra vorrei fare una confessione generale da che son nato, et se bene /f. 5r/ prig- gione, ad istanza della signora madre, l’ho fatta quasi l’istessa, sappia che nulla fu quella rispetto al sentimento, et lume che in questo punto scopro nel cuore. altro è, padre mio, confessarsi vedendo come vedo io la morte da vicino, et altro è non vedendola, ò vedendola da lontano». et fattosi recare un librettino, che di sopra nella priggione haveva del modo di ben confessarsi, quale pochi giorni prima gli haveva recato la sua buona madre, cominciò la sua confessione, nella quale se come mi è lecito per la libertà havuta pienissima da lui di dire quello che mi pare, se lo sapessi dire, farei stupire non dico sola roma ma l’italia tutta. perché se noi par- liamo della estrettissima maniera che tenne in accusarsi minutissimamente in sino delle parole occorse, mi pareva udire un bene essercitato religioso, et un profondo theologo. fermavasi poi, di quando in quando, fra la confessione, et lasciando accortamente cadere poche lagrime sulle guance le rasciugava et rasciugandole soleva dire sospirando: «o padre, quanto è stato buono meco il mio signore! sia egli hora benedetto tante volte, quante l’ho offeso nella passata vita». nascevano, nell’accusare le sue colpe, brevi parole, et più che pie et in alcuni casi tanto sviscera- te, che nel volto si vedeva manifesto segno che se gli spezzava il cuore; di modo che, fra la confessione, più volte pensandosi li confortatori che fosse per venire meno, domandando se gli faceva misterio d’alcuni restauri, al che egli secretamente par- landomi rispose: «un solo restauro desiderarci, che per /f. 5v/ dolore mi si crepasse il cuore, et così verriano sodisfatte le mie colpe, se però anco questo bastasse». ma
Conforteria per la morte di troilo Savelli 277 perché pareami che troppo si struggesse, et allargassi nel confessarsi gli disse io:
«signor troilo, non siate così minuto et particolare in accusarvi, passateli così poi che vi daranno fastidio». «ah padre, – rispose – ho consumata tutta la vita mia in offender dio, et in un’hora volete che io chieda perdono di tante offese? sì longo nel peccare, et sì breve nel confessare? che io sia al mio padre noioso, ben lo vedo, ma che far ci posso se son forzato?». e qui medesimamente cominciò a bagnarsi di lagrime, e poi soggiunse: «perdonatemi, padre, et permettete questo dissagio per l’amor di dio che, per salvar questa povera anima, n’acquisterete merito, et ne haverà obligo, quando che sia se anderà per opera vostra e grazia di dio in luogo di salute». et vedendo io che, tuttavia, rinforzava il pianto, confessovi la debolezza mia, che mi lasciai anch’io di tenerezza venir meno, del che esso avedutosi: «padre, – disse – la reverenza vostra piange, e piange non per sé ma per me; et non vuole che io pianga per me stesso!». così, ambi poco spatio taciti, continuò poi la con- fessione con le solite parole brevi ma piene et proprie, facendomi insieme scrivere tutte quelle cose che alla mia fede per scarico suo raccomandava, et mentre io le scrivevo, voleva per contentezza sua tenere il calamaro, et scritte leggerle, basciarle, et bagnarle di lagrime.
ma di niuna cosa tanto si accusò quanto delle cose /f. 6r/ occorse con la signora madre, accompagnando con molte lagrime tutte le sue accuse, et cominciando dalla sua fanciullezza: «padre, – mi disse – io ho fatte molte offese a dio; di niuna però in questo punto par che tanto mi dolga, quanto di essermi agiutato della grand’amo- revolezza, prudenza et patienza che in allevarmi ha usato la signora madre perché, fanciullo ancora, mi diede in cura di dotti e religiosi precettori, li quali insino alli sedici anni con molta fede et sufficienza mi insegnorno non solo de l’humanità, ma di filosofia ancora, et nelle bon virtù con buoni essempii et buoni ricordi s’ingegnor- no d’incamminarmi; et contenta di ciò non saprei dire quant’essa giornalmente fosse sollecitata del mio profitto, così nelle lettere, come nelle virtù, perché in quell’età mi dava copia di libri, di tempo, di commodità, et di mille carezze, et in copia di conversatione buone de libri spirituali, di prediche, et di consiglianti, menandomi et facendomi menare a confessare non solo tutte le feste principali dell’anno, ma tutti li mesi ancora, et sino al dì di hoggi. se la reverenza vostra vorrà, ritrovarà li miei scritti, testimonii chiarissimi, di quanto dico, et massime una breve maniera di spendere bene tutto il giorno; le cose poi quali essa mi avvertiva sono infinite;
picciolo con le minaccie, et botte ancora mi teneva sempre a freno, et grande poi con le buone, con le preghiere, et con promesse, et spessissime volte anco con tante lagrime; che quelle hora, mi sono come tante lance fisse nel cuore. per questo fece che mi tenesse /f. 6v/ alla cresima il padre filippo della chiesa nova; et poi seco presi particolar amicitia; mi teneva lontano dal vedere mali essempi appesso di me, come in una religione, essortandomi sempre giorno e notte a vivere da nobil chri- stiano; né cessava mai quella benedetta bocca di replicarmi: “troilo, figliolo, temi dio, ama dio”, per il che presi il governo di tutti i castelli, et il carico di tutte quelle case, vivendo in continuo timore, e speranza della riuscita mia; né vi era religione o monastero a cui non mi raccomandasse; né veniva in casa o incontrava un religioso già mai a cui, dimenticata di se stessa, non dicesse: “pregate per il mio figliolo”. et
io, poco grato a tante fatighe, appena entrai nelli sedici anni resi a si gran somma d’amore tanto mala piaga che mi separai fino da lei, stratiandola con parole et con fatti, in modo che ogni pena mi pare adesso minor certo del mio merito, et quando penso, padre mio, alle lagrime che di continuo ella ha sparso giorno e notte per me, et alle angonie havute, sento contento della mia morte, con la quale mi pare venghi adombrare in parte tanti miei mal portamenti. né, però, separato mi lasciò essa con lettere et polizze, con ambasciate e con cento inventioni, procurando ritrarmi dalle male pratiche, pregandomi, sollecitandomi et soggiungendomi al bene. et sapevo che non veniva tralasciata mai devozione per la salute mia, visitando quante chiese raccomandandomi a quanti servi di dio erano in roma, et per finire, più volte mi venne cercando, /f. 7r/ così di giorno, come di notte, errando per questa campagna;
et ritrovandomi mi si gettava fino a i piedi acciò, una volta aperti gli occhi, volemi mirare qual fosse il mio principio, et havere riguardo al danno che un dì manife- stamente mi doveva succedere; che ritornassi a christo, e riconoscessi una volta che queste apunto erano le sue parole, di chi fussi io figliolo, e che cosa mai mancasse per che io così disperato havessi da far si poco conto della robba, della vita, dell’honore;
accompagnando essa, per l’ordinario, l’ammonitione e preghiere con tenuissime lagrime, et tal hora anco in presenza mia rivolgendosi a dio lo pregava che a sé mi convertisse o a sé mi tirasse, et questo posso dire con verità che, fin’a quest ultima hora nella quale mi trovo, non ha mai cessato di procacciare la salute mia; per che fin dalla prima volta che mi fu a vedere priggione, mi essortò a confessare; e poi sempre mi tempestò hor con religiosi, hor con libri spirituali, finché la dio mercè fecemi ritornare un poco in me stesso; et oltre il tormi tutte le occasioni del male, di conti- nuo mi diede materia di bene, con essortationi caldissime, che sempre mi fece, acciò mi rimettessi nelle mani del signore, et tutto nella sua misericordiosa providenza mi resignassi. né potè mai figlio alcuno desiderare cosa veruna da madre che il bene, et contento gli recasse che essa da sé medesima non mi l’habbia dato, et io all’incontro infelicisso li rendo in questi ultimi giorni la vita sua. dio me lo perdoni et prenda il condoglio /f. 7v/ futuro di lei in penitenza presente delle colpe mie».
in questo modo, gionti vennero alla fine della confessione: «questa sola grazia, padre, vorrei da voi, perché dio per sua misericordia non me lo nega et è di potere piangere un poco li miei peccati et fare con le lagrime fuori, fede alla divina maestà sua, del dolore che dentro sente il cuor mio». «piangete, – risposi io – poi che ve ne dà il signore con tanta voglia». non finii di proferire questa ultima parola, che di già haveva cominciato a cadergli dall’occhi una pioggia abbondantissima di lagrime, in modo che mi bagnò buona parte d’un braccio, et divenne la mia mano tanto bagnata come se sopra vi fosse piovuto; di che accortomi io a caso doppo lo spatio di un ottavo d’ora, et più dubitando che per le troppe lagrime non si accorasse trop- po gli dissi: «pianto havete, quietatevi di grazia al voler di gesù; non vi aggiungete da voi medesimo pena maggiore, non vogliate più cruciarvi». al chè esso: «padre, – rispose – vi dò la fede mia che punto non piango la morte mia, ma puramente l’offesa fatta a dio; et spero nella benignità del mio buon signore che per la morte mia non solo non versarò lagrime, ma neanco mi cambiarò di volto: piango, padre mio, l’infelicissima mia vita, con la fortunatissima mia morte, perché in quella vissi
Conforteria per la morte di troilo Savelli 279 inimico a dio, ma spero in questa di morirli amico». «seguite, dunque, – replicai io – la confessione per morire amico del vostro signore, et lasciate il pianto». et seguitò dove, a punto, /f. 8r/ lasciato aveva; del che io non potei fare di non maravigliarmi perché io stesso già me n’ero dimenticato, con tutto che havessi in mano il libretto.
seguendo mi disse, inanzi a guisa di una scena, il corso tutto della vita sua con tanta chiarezza et brevità che fui forzato interrogarlo, se molti giorni prima egli si fosse per ciò fare, apparecchiato. risposemi: «padre, è tanto il lume, come ho detto, che il mio benedetto christo in questo punto si degna darmi della mia vita, che ora che mi confesso parmi vedere tutte le attioni mie come in uno specchio, et legere tutti li pensieri et parole mie come in un libro». et così era certamente, perché egli senza urtar mai in parola et senza mai fermarsi, si accusò delle cose in maniera che poco lasciò a me di avisarlo, o riccordarlo se non nel fine, a punto, di questa attione per- ché, ritornando egli a repetere molte cose già dette, et pensando io che per dimenti- canza forse le repeteva, lo feci di ciò avvertito. Quando esso mi rispose: «mi accorgo ben, padre, di repetere ben spesso li stesse cose, ma io le repeto per maggiormente, in questo atto, detestarle et confondermi et principalmente perché havendo io pas- sato il tempo migliore della vita mia in sì fatte cose che così mi piace credere con dispiacere del mio signore, hora per piacergli passi il tempo tutto della mia morte nelle medesime cose. e se alla reverenza vostra è grave, come sò, che gli è sentire tante volte queste mie sì grandi colpe, ricordisi finalmente che questa anima è di un peccatore per cui morì cristo». «anzi – dissi io – /f. 8v/ così, repeti pure vostra signoria illustrissima quante volte più li aggrada, che io alla fine lo stimavo errore, l’avisai»; «errore fu», rispose egli, «et errore grande l’offendere in tanti modi quello che sempre fu la difesa mia; ma sia come si voglia, di questo certo fra l’altre cose morirò contento di non satiarmi già mai di confessare le mie colpe per gratia del signore (tanto hora da me conosciute, quanto poco mi furno tanto piante da me, hora saranno quanto già mi recorno contento sebbene falso). così havessi io, dolcis- simo servatore dell’anima mia, mille lingue per poterle pienamente confessare, mille occhi per poterle amaramente piangere, mille cuori per poterle eternamente detesta- re; così se mi si spezzasse il cuore di dolore per i peccati che ho commessi contra dio, come m’ucciderà il corpo la manara per li peccati che io ho commesso contro gli huomini, io, padre mio, mi conosco peccatore et voglio morire peccatore ma peccator già reso et contrito, et fare a me stesso l’essequie con le lagrime mie.
dunque lasciatele a mio gusto fare, et qui non potendo io continuare il pianto». et accorgendosene, esso soggionse: «felicissime essequie, che non pur fatte ancora da servi di dio, ma a voi non tocca questo offitio se non come a padre dell’anima mia;
chi sa, forse, se con questa lagrimosa et scambievole attione perfettamente rimarrà purgata l’immonda conscienza mia?». così tacciuti e l’uno e l’altro, per un poco:
«gesù, – disse egli – è tempo, o padre mio che, per l’autorità che dio vi ha dato di legare et sciogliere gli huomini in terra, mi scagliate da tante catene di peccati acciò, come mi havete insegnato, io possa dire: auditui meo dabis gaudium, et letitias, etc.;
datemi la penitenza prima et poi l’assolutione, perché a dire il vero qual penitenza degna mi potrà dare la vostra reverenza?», et gittatosi alli miei piedi, chinando il capo sopra le ginocchia, o vero dove io havevo la sinistra mano, con bagnarmela
tutta di lagrime et basciandola, attendeva alla penitenza et assolutione, la quale io gli diedi piena, et in forma di giubileo plenario secondo li privileggi amplissimi della divina compagnia della misericordia. assoluto et fatto la penitenza con incredibile affetto si pose, per ordine mio, a sedere; ove gli fecero il solito cerchio a torno et per il primo ragionai io in questa forma: «illustrissimo signore, a tre cose fra le altre molte vorrei pensaste, cioè come christo morì in croce per radulcire con la sua la vostra morte di questa notte; egli morì nel fior et vigore dell’età sua, finché a vostra signoria non potesse venire tenerezza né compassione della giovinezza sua, né potes- se dire: oh! perché in così tenera età mi vien tolta la vita? et questa è la prima. egli morì di morte et morte violenta, perché a vostra signoria non paresse intolerabile il morire in necessità, et non dicesse: oh! perché il fior delli anni miei mi vien reciso di violento ferro? questa è la seconda. egli morì della più vergognosa morte che in quei tempi fusse, acciò a vostra signoria non paresse strano il morir per /f. 9v/ mani di giustizia, e non dicesse: oh! perché non morii io in fascie o d’altri accidenti? anzi se vostra signoria accettarà il morire in così fresca età, potrà offerire a christo il fiore et il meglio degli anni suoi; con morire di morte violenta far volontario il necessario;
et il morire di morte vergognosa, prenderlo in penitenza dei suoi falli et così fugire la vergogna di questo ultimo giorno; tanto più che vostra signoria non ha da morire pubblicamente come si costuma in ponte, ma quietamente giù in cortile come si costuma a suoi pari». et aggionte altre simili considerationi, posi fine al mio raggio- namento. al che, il pronto signore: «et io, padremio, quanto alla prima cosa, morrò volentieri in questa età, perché son sicuro di non offendere più il mio signore, et da me gli offrisco l’età gli anni et la vita et cento età di cento anni et cento vite. Quanto alla seconda, io farò di necessità virtù et dovendo morire per forza et per ragione voglio morire volontieri per cedere volontario alla ragione. Quanto alla terza, morte più vergognosa vorrei, et sappia che il morire in publico mi saria stato non solo mag- giore soddisfatione, perché così haverei sperato meglio rimediare al publico fallo con la pubblica penitenza, e lo sa dio, che io non prendo contento perché mi si faccia questo favore di morire segretamente, nel resto se così hanno deliberato non repu- gno, accettarà il mio signore la pronta volontà mia». Quì, ripigliò il proveditore:
«vostra signoria si rimetta pure al volere di dio, il quale /f. 10r/ non tiene una strada sola per arrivar alle anime, né un sol modo per tirarle a sé. uno tira a sé in un modo et uno in un altro; né importa che a voi siano occulti li giuditii suoi, basta che sap- piamo esser giusti; chi sa, quando vostra signoria fosse morta in altro modo che in questo, se si fosse salvata». «lo so io, – rispose il barone – di peso sarei andato all’inferno; sapete, signore, che ha fatto dio meco come fa un cacciatore quando vuole havere qualche fiera, ma la vuole havere sana et salva nelle sue mani, non la vuole né stracciata da denti né da unghie de cani, né ferita di saetta o spiedo, né strozzata da rete o laccio; questo la fuga et caccia or di qua or di là, ma non permette mai che cani, fuor della caccia, né saetta, fuor dell’arco, né rete, né laccio in terra, al più con qualche grido per qualche sasso, incalza et indrizza al disegnato luogo; la fiera cacciata di qua et fugata di là, tanto è seguita finché arriva dove desidera il padrone. ben lo sa il cacciatore che gran tempo la fuga, sinché è salva se la gode, et io, o mio buon gesù, forsi che son stato questa fiera cacciata or di qua or di là, ma
Conforteria per la morte di troilo Savelli 281 tu mi volevi sano e salvo, et così non permettesti che io fossi lacerato da cani, né ferito da ferro, né preso da laccio, quando da tanti pericoli di morte, nei quali mi sono, sebben giovanetto, ritrovato mi scampasti, et nei quali se morivo, io sicuro perivo eternamente solo mi tirasti dei sassi quando con qualche travaglio mi percuo- testi; et solo mi gridasti dietro /f. 10v/ quando con tanti avisi et inspirationi mi sol- lecitasti; alli quali hora, signori miei, mi dolgo essere stato sordo. ma che meraviglia, seco ero morto, et mi ha condotto la sua bontà a questo stretto varco senza che io il sapessi, acciò io sia sforzato saltarli sotto perché dove posso io rivogliermi e sebbene potessi non voglio rivolgiermi, se non a te o mio signore son forzato, è vero, ma anco me ne contento». Qui repigliò uno delli confortatori: «signore così grande et ampia è la bontà di dio che ogni cosa accetta, disse uno della chiesa nuova, che christo se bene hebbe in precetto la morte, non di meno, si dice, et è vero, che morì volon- tariamente»; et aggiunti, a questo proposito, alcuni belli essempii, chiuse il suo dire con uno dei nostri padri, il quale dichiarò come il necessario poteva farsi volontario, cioè con farlo volentieri et che tanto più era meritorio, quanto con maggior prontezza di volontà si faceva. «insegnatemi, adunque, – replicò il barone – qualche modo onde io possa fare pienamente questa mia necessaria morte volontaria, et insegnate li modi devoti et belli». il governatore della compagnia, insieme con uno dei confor- tatori dissero: «forse che vi stracchiamo troppo, signore». «come mi straccate, – rispose egli – questi ragionamenti mi fanno breve questa notte, et fortunato questo mio frangente»; et qui, ognuno si tacque per un poco di spatio, quando egli levatosi da sedere, disse: «vorrei favellare, con il /f. 11r/ padre», et accostatosi disse il confi- teor; il quale finito: «voglio, – soggionse – padre, se vi piace ricordar con la memoria alcune cose dette per meglio replicarle et altre aggiungerle», il che negando io essere necessario: «come – disse egli – non mi volete dare voi quest’ultimo contento? non volete che almeno mi satii di confessar li torti che ho fatti a dio? e poi non si ricorda vostra reverenza che habbiamo da ragionare della penitenza? (et replicai morire et morire et morire così fattamente) horsu, adunque, insegnatemi», disse; et io dissi:
«offerite adesso con il core al nostro signore, in penitenza delli falli vostri commessi, questa vostra morte». «io – rispose – gli la offerisco con il cuore, e con la bocca, et mi rincresce non havere questa notte mille teste, perché in questa una tutte mi fus- sero mozze, et mi rincresce non havere mille vite, perché con questa una tutte mi fussero tolte, anzi confesso che questa è anco penitenza disuguale hora, poi che altro non posso, altro non so, et poi che altro non ho altro non dò, et col farlo, et darlo lo riconosco dalla divina mano». «bene – replicai io –, fate così quando metterete la testa nel ceppo, dite nel vostro cuore, signore». «con questo atto protesto di fare con mille teste et mille vite la penitenza delli peccati miei, et conosco, et confesso essere anco poco». «ma voi, signor troilo, non ve ne ricorderete allora». «io – rispo- se egli – non voglio presumere tanto di me, ma spero bene, et confido tanto in dio che non mi lasciarà cadere questo dalla memoria, et caso che la reverenza vostra non mi vedesse /f. 11v/ degnato di tanta grazia, mi favorisca di ricordarmelo, che pronto mi troverà in esseguirlo. fra tanto mi dica, vostra reverenza, qualche altra cosa per questo mio fine et presto, che il tempo vola». et io: «lasciate pure la cura a me, che vi andarò amministrando di mano in mano, quanto havete da pensare, dire, et fare