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IL TUO VOTO, L UNICA NOSTRA FORZA.

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IL TUO VOTO,

L’UNICA NOSTRA FORZA.

*Modifica del meccanismo dei rinnovi contrattuali per percepire gli aumenti all’inizio del biennio $GHJXDPHQWR GHOOR VWLSHQGLR DOOD PHGLD HXURSHD HTXLYDOHQWH D ½  SHU XQ %

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(3)

SOMMARIO

Perchè iscriversi al sindacato autonomo. 2 ____________________________________________________________

Le regole con gli amici si interpretano 3 (e poi si dimenticano),

mentre con gli altri si applicano.

____________________________________________________________

La nostra identità 4

____________________________________________________________

Lo Sciopero Virtuale 5

UNA NUOVA FORMA DI RISOLUZIONE DEI CONFLITTI SOCIALI

____________________________________________________________

Il cambiamento 6

____________________________________________________________

COCKTAIL PERICOLOSO: 7

LAVORO, ORGANIZZAZIONE E STRESS.

____________________________________________________________

Il Contratto dei Ministeri 10

____________________________________________________________

Ci siamo! 11

____________________________________________________________

Undicesimo comandamento: 12

NON MOBIZZARE!

____________________________________________________________

Quanto è difficile mantenere 16

i propositi del Memorandum

____________________________________________________________

ARTICOLO 36 LEGGE 121/1981: 17

UOMINI CATTIVI O CATTIVE ERBE?

____________________________________________________________

In un caldo pomeriggio di fine luglio, 18 il 25 luglio…

____________________________________________________________

Scioperare contro i Sindacati? 19

Perché no?

____________________________________________________________

Direttori di Serie A, 20

Direttori di Serie B.

____________________________________________________________

A.I.P. onlus 21

Associazione Intesa fra i Popoli

____________________________________________________________

Ministero del Lavoro 22

dopo il contratto Integrativo del 2000 LA BEFFA CONTINUA

____________________________________________________________

Stato di attuazione e attività sindacali per la definizione 23 degli obiettivi per l’ingresso in tale area.

____________________________________________________________

Mercatino delle pulci 24

Direttore Responsabile:

Tommaso Bianco Direttori Editoriale:

Andrea Burresi Davide La Salvia

Impaginazione e grafica:

CLAN Communication

Periodico bimestrale di informazione sindacale Registrazione al tribunale di Roma n° 23/2004 del 23/01/2004

Stampato presso Rotastampa Via dei Mirri, 21 - Roma Tiratura: 12.000 copie Chiuso in stampa 10/2007

Hanno collaborato:

Francesco Prudenzano Sandra Badii

Anna Esposito Claudia Ratti Quirino Catalano Alberto Di Ciccio

Angelo Fabrizio-Salvatore Carmelo Cassia

Giorgio Sarta

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er essere informato, per essere in grado di decidere au- tonomamente su scelte importanti, per essere tutelati sia in condizioni normali che in quelle particolari situazioni di marcata violazione dei propri diritti e della propria dignità di lavoratore e di persona, per essere formalmente rap- presentato.

Molti dei nostri colleghi ci chiedono perché dovrebbero iscriversi al sindacato anche, diciamolo, in modo provo- catorio ed effettivamente non sempre si danno loro rispo- ste esaustive.

Sicuramente in giro c’è molta ignoranza. Non è difficile trovare chi addirittura immagina e “pretende” il sinda- cato “armato” sempre e comunque contro il padrone che, tra l’altro, non esiste più nella sua stereotipata espres- sione, ignorando clamorosamente le conquiste post-in- dustriali passate attraverso la carta dei diritti dei lavoratori, gli statuti ed, in ultimo, i contratti di ca- tegoria.

Ma allora perché iscriversi ad un sinda- cato, per giunta autonomo, se non ci sono più le necessità oggettive, i pre- supposti, le emergenze che lo ren- dono essenziale?La risposta che potrebbe sembrare inverosimile, si cela tra tutte quelle complesse funzioni sindacali ad oggi divenute più gravose e più delicate del passato.

In effetti, nella nostra epoca, appare più complicato e delicato fare sindacato anche perché al lavoratore risulta più difficile aderire ad un organizzazione sindacale di cui poco e niente sa o riesce a capire, spesso per mancanza di tempo ma, soprattutto, per la vastità e la difficoltà degli argomenti.

Non è raro vedere colleghi aderenti a sindacati portatori di strategie o iniziative di lotta contrarie alle loro stesse convinzioni, se non ai loro stretti interessi.

E’ l’effetto e la conferma della complessità della materia ma anche, purtroppo, di un’azione di disinformazione messa in atto molte volte di proposito e sistematicamente proprio da chi dovrebbe, invece, far comprendere, sfor- zandosi di essere chiaro, per facilitare poi chi deve deci- dere per sé.

Ma allora, concretamente, perché iscriversi al sindacato?

Innanzitutto per essere informato e, quindi, per essere in grado di decidere autonomamente su scelte importanti, su innovazioni contrattuali e su tutto quanto riguarda la vita lavorativa e sociale del dipendente. In secondo luogo, per essere tutelati sia in condizioni normali che in quelle particolari situazioni di marcata violazione dei pro- pri diritti e della propria dignità di lavoratore e di persona.

In ultima analisi, ma non per importanza, per essere for- malmente rappresentato in tutte quelle sedi contrattuali

tiva dei soggetti, ma anche e,

soprattutto, sulla società e sulla economia del Paese.

E’ chiaro, quindi, che se un lavoratore manifesta indiffe- renza al sindacato lo fa solo perché non ne ha compreso la reale e concreta importanza.

Va comunque considerato che, dietro la mancata par tecipazione, molte volte c’è anche lo sconforto e la de- lusione dovuti ad un’azione sindacale non sempre traspa- rente, coerente ed effettivamente incisiva. E’ qui che si innesta la prima “opzione autonoma”.

E’ per questo motivo, infatti, che moltissimi aderenti alle OO.SS. autonome provengono proprio dal sindacato sto- rico. Il teorema è confermato dal fatto che quasi mai av- viene il contrario.

Ma allora sindacato autonomo solo perché non funziona quello tradizionale? Non solo. La risposta è senza dubbio da ricercare anche nelle strategie e nell’etica sindacale adottata per definizione dagli autonomi.

La trasversalità politica degli autonomi assicura l’impossi- bilità di rapporti privilegiati a doppia via con la partitica.

Cosa che oggi, dove la partitica è infiltrata in ogni dove, potrebbe sembrare una limitazione, ma non è così, anzi.

L’autonomia dai partiti conferma ed assicura un’azione sindacale, anche se più impegnativa e più faticosa, fondamentalmente scevra da qual- siasi tipo di condizionamento nelle attività di tu- tela e di difesa degli interessi dei lavoratori

rappresentati.

Chi ha avuto modo di muoversi nelle

“stanze dei bottoni” sa che difficil- mente gli interessi partitici rie- scono ad essere condizionati da quelli di un sindacato impegnato ve- ramente nella difesa degli interessi, non solo economici, dei dipendenti.

Ormai è cosa risaputa che il consociativismo politico-sindacale, fin nelle sue più subdole espressioni, ha causato seri danni a tutto il mondo del lavoro, immolando prerogative e tutele sindacali in cambio di effimere conquiste e prestigiose aree di po- tere.

Una secolarizzazione che ha fatto perdere ai sindacati ed ai sindacalisti storici il vero senso di una corretta ed effi- ciente azione sindacale, causando sconforto e sfiducia tra lavoratori.

In questo quadro sociale a tinte fosche, spetta proprio al sindacato autonomo riuscire a galvanizzare nelle sue fila i lavoratori, infondendo loro fiducia, speranza, senso di ap- partenenza e, soprattutto, animando in loro quell’impe- gno partecipato che consente di raggiungere ogni obiettivo, passando però sempre prima attraverso il loro consenso e, quindi, attraverso il corretto confronto tra le parti.

E’ la sola via per abbandonare, una volta per sempre, quelle aberranti e vergognose farse sindacali, espressioni di accordi politici privilegiati, che nel lento ed inesorabile smantellamento dello stato sociale, hanno svilito la fiducia dei lavoratori verso le istituzioni democratiche del Paese ed alimentato fughe pericolose verso forme eversive di ri- vendicazione.

P

Intesa

per l’autonomia sindacale

Intesa a a

per l’autonomia sindacale Contro il consociativismo politico-sindacale,

fin nelle sue più subdole espressioni

Perchè iscriversi al

sindacato autonomo.

(5)

a vicenda rappresentatività, che sta coinvolgendo la Federazione INTESA ormai da alcuni anni, sa di persecu- zione e di faziosità lontano un miglio. Chiunque veda que- ste cose con un minimo di onestà intellettuale non fa fatica a riconoscerlo.

L’esclusione di voti e iscritti anche contro le indicazioni delle Amministrazioni, lascia interdetti e la dice lunga sulla faziosità delle strutture burocratiche dell’ARAN.

Le nostre vicende, poi, stridono con quanto accaduto altre volte. Il caso più clamoroso accadde negli anni 2000-2002 e si riferisce alla rappresentatività nel comparto ministeri di due sigle sindacali: Rdb-PI e Ugl- Statali/ANDCD.

Durante l’accertamento della rappresentatività per il biennio 2000/01 risultò che sia la Rdb-PI che la UGL Sta- tali/ANCDC non raggiungevano la soglia minima prevista del 5% e precisamente il 4,57% per la UGL Statali/ANCDC e il 4,75% per la RdB/PI.

La esclusione era inevitabile ma, non fu così. Si concordò di inviare un quesito al consiglio di stato in ordine alla legittimità di conteggiare coloro che erano iscritti a più sindacali ov- vero come considerarli mentre nell’ac- cordo per i distacchi e i permessi sindacali fu inserito questo semplice comma: CCNQ 9/8/2000, Art. 2, comma 4: “Nel comparto mini- steri ove i dati associativi ed elet- torali delle organizzazioni sindacali non risultano tuttora certificati si provve- derà a ripartire i distacchi spettanti, pari a n. 421 ai sensi della tabella allegato 1, con successivo accordo.”

La cosa permise alle due sigle di continuare a fruire delle prerogative sindacali mentre la prevista richiesta di parere, dall’epoca dei fatti (la primavera del 2000), partì soltanto il 30 luglio 2001 (ndr il cambio del governo avvenne nel maggio 2001).

Il Consiglio di Stato fu abbastanza efficiente. In effetti il pa- rere è il n. 868 e riporta la data del 19 settembre 2001.

Ma cosa rispose il Consiglio di Stato? Semplicemente che le deleghe dovevano essere contate tutte, a prescindere dal fatto che fossero riferite alla stessa persona (c.d. dele- ghe plurime): “Posta in tali termini strettamente ermeneu- tici, non vi è dubbio - ad avviso di questo Consesso - che la questione non possa che risolversi nel senso indicato dalla chiara ed inequivocabile formulazione letterale del testo legislativo in questione …. Né può, del resto, eviden- temente ipotizzarsi, in presenza di un dato letterale così univoco ed inequivocabile (“totale delle deleghe” che, come è ovvio, è concetto ben diverso da quello di totale delle persone fisiche “deleganti”) una differente volontà del legislatore rispetto al significato formalizzato nel testo normativo stesso.”

Insomma un parere negativo, ovvero le due sigle UGL Statali/ANCDC e RdB-PI erano chiaramente al di sotto del 5% nel biennio 2000-01 e non avevano diritto alla fruizione delle prerogative sindacali e del- l’accesso alla contrattazione. L’ARAN avrebbe dovuto convocare le parti e pro- cedere al “successivo accordo” ripor- tato sopra ma… non accadde nulla!

Con la certificazione successiva si arrivò alla firma del CCNQ il 18 di- cembre 2002 (molto tempo dopo) e stavolta la RdB-PI rag- giunse il 5% mentre la UGL Statali/ANDCD no.

Anche questa vicenda avvicina l’Italia ad una repubblica di stampo sudamericano più che occidentale perche: “le regole con gli amici si interpretano e poi si dimenticano, con gli altri si applicano senza discussione e dubbi.”

Francesco Prudenzano

Le regole con gli amici si interpretano (e poi si dimenticano), mentre con gli altri si applicano.

L

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utto nacque nel 1948.

La Costituzione della neonata Repubblica recitava così all’art. 39: “l’organizzazione sindacale è libera ed al sin- dacato non può essere imposto altro obbligo se non quello della registrazione”; “è condizione per la registra- zione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordina- mento interno a base democratica”; “i sindacati registrati hanno personalità giuridica … e … possono stipulare con- tratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria ...”.

Niente del genere fu mai attuato ed ora, anche per que- sta anomalia tipica di uno stato sudamericano, il sistema sindacale è assolutamente congelato al 1948. Nessuna struttura sindacale può, con queste regole e consuetu- dini, modificare il “regno” delle tre grosse confederazioni.

Per effetto della mancata attuazione della Costituzione, tutti i sindacati operano come associazioni non ricono- sciute regolate solo dagli artt. 36-38 del codice civile.

Insomma, la mancata registrazione permette ai sin- dacati di essere svincolati da qualsiasi obbligo (bi- lancio, obblighi fiscali, etc…) e, contemporaneamente, di comportarsi come delle vere e proprie istituzioni della Repub- blica.

Per fare un esempio è stato calcolato che una manifestazione nazionale, con adunata oceanica a Roma, costa all’incirca 15 milioni di euro che CGIL-CISL-UIL sborsano senza battere ciglio.

Chissà perché tangentopoli non ha mai sfiorato questi tre colossi che possono mo- vimentare più soldi di qualsiasi partito.

Torniamo a noi!

Nei primi anni ‘50 alle tre confederazioni furono as- segnati tutti i beni immobili e strumentali del disciolto sindacato unico fascista, il tutto a titolo gratuito. Niente del genere è toccato a tutti gli altri.

Da allora hanno costruito un impero economico che hanno continuato a gestire per assenza di regole certe e obiettive nel sistema di relazioni sindacali.

E’ come se giocassimo alla roulette con la pallina truc- cata!

Facciamo qualche esempio: parliamo di rappresentanza e di rappresentatività.

Nel mondo del lavoro squisitamente privato la situazione è paradossale. Sei rappresentativo se sottoscrivi il CCNL e sottoscrivi il CCNL se sei accettato dalle parti. Badate bene ho detto “dalle parti”, ovvero non solo dal datore di lavoro ma anche da CGIL CISL UIL, già contraenti.

Accade quindi che sarà molto difficile per una nuova confederazione sottoscrivere, per esempio, il CCNL dei metalmeccanici anche avendo, come iscritti, tutti gli ope- rai della FIAT. E poi perché mai un operaio si dovrebbe iscrivere ad un sindacato che non siede al tavolo della contrattazione?

Vi chiederete perché esiste questo sistema, a chi giova?

A tutti, vi rispondo!

Alle grandi aziende private perché ormai hanno stabilito

potrebbero attentare agli enormi interessi in gioco.

Avete notato che, quando una grande azienda è in crisi sia la parte datoriale che i grossi sindacati sono d’ac- cordo a chiedere la cassa integrazione, la mobilità lunga o quant’altro, e quando ci sono profitti nessuno si chiede come devono essere investiti?

Hanno interessi e ipocrisie coincidenti! Guai se intervenisse un altro interlocutore sindacale estraneo a questa logica.

Nel lavoro pubblico e in alcuni ambiti di spa ex pubbliche (Poste Italiane per esempio), esiste un sistema di misura- zione della rappresentatività che, suppongo, conosciate bene.

Media degli iscritti e dei voti per le elezioni delle RSU.

Ma chi può sostenere lo sforzo economico e organizzativo di una continua compagna elettorale (ogni tre anni)?

Dov’è la par condicio tanto reclamata e voluta in poli- tica?

Il sistema, apparentemente più trasparente, in realtà è un meccanismo che favorisce i più forti, quelli con maggiore presenza sul territorio e maggiori risorse economiche, è una presa in giro mascherata di democrazia.

Senza fare la storia del movimento sindacale in Italia non dovete dimenticare le ultime grandi scelte, imposte ai la- voratori, di CGIL-CISL-UIL.

Furono loro che vollero l’abolizione della scala mobile nel 1993 nonché ogni meccanismo automatico di aumento retributivo (vedi anche la RIA) mentre il governo di al- lora (pensate un po’ c’era Andreotti) voleva rinno-

vare prima i contratti.

Vi ricordo che ne restammo senza fino al 1995.

Sono state sempre loro, le tre grosse confe- derazioni, che vollero privatizzare il pub-

blico impiego.

Non furono provvedimenti che que- ste non riuscirono ad impedire, come ci vengono a raccontare, bensì i loro leader ne furono fau- tori.

Spiegatemi che senso avrebbe un sin- dacato quando le retribuzioni si ade- guano automaticamente al costo della vita? NESSUNO.

Vi domanderete: ma perché tanta acredine verso questi sindacati?

Non è per caso l’invidia verso la loro organizzazione, i loro soldi?

Non è meglio, invece, fare il nostro e sostenere proposte diverse dalle loro?

In fondo non sono sindacati anche loro?

Non è l’Amministrazione la nostra controparte?

NO, è esattamente quello che vogliono farci credere ma è una affermazione falsa e valeva, forse, fino al 1975.

Occorre chiarire, a noi stessi per prima e poi ai nostri col- laboratori e iscritti, che le forze in campo non sono: datore di lavoro (ovvero Amministrazione) da una parte e sinda- cati dall’altra. Se pensate questo siete degli illusi!

Nelle decisioni che hanno una certa rilevanza, e che toc- cano poi gli interessi di tutti, lo schieramento è Ammini- strazione, CGIL-CISL-UIL da una parte e il resto del mondo (spesso in ordine sparso) dall’altra.

Insomma la triplice è antagonista come l’Amministrazione perché, il più delle volte, è l’Amministrazione.

Moltissimi dirigenti generali hanno fatto carriera attraverso quei tre sindacati oppure hanno interessi trasversali con- nessi alle tre grosse confederazioni. E niente e nessuno può farli agire contro gli interessi dei loro mentori.

Abbiamo bisogno di un reset

T

La nostra identità

(7)

Lo Sciopero Virtuale

UNA NUOVA FORMA DI RISOLUZIONE DEI CONFLITTI SOCIALI

L

o sciopero generale, come forma di lotta, risulta ormai assolutamente insoddisfacente ed inefficace, in special modo nell’ambito del pubblico impiego. Questo dipende sia dalla oppressiva legislazione in merito e sia perché i servizi erogati dal pubblico impiego non hanno la carat- teristica di immediatezza e quotidianità per cui l’assenza di un giorno dagli uffici non porta alcun effetto dissuasivo da parte del datore di lavoro-Stato ad accondiscendere a parte delle nostre rivendicazioni e richieste.

Occorre modificare le forme di lotta con altre più incisive e, allo stesso tempo, moderne.

Una possibile soluzione è data dallo sciopero virtuale.

Iniziamo dalla definizione di Sciopero virtuale:

Forma di conflitto alternativa allo sciopero tradizionale, di recente elaborazione dottrinale. L'idea dello sciopero vir- tuale nasce principalmente dall'esigenza da un lato, di garantire a tutti i lavoratori il diritto di esercitare il diritto di sciopero, e dall'altro, dall'esigenza di ricondurre il conflitto sociale in quelli che sono i suoi confini naturali, ovvero quelli dell'azienda e dell'impresa, senza far ricadere le conseguenze negative delle astensioni collettive dei la- voratori sugli utenti dei servizi pubblici essenziali.

Detta così sembra un’arma spuntata ma dobbiamo en- trare nella metodica attuativa per capire come possa es- sere molto più efficace dello sciopero tradizionale.

Lo sciopero virtuale si basa su di un accordo preventivo tra sindacati e datore di lavoro per garantire la continuità del servizio durante gli scioperi, rinunciando i lavoratori ai loro stipendi e impegnandosi l’ente datoriale a pagare il

doppio o il triplo degli stipendi stessi versandolo ad un fondo cogestito.

Il principio è che se non si arriva ad un accordo la respon- sabilità è duplice: lavoratori e datore di lavoro.

Con la formula dello sciopero tradizionale chi paga per questo mancato accordo sono solo i lavoratori ed un terzo incomodo, che è l’utenza.

Invece attraverso lo sciopero virtuale paga anche il da- tore di lavoro, ed anche molto salato, ed i lavoratori po- tranno esercitare una forte pressione in modo diretto.

Una parte consistente del fondo cogestito, finanziato in questo modo, deve essere posto a disposizione di cia- scuna delle parti contendenti per la realizzazione delle ri- spettive campagne di informazione dell'opinione pubblica circa i motivi del contendere:

possono essere realizzati spot televisivi, utilizzate pagine in- tere di quotidiani, distribuiti messaggi ai viaggiatori, per conquistare l'appoggio della cittadinanza.

Non è necessario che, con l'accordo istitutivo di questa forma di lotta, il sindacato rinunci al proprio diritto di pro- clamare anche uno sciopero tradizionale. Basta preve- dere la possibilità dello sciopero virtuale e stabilirne preventivamente l'opportuno regolamento. Sarà questa forma di lotta alternativa, poi, ad affermarsi da sola, per la sua maggiore efficacia nei confronti del datore di la- voro e per la straordinaria possibilità che offrirà ai lavora- tori di stabilire un rapporto positivo con la cittadinanza.

Francesco Prudenzano

(8)

ome saprai il 19-22 novembre prossimo si svolgeranno le elezioni delle RSU.

Quello che forse non sai è che il voto che esprimerai non servirà solo eleggere il tuo rappresentante nel luogo di la- voro ma, principalmente, a legittimare la sottoscrizione dei Contratti.

Infatti più voti un sindacato otterrà alle RSU e maggiore sarà la sua forza contrattuale anche perché, per legge, il CCNL deve essere sottoscritto da chi raggiunge almeno il 51% della rappresentatività sindacale.

Non esiste una maggioranza sindacale cristallizzata e in- variabile, così come è una favola il fatto che “il sindacato autonomo non conta” perché in un sistema democratico decide chi vota. Se le percentuali della rappresentatività si modificassero potrebbe cambiare la composizione di

chi sottoscrive i Contratti e, di conseguenza anche il loro contenuto.

E’ il tuo voto che determina “il potere di decidere sui contratti”.

Se l’ultimo Contratto di lavoro non ti è piaciuto per niente hai modo di esprimere il tuo dissenso e di partecipare a costruire nuove regole e nuovi contenuti, a cominciare dal voto per le RSU.

Abbiamo visto come il sindacato tradizionale si è trasfor- mato in un centro di potere economico e politico, molto distante dai lavoratori. Sono diventati macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi dei lavoratori, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Hanno centi- naia di immobili di proprietà come centinaia di società commerciali, gestiscono gli interessi più disparati, i più contraddittori (vedi le agenzie di lavoro interinale).

Federazione INTESA ha scelto dall’inizio di seguire una strada di libertà, priva di condizionamenti politici ed ha avuto il coraggio di non sottoscrivere né il Memorandum sul Pubblico Impiego del 6 aprile ne’ il CCNL del comparto ministeri, subendo le aggressioni della burocrazia di pa- lazzo e lo sciacallaggio delle altre sigle sindacali.

Il cambiamento

C

Le nostre proposte per contratti migliori sono:

1. “Modifica del meccanismo dei rinnovi contrattuali per percepire gli aumenti all’inizio del biennio”

2. “Adeguamento dello stipendio alla media europea, equivalente a € 1750 per un B3”

3. “14 mensilità derivata da un aumento del FUA”

4. “Adeguamento dei buoni pasto a € 12.00”

5. “Reintroduzione della Retribuzione Individuale di Anzianità”

6. “Abolizione della trattenuta per i primi 15 giorni di malattia”

7. “Indennità di amministrazione nel calcolo della tredicesima”

8. “Indennità di amministrazione in quota A ai fini pensionistici“

9. “Attuazione della Vicedirigenza”

10. “Possibilità di svolgere un altro lavoro senza il vincolo del part-time”

11. “Introduzione dello Sciopero Virtuale”

Costruire una vera alternativa alla sclerotizzata situazione sindacale italiana è possibile!

Cambiare cose che, a prima vista, sembrano assolutamente immodificabili è possibile!

La Federazione INTESA si propone come alternativa, lontana da partiti e interessi economici;

uno strumento per la partecipazione dei lavoratori alla stipula dei contratti.

Se condividi tutto questo e vuoi contribuire all’alternativa, diventa protagonista: candidati

nelle liste della Federazione INTESA; potrai farlo senza alcun obbligo di iscrizione.

(9)

L

a distanza di quasi tre anni dalla direttiva sul benessere organizzativo nelle pubbliche amministrazioni non sono state sensibilizzate le strutture centrali e periferiche delle amministrazioni e non sono stati imposti tavoli di confronto con le rappresentanze del personale

In aumento i casi di suicidio, di malattie dell’apparato psi- comotorio, da stress, denunce di casi di molestie e mob- bing.

A distanza di quasi tre anni dalla direttiva sul benessere organizzativo nelle pubbliche amministrazioni, accolta da tutti gli operatori pubblici con grande interesse, non si sono viste sensibili prese di posizione da parte delle am- ministrazioni per una corretta e solerte applicazione. No- nostante la direttiva indicasse chiaramente i percorsi da intraprendere è stata, infatti, quasi da tutti disattesa: sul- l’argomento non sono state sensibilizzate le strutture cen- trali e periferiche delle amministrazioni e non sono stati imposti tavoli di confronto con le rappresentanze del per- sonale.

Ci interessiamo di argomenti come questo, nelle pagine di Nuovi Sincronismi, perché ci allarma il panorama lavo- rativo alle dipendenze delle amministrazioni statali: au- mento di casi di malattie a carico dell’apparato

pscomotorio, aumento di malattie professionali, ricorso a denunce di casi di molestie e mobbing, aumento consi- derevole di malattie da stress e, purtroppo, di casi di sui- cidio tra i dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

Forse non tutti riconducibili all’ambiente lavorativo, ma in qualche modo ricollegabili e forse evitabili se si fosse dato più ascolto ai segnali di disagio.

Studiosi dell’organizzazione hanno elaborato teorie che evidenziano come le organizzazioni lavorative siano un composto di individui, di diversità culturali e personali;

saper valorizzare e gestire tutto questo patrimonio è il primo fondamentale passo per realizzare il passaggio dal concetto di risorsa umana intesa come una “aggrega- zione indifferenziata di persone” (nel cui contesto il non adeguarsi spesso determina l’emarginazione dell’indivi- duo stesso) a quella intesa come “squadra” dove cia- scuno viene impiegato senza il soffocamento delle differenze. Ciò comporta un ambiente sano anche strut- turalmente, una corretta veicolazione dell’informazione ed una appropriata formazione di ciascuno.

Un adeguato benessere prima di tutto psicologico dei di- pendenti consentirebbe all’amministrazione di crescere ed incrementarsi con soddisfazione per tutti che poi si tra- duce in maggiore attaccamento al lavoro, produttività e serenità.

La garanzia di un confortevole ambiente di lavoro, dare il massimo ascolto alle istanze dei dipendenti, diffondere la cultura della partecipazione al posto di quella del- l’adempimento sembrava cosa facile da realizzare ma, all’atto pratico, così non è stato.

Le amministrazioni si trasformano, cercano di stare al

passo con i tempi, con i mutamenti della società molto competitiva, sempre più multirazziale, diversa nella cul- tura e nella religione.

L’accelerazione delle trasformazioni in atto e la conse- guente esigenza di innovazione continua dei sistemi pro- duttivi, una tecnologia in costante aumento, l’avvento della società della conoscenza e dell’informazione, non- ché i processi che hanno portato al tipo di società at- tuale, implica necessariamente una rivisitazione strutturale dei sistemi professionali, delle modalità di organizzazione del lavoro, delle prassi di governo e sviluppo delle per- sone. Se non altro perché le professionalità e le pratiche lavorative si trasformano continuamente in rapporto al- l’evoluzione del sistema, implicando nuove e diverse co- noscenze ed abilità.

La situazione è dunque mutata rispetto al passato e di- viene ora come mai urgente e necessario leggere i muta- menti, individuare le tematiche, i linguaggi, le metodologie comuni. Uno scenario che deve evidenziare e legare le molteplici professionalità, produrre stimoli co- stanti, promuovere la crescita professionale, culturale e personale dell’individuo.

Nella “società del futuro”, ci dovremo abituare ad alcune caratteristiche: necessità di spostamenti tra aree lavora-

tive; opportunità di conseguire nuove specializzazioni, ti- toli di studio, e diverse esperienze sul campo; tutte cose che implicano grande attenzione alle tematiche di clima organizzativo, motivazione e soddisfazione nel lavoro.

Vediamo allora brevemente cosa si intende relativa- mente a questi ultimi concetti. Quando si parla di motiva- zione, si parla di un insieme di stimoli, di energie, di risorse che gli individui rendono disponibili nella relazione con l’organizzazione con tonalità e valenze soggettivamente differenti. In questo contesto, appare evidente che la centralità della questione è lo stare insieme facendo coe- sistere le differenze di ciascuno. Acquista ancora più im- portanza il piacere di trovarsi al lavoro oppure no, la eccessiva freddezza che circola nelle relazioni o l’ecces- sivo calore, la distanza o l’eccessiva formalità o informa- lità che forse nasconde il bisogno di colmare qualche mancanza.

Il clima organizzativo è la dimensione di misura della rela- zione all’interno di una organizzazione. Dimensione a volte aleatoria, impalpabile, affidata anche ad equivoci del linguaggio che rendono possibile il fatto che la stessa pa- rola detta in modo anziché in un altro modifichi l’anda- mento della giornata e le relazioni tra le persone.

Dunque è di vitale importanza ascoltare “i fatti organizza- tivi” del contesto lavorativo per capire ed investire posi- tivamente nelle relazioni di tutti i protagonisti della vita lavorativa.

Una organizzazione, soprattutto se pubblica, dovrebbe disporsi all’ascolto di tutti quei segnali che indicano la soddisfazione, la motivazione, il clima in generale; solo così potrà seguire l’andamento e la dinamica delle situa-

SEGUE

COCKTAIL PERICOLOSO:

LAVORO, ORGANIZZAZIONE E STRESS.

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zioni, per far fronte alle imprevedibilità ed affrontare tutti ipossibili momenti di percorso che si verificano, errori com- presi.

Tutte le organizzazioni, pubbliche e private, come accen- nato, si stanno aprendo agli stimoli ed ai cambiamenti che vengono richiesti dall’esterno. E’ fondamentale che si radichi la consapevolezza che, soprattutto nel settore pubblico, le risorse umane siano il vero motore per l’inno- vazione: le persone fanno la differenza e non la tecnolo- gia!

Il “capitale umano” è fatto di conoscenze, professionalità e capacità, nonché di cultura in continuo rinnovamento:

ecco perché è importante anche l’ascolto interno, pronto a cogliere le soddisfazioni e ancora di più i males- seri dei cambiamenti.

Proprio per questo bisogna dare un senso al lavorare in- sieme, al lavoro di gruppo, ai risultati come frutto del la- voro in comune e non come proprietà di pochi o di qualcuno. Il segnale positivo dunque è: l’apporto del sin- golo è importante ma fondamentale è il risultato del gruppo. Si vince insieme e non da soli.

Ma tutte le trasformazioni ed adeguamenti di cui sopra se non accompagnati da altrettanto adeguati percorsi for- mativi rischiano di rapire il dipendente in una spirale che può determinare a carico del lavoratore stesso una situa- zione pesante e patologica che sfocia sempre più spesso nello stress.

Finalmente (purtroppo), lo stress da lavoro non viene più sottovalutato: sempre più datori di lavoro (soprattutto pri- vati) e lavoratori lo considerano un problema molto grave

che può colpire in qualsiasi luogo di lavoro, grande o pic- colo, e chiunque vi presti la sua opera indipendente- mente dalla mansione e funzione esercitate. Quasi il 30%

dei lavoratori dell’Unione Europea accusa, ogni anno, stress da lavoro. Una corretta preventiva azione di moni- toraggio ed una costante attenzione e tempestività d’in- tervento da parte del datore di lavoro è essenziale per evitare la problematica o quanto meno circoscriverla. In base alle direttive europee tra le quali le nn. 89/391/CEE, 90/269/CEE, 93/88/CEE, le stesse che hanno poi ispirato il nostro D.Lgs 626/94 - e successive leggi di integrazione e modifica - tutti i datori di lavoro sono per legge obbligati a tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Questo ri- guarda anche i problemi da stress poiché rappresentano un rischio per le stesse salute e sicurezza.

Altrimenti, altro che benessere lavorativo!

Lo stress è la risposta naturale del nostro organismo a fronte di sollecitazioni per meglio adattarsi alle variazioni.

In questa prospettiva, rappresenta un evento positivo per la persona. Quando però il protrarsi di situazioni e stimoli ri- chiede al nostro corpo un ulteriore impiego di forze ed energie che portano al logoramento ed alla completa perdita di risorse, allora diventa un evento negativo e come tale patologico.

Il “disturbo” (l’eziogenesi e le conseguenze sia a carico del lavoratore che dell’organizzazione) studiato recente- mente dall’ISPESL ed oggetto di esame da parte del- l’Unione Europea unitamente alle organizzazioni rappresentative sia dei lavoratori che dei datori di lavoro europei, nella sua accezione negativa, è più frequente e identificabile di quanto si creda.

Molti sintomi e situazioni sono il campanello d’allarme: ve- diamo la scheda.

SCHEDA: Campanelli d’allarme

Non viene dato ascolto e quindi risposta alle richieste verbali o scritte che vengono avanzate al dirigente?

Non c’è la giusta attenzione da parte del dirigente alle segnalazioni di deterioramento o rottura di strumenti di lavoro che poi di fatto impediscono la prosecuzione dell’opera?

Viene affidato da un giorno all’altro un incarico inferiore alla qualifica posseduta o addirittura estraneo alle proprie compe- tenze?

Il carico di lavoro è eccessivo o insufficiente?

L’esecuzione del lavoro è eccessivamente monotona o frammentata? L’impiego è esclusivamente a contatto con il pubblico senza uno stacco per il recupero delle energie nell’ambito dell’orario di apertura?

Si determina il monitoraggio di ogni minimo dettaglio che riguarda il nostro tempo lavorativo?

All’improvviso, entrando in un altro ufficio di colpo si stoppano le conversazioni in essere?

Vengono proferiti rimproveri anche per piccolezze altrimenti considerate neppure degne di rilievo?

Il dirigente e/o i colleghi provocano al fine di far reagire in modo spropositato così che possano dire “come sei irascibile”?

Il dirigente chiama separatamente i dipendenti e li mette in guardia dagli altri facendo presupporre ostilità degli uni nei con- fronti degli altri?

Non viene fornita una adeguata informazione su norme, disposizioni e a quanto altro necessiti per svolgere la propria funzione?

Allora, se tutto ciò accade, sistematicamente, siamo in presenza di concreti comportamenti che potrebbero portare a conse- guenze molto negative a carico del lavoratore.

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La traduzione dei comportamenti (come quelli descritti nella scheda) in malessere ai danni del lavoratore, si veri- fica con una precisa sintomatologia: gola secca, viso teso, occhiaie, crampi allo stomaco, stanchezza, dolori alla schiena ed al collo, sudorazione delle mani, irregola- rità della frequenza cardiaca, tensione muscolare, inson- nia, irritabilità, impazienza, senso di mancanza di tempo sufficiente, ansia, senso di isolamento e di solitudine, fre- quenza di pensieri nella testa, cambiamenti repentini di umore.

Il malessere, se non monitorato dal datore di lavoro e dai suoi collaboratori, rischia di degenerare un disequilibrio a carico del lavoratore mettendo a repentaglio la sua vita non solo lavorativa ma di relazione e privata. Il passo tra stress e mobbing, a volte è sin troppo breve!

Solo corrette strategie lavorative attuate dal datore di la- voro, secondo le meccaniche previste dai contratti di la- voro, sono in grado di impedirne l’insorgenza. Stiamo parlando cioè di promuovere una cultura che favorisca il rispetto della persona e che scoraggi l’insorgenza di ogni forma di violenza psicologica, di adottare misure che fa- voriscano la partecipazione e a condivisione degli obiet- tivi della struttura da parte degli operatori, nella massima trasparenza nella gestione del rapporto di lavoro. Infatti, è notorio che l’informazione e la consultazione dei lavora- tori mediante i loro organismi di rappresentanza, sempre in ossequio ai contratti di lavoro, contribuisce ad una mi- gliore organizzazione del lavoro e quindi migliore benes- sere lavorativo.

Un aspetto da curare in modo particolare è quello della formazione. Sono in molti a pensare (e purtroppo anche troppi vertici amministrativi) che la formazione sia un pro-

blema risolvibile inviando quante più unità possibili ai corsi!

Se la formazione non incide di fatto sui reali cambiamenti dell’amministrazione, introdotti dalle leggi (immigrazione, sportelli unici, etc….), e non offre gli strumenti per una sin- cronizzazione di tutti gli operatori alla mutazione in essere, non solo è fine a se stessa ma pone il dipendente in una condizione di impossibilità ad adeguarsi e ciò lo rende out. Il modello di formazione in aula, indispensabile per apprendere le norme ed i procedimenti dovrebbe essere affiancato da quello sul campo, con speciali stage intesi alla piena acquisizione della padronanza sulla materia.

Peccato che nella nostra amministrazione la formazione, quella vera, sia appannaggio di pochi!

Inoltre, il pieno sviluppo degli strumenti informatici e di in- ternet specialmente negli uffici periferici dove è già un lusso avere a disposizione un pc ed internet e posta elet- tronica sono visti come strumenti del “3000”, rappresen- terebbe l’optimum per la veicolazione dell’informazione.

Dunque, quanto detto sino ad ora, dovrebbe quanto- meno far riflettere chi gestisce e chi opera. Spesso ven- gono ignorate situazioni problematiche dai dirigenti o affrontate con inadeguatezza con l’unico risultato di ap- pesantire ulteriormente la cosa con acide ed inappro- priate battute o addirittura ponendo in essere comportamenti di bossing! Di rimando, gli operatori che non hanno la volontà di denunciare situazioni di disagio contribuiscono solo al mantenimento dello stato del loro malessere.

Insomma: ciascuno di noi, a vari livelli di collaborazione e gestione, ha il dovere e la responsabilità di migliorare il proprio ambiente e prestare attenzione alle dinamiche che accadono.

Fonti

Direttive europee 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE, 90/679/CEE, 93/88/CEE, 97/42/CEE, 1999/38/CEE Decreto legislativo 626/94 e successivi

Accordo europeo sullo stress da lavoro del 2004 Statistica ISPESL sullo stress da lavoro

Direttiva PCM sul Benessere Organizzativo del 2004 Testi sull’organizzazione e sul marketing

Direttiva PCM sulla formazione e valorizzazione del personale del 2001

Relazione “La valorizzazione delle risorse umane tra clima organizzativo e motivazione” di Guido Croci Università degli Studi di Foggia

“Motivazione, clima, soddisfazione: monitorare il cambiamento individuale e organizzativo” di G.P.

Quaglino (2002)

Sandra Badii

(12)

P

Il Contratto dei Ministeri

rimi versamenti saranno effettuati a ottobre (per far fare bella figura ai sottoscrittori dei memorandum, nel periodo della campagna elettorale per le RSU), Percepiremo un importo aggiuntivo in busta paga corrispondete alla fa- volosa cifra di circa € 320 per un b3 comprendente gli ar- retrati dal 1 gennaio 2006, nonché € 32 mensili di aumento.

Per il resto (ma saranno al massimo altri € 32) occorrerà attendere il 2008 e la prossima legge finanziaria. L’au- mento complessivo percentuale corrisponderà al 4,46% a differenza del tanto sbandierato 5,01%.

E’ un contratto in perdita!

Cosa manca (ed era necessario):

• L’istituzione dell’area della Vicedirigenza, che di- venta la prima norma di legge disapplicata dalla contrat- tazione senza aver mai avuto una attuazione;

• L’abolizione della trattenuta sulla indennità di ammi- nistrazione, durante i primi 15 giorni di malattia;

• Soluzioni immediate per il personale dell’ex area "A"

per il passaggio automatico nell’ex area "B";

• l’indennità di amministrazione in quota A nel calcolo del trattamento pensionistico;

• Il calcolo dell’indennità di amministrazione nella tre- dicesima (per la quale è in essere un aspro contenzioso);

• La perequazione dell’indennità di amministrazione tra i vari ministeri, (ricordiamo che la forbice tra il minimo e il massimo è di circa € 300 mensili alla posizione B3);

Cosa c’è di nuovo (ed è inaccettabile):

• Principalmente la trasformazione delle posizioni giu-

ridiche all’interno delle aree in posizioni meramente eco- nomiche, per cui la vera progressione di carriera sarà co- stituita esclusivamente dal passaggio tra le aree mentre, all’interno di queste, le posizioni economiche saranno giu- ridicamente e gerarchicamente equivalenti ma diversa- mente retribuite; “ogni dipendente è tenuto a svolgere le mansioni considerate professionalmente equivalenti all’in- terno dell’area, fatte salve quelle per il cui espletamento siano richieste specifiche abilitazioni professionali. Ogni di- pendente è tenuto, altresì, a svolgere tutte le attività stru- mentali e complementari a quelle inerenti allo specifico profilo attribuito.” In sintesi si tratta di una flessibilizzazione delle mansioni d'area, che si concretizzerà in un deman- sionamento oppure nello svolgimento (gratis) di mansioni superiori!

Nel frattempo stiamo per assistere all’ennesima consulta- zione truffa (vedi referendum).

Perché referendum truffa?

• Viene proposta una consultazione senza regole e senza nessuna garanzia di correttezza.

• Alle assemblee informative ci sono solo i relatori per il sì all'accordo e chi "dice no", non può presentare le ra- gioni del proprio dissenso.

• Non è previsto nessun quorum per la validità della votazione.

• I seggi saranno gestiti da CGIL, CISL e UIL e si voterà anche nelle loro sedi e nessuno potrà controllare.

Il vero referendum sul contratto sarà il voto per le RSU!

Non sottovalutare questa consultazione, ricorda che è il voto che determina “il potere di decidere sui contratti”.

Se l’ultimo Contratto di lavoro non ti è piaciuto per niente hai modo di esprimere il tuo dissenso e di partecipare a costruire nuove regole e nuovi contenuti, a cominciare dal voto per le RSU.

Costruire una vera alternativa alla sclerotizzata situazione sindacale italiana è possibile!

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on il caldo di luglio eccoci tutti bombar- dati dalle mail dei “confederali” che de- cantano i vantaggi del nostro nuovo contratto!!!

Carini certo. E che dire degli Ichino e di tutti quelli che si vantano di essere profondi co- noscitori della P.A. e dei suoi impiegati, di quelli che dall’alto di una cattedra senten- ziano su di noi rivestiti di teoria e di niente pratica, di quelli che si definiscono giusla- voristi (parola che riempie la bocca ma la pancia?).

Siamo stanchi di essere indiscriminata- mente considerati tutti dei fannulloni.

Siamo stanchi di parole come meri- tocrazia perché in questi uffici, dove manca anche la carta per poter lavorare, è difficile rendere un servizio pub- blico accettabile ai cit- tadini.

E poi cos’è il merito?

E la qualità del servizio?

Ma cos’hanno i “confederali” di vantarsi di questo contratto?

Va bene che a novembre ci saranno le elezioni per le R.S.U., ma signori con- federali vi rendete conto di quello per cui vi vantate? I dipendenti del comparto Stato non hanno più il riconoscimento dell’anzianità di servizio dal 1989, unici in Italia hanno la riduzione per l’ìndennità di amministrazione per le malattie inferiori ai 15 giorni, e non sto ad elencarvi altro per evitare di tediarvi.

Pochi giorni fa l’Unione Europea (bontà sua) ha rapportato gli stipendi dei dipen- denti dello Stato fra i Paesi membri accor- gendosi che quelli italiani sono i più bassi in assoluto!

E richiedono quando diventeremo come i pubblici dipendenti europei? Ho la risposta pronta: dateci stipendi come i loro, le strut- ture come le loro e riconosceteci la dignità di lavoratori pubblici che gli altri Paesi rico- noscono ai loro lavoratori pubblici. Ma forse

chiedo troppo, ed a ben pensarci non sono forse proprio CGIL, CISL e UIL che ci hanno svenduti e denigrati al tavolo della contrattazione? Senza andare lontano se guardiamo la situazione francese osser- viamo una “cultura del pubblico” che in Italia manca, un sistema che funziona e viene considerato di grande “utilità pub- blica”. La stessa cosa vale per gli altri Paesi.

Allora forse dovremmo chiederci: non è che noi siamo mal considerati perché chi ci doveva tutelare in questi anni non lo

fatto anzi ha fatto danno?

E adesso che i confederali dovranno rendere conto del loro peso, eccoli lì nuovamente alla ricerca di con- sensi nelle prossime elezioni tra

le fila dei poveri fannulloni.

Ci saranno ancora quelli che credono nell’ideo- logia che viaggia dietro una bandiera e ci saranno quelli che si lasceranno con- vincere (ma si diamogli un’altra opportunità!).

Che cosa ci dobbiamo aspettare nel prossimo autunno?

Mi auguro che un numero sempre più grande di colleghi capisca che la vera tu- tela di lavoratore pubblico si potrà ottenere votando e sostenendo un sindacato che lavora esclusivamente all’interno del si- stema pubblico.

La Federazione Intesa è il sindacato dei pubblici dipendenti per eccellenza, unico sindacato che si batte per i diritti di tutti e per il rispetto della legalità. Le nostre batta- glie sono già note a tutti voi

SOSTENETECI, VOTATECI

E FATECI VOTARE.

Ci siamo!

C

Intesa

per l’autonomia sindacale

Intesa a a

per l’autonomia sindacale

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on è mai troppo tardi per conoscere più a fondo il fe- nomeno dilagante dell’abuso e del sopruso in ufficio Più volte ci siamo occupati di mobbing nel nostro perio- dico. Questo perché il fenomeno è purtroppo in cre- scente aumento e la cosa è molto preoccupante.

Ripercorriamo i punti salienti dei nostri precedenti servizi attraverso queste schede così da avere ben presenti al- cuni punti fondamentali.

Cosa significa

Il termine mobbing deriva dall’inglese “to mob” cioè ag- gredire, assalire, accerchiare; in pratica, cioè si tratta di attacchi sistematici, abusi, oltraggi e soprusi messi in pra- tica da superiori gerarchici o colleghi (mobber) contro un singolo lavoratore (mobbizzato) divenuto, per i più svariati motivi, indesiderato e che produce danni gravissimi ed ir- reparabili per l’equilibrio psico-fisico di chi ne rimane col- pito, tanto che in alcuni paesi, tra i quali Svezia e Germania, il mobbing è riconosciuto appieno “malattia professionale e infortunio sul lavoro”

Da studi recenti condotti anche nel nostro Paese, è risul- tato che i lavoratori mobbizzati supererebbero quota un milione facendo, logicamente, salire a oltre cinque milioni il numero di altre persone coinvolte dal fenomeno come parenti, amici o colleghi di lavoro dei mobbizzati stessi. Per questo è considerato un fenomeno socialmente rilevante:

il mobbing, nella sua essenza, va ben al di là dello speci- fico settore lavorativo, aggredendo la radice fondamen- tale dei diritti umani e civili.

Mobbing: la definizione di Leymann che viene ritenuta oggi la più completa

"Il terrore psicologico o mobbing lavorativo consiste in una comunicazione ostile e non etica diretta in maniera siste- matica da parte di uno o più individui generalmente con- tro un singolo che, a causa del mobbing, è spinto in una posizione in cui è privo di appoggio e di difesa e lì co- stretto per mezzo di continue attività mobbizzanti. Queste azioni si verificano con una frequenza piuttosto alta (al- meno una volta la settimana) e su un lungo periodo di tempo (una durata di almeno sei mesi)”.

Il termine mobbing

E’ scaturita da uno studio molto recente l’applicazione del termine mobbing alla sfera umana grazie ad uno dei principali studiosi a livello europeo che si occupano del mobbing. Infatti, fu Heinz Leymann, psicologo svedese di origine tedesca, che pubblicò un testo scientifico sull’ar- gomento, “The mobbing encyclopaedia”, introducendo formalmente l’uso di questo termine e mettendolo in rife- rimento alle società umane ed all’ambiente lavorativo. In realtà, il termine mobbing era già utilizzato nell’800 dai biologi inglesi per descrivere il comportamento degli uc-

l’attacco coalizzato sferrato da un gruppo di animali ad animali della stessa specie. Secondo l'esperienza di Ley- mann, nel tempo acquisita nel nord Europa, vengono di- stinte quattro fasi attraverso cui si sviluppa il fenomeno:

FASE N. 1: I SEGNALI PREMONITORI; FASE N. 2: IL MOBBING E LA STIGMATIZZAZIONE; FASE N. 3: UFFICIALITÀ DEL CASO;

FASE N. 4: L’ALLONTANAMENTO.

Le quattro fasi attraverso cui si sviluppa il fenomeno se- condo lo studio di H. Leymann

(The mobbing encyclopaedia)

Fase n. 1

: i segnali premonitori

Il primo segnale, da non sottovalutare, è da ricercarsi al- l'interno di una relazione precedentemente neutra o ad- dirittura molto positiva, sia tra colleghi che con i superiori, che subisce un brusco cambiamento in negativo. Spesso questi problemi relazionali insorgono, per esempio, quando all'interno del gruppo lavorativo subentra una persona neo-assunta o quando un dipendente riceve una promozione. Può succedere allora che la vittima ri- ceva delle critiche sul modo di condurre il proprio lavoro, fino a quel momento rispettato ed apprezzato.

Fase n. 2

: Il Mobbing e la stigmatizzazione

È questa la fase del mobbing dichiarato; la vittima subisce continui attacchi da un superiore e/o dai colleghi. Le ag- gressioni praticamente giornaliere hanno lo scopo di dan- neggiare la persona in questione. In concreto, si lede la reputazione della vittima attraverso maldicenze, calunnie;

la si espone al ridicolo; le si impedisce ogni forma di comu- nicazione, non rendendo più possibile l'espressione, in modo tale da escludere l'individuo dal flusso delle infor- mazioni ed isolandola socialmente; le si rende impossibile svolgere il proprio lavoro in modo soddisfacente a causa dell'assegnazione di incarichi lavorativi insignificanti e umi- lianti; la si minaccia.

Fase n. 3

: Ufficialità del caso

Quando questa situazione di aggressione viene ricono- sciuta e segnalata all'ufficio per gli adempimenti di com- petenza riconnessi all’aperta di un'inchiesta, il caso viene allora "ufficializzato". In questa fase istruttoria, molto peso hanno le persone, colleghi e superiori, che gravitano in- torno alla vittima i quali potrebbero tendere a colpevoliz- zarla ulteriormente imputando la causa del problema alla sua personalità, ritenuta debole e fragile, piuttosto che a condizioni esterne oggettive. Per questo è importante che la gestione di questa fase sia affidata a persone qualifi- cate ed in grado di capire le situazioni.

Fase n. 4

: l’ allontanamento

A questo punto che la vittima è totalmente isolata all’in- terno dell'ambiente lavorativo; viene dequalificata pro- fessionalmente, le vengono assegnati incarichi lavorativi di scarso rilievo e poco gratificanti. La persona va incon- tro, dunque, ad un lungo periodo di malessere generale, caratterizzato da disturbi depressivi e psicosomatici, tali da indurla a rivolgersi ad uno specialista. Potrebbero es- serci ripercussioni anche a livello lavorativo con il soprag- giungere di provvedimenti disciplinari da parte dell’azienda quali il licenziamento o, a livello personale, Il “mobbing” questo s…conosciuto

Undicesimo comandamento:

NON MOBIZZARE!

N

1

2

3

4

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Come si concretizza?

Si concretizza in una vera e propria violenza o molestia psicologica e talvolta anche sessuale intenzionalmente ri- petuta nel tempo.

Di solito si manifesta con una violenza perpetrata a cura di colleghi della vittima (orizzontale) o di superiori (verti- cale), un’offesa vera e propria prolungata e portata avanti con umiliazioni costanti, continui deprezzamenti e critiche, permessi e ferie negati, trasferimenti immotivati, dequalificazione, demansionamento, svuotamento delle funzioni, isolamento anche psicologico. Questa situazione di reiterazione quotidiana di vessazioni ed intimidazioni può avere serie ripercussioni sulla salute e sulla sfera pri- vata della persona; può infatti causare fobie, ansia, at- tacchi di panico, disturbi del sonno, strani ed immotivati cambiamenti dell’umore, farmacodipendenza. Il tutto si riversa, chiaramente, nella vita e nella serenità dei familiari della vittima (c.d. doppio mobbing).

I conflitti nel lavoro non sono certo una rarità; infatti pos- sono nascere da semplici divergenze di opinione e discus- sioni animate. In realtà i conflitti determinano una quota di "tensione" che rappresenta il motore che ci spinge verso una evoluzione personale ed interpersonale; infatti, è sul lavoro che veniamo a confronto con persone diffe- renti ed è da tali differenze che nascono le vere matura- zioni. Quindi esiste una seria difficoltà per il riconoscimento dello status di mobbizzato ed è proprio per questa diffi- coltà che bisogna stare attenti ai segnali ed alle situazioni al fine di riferirli inequivocabilmente al fenomeno.

Il datore di lavoro ed il mobbing: responsabilità

è il datore di lavoro il primo ad essere coinvolto, il primo re- sponsabile in fatto di rispetto della persona e del suo la- voro. Infatti, secondo gli articoli 2087 e 2103 del codice civile, il datore di lavoro è tenuto ad adottare “nell’eser- cizio dell’impresa” le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tu- telare l’integrità fisica e la soggettività morale dei presta- tori di lavoro precisando che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia succes- sivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ul- time effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. La norma, quindi, pone a carico del da- tore di lavoro uno speciale ed autonomo obbligo di pro- tezione della persona del lavoratore. E non solo dal punto di vista della salute ma anche dal punto di vista sociale e quindi di carattere morale. Quest’ultimo elemento è stato per molto tempo ignorato dalla dottrina e dalla giurispru- denza, ma ciò non toglie che nel rapporto di lavoro deve essere rispettata la “persona” del lavoratore, sia in senso fisico sia in quello etico, in modo da evitare che questo, anziché profondere energie positive per il lavoro, si veda costretto ad alienare i propri diritti personali con grave danno per tutti. Ricordiamoci che, nel caso in cui il datore di lavoro sia ritenuto responsabile ai sensi dell’art. 2087 del codice civile di comportamenti o atteggiamenti ricondu- cibili al mobbing, egli dovrà risarcire tutti i danni provocati da tale illegittime condotte. Questo si applica anche al dirigente pubblico il quale è assoggettato al dettato dell’art. 2087 del codice civile come l’imprenditore pri- vato in virtù delle norme generali sull'ordinamento del la- voro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (art.

16 del decreto legislativo n. 165 del 2001). Egli, infatti ha la responsabilità dell’organizzazione degli uffici e della ge-

stione dei rapporti di lavoro (poteri e capacità simili a quelle dell’imprenditore privato) ed è tenuto ad adottare nell’esercizio delle sue funzioni dirigenziali le misure che, secondo la specificità del servizio, sono necessarie a tute- lare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori.

Come si puniscono i casi di mobbing accertati?

Il mobbing è paragonabile ad una sorta di illecito, ad un comportamento che cagiona danni gravi ed è per que- sto che chiunque lo pone in essere o lo istiga ne risponde a livello personale.

A carico dei mobbers accertati, può essere ipotizzata una fitta serie di reati che vanno dalla subordinazione alla fal- sità, dall’istigazione a delinquere alla violenza.

Reati riconducibili alla persona in caso di condanna per caso di mobbing

art. 377 Codice Penale: Subornazione

art. 378 Codice Penale: Favoreggiamento personale art. 414 Codice Penale: Istigazione a delinquere art. 416 Codice Penale: Associazione per delinquere art. da 476 ad art. 493 Codice Penale: Falsità materiale o ideologica

art. 582 Codice Penale: Lesioni personali

art. 590 Codice Penale: Lesioni personali colpose art. 594 Codice Penale: Ingiurie

art. 595 Codice Penale: Diffamazione

art. 599 Codice Penale: Ritorsione e provocazione art. 610 Codice Penale: Violenza privata

art. 611 Codice Penale: Violenza o minaccia per costrin- gere a commettere un reato,.

art. 612 Codice Penale: Minaccia art. 624 Codice Penale: Furto art. 629 Codice Penale: Estorsione

art. 635 Codice Penale: Danneggiamento e

art. 660 Codice Penale: Molestia o disturbo alle persone, con ripercussioni sul servizio come

art. 323 Codice Penale: Abuso d'ufficio

art. 328 Codice Penale: Omissione d'atti di ufficio

art. 336 Codice Penale: Violenza o minaccia a pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio

e con la possibile valutazione delle

art. 583 Codice Penale: Circostanze aggravanti

Ed è per questo che purtroppo, sempre più spesso, l’Au- torità Giudiziaria si trova a dover giudicare in casi di so- spetto mobbing.

E spesso ciò accade perché si sottovaluta troppo fre- quentemente il fenomeno pensando che…tanto si risol- verà da solo!

Pronunce della Corte di Cassazione e del Tribunale di Mi- lano del 2006 hanno precisato la prima che l’imprenditore è responsabile del danno se non previene il mobbing nel posto di lavoro e la seconda ha visto riconosciuta la re- sponsabilità di un comune per aver inflitto una ingiusta pu- nizione condannandolo all’annullamento della stessa ed il risarcimento del danno procurato.

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SEGUE

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L'imprenditore è responsabile del danno se non previene il mobbing in azienda

(Corte di cassazione - Sezione Lavoro - Sentenza 8 marzo- 25 maggio 2006 n. 12445)

La fattispecie di danno da mobbing, in quanto derivante da un inadempimento dell'obbligo di sicurezza previsto dall'articolo 2087 del codice civile, deve essere qualifi- cata come responsabilità contrattuale del datore di la- voro sul quale incom¬be l'onere di provare di aver adottato le misure idonee a prevenire l'evento dannoso.

L'iniziativa giudiziaria contro il dipendente può nascon- dere un'ipotesi di mobbing

(Tribunale di Milano - Sezione Lavoro - Sentenza 13 giu- gno-30 settembre 2006 n. 2949)

Ciò che distingue il mobbing dal conflitto puro e semplice nei rapporti interperso¬nali è il continuo ripetersi in un arco di tempo di una certa durata dei trattamento vessatorio inflitto alla vittima. Questo trattamento può attuarsi sia at- traverso atti di contenuto tipico, inerenti alla gestione del rapporto di lavoro, sia attraverso iniziative giudiziarie con- dotte nei confronti del dipendente.

Nei prossimi numeri continueremo non solo ad occuparci del problema mobbing ma anche di bossing e di bullismo che stanno prepotentemente inserendosi nelle situazioni lavorative del settore pubblico e privato.

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Per il direttore: fonti consultate BIBLIOGRAFIA

C.Calcagni, E.Mei: Danno morale, danno biologico psi- chico: aspetti giurisprudenziali e medico legali. (Aggior- namenti di Medicina Sociale, n. 4, 153 - 161, 1998) A.Casilli: Stop mobbing.

DeriveApprodi, 22 - 23, 2000;

H.Ege: Il mobbing in Italia. Introduzione al mobbing cultu- rale.

Pitagora Editrice, 1997;

A.Elo - K.Leppanen - T.Lindstrom: Occupational Stress Questionnaire.

Reviews, n. 19, 1992;

R.Gilioli : Il mobbing: un nuovo rischio relazionale per i la- voratori e per la loro salute.

Atti del Convegno tenutosi a Milano nei giorni 13-14 otto- bre 1999;

A.Grieco - L.Andreis - M.G.Cassitto e coll.: Il "mobbing": al- terata interazione psicosociale sul posto di lavoro. Prime valutazioni circa l'esistenza del fenomeno in una realtà la- vorativa italiana. (Prevenzione Oggi, num. 2, 75-105, 1997)

Il ministro dell’Interno Amato ha stabilito l’unificazione del Dipartimento per gli affari interni e territoriali con quello per le politiche del personale, noto come “Quinto Dipar- timento”, creando nuove disparità di trattamento e, men- tre la commissione che si occupa del personale dell’Amministrazione Civile dell’Interno, figliastro del Mini- stero dell’Interno, continua a non riunirsi, una commissione sta lavorando per delineare il futuro dei “dirigenti prefet- tizi”, figli legittimi di questa nuova riorganizzazione VIAGGIO TRA LE CARRIERE DI FIGLI E FIGLIASTRI

Non si ferma la lotta dei dipendenti del Ministero dell’In- terno che stanno autofinanziando la loro progressione in carriera tramite il fondo unico di amministrazione che do- vrebbe essere a totale carico dell’Amministrazione Mentre da una parte il governo ammonisce i propri ministri affinché taglino le spese prevedendo anche la chiusura di uffici anche grossi nei terminali periferici, dall’altra il mi- nistro Amato ha pensato bene di accorpare due dei cin- que dipartimenti per razionalizzare l’impiego del personale (e risparmiare) e, nel contempo di raddoppiare il numero dei collaboratori del suo staff. Infatti, con una direttiva in linea con la Finanziaria 2007, ha stabilito l’uni- ficazione del Dipartimento per gli affari interni e territoriali con quello per le politiche del personale che da poco tempo era diventato il “Quinto Dipartimento”. Questo, è stato definito dallo stesso ministro un atto dovuto per su- perare le inefficienze che la precedente divisione aveva creato e risparmiare una decina di posti di funzione. Ma, guarda caso, sono previsti circa dieci i nuovi “collabora- tori” (staff) di Amato premiati da uno stipendio migliore del passato perché professionalmente inquadrati nella fa- scia dirigenziale. Trattamento che chiaramente manter- ranno anche quando gli staff saranno riunificati.

Nella direttiva emanata dal ministro si legge: “…l'espe- rienza di questi mesi sta dimostrando tutte le anomalie cui ha dato luogo la separazione dei due Dipartimenti, uno per gli Affari Interni e Territoriali, l'altro per le Politiche del Personale, con i rischi che ne possono conseguire al- l'azione amministrativa. Appare pertanto più opportuno unificare le "Politiche del Personale" con le funzioni dì am- ministrazione generale e di promozione delle autonomie locali….. Nello stesso tempo il nuovo Dipartimento, ricom- posto ad unità, dovrà costituire una vera e propria "ca- bina di regia" a livello nazionale…” e più sotto “…va migliorato ed elevato il livello di formazione e di specializ- zazione dei funzionari nella prospettiva dell'azione che l'Amministrazione dell'Interno è chiamata a svolgere a li- vello europeo….”.

L’Amministrazione, in termini di organici effettivi, può con- tare su una forza complessivamente di 1.555 dirigenti della carriera prefettizia e solo di 145 dell’area I dirigenza sta- tale. Sono un numero esiguo rispetto ai dipendenti del- l’Amministrazione Civile dell’Interno. Nonostante questo, la politica dell’amministrazione non sembra volta a privi- legiare i dipendenti, dei livelli che con la loro opera con- tribuiscono in modo preponderante al buon funzionamento del nostro ministero, in termini di carriera,

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