Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse
correlati
Emergenza epidemiologica COVID-19 e gestione dei rifiuti
MEMORIA DELL’ AUDIZIONE UTILITALIA
19 maggio 2019
Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati
Emergenza epidemiologica COVID- 19 e gestione dei rifiuti
Memoria dell’audizione di Utilitalia del 19 maggio 2020
UTILITALIA
imprese acqua ambiente energia
Utilitalia è la federazione che riunisce 500 aziende operanti nei servizi pubblici dell’Acqua, dell’Ambiente, dell’Energia Elettrica e del Gas, rappresentandole presso le Istituzioni nazionali ed europee.
Il suo patrimonio storico di esperienze e competenze risale ai primi anni del ’900 con la nascita della Federazione aziende municipalizzate d’Italia.
La denominazione di Utilitalia nasce nel 2015 dalla fusione tra Federutility e Federambiente.
Unisce soggetti diversi tra Società di capitali, Consorzi, Comuni, Aziende speciali ed altri enti che gestiscono i servizi di pubblica utilità: acqua, energia, ambiente, gas.
Insieme ad ASSTRA, associazione dei gestori del trasporto pubblico locale, Utilitalia costituisce CONFSERVIZI (Confederazione nazionale per la rappresentanza e la tutela dei soggetti operanti nei servizi di interesse economico).
4 COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLE ATTIVITÀ CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI E SU ILLECITI AMBIENTALI AD ESSE COLLEGATE
Signor Presidente, Gentili Senatori, Gentili Onorevoli, ringrazio, anche a nome delle imprese associate, la Commissione Parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse per l’opportunità offerta con questa audizione, che ci consente di fornire il nostro contributo al dibattito su un tema così rilevante come la gestione dei rifiuti durante l’emergenza epidemiologica COVID-19, in particolare per quanto riguarda il settore dei rifiuti urbani e assimilati. Utilitalia intende offrire un contributo cognitivo ai lavori della Commissione e dà la propria massima disponibilità a fornire ulteriori elementi e dati che possano contribuire alla piena conoscenza del fenomeno che stiamo vivendo.
Il Presidente f.f.
Filippo Brandolini
AUDIZIONE DEL 20 MAGGIO 2020 5
“Emergenza epidemiologica COVID-19 e gestione dei rifiuti”
1
–L’impatto della fase emergenziale sui servizi
A partire dallo scoppio dell’emergenza epidemiologica alla fine del mese di febbraio scorso la gestione dei rifiuti urbani e assimilati e più in generale i servizi di igiene ambientale hanno continuato a operare senza soluzione di continuità in quanto servizi pubblici essenziali.
Le nostre associate, ma nel complesso tutto il settore, hanno risposto con spirito di responsabilità e massima attenzione per fare fronte alla crisi che sta vivendo il paese, mostrando una grande capacità di resilienza nel proprio operare quotidiano. Tuttavia, va sottolineato, che questo contesto così complesso e inedito ha condizionato pesantemente le quotidiane attività aziendali a tutti i livelli. Il primo punto ha riguardato l’organizzazione del lavoro.
L’obbligo di garantire i servizi e di conseguenza la necessità di prestare la massima attenzione agli aspetti di prevenzione del contagio si è scontrata con la disponibilità di dispositivi di protezione individuale (DPI) che ancora oggi non è a regime, soprattutto per carenze sul mercato di mascherine protettive assieme a guanti e tute usa e getta. Va precisato, comunque, che rispetto a inizio marzo la situazione è decisamente migliorata. È stata d’aiuto la possibilità di utilizzare, in tale contesto emergenziale, anche DPI prodotti al di fuori dell’UE più facilmente reperibili in commercio; ciò a seguito di una celere valutazione da parte delle autorità competenti per ottenere la certificazione CE. Va detto però, che sarebbe stato quanto mai utile la parificazione delle esigenze di approvvigionamento espresse dalle aziende dei servizi pubblici locali a quelle del comparto sanitario o della protezione civile. Da un primo bilancio non si sono rilevate situazioni di gravità tale da mettere a rischio il servizio, ma in alcuni casi la difficolta di approvvigionamento dei DPI ha rischiato di generare conflittualità nelle relazioni industriali in un momento in cui era fondamentale ricercare il massimo spirito di collaborazione e responsabilità da parte di tutti. Ricordiamo che le parti sociali del settore ambiente hanno sottoscritto un Protocollo d’intesa il 19 marzo 2020 per il recepimento ed attuazione delle indicazioni normative della fase di emergenza e delle misure di contenimento e prevenzione contenute nel Protocollo Confederale del 14 marzo 2020 tra Governo, parti datoriali, tra cui Confservizi, e sindacati anticipando l’accordo nazionale del 24 aprile.
Nell’ambito della riorganizzazione del lavoro, si è fatto principalmente ricorso a misure alternative o prioritarie (come lavoro agile, assegnazione ferie pregresse, istituzione di banche ore), rispetto ad altri strumenti come il Fondo integrativo di settore e solo in ultima istanza alla Cassa Integrazione.
Le imprese stanno adattando le loro prassi operative e di gestione del rischio attivando propri «Piani di sicurezza del servizio e di minimizzazione del rischio degli operatori» e i comitati aziendali previsti
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dai suddetti protocolli. Come principale misura ci si è attivati per diminuire al massimo i contatti tra lavoratori attraverso il lavoro agile, una nuova mappatura dei processi aziendali e la rimodulazione del nastro orario per evitare assembramenti negli spogliatoi, negli impianti e negli uffici. Per quanto riguarda la sanificazione si sono attuati protocolli di pulizia giornaliera e di sanificazione periodica delle aree di cantiere, dei mezzi e delle attrezzature.
Dal punto di vista dei servizi i gestori hanno dovuto modificare i propri programmi operativi in maniera significativa, da un lato attivando nuovi servizi non strutturali finalizzati al superamento di criticità contingenti, quali i servizi dedicati ai pazienti positivi al COVID-19 con mezzi, attrezzature e protocolli particolari e gli interventi di sanificazione straordinaria e dall'altro sospendendo e/o rimodulando servizi accessori o su cadenza programmata. Tale cambiamento non è avvenuto senza conseguenze dal punto di vista dell'efficienza complessiva delle aziende, in quanto i vincoli derivanti dal Contratto Collettivo di settore in termini di mansionario e di utilizzo del personale, le misure di distanziamento interpersonale nell’organizzazione del lavoro adottate per prevenite il contagio, i mezzi e le attrezzature a disposizione, non permettono di modificare la struttura preesistente dei servizi, senza che risultino delle diseconomie1, dovute anche alla necessità di ricorrere all’esternalizzazione o a porre in essere azioni correttive a criticità che derivano dalla rimodulazione del servizio. Si tenga anche conto che, in termini più ampi, l’erogazione di tutti i servizi pubblici essenziali non può essere slegata da tutta la filiera di forniture indispensabili affinché detti servizi possano essere effettivamente erogati (servizi per l’assistenza tecnica, l'assistenza ai mezzi ed ai macchinari in servizio da parte delle officine meccaniche, gli interventi di software house, la disponibilità di pezzi di ricambio, carburante, beni di consumo, ecc.). Il lockdown di numerose attività produttive in questi mesi ha causato al settore rallentamenti all’operatività.
Per quanto riguarda il trattamento dei rifiuti, oltre alle tensioni sull'export transfrontaliero di cui si dirà poi, hanno influito in maniera negativa le dinamiche che il lockdown ha determinato sulla produzione dei flussi dei rifiuti e che li ha modificati in maniera repentina.
Nel giro di qualche settimana, in funzione del susseguirsi delle restrizioni si sono verificati:
• la decisa contrazione nella produzione dei rifiuti speciali di origine produttiva;
• l’aumento dei rifiuti domestici e del rifiuto organico;
Ad esempio, lo spazzamento manuale viene ora generalmente effettuato utilizzando pinze per la raccolta dei rifiuti abbandonati senza più soffiatore o scopa per evitare il sollevamento di polvere, con una produttività oraria nettamente inferiore. Con la chiusura dei centri di raccolta si è verificato un repentino aumento di rifiuti ingombranti abbandonati con la necessità di attivare degli appositi giri di raccolta e di bonifica.
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“Emergenza epidemiologica COVID-19 e gestione dei rifiuti”
• la forte diminuzione della quota degli assimilati provenienti da commercio, turismo e terziario all’interno dei rifiuti urbani;
• l’aumento di produzione dei rifiuti sanitari a rischio infettivo;
• la mancanza di rifiuto verde strutturante per gli impianti di compostaggio a seguito del blocco delle attività di manutenzione del verde pubblico e privato;
• le criticità evidenziate da altri soggetti, quali i consorzi di filiera che gestiscono una buona parte dei flussi di scarti da raccolta differenziata2.
Tutto ciò ha causato anche forti oscillazioni sul mercato dei flussi. Questa situazione ha condizionato sia i gestori privi di impianti, sia quelli dotati di impianti industriali per i quali la stabilità dei flussi in entrata è elemento indispensabile di pianificazione.
2- I temi rilevanti della fase emergenziale
Un tema sicuramente rilevante nell’emergenza COVID-19 che ha riguardato le nostre aziende è stato quello relativo alla gestione dei flussi provenienti da abitazioni dove soggiornano soggetti positivi in quarantena obbligata o comunque sottoposti a misure di contenimento o soggetti in quarantena fiduciaria, per i quali sono stati generalmente necessarie modifiche organizzative delle raccolte. Non siamo in grado, invece, di fornire valutazioni sui rifiuti sanitari a rischio infettivo provenienti da strutture sanitarie, in quanto le nostre associate non sono impegnate nella raccolta e trattamento di tali rifiuti, a meno delle quantità, peraltro limitate, destinate ai termovalorizzatori per urbani.
Come si ricorderà su tale aspetto si è espresso fin da metà marzo l'istituto Superiore della Sanità che nel proprio report "Indicazioni ad interim per la gestione dei rifiuti urbani in relazione alla trasmissione dell’infezione da virus SARS-CoV-2" del Gruppo di Lavoro ISS Ambiente e Gestione dei Rifiuti ha dato indicazioni per tali soggetti di sospendere la raccolta differenziata e di conferire i rifiuti domestici nella frazione indifferenziata, per poi essere gestita come da procedure vigenti sul territorio, evitando la loro manipolazione e privilegiando l’incenerimento.
Ove siano presenti impianti di termodistruzione, deve essere privilegiato l’incenerimento senza alcun pretrattamento o ulteriore selezione in accordo con quanto riportato nel documento “Prime indicazioni generali per la gestione dei rifiuti – Emergenza COVID-19”, approvato dal Consiglio del
2Plasmix in primis
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sistema nazionale di protezione ambientale SNPA in data 23 marzo 2020 in cui si invitavano le aziende a prevedere, in accordo con le autorità regionali, una serie di interventi atti a sostenere le attuali condizioni emergenziali.
Qualora non sia possibile procedere in tal senso, i rifiuti devono essere conferiti:
in impianti di trattamento (es. trattamento meccanico, meccanico-biologico o biologico meccanico), purché sia sempre evitata la selezione manuale di tali rifiuti;
in impianti di sterilizzazione;
in discarica, senza pretrattamenti, confinando i rifiuti e riducendone il più possibile la movimentazione in discarica con apporto di materiale di copertura per evitare dispersione.
Le nostre associate si sono fin da subito operate in tal senso, declinando nei vari territori le indicazioni contenute nei provvedimenti adottati dalle Regioni e dalle Province Autonome in materia.
Per quanto riguarda la raccolta e trattamento dei rifiuti a rischio infettivo provenienti da strutture sanitarie e similari tale attività, come detto, risulta marginale per le nostre associate in quanto esclusa dalla privativa dei rifiuti urbani e generalmente effettuata da ditte specializzate sia per la raccolta sia per il trattamento (sterilizzazione e/o incenerimento).
Secondo una analisi interna a Utilitalia, che è possibile sia affetta da incompletezza per la difficoltà di reperire dati aggiornati da fonti ufficiali, a oggi in Italia sono operativi 26 impianti di trattamento, sterilizzazione e incenerimento dei rifiuti sanitari pericolosi e non pericolosi (codici EER 180103* e 180104 come disciplinati dal DPR n. 254 del 15 luglio 2003 “Regolamento recante disciplina della gestione dei rifiuti sanitari a norma dell’art. 24 della legge 31 luglio 2002, n. 179”) per una capacità autorizzata pari a 272.626 t/anno.
Gli impianti si dividono in 3 categorie:
9 impianti dedicati principalmente all’incenerimento di rifiuti sanitari, pericolosi e non pericolosi, ma che sono autorizzati a trattare anche altre categorie di rifiuti speciali (157.512 t/anno complessive);
6 impianti di sterilizzazione dei rifiuti sanitari che si configurano come impianti intermedi e non finali in quanto l’output è solitamente inviato ad incenerimento, o a cementifici o a produzione di combustibile da rifiuti (CSS) (74.614 t/anno complessive);
11 impianti dedicati al recupero energetico di Rifiuti urbani e di Rifiuti Speciali non pericolosi, ma che sono autorizzati a trattare anche eventuali piccole quantità di rifiuti sanitari, pericolosi e
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“Emergenza epidemiologica COVID-19 e gestione dei rifiuti”
non pericolosi (40.500 t/anno complessive).
Gli ultimi dati di produzione annua disponibili sui rifiuti speciali provenienti da strutture ospedaliere, sanitarie e assistenziali stimano 26.681 t di rifiuti non pericolosi e 143.940 di rifiuti speciali pericolosi per complessivi 170.621 t3.
Le informazioni in nostro possesso si riferiscono principalmente alla quota di rifiuti sanitari che vengono conferiti negli impianti del terzo tipo, che sono gestiti da aziende associate, sui quali Utilitalia sta conducendo un monitoraggio del trattamento dalla fine del mese di febbraio confrontando i dati con lo stesso periodo degli anni 2018 e 2019
Al momento le quantità trattate rimangono su valori bassi e anche nei casi di grandi variazioni percentuali gli incrementi o i decrementi in termini assoluti sono irrisori.
Gli impianti di incenerimento gestiti dalle Imprese associate che partecipano al monitoraggio sono 11 ed il periodo monitorato è quello compreso tra il 21 febbraio ed il 9 maggio. In questo stesso lasso temporale questi impianti nel 2018 hanno trattato 814,7 tonnellate di rifiuti sanitari non pericolosi e 4.115,2 tonnellate di rifiuti sanitari pericolosi, nel 2019 811,1 tonnellate di rifiuti sanitari non pericolosi e 4.244,5 tonnellate di rifiuti sanitari pericolosi, quantità pertanto confrontabili con quelle dell’annualità precedente. Nel 2020 le quantità di rifiuti sanitari non pericolosi sono state pari a 136,0 tonnellate, con una riduzione sensibile rispetto al biennio precedente e 5.253,4 tonnellate di rifiuti sanitari pericolosi, con un incremento pertanto del 23,8% rispetto al 2019 e del 27,7% rispetto al 2018. Relativamente ai non pericolosi, rispetto al 2019 e al 2018 sono stati registrati incrementi in soli 2 impianti e per quanto riguarda i sanitari pericolosi gli incrementi sono stati rilevati in 6 impianti.
Per quanto riguarda l’andamento della produzione di rifiuti urbani, Utilitalia ha avviato, presso aziende associate a ciò disponibili, fin dal principio dell’emergenza un monitoraggio della produzione di Rifiuti Urbani, inizialmente sul dato complessivo e successivamente dividendo il flusso tra rifiuti differenziati e non al fine di comprendere le ripercussioni dell’emergenza da COVID-19 sulle normali produzioni e prevenire situazioni di criticità nei flussi.
Il monitoraggio è iniziato il 21 febbraio, con una cadenza inizialmente quindicinale e dalla terza settimana di marzo con frequenza settimanale.
La prima rilevazione ha riguardato 19 aziende per 7,2 milioni di abitanti serviti. Il campione è andato via via aumentando e attualmente i dati sono forniti da 44 aziende associate che forniscono il
Rapporto Rifiuti speciali 2019 - Ispra
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servizio di gestione dei rifiuti ad un totale di quasi mille comuni pari ad una popolazione di 12,1 milioni di abitanti. Le aziende sono situate prevalentemente nel centro-nord Italia, dove sono maggiormente concentrate le aziende rappresentate, e quindi in un’area in cui gli effetti dell’emergenza epidemiologica sono stati più immediati, più acuti e più persistenti.
Le modalità di conduzione dell’indagine sono i seguenti:
aggiornamento dell'analisi su base settimanale;
il confronto con il medesimo periodo del 2019 viene svolto in termini di rifiuti prodotti giornalmente al fine di neutralizzare la presenza di un giorno in più nel 2020 (anno bisestile);
viene considerata la diversa incidenza, nel lasso temporale considerato nelle due annualità, della giornata di domenica che è usualmente giorno di sospensione della raccolta4.
Il primo elemento che emerge con chiarezza è che la gestione secondo le raccomandazioni dell’ISS dei rifiuti delle persone contagiate o in quarantena non sembra aver spostato in maniera significativa i flussi di raccolta, in quanto i numeri dei soggetti interessati a tali modalità di raccolta sono in termini relativi minimi rispetto alla popolazione totale.
Il periodo analizzato dal 21 febbraio al 9 maggio mostra una diminuzione media della produzione totale di rifiuti pari al 14,2% con punte massime fino al 31,2%. In nessun caso vi è aumento della produzione di rifiuti totale.
In analogia alla produzione totale, si assiste ad una diminuzione anche della produzione di rifiuti raccolti in modo differenziato, diminuzione in linea con il dato complessivo di RU e che si attesta al 12,8%, con una diminuzione massima del 38,7%, ma con situazioni di incremento nel 10% dei casi analizzati fino ad arrivare addirittura a + 30,7% in un caso.
Per quanto riguarda il rifiuto raccolto in modo indifferenziato (RUR) la diminuzione complessiva è del 14,4% con un valore di picco in calo del 48,7%, ma anche con situazioni di incremento per il 17%
dei gestori con un massimo del 26,4%.
Un giorno di sospensione della raccolta in più, infatti, in un periodo di tempo così breve (circa due mesi e mezzo) ha un’incidenza non trascurabile (pari a circa l’1,3%)
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“Emergenza epidemiologica COVID-19 e gestione dei rifiuti”
Tale dato è confermato dalla serie storica dei dati su di un intervallo temporale progressivo e cumulativo:
Con tutte le cautele del caso5, si può evidenziare un trend in diminuzione percentuale della produzione totale di rifiuti urbani più o meno equivalente sia nel flusso di differenziata (RD) sia di quello dell’indifferenziata (RUR). Al momento i dati raccolti non sono ancora sufficienti per evidenziare il potenziale aumento di rifiuti indifferenziati legati alla quota parte di popolazione colpita da COVID-19 poiché risulta prevalente l’effetto di diminuzione dei rifiuti assimilati agli urbani provenienti da attività commerciali e produttive chiuse o a limitata attività. Un'altra causa molto importante è il fermo pressoché totale dell’attività turistica che in alcuni contesti produce gran parte dei rifiuti urbani. Dove i dati consentono un miglior dettaglio di analisi all’interno di uno stesso comune tra le zone più residenziali e quelle più interessate dall’attività turistica/terziario si può osservare che i rifiuti domestici sono in crescita. Altre valutazioni possono essere solo qualitative:
si è riscontrato indubbiamente un aumento della produzione del rifiuto organico e degli imballaggi alimentari derivanti dal maggior consumo di alimenti freschi, ma anche dall’acquisto di scorte e in particolare di acqua minerale
Rimane ancora al momento non definibile quello che potrà essere l’apporto a tali flussi derivato dai quantitativi di DPI che dovranno essere smaltiti nel futuro quotidianamente (mascherine e guanti monouso).
Si tenga conto che la rendicontazione sulla produzione dei rifiuti, per essere significativa, deve essere svolta su di un arco temporale più ampio e che per i piccoli gestori la mancata contabilizzazione dei flussi relativi ai centri di raccolta è particolarmente rilevante.
Intervallo % RU %RD %RUR
21 febbraio – 10 marzo 4,9 n.d. n.d.
21 febbraio – 22 marzo 6,1 3,6 7,1
21 febbraio – 28 marzo 11,3 7,2 12,3
21 febbraio – 4 aprile 12,1 11,4 11,7
21 febbraio – 11 aprile 13,0 11,4 12,0
21 febbraio – 18 aprile 13,3 11,8 12,2
21 febbraio – 25 aprile 13,9 12,5 13,2
21 febbraio – 2 maggio 13,7 12.3 14,0
21 febbraio – 9 maggio 14,2 12,8 14,4
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A oggi l’unico riferimento è quello dell’Istituto Superiore di Sanità, che nelle proprie pubblicazioni ha dato indicazioni di smaltire i dispositivi di protezione individuale (DPI) provenienti da:
soggetti positivi al COVID-19 in quarantena obbligata, fiduciaria o comunque soggetti a misure di contenimento;
soggetti sani;
operatori dell'igiene urbana
nella frazione indifferenziata nelle medesime modalità raccomandate per il conferimento dei rifiuti domestici conferiti da soggetti positivi al COVID-19.
Tali raccomandazioni, stante la situazione attuale, possono essere ragionevolmente estese anche ai DPI dismessi provenienti da lavoratori di altri settori, con l’esclusione delle strutture sanitarie.
Per quanto attiene a previsioni di produzione e di fabbisogno di trattamento derivante dai DPI dismessi, in particolar modo per le mascherine “chirurgiche” monouso che sono le più diffuse in assoluto, non è possibile in questo momento fare stime con una notevole grado di incertezza. Ciò a causa del fatto che non è ancora noto la durata delle misure che ne imporranno l’uso, il loro effettivo grado di utilizzo da parte della popolazione e le modalità di raccolta e i canali di trattamento che potranno essere raccomandati in futuro.
Inevitabilmente, l’uso delle mascherine, con l’allentamento del lockdown, sarà destinato a aumentare in maniera rilevante, come anche riportato da recenti studi che hanno stimato un fabbisogno nazionale delle aziende produttive di circa 1 miliardo di mascherine6 al mese. Tale cifra, anche se raddoppiata con il contributo delle famiglie, però va rapportata all’apporto che potrà dare in termini di peso alla produzione di rifiuti complessiva. Con un peso medio di 4-5 grammi a mascherina la quota mensile per 2 miliardi di mascherine equivalgono a circa 120.000 tonnellate all’anno, meno dello 0,3% della produzione totale di rifiuti urbani in un anno in Italia (oltre 30 milioni di tonnellate). In altre parole, tale quantitativo, pur nella situazione di cronica carenza impiantistica per il trattamento dei rifiuti del nostro paese, non incide in maniera sensibile sul fabbisogno di trattamento e potrà essere gestito con il normale flusso di indifferenziato. Dovrà essere invece posta particolare attenzione all’incidenza di tali materiali nel littering a seguito di abbandono e dispersione nell’ambiente, con azioni di comunicazione e di educazione rivolte ai cittadini sul corretto conferimento di tali rifiuti.
Rapporto “Imprese aperte, lavoratori protetti” Aprile 2020 Politecnico di Torino
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“Emergenza epidemiologica COVID-19 e gestione dei rifiuti”
Un ulteriore aspetto che è quanto mai opportuno portare all’attenzione della Commissione è quello relativo ai problemi che sono insorti sull’esportazione di rifiuti all’estero, in considerazione del fatto che la situazione nazionale non consente l’autosufficienza nel trattamento dei rifiuti prodotti per la carenza di impianti di trattamento.
Gli ultimi dati disponibili7 mostrano come il trasporto transfrontaliero verso impianti esteri sia diventata una soluzione strutturale, necessaria a chiudere il ciclo della gestione dei rifiuti. Nel 2018 vi è stata un’esportazione di rifiuti urbani (rifiuti urbani indifferenziati, frazioni merceologiche da raccolta differenziata, rifiuti di imballaggio di provenienza urbana e rifiuti derivanti da impianti di trattamento meccanico biologico) pari a 465.000 tonnellate, di cui il 45,3%, pari a 210.645 tonnellate, di “Combustibile Solido Secondario – CSS” e il 17,6%, pari a 81.840 tonnellate, di “Rifiuti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti”.
Austria, Portogallo, Slovenia, Spagna, Bulgaria, Tunisia, Ungheria, Slovacchia, Cipro, Cina e Germania sono i principali paesi destinatari dell’export di rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani.
Ben più articolata è la situazione inerente l’export dei rifiuti speciali per i quali, secondo l’ultimo Rapporto ISPRA (2019), la quantità totale esportata nel 2017 è pari a 2,1 milioni di tonnellate di rifiuti non pericolosi. Tra questi ultimi, il quantitativo maggiormente esportato, 940.000 tonnellate pari al 45,3%, è rappresentato da rifiuti provenienti dal trattamento dei rifiuti. Le principali destinazioni dei rifiuti speciali non pericolosi sono Germania, Francia, Austria, Cina, Ungheria, Danimarca, Slovenia, USA, Regno Unito, Svizzera.
Al fine di evidenziare le criticità emergenti a seguito della pandemia da COVID-19, Utilitalia sta conducendo un monitoraggio settimanale delle criticità dell’export attraverso un campione di aziende associate che ricorrono abitualmente all’export di rifiuti, in particolare derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani.
Nei primi giorni dell’epidemia sono stati respinti o sospesi tutti i trasporti verso Slovenia, Slovacchia, Ungheria. In Portogallo l’autorità nazionale ha dato disposizioni ai gestori di limitare le attività ai servizi strettamente essenziali, anche la Bulgaria aveva interrotto le importazioni di rifiuti. Il blocco in particolare ha riguardato anche il CSS derivante dai trattamenti di rifiuti urbani destinato ai cementifici e il biostabilizzato. Sono state bloccate dalla Spagna le esportazioni di specifiche tipologie di rifiuti in via precauzionale rispetto al loro presunto rischio infettivo.
7Rapporto Rifiuti Urbani Ispra 2019
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In diversi paesi i singoli impianti di trattamento hanno attuato scelte organizzative specifiche in modo autonomo e unilaterale, come ad esempio la chiusura o il respingimento di rifiuti italiani da parte di cementifici, dove veniva conferito il plasmix derivante da selezione e riciclo della plastica e il CSS derivante dal trattamento meccanico biologico dei rifiuti urbani, e di altri impianti di trattamento in Austria e Germania, dove venivano conferiti rifiuti costituiti da scorie di inceneritori, polverini e rifiuti inertizzati sempre da inceneritori.
I dati forniti dal campione di imprese associate mostrano che in sole 7 settimane i rifiuti che non hanno trovato uno sbocco estero ammontano a ben 16.603 tonnellate, per una media di 2.372 tonnellate a settimana, equivalente su base annua a una proiezione di 123.336 tonnellate di rifiuti di cui si porrà il problema di trovare adeguata destinazione di trattamento all’interno del territorio nazionale.
Concentrando l’attenzione sui soli rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani, il quantitativo originariamente destinato all’estero e che in queste 7 settimane non ha trovato sbocchi, ammonta a 10.914 tonnellate, per una media di 1.559 tonnellate a settimana, equivalenti su base annua a una proiezione di 81.075 tonnellate di rifiuti di cui si porrà il problema di trovare adeguata destinazione di trattamento all’interno del territorio nazionale. Si tratta di circa il 17,45% di tutte le esportazioni italiane dei rifiuti urbani e speciali derivanti dal trattamento di rifiuti urbani esportati nel 2018, dato estremamente rilevante e probabilmente sottostimato per la limitatezza del campione.
Per quanto riguarda la tendenza nelle ultime settimane vi è una riduzione delle situazioni di blocco o sospensione delle esportazioni, dovuta alla riapertura di alcuni canali e al mutato atteggiamento di alcuni Paesi. È ripresa l’esportazione di plasmix mentre rimangono comunque criticità nell’export di rifiuti verso la Spagna, e soprattutto nell’export del CSS derivante dal trattamento dei rifiuti urbani verso i cementifici di Slovacchia, Austria e Slovenia. Emerge infine un’altra tendenza, quella al sensibile incremento dei prezzi di trasporto dovuto alle molteplici complicazioni dell’export dei rifiuti. Un aumento che ha spinto alcuni gestori a riorganizzare, laddove possibile, le proprie spedizioni, ed altri (che non hanno capacità di stoccaggio o alternative contrattuali con altri impianti) a dover sostenere spese non preventivate per garantire comunque una corretta gestione dei flussi di rifiuti che non riescono a trovare collocazione nel territorio nazionale.
AUDIZIONE DEL 20 MAGGIO 2020 15
“Emergenza epidemiologica COVID-19 e gestione dei rifiuti”
3- L’impatto della crisi sul trattamento dei rifiuti e sulla chiusura del ciclo dei rifiuti
Se come detto dal punto di vista del servizio di raccolta l’attività è proseguita senza soluzione di continuità dal lato del trattamento invece si sono rilevate alcune criticità,
In particolare, a fronte dei problemi sull’export riscontrati già nelle prime settimane di emergenza e di talune disposizioni sulla gestione dei rifiuti, è stata richiesta l’indicazione di far operare gli impianti di termovalorizzazione a saturazione del carico termico in modo da poter far fronte:
alla richiesta di regioni prive di questi impianti di utilizzare quelli di altri territori perché in questo momento le altre soluzioni di trattamento finale (impianti di trattamento meccanico biologico, cementifici8, ecc.) non danno sbocco o non sono adeguate al livello attuale di rischio sanitario;
all’aumento in alcuni contesti locali dei quantitativi di rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo che devono essere inviati obbligatoriamente a termodistruzione;
alla necessità di garantire ai rifiuti indifferenziati provenienti dai soggetti malati o in quarantena il prioritario avvio a incenerimento;
a ragioni di flessibilità del sistema, dato che, soprattutto nelle prime settimane, non era improbabile dover prevedere che ci potesse essere la chiusura temporanea di un impianto per ragioni di contagio e quarantena;
ai blocchi già ricordati alle spedizioni transfrontaliere di rifiuti, sia per le frazioni derivanti dalla raccolta differenziata, sia per il rifiuto avviato a smaltimento o a recupero energetico.
Da parte di Utilitalia si è richiesto fin dalle prime settimane di emergenza, in considerazione degli inevitabili contraccolpi in termini di operatività che poteva subire il comparto, in via preventiva e precauzionale di aumentare, ove tecnicamente possibile e in via provvisoria, di una quota di almeno il 10% la capacità autorizzata degli impianti di recupero di materia (inclusi anche i digestori anaerobici e gli impianti di compostaggio aerobico) e un’immediata deroga di tempo ai limiti autorizzativi di stoccaggio presso gli impianti, sia per le operazioni di messa in riserva, sia per quelle di deposito temporaneo, in modo che eventuali blocchi operativi lungo la filiera di trattamento da parte di un singolo soggetto non comporti di conseguenza anche il fermo a catena degli impianti ancora operativi a monte. Si tenga conto che, in termini più ampi la capacità di trattamento delle
A riprova che i cementifici possono gestire dei flussi di rifiuti, ma non possono rappresentare soluzioni strutturali per la chusra del ciclo perché la loro attività è legata alla congiuntura economica
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frazioni derivanti da raccolta differenziata e destinate alla valorizzazione come materia prima seconda, non può essere slegata dal supporto di tutte quelle attività produttive che ne rappresentano lo sbocco obbligato (si pensi alle cartiere, ai pannellifici che recuperano il legno, alle fonderie per i rottami metallici). Se tali soggetti economici bloccassero la propria attività la conseguenza obbligata e naturale sarebbe l’impossibilità di avviare a recupero la raccolta differenziata anche se la stessa è un servizio pubblico essenziale.
La circolare del Ministero dell’Ambiente del 27 marzo u.s. contenente alcune indicazioni per far fronte alle criticità per la gestione dei rifiuti derivanti dall'emergenza Covid-19 in tale senso è risultata quanto mai opportuna avendo fornito elementi di chiarezza a Regioni ed enti locali e offrendo soluzioni operative su cui far leva per la loro risoluzione. Ricordiamo che sono stati molto numerosi, e non sempre tra loro coerenti, i provvedimenti di regioni e province autonome in materia di gestione di rifiuti. Si contano per difetto non meno di sessanta tra ordinanze, note, circolari, disposizioni emesse in queste settimane.
Si sottolinea, infine, come sia stata importante la previsione relativa a deroghe al conferimento in discarica di flussi di rifiuti quali gli scarti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani, differenziati e indifferenziati, che ha consentito al sistema di non andare in crisi, fermo restando che tale misura, occorre ribadirlo, va inquadrata all’interno della situazione contingente e come tale regolamentata.
4- L’impatto della crisi in relazione all’evidenza di fenomeni illeciti
Per quanto attiene al tema relativo al timore dell’insorgere di fenomeni illeciti favoriti dall’attuale situazione emergenziale va sottolineato che il costante lavoro quotidiano nel territorio da parte delle associate ha rappresentato un presidio di legalità e di garanzia sulla corretta gestione del ciclo dei rifiuti.
Utilitalia, nella presente memoria, riporta quanto è emerso dal confronto con le proprie associate, pertanto quanto espresso deriva dal singolo apporto conoscitivo che le stesse ci hanno fornito e in questo senso non sono state rappresentate evidenze di fenomeni illeciti.
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5- La ripresa del settore: gli investimenti e la situazione economica finanziaria
Dal punto di vista degli investimenti programmati, si tenga conto che in questo settore, quanto meno prima dell’emergenza, le difficoltà che bloccano il processo di infrastrutturazione impiantistica nel paese non risiedono tanto nella fase di reperimento delle risorse economiche necessarie (peraltro molto minori se confrontato agli investimenti necessari per il settore energetico o idrico), ma nel garantire un quadro stabile all’interno del quale programmare gli investimenti, rimuovere gli ostacoli legati alla lentezza dei processi autorizzativi e all’accettazione sociale degli impianti. Tuttavia, qualora vi sia una contrazione della liquidità, è presumibile che verrà privilegiato il mantenimento dell’operatività a scapito degli investimenti.
Infatti, la prospettata riduzione dei flussi monetari e finanziari a causa dei ritardi di fatturazione e incasso e senza misure idonee ad allentare e diluire le tensioni a carico dei gestori, si manifesteranno inevitabilmente sugli stessi rischi di potenziale compromissione dell’equilibrio finanziario ed economico, tali da mettere a rischio la continuità dei servizi e il proseguimento dei programmi di investimento necessari al paese, già in forte carenza impiantistica come è stato dimostrato una volta di più dall’emergenza. Se non ci sono risorse, il rischio è che diminuisca anche la qualità dei servizi. In questi vent’anni il sistema ha compiuto tanti progressi e c’è il pericolo che questo capitale si perda negli anni a venire con una regressione.
Da un punto di vista finanziario i comuni stanno ritardando l’emissione dei ruoli TARI o nel caso di tariffa riscossa dal gestore potrebbero chiedere di non procedere alla fatturazione in toto o in maniera selettiva, escludendo le utenze non domestiche soggette a lockdown. Ciò comporterà nel primo caso un ritardo conseguente nei pagamenti delle fatture mensili da parte dei comuni nei confronti dei gestori, nel secondo uno slittamento indefinito della riscossione delle fatture.
Dal lato economico lo sgravio sulla quota variabile previsto dall’Autorità di Regolazione Reti, Energia e Ambiente (ARERA) nella propria delibera 158/20/R/rif del 5 maggio 2020 legato all'interruzione dell'attività delle utenze non domestiche soggette a lockdown determinerà un mancato gettito sulla quota variabile della TARI/Tariffa legato al periodo di chiusura.
Nella segnalazione 136/2020/I/COM del 23 aprile al Parlamento l’Autorità ha evidenziato che potrebbero essere necessarie risorse quantificabili, sulla base di stime di settore relative all’incidenza delle entrate tariffarie attribuibili alle utenze non domestiche, nonché alla luce di una prima ricognizione delle attività assoggettate agli obblighi di sospensione – un fabbisogno di circa 400 milioni di euro. Stime interne di Utilitalia, condotte su un campione di comuni con una
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popolazione complessiva di 8 milioni di abitanti, allargate anche alla quota fissa della TARI/Tariffa (e quindi al totale del corrispettivo) portano a un cifra che va da circa 1,25 miliardi di euro per uno sgravio di tre mesi fino a 2,5 miliardi per un periodo doppio di sei mesi.
Nel loro complesso i provvedimenti di dilazione dei pagamenti alle utenze se non condotti con perequazioni e in maniera equilibrata potranno penalizzare pesantemente i gestori e arrivare a condizionare in maniera estremamente negativa la stessa operatività. Va infatti chiarito con quali risorse verrà coperto il mancato gettito, perché certamente non sarà praticabile che siano le utenze domestiche a caricarsi sulle loro tariffe il conseguente mancato gettito per garantire l’integrale copertura dei costi sostenuti. Questo deficit economico d’altra parte non potrà essere scaricato sui gestori, che hanno garantito la continuità in sicurezza dei servizi, dimostrando peraltro flessibilità e capacità di adattamento, peraltro continuando a pagare stipendi e fornitori. La riduzione nella produzione dei rifiuti di per se non produce effetti rilevanti sui costi, che, come è noto, nei servizi ambientali, tipicamente labour intensive, sono molto rigidi e comunque non riprogrammabili nel breve termine.
Infatti, una tipica struttura dei costi di una impresa del settore è schematizzabile nel seguente modo: 40-50% personale, 20-30% servizi di terzi, 5-15% ammortamenti, 1-5% oneri finanziari e 5- 10% forniture.
È quindi fondamentale l’intervento di sostegno agli Enti Locali da parte del Governo con la destinazione di risorse specificamente vincolate alla copertura dei costi dei servizi ambientali per fare fronte del mancato gettito delle categorie economiche penalizzate dal lockdown o delle utenze domestiche in difficoltà.
6- La tenuta di un adeguato livello di qualità e sicurezza nei servizi ambientali
La pandemia in corso ha ulteriormente evidenziato la fragilità del settore dei rifiuti già nota per le carenze impiantistiche e per una diffusa frammentazione gestionale. Inoltre, trattandosi di un settore ad alta intensità di lavoro (labour intensive) e caratterizzato da una età media dei lavoratori elevata, occorrerà tener conto delle novità emergenti in tema di sicurezza del lavoro e quindi delle responsabilità in capo alle imprese per la riprogettazione dei servizi ambientali. In particolare, se da un lato l’innovazione tecnologica e il rinnovamento del mezzi di raccolta possono contribuire a ridurre gli oneri che derivano dalla movimentazione manuale dei rifiuti, dall’altro l’insegnamento che deriva dall’attuale emergenza ci spinge a valutare come prioritario minimizzare la
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manipolazione del rifiuto, in coerenza con le raccomandazioni dell’ISS e le indicazioni dell’INAIL.
Questa necessaria transizione richiederà la pianificazione finanziaria e temporale degli investimenti a carico delle aziende che dovranno essere in grado di conciliare un elevato livello di qualità dei servizi con un altrettanto elevato grado di tutela della sicurezza. Sarà indispensabile un apporto costruttivo degli enti preposti che con spirito collaborativo accompagni questa transizione.
7- La ripresa del settore: la transizione all’economia circolare
Sono vari i fattori che rendono concreto il rischio che la crisi economica conseguente alla pandemia costituisca un ostacolo importante per la transizione all’economia circolare:
il crollo del prezzo delle fonti energetiche fossili e delle materie prime in generale, che già ora sta mettendo in forte difficoltà, per esempio, il settore del riciclo della plastica;
la forte ripresa del consumo di materiali monouso spesso non riciclabili per ragioni di sicurezza e di prevenzione al contagio;
Il mantenimento e il rafforzamento del blocco delle importazioni di rifiuti derivanti dal trattamento della raccolta differenziata da parte dei paesi asiatici.
Il ruolo dei consorzi e dei sistemi collettivi sarà un elemento decisivo per la tenuta e per il rilancio delle filiere del riciclo, ma la soluzione non potrà essere solo il ricorso a strumenti di responsabilità estesa del produttore in quanto nel momento attuale tali meccanismi inevitabilmente scaricheranno costi crescenti sul sistema delle imprese e a cascata sui consumatori finali,
In merito alla situazione impiantistica, le soluzioni adottate per la crisi potrebbero essere di supporto per superare la lentezza e complessità dei processi autorizzativi che da sempre ne costituiscono un concreto ostacolo. Il sistema di trattamento dei rifiuti, come più volte detto, ha mostrato tutta la sua debolezza e per fortuna l’emergenza è stata più forte in aree del paese come il nord dove l’infrastrutturazione è più forte dimostrando che il sistema ha bisogno di un back up e che non può essere dimensionato al limite inferiore ma deve avere un franco di sicurezza.
Appare quindi quanto mai necessaria, in un’ottica semplificativa e post emergenziale, una revisione sia del Codice Appalti sia dei Procedimenti Autorizzativi, con particolare riguardo alla semplificazione e riduzione dei tempi nei procedimenti previsti dalle norme in materia ambientale ai fini di una rapida ripresa degli investimenti in questo settore intervenendo per:
semplificare e ridurre i tempi delle procedure autorizzative ordinarie per gli impianti di trattamento dei rifiuti o almeno determinare le condizioni di impegno a carico delle Pubbliche
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Amministrazioni per vincolarle al rispetto di quelle vigenti;
ampliare la tipologia degli impianti assoggettabili a procedure autorizzative semplificate, aumentando i quantitativi stabiliti;
creare un sistema di verifica e di premialità/sanzione per le regioni che a fronte della stima del fabbisogno impiantistico residuo, necessario per raggiungere gli obiettivi delle direttive in tempi brevi, non provvedono alla realizzazione delle infrastrutture indispensabili, con la previsione di eventuali poteri sostitutivi;
rivedere l’attuale disciplina dell’End of Waste, in considerazione del fatto che rappresenta uno degli snodi principali della transizione alla circolarità dei materiali, riducendo i tempi ed eliminando controlli ridondanti per le attività di riciclo, soprattutto quelle autorizzate “caso per caso”, che generano incertezza, aggravio di costi e disincentivo agli investimenti.
La capacità di valorizzare i punti di forza e superare gli ostacoli in tempi brevi e certi influiranno in maniera determinante sul raggiungimento degli obiettivi europei oltre che sulla competitività a livello industriale di un settore cruciale, che mantiene un forte legame con i territori locali, ne alimenta le economie e favorisce la diffusione di partnership pubblico – privato di successo.
È essenziale che ARERA prosegua nella propria azione di Autorità indipendente e non rallenti l’entrata in vigore della regolazione del settore per la definizione di un sistema di regole chiare e trasparenti, a tutela degli utenti e a garanzia degli operatori del settore. Solo una regolazione forte e indipendente può essere l’elemento di garanzia in grado di attivare nel sistema Paese gli investimenti necessari a traghettare l’Italia verso un’economia low-carbon e circolare e a migliorare la qualità e l’efficienza dei servizi energetici e ambientali per cittadini e imprese.
Il periodo emergenziale dovuto al COVID-19 ha evidenziato le vulnerabilità del nostro attuale sistema impiantistico e ha dimostrato la necessità che venga elaborata a livello centrale una strategia nazionale, che definisca in una prospettiva di sistema paese i fabbisogni regionali sulla base di criteri omogenei e di strategie gestionali affidabili. Solo con una strategia nazionale si potrà operare un riequilibrio dei flussi a livello territoriale, in modo da limitare il trasporto fra diverse regioni e le esportazioni, abbattendo le emissioni clima-alteranti.
A questo proposito, il settore può fornire un contributo importante alla ripresa economica dopo la pandemia nell’effettuare quegli investimenti funzionali al raggiungimento degli obiettivi dati dal Pacchetto dell’Economia Circolare.
Si evidenzia, infatti, che analisi condotte da Utilitalia, sulla base dei dati pubblicati da ISPRA,
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mostrano come nel 2018 la sotto-dotazione impiantistica del centro e del sud del Paese abbia causato l’esportazione verso regioni diverse da quelle di produzione, principalmente verso il settentrione, di circa 1,7 milioni di tonnellate di rifiuti, tra organico da raccolta differenziata e rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani destinati al recupero energetico o alla discarica. Queste quantità rappresentano entità importanti, pari al 17% dei rifiuti prodotti nel centro ed il 10% nel sud. La sofferenza impiantistica, inoltre, pare acuirsi anche traguardando le stime al 2035, anno in cui il Paese dovrebbe conseguire gli obiettivi fissati dalle direttive europee sull’economia circolare, riciclando il 65% dei rifiuti prodotti e limitando lo smaltimento in discarica al 10%. Infatti, con il raggiungimento di tali obiettivi, considerando la piena operatività dell’impiantistica attualmente in esercizio, si stima il fabbisogno di nuova capacità di trattamento della frazione organica complessivamente per 3,2 milioni di tonnellate e di recupero energetico complessivamente per 2,5 milioni di tonnellate (localizzando gli impianti essenzialmente al centro, al sud e nella regione Sicilia) per consentire l’autosufficienza del paese nel trattamento e nel recupero dei rifiuti urbani e degli scarti della raccolta differenziata e del riciclo. In questa analisi non sono stati presi in considerazione i fabbisogni di impianti di riciclo, che pure sono carenti e non distribuiti omogeneamente sul territorio nazionale, così come i fabbisogni per i rifiuti speciali, che tuttora per oltre 10 milioni di tonnellate vengono smaltiti in discarica. La realizzazione di questi impianti e la infrastrutturazione delle filiere in termini di sviluppo delle raccolte differenziate e di implementazione della tariffa corrispettiva puntuale sull’intero territorio nazionale comporterebbero investimenti9 stimati in circa 6,6 miliardi di euro. Si tenga presente che la realizzazione di tali impianti può portare un risparmio in termini di emissioni climalteranti che si stima in circa:
32.000 t/anno per il mancato trasporto di rifiuti dal centro sud verso il nord;
409.508 t/anno per la produzione di biometano sostitutivo di fonti fossili;
492.000 t/anno per la quota rinnovabile di energia prodotta dai termovalorizzatori.
Si stima quindi un risparmio totale di 933.508 t/anno di CO2-eq, fornendo un contributo in questo modo, al raggiungimento degli impegni di riduzione che derivano dagli accordi internazionali per il contrasto al cambiamento climatico10.
Elaborazioni interne Utilitalia su dati Ispra
10 Accordo di Parigi 2015
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UTILITALIA
Federazione delle imprese ambientali, energetiche ed idriche
www.utilitalia.it