Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Scuola Politecnica e delle Scienze di Base
Area Didattica di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali
Dipartimento di Fisica “Ettore Pancini”
Laurea triennale in Ottica e Optometria
Nuovi materiali polimerici co-cristallini per la realizzazione di filtri polarizzatori
Relatore:
Prof. Oreste Tarallo
Candidato:
Glaneo Vincenzo Matricola: M44000077
A.A. 2017/2018
A i miei genitori per i loro sacrifici.
Qualsiasi teoria fisica è sempre provvisoria, nel senso che è solo un’ipotesi: una teoria fisica non può cioè mai venire provata. Per quante volte i risultati di esperimenti siano stati in accordo con una teoria, non si può mai essere sicuri di non ottenere la prossima volta un risultato che la contraddica.
Stephen Hawking
Indice
Introduzione 7
Capitolo 1
1.1 Radiazione luminosa e polarizzazione 9
1.1.1 Polarizzatori 10
1.2 Filtri polarizzatori a base di polimeri 13
1.2.1 Legge di Malus 17
Capitolo 2
2.1 Polimeri 20
2.1.1 Polimeri vinilici 21
2.1.2 Il poli(vinilalcol) PVA 22
2.2 I clatrati 24
2.1.2 Clatrati del PVA 27
2.2.2 Obiettivi del lavoro di tesi 30
Capitolo 3
3.1 Materiali e metodi 31
3.2 Tecniche di preparazione dei film 33
3.2.1 Preparazione del film di PVA 33
3.3 Ottenimento dei campioni non orientati 35
3.4 Ottenimento dei campioni orienta 47
3.4 Tecniche di caratterizzazione 53
• Diffrazione di raggi X
• Studio del dicroismo e polarizzazione
• Laser a rubino Capitolo 4
4.1 Caratterizzazione diffrattometrica dei campioni non orientati 60 4.2 Caratterizzazione diffrattometrica dei campioni orientati 66 4.3 Proprietà ottiche dei campioni non orientati 71
4.4 Proprietà ottiche dei campioni orientati 79
Conclusioni 87
Bibliografia 88
Ringraziamenti 89
Introduzione
L’obiettivo di questo lavoro di tesi è stato la realizzazione e la caratterizzazione ottica di nuovi materiali co-cristallini per l’ottenimento di filtri polarizzatori simili a quelli utilizzati commercialmente negli apparati ottici dall’azienda Polaroid®.
Tali filtri trovano larga applicazione nella realizzazione degli obiettivi oculari dei comuni strumenti ottici (come microscopi, telescopi e macchine fotografiche) e nel campo dell’occhialeria da sole in quanto, in situazione di luce intensa, hanno la capacità di migliorare la saturazione e il contrasto dei colori non solo per la visione prossimale ma anche distale andando a ridurre drasticamente l’affaticamento visivo per chi le indossa.
In particolare, in questo lavoro di tesi si è cercato di ottenere, mediate diverse procedure sperimentali, filtri polarizzatori a base di complessi molecolari dell’alcol polivinilico (PVA) , un polimero termoplastico con elevata trasmissibilità della luce del visibile.
Le molecole utilizzate come possibili ospiti dei clatrati formati dal PVA sono state un cromoforo organico, il 4’-metossi-4-idrossi-azobenzene e alcuni sali inorganici di metalli di transizione (solfato di zinco, di ferro (II) e rame (II)). I campioni ottenuti sono stati caratterizzati sia da un punto di vista strutturale mediante diffrazione di raggi X ad altro angolo (WAXD), sia da un punto di vista delle proprietà ottiche nel visibile mediante misure di dicroismo.
La struttura di questo elaborato è la seguente:
1. Nel primo capitolo viene discusso il fenomeno della polarizzazione della luce, e vengono esaminati i filtri polarizzatori a base di materiali polimerici attualmente utilizzati sul mercato;
2. Nel secondo capitolo vengono illustrate le caratteristiche chimico-fisiche dei materiali polimerici e discussa la struttura e le proprietà dei clatrati polimerici, con particolare riferimento a quelli del PVA;
3. Nel terzo capitolo viene esposta la procedura sperimentale per la realizzazione dei film di poli(vinil alcol) e dei suoi complessi molecolari con i diversi ospiti utilizzati;
4. Nel quarto capitolo sono discussi i risultati ottenuti e formulate le conclusioni del lavoro.
Capitolo 1
1.1 Radiazione luminosa e polarizzazione
La componente della luce emessa da una qualsiasi sorgente luminosa come una lampadina, le stelle o il sole viene diffusa sotto forma di onde elettromagnetiche.
Questa si compone di due elementi; (vettore campo elettrico) e (vettore campo magnetico) dove il primo è sempre perpendicolare rispetto al secondo. Pur mantenendo questa caratteristica, questi 2 elementi sono orientati a caso attorno alla direzione di propagazione dell’onda. Un’onda elettromagnetica di dice polarizzata quando il vettore campo elettrico , oscillando, mantiene la stessa direzione.
Per descrivere lo stato di polarizzazione si fa riferimento, per convenzione, solo al vettore campo elettrico . gli stati di polarizzazione possono essere di tre tipi.
° Rettilineo o lineare. La direzione del vettore è costante nel tempo. L’estremo del vettore campo elettrico, in un dato punto, descrive nel tempo un segmento (schema 1)
° Circolare. Si distingue tra polarizzazione circolare destrorsa o sinistrorsa a seconda che l’estremo del vettore , visto da un osservatore verso cui si propaga l’onda, descriva nel tempo una circonferenza in senso orario o antiorario. (schema 1)
° Ellittico. Quando l’estremo del vettore , in un dato punto, descrive nel tempo una ellisse; anche in questo caso si distingue tra polarizzazione ellittica destrorsa o sinistrorsa a seconda che l’estremo del vettore , visto da un osservatore verso cui si propaga l’onda, descriva nel tempo una circonferenza in senso orario o antiorario.
(Figura 1)
Figura 1: Rappresentazione schematica di alcuni tipi di polarizzazione.
1.1.1 Polarizzatori
Un polarizzatore (detto anche filtro polarizzatore o lente polarizzata) è un tipo di dispositivo che permette di selezionare la luce non polarizzata e di polarizzarla in una determinata direzione.
Questi dispositivi sono largamente utilizzati negli apparati ottici come reflex, telescopi, polaroid e occhiali da sole. (Figura 2)
Figura 2: Filtro polarizzatore utilizzato nelle macchine fotografiche.
La proprietà di questi particolari filtri polarizzatori sta nella loro capacità di bloccare le radiazioni elettromagnetiche a seconda della loro polarizzazione. Se si considera una qualsiasi sorgente che genera radiazione luminosa e la si fa convergere su di un polarizzatore, noteremo che la luce emergente da questo avrà intensità minore dovuta al fatto che una certa componente delle onde convergenti sul filtro saranno bloccate, avendo così intensità minore.
Prendendo in esame un particolare filtro polarizzatore cioè quello lineare, premettendo che questo potrà essere attraversato solo e soltanto da luce polarizzata linearmente nella direzione dell’asse di trasmissione del polarizzatore.
Figura 3: Rappresentazione schematica di della polarizzazione della luce tramite un filtro polarizzatore.
Strutturalmente, un polaroid è costituito al suo interno delle fibre conduttrici che sono organizzate tutte parallele tra loro e posta a una distanza paragonabile a quella della lunghezza d’onda della luce che si vuole polarizzare. Nel momento in cui la radiazione luminosa incide sul polarizzatore la componente del campo elettrico che è parallela alle fibre viene assorbita dato che è in grado di muovere i portatori di carica presenti nelle fibre e compie lavoro su di essi lasciando passare solo la componente della luce che oscilla in modo perpendicolare alle fibre del camp elettrico stesso . Si ottiene così un fascio di luce polarizzata (Figura 3 e 4)
Figura 4: Principio di funzionamento di un filtro polarizzatore: la componente della radiazione luminosa (freccia gialla) caratterizzata da un piano di polarizzazione parallela alle molecole viene assorbita (figura a sinistra) mentre quella con piano perpendicolare alle molecole è in grado di attraversare il filtro (figura a destra).
Fra le diverse applicazioni di tali filtri in diversi apparati ottici, particolarmente interessante è il loro uso nel campo dell’ottica oftalmica nella realizzazione di occhiali da sole. Questi hanno lo scopo di proteggere gli occhi di chi li indossa attenuando le componenti UV-A e UV-B della luce solare, divergere i raggi luminosi e schermare le immagini specchio che si verificano in determinate condizioni atmosferiche (quando la luce del sole riflette su superfici piane e lisce come il manto stradale bagnato):
quando una radiazione elettromagnetica incide su di una superficie riflettente, oltre ad essere riflessa viene infatti anche parzialmente polarizzata nella direzione parallela alla superficie. Quindi tali lenti selezionano il passaggio della componente elettromagnetica della luce in una specifica direzione rispetto all’orientazione del vettore campo elettrico .
Questo processo conferisce alle lenti numerosi proprietà e benefici per chi le utilizza.
- Vista rilassata. Le lenti polarizzate bloccano riverberi e abbagliamenti e, grazie alla qualità ottica garantiscono una visione nitida e rilassata. Assicurano un miglior benessere visivo, in quanto gli occhi tendono a non sforzarsi ed affaticarsi.
- Percezione corretta dei colori e contrasto. Solo i raggi luminosi che aiutano la visione raggiungono l’occhio e migliorano la percezione dei diversi colori con un contrasto adeguato, senza più l’effetto sfumato o annebbiato (Figura 5).
Figura 5: Differenza tra visione con lenti non polarizzate (sinistra) e polarizzate(destra).
Dal punto di vista commerciale esistono diversi tipi di filtri polarizzatori:
° Filtri ad assorbimento. Sono di solito fabbricati in vetro a cui sono stati aggiunti diversi componenti organici e inorganici. Questi componenti aggiuntivi conferiscono al materiale proprietà come l’assorbimento di specifiche lunghezze d’onda della luce trasmettendone altre.
° Filtri dicroici. Sono composti da un substrato generalmente di vetro con un’alternanza di strati sottilissimi di diversi materiali con indici di rifrazione diversi.
Questa composizione garantisce l’interazione delle lunghezze d’onda della luce andando a filtrarla e generando di conseguenza diversi colori.
° Filtro UV. Questo è di vetro ed è privo di colore. Hai il compito di bloccare i raggi ultravioletti che sono dannosi per la salute dell’occhio e nell’ambito fotografico alterano la nitidezza delle immagini.
1.2 Filtri polarizzatori a base di polimeri
Un esempio di filtro polarizzatore commerciale è un filtro Polaroid® (Figura 6).
Figura 6: Un’immagine di un panorama osservata attraverso un filtro fotografico polarizzatore Polaroid®.
Film polarizzatori a base di polimeri sono stati sviluppati e commercializzati dalla azienda Polaroid® (Minnetonka, USA, oggi Polaroid Original®, Paesi Bassi) nel corso del secolo scorso sfruttando diverse tecnologie messe a punto principalmente da Edwin H. Land, fondatore dell’azienda stessa [1].
Il primo filtro di questa tipologia fu brevettato nel 1929 e chiamato J-sheet. Tali filtri polarizzatori venivano realizzati mediante un film polimerico trasparente di nitrocellulosa in cui erano dispersi microscopici cristalli aghiformi di herapatite (Figura 7), un solfato di iodiochinino di formula 4(C20H24N2O2)H2·3SO4·2I3·6H2O, che presenta un comportamento dicroico[2] in quanto esso è caratterizzato da una struttura in cui molecole di iodio sono intrappolate in canali costituiti dal solfato di chinino e disposte parallelamente fra loro (Figure 8 e 9) [3].Durante il processo di fabbricazione dei filtri J-sheet, piccoli cristalli di herapatite venivano allineati mediante l'applicazione di un campo magnetico e bloccati in tale disposizione per immersione in una resina polimerica. In questa maniera, si era in grado di orientare parallelamente le molecole di iodio intrappolate nei canali ottenendo così un materiale dicroico capace di assorbire la luce polarizzata parallelamente alla direzione dell'allineamento dei cristalli ma che lascia passare la luce perpendicolare ad essi.
Figura 7: Repliche di ioduro d'argento di aghi di herapathite (disorientati) nel
Figura 8: Struttura cristallina dell’herapatite: impacchettamento lungo l’asse a; asse b verticale. Le molecole di iodio sono rappresentate mediate sfere viola.
Solventi e controioni sono stati omessi per chiarezza [3].
Figura 9: Struttura cristallina dell’herapatite: impacchettamento lungo l'asse b; asse c verticale. Le molecole di iodio sono rappresentate mediate sfere viola Solventi e controioni sono stati omessi per chiarezza[3].
Nel 1938, per sopperire alla carenza di chinino dovuta alla II Guerra Mondiale, Land inventò l'H-Sheet Polaroid[1]. L'H-sheet è basato su di un complesso molecolare a base di alcool polivinilico (PVA) e iodio. Anche in questo caso, lo stiro uniassiale del materiale orienta le catene di PVA e, di conseguenza, le molecole di I2 in esse disperse,tutte lungo una certa direzione (Figura 10) [4]. Come nello J-sheet, la luce polarizzata parallelamente alle catene di polimero e ai filari di molecole di iodio viene assorbita, mentre quella perpendicolare passa attraverso il materiale.
A B
Figura 10: (A) Rappresentazione schematica della disposizione relativa delle catene di PVA (C in grigio, O in rosso, H in bianco) e delle molecole di iodio (in viola) nel complesso molecolare PVA-I2 [4] che sta alla base dei filtri H-sheet sviluppati da Land. [1]. In (B) viene mostrata una possibile disposizione delle molecole di I2 (in viola) nel cristallo quando le catene di PVA (omesse per chiarezza) sono orientate tutte nella stessa direzione mediante stiro uniassiale [4].
Alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, per disidratazione del PVA, Land ottenne il cosiddetto K-sheet, un film polimerico costituito da catene di poliacetilene (polivinilene) (Figura 11) allineate mediante stiro uniassiale [1]. Questo materiale polarizzante ha riscosso grande successo commerciale in quanto le proprietà polarizzanti sono intrinseche nella matrice polimerica e non nella molecola dopante ed inoltre risulta essere particolarmente resistente all'umidità e al calore.
Figura 11: Formula molecolare di una catena di poliacetilene, –(C2H2)n–, il polimero di cui sono fatti i K-sheet Polaroid® [1].
1.2.1 Legge di Malus
La legge di Malus fu formulata da Entienne Louis Malus (1775-1812), un giovane tenente colonnello francese, a valle di una serie di esperimenti con lo spato d’Islanda che egli condusse per concorrere al premio che nel 1808 l’Accadèmie Royale des Sciences aveva bandito sulla teoria matematica della doppia rifrazione. Era allora noto che la luce che attraversava uno di tali cristalli acquisisse delle proprietà particolari, che potevano essere rivelate con un secondo cristallo. Osservando attraverso uno di questi cristalli la luce solare riflessa da una finestra, Malus trovò che la doppia rifrazione non era sempre presente, ma che appariva e scompariva al ruotare del cristallo, analogamente all’esperimento condotto con due cristalli. All’inizio considerò tale comportamento dovuto ad un fenomeno atmosferico, ma poi constatò lo stesso effetto con la luce di una candela riflessa da una superficie d’acqua intorno ad un angolo particolare di incidenza della verticale.
Malus concluse che queste proprietà potevano essere acquisite anche dalla semplice riflessione e nel gennaio del 1810 presentò la sua scoperta all’Accadèmie in una memoria dal titolo Thèorie de la double rèfraction de la lumière dans les substances cristallisèes, che fu premiata.
La legge di Malus che afferma che le intensità delle due componenti in cui si divide un fascio di luce polarizzato linearmente sono in proporzione con il quadrato del coseno dell’angolo tra la direzione di polarizzazione lineare originale e quella delle rispettive componenti. In particolare, se un fascio di luce già polarizzato linearmente attraversa un filtro polarizzatore l’intensità luminosa viene smorzata secondo la seguente legge:
=
dove è l'intensità in uscita dal filtro, è l'intensità in entrata, è l'angolo tra le due direzioni di polarizzazione in entrata e in uscita dal filtro (Figura 12).
Di conseguenza se l’angolo = 90°la luce viene completamente riflessa, se = 0°
attraversa totalmente il filtro.
Figura 12: Intensità della radiazione trasmessa attraverso due polarizzatori ideali secondo la legge di Malus in funzione dell’angolo θ.
Figura 13: Apparato per la verifica della legge di Malus: la luce polarizzata di intensità incide su un analizzatore A (un polarizzatore lineare) il cui asse forma
un angolo con quello della luce. L’intensità della radiazione al di là di A è data da: = .
Quanto illustrato è strettamente verificato nel caso di filtri polarizzatori ideali. Nel caso di polarizzatori fisici reali, e quindi no ideali, anche quando i film polarizzanti sono incrociati a 90° viene trasmessa parte della radiazione. È utile quindi determinare i valori dell'angolo θ per cui è stata registrata l'intensità massima e minima della radiazione trasmessa e calcolare il grado di polarizzazione secondo l’equazione:
= −
+
dove e sono i valori massimo e minino rispettivamente della radiazione luminosa trasmessa.
Capitolo 2
2.1 I polimeri
I polimeri sono una classe di sostanze organiche di grandissima importanza tecnologica. Le fibre tessili, le gomme, le materie plastiche e numerose sostanze organiche naturali, quali la cellulosa e le proteine, sono costituite da polimeri.
La molecola di un polimero è formata dal concatenamento di decine di migliaia di unità chimiche, dette unità ripetitive, che si originano in generale da molecole organiche semplici e reattive, dette monomeri (dal greco monos = unico, e meros = parte). Per tale motivo la molecola di un polimero è detta anche macromolecola (dal greco macros
= grande) e la chimica dei polimeri, chimica macromolecolare.
I nomi che vengono dati ai polimeri corrispondono molto spesso al nome della molecola organica da cui prendono origine, preceduta dal prefisso poli-. L'etilene, CH2=CH2, è per esempio un monomero, che dà luogo all'unità ripetitiva -CH2-CH2-.
Tale unità si dice bifunzionale, perché dispone di due valenze libere. Il polietilene è un polimero cui si può assegnare la costituzione:
R-CH2-CH2-CH2-CH2-CH2-CH2(-CH2-CH2-)x-R'
Dove x è dell'ordine di qualche migliaio ed R e R', agli estremi della molecola, sono due radicali monofunzionali, per esempio -C2H5 e H-.
La reazione di formazione di un polimero, a partire dal monomero, si dice reazione di polimerizzazione. Un polimero reale è formato da una miscela di molecole a lunghezza finita e diversa l’una dall’altra.
I polimeri si distinguono, per quanto riguarda la loro struttura, in lineari e reticolati;
per quanto riguarda la loro origine, in sintetici e naturali.
Ai polimeri lineari corrispondono sia unità monomeriche bifunzionali, ovvero molecole in grado di dare, a seguito della polimerizzazione due nuovi legami. Il
I polimeri reticolati sono costituiti da unità monomeriche almeno in parte trifunzionali o tetrafunzionali, cioè con tre o quattro valenze libere.
I polimeri possono essere o totalmente amorfi o parzialmente cristallini ma non possono mai essere completamente cristallini. I polimeri amorfi sono quelli incapaci di cristallizzare. È di interesse tecnologico l'osservazione che tutti i polimeri amorfi, e le parti amorfe dei polimeri cristallini, hanno una temperatura di transizione vetrosa (Tg).
Questa temperatura corrisponde al passaggio da uno stato in cui il polimero è plastico e flessibile (ad esempio, nel polivinilcloruro senza plastificanti, sopra gli 80 °C) ad uno stato in cui le macromolecole perdono la loro flessibilità dando luogo ad un prodotto rigido e fragile, che rassomiglia a un vetro.
2.1.1 Polimeri vinilici
I polimeri vinilici derivano da monomeri di formula generale:
CH2=CH-R
Il radicale CH2=CH-, che caratterizza tali monomeri si chiama radicale vinilico. I monomeri vinilici danno luogo all'unità ripetitiva:
Le macromolecole, che costituiscono i polimeri vinilici, risultano dal concatenamento di migliaia di unità del tipo suindicato.
Il tipo di polimerizzazione che dà luogo alle macromolecole di un polimero vinilico si dice polimerizzazione per addizione.
La reazione di polimerizzazione per addizione può essere iniziata in due modi diversi:
radicalico o ionico.
Il composto chimico (o la miscela di composti chimici) che, aggiunto in piccole quantità al monomero, è capace di iniziare una reazione di polimerizzazione si dice iniziatore o, dato che viene aggiunto in piccolissime quantità, catalizzatore di
CH2 CH R
polimerizzazione (impropriamente, perché non si trova invariato al termine della reazione).
Un iniziatore radicalico è un composto chimico, in cui è presente un legame, che si scinde facilmente dando luogo a due radicali, ad esempio, il legame -O-O- presente nei perossidi (H2O2 = ●OH + ●OH).
La reazione di polimerizzazione, una volta iniziata, procede a catena e avviene per accrescimento di un macro-anione:
sul quale si vengono addizionando l'una dopo l'altra le molecole del monomero, attraverso l'apertura del loro doppio legame.
Il tipo di iniziatore che viene usato nella pratica industriale o di laboratorio dipende in generale dal monomero che si intende polimerizzare. Le olefine, CH2=CH-R, dove R è un gruppo alchilico (per es. il propilene: CH2=CH-CH3), non possono essere polimerizzate facilmente con iniziatori radicalici. Viceversa, si preferisce ricorrere a iniziatori radicalici per la polimerizzazione dello stirene, CH2=CH-C6H5, e del cloruro di vinile, CH2=CH-Cl.
2.1.2 Il poli(vinil alcol), PVA
Un importante polimero vinilico è il poli(vinil alcol), la cui unità ripetitiva è mostrata di seguito:
Il poli(vinil alcol) è un polimero termoplastico, solubile in acqua e insolubile nei principali solventi organici. La sua elevata solubilità in acqua è dovuta all’alta concentrazione di gruppi ossidrilici presenti nella sua catena (si veda la figura prima
(CH3 CH2 CH2 CH2) CH R
CH2 CH R
CH2
-
CH2 CH OH n
alimentare, sia puro che in miscela con altri polimeri. È un polimero semicristallino (Figura 10) con un grado di cristallinità, tipicamente, pari circa al 50%. Tale polimero può essere facilmente fatto cristallizzare sotto forma di fibre orientate per stiro uniassiale condotto a temperature maggiori della sua Tg (≈80°C) o a temperatura ambiente in presenza di opportuni plasticizzanti (es. acqua) (Figura 14).
Figura 14: Rappresentazione schematica della struttura cristallina del PVA [5].
C= sfere grigie, O= sfere rosse. Gli idrogeni non sono mostrati per semplicità.
Figura 15: Immagine di diffrazione 2D di raggi X per un campione PVA orientato uniassialmente.
Il PVA fu ottenuto per la prima volta nel 1924 dal polivinilacetato mediante idrolisi in etanolo con idrossido di potassio [6, 7]:
che è un polimero di addizione del vinilacetato, CH2=CH-O-CO-CH3
Attualmente, il PVA viene ancora sintetizzato per idrolisi del polivinilacetato (l’alcool vinilico, CH2=CHOH, da cui potrebbe essere polimerizzato, è difatti un composto instabile che si trasforma spontaneamente in aldeide acetica)
2.2 I clatrati
I clatrati sono solidi cristallini costituiti da almeno due componenti in cui un componente principale denominato host, forma una struttura a gabbia in grado di ospitare una molecola di una seconda specie chimica, il guest[8].
In questi composti d’inclusione, le interazioni host-guest non sono di tipo coordinativo o covalente ma sono tipicamente interazioni intermolecolari come legami idrogeno, interazioni dipolari, forze di Van der Waals.
Sia host che guest possono essere sostanze polimeriche o di bassa massa molecolare.
In particolare, quando molecole di bassa massa molecolare sono ospitate all'interno di cavità generate da catene polimeriche, si parla di clatrati - o co-cristalli – polimerici (Figura 16); invece quando polimeri sono ospitati all’interno di strutture cristalline formate da host a basso peso molecolare si parla di complessi di inclusione; infine se i guest sono intrappolati in una struttura tipo-sandwich tra due strati di catene polimeriche ad impacchettamento compatto si parla di intercalati (Figura 17) [8].
CH2 CH
O CO CH3 n
Figura 16: Schema della possibile distribuzione dello spazio vuoto disponibile per le molecole ospiti nelle strutture clatrate: cavità separate (A) o canali (B).
Figura 17: Rappresentazione schematica della struttura di un intercalato: il cristallo consiste in un’alternanza di strati host e guest. All'interno di ogni strato, le molecole ospiti sono generalmente disposte a distanza di Van der Waals l'una dall'altra.
Nei clatrati polimerici il guest può essere confinato in cavità isolate o in canali formando dei composti cineticamente stabili. La rimozione del componente a basso peso molecolare genera solitamente riarrangiamenti delle catene polimeriche che danno luogo o ad una fase amorfa o ad una differente fase cristallina, di maggiore densità rispetto a quella dell’ipotetico cristallo che si formerebbe con il solo polimero organizzato come nel composto host-guest iniziale.
Numerosi polimeri (tra i quali il poli(metilmetacrilato) sindiotattico [s-PMMA], il polietilene ossido [PEO], il polistirene sindiotattico [s-PS]) accanto a forme polimorfe pure, se cristallizzati in opportune condizioni, sono in grado di dar luogo a co-cristalli
con molecole di basso peso molecolare (Figure 18 e 19): in tali composti l’host è costituito dal polimero, le cui catene si dispongono all’interno del reticolo cristallino in maniera tale da formare delle cavità in cui va a disporsi il guest (generalmente una specie chimica di basso peso molecolare) [8].
Figura 18: Rappresentazione schematica della struttura cristallina del complesso molecolare del polietilene ossido (PEO)/cloruro mercurico di tipo I: (A) proiezione lungo c, e (B) proiezione inclinata. Gli atomi di H sono omessi per chiarezza.
Figura 19: Illustrazione schematica dell'inclusione di molecole ospiti di fullerene C60 nella cavità intramolecolare generata all'interno dell'elica di poli(metil metacrilato) sindiotattico, s-PMMA.
Tali materiali co-cristallini possono essere ottenuti facilmente sotto forma di film, fibre, membrane porose, aerogel, etc. e per essi sono state proposte numerose applicazioni nel campo della sensoristica, della separazione molecolare, della realizzazione di materiali con proprietà ottiche, magnetiche o elettriche tecnologicamente rilevanti [8].
2.2.1 Clatrati del PVA
Anche il poli(vinil alcol) forma clatrati per immersione in soluzioni di opportune molecole[4]. E’ noto infatti che l'immersione di un film di PVA in una soluzione acquosa di KI e I2 permette di ottenere un complesso molecolare caratterizzato da un colore che va dal marrone scuro al blu intenso. Tale complesso è dotato di una elevata capacità di polarizzazione della luce e per tale motivo è alla base dei filtri Polaroid®
commerciali.
In letteratura sono stati descritti due diversi complessi PVA-iodio, denominati complesso I e II [4]. Tali complessi sono stati ottenuti per immersione di campioni di PVA stirati uniassialmente in soluzioni acquose KI/I2 a diverse concentrazioni: il complesso I si ottiene per concentrazioni di I2nell’intervallo 0.5-1 M mentre il complesso II si ottiene quando la concentrazione dello I2 è maggiore (1-3 M).
Da un punto di vista strutturale, il complesso II è caratterizzato da una cella monoclina con parametri a = 10.02 Å, b = 7.85 Å, c (asse di fibra) = 9.68 Å, γ = 91.0° in cui le catene di PVA in conformazione trans-planare e gli ioni guest sono impacchettati secondo il gruppo spazioleP21. In questa struttura, gli ioni ioduro e potassio sono inseriti a sandwich fra le catene di PVA (Figura 20).
Figura 20: Rappresentazione schematica della struttura cristallina del complesso II PVA/I2 [4]. C= sfere grigie, O= sfere rosse, I= sfere viola, K= sfere verdi.
Si noti che per le catene di PVA è stata assunta una configurazione sindiotattica. Gli idrogeni non sono mostrati.
Il complesso I invece è caratterizzato da una “supercella” elementare costituita da una distribuzione statisticamente casuale di domini con e senza l'occupazione da parte di I3- (e K+). Anche in questo caso il gruppo spaziale proposto è P21 ma i parametri di cella sono molto più grandi che nel complesso II: asuper = 13.5 Å, bsuper = 13.9 Å, csuper
(asse di fibra) = 19.36 Å, γsuper = 106.0° (Figura 21).
Figura 21: Rappresentazione schematica della struttura del complesso I del PVA con I2 [4]. Sulla sinistra viene mostrata la relazione fra cella elementare di dimensioni ridotte (a’sub, b’sub) e supercella (asuper, bsuper). Sulla destra è riportata la struttura secondo la supercella individuata. Le linee nere tratteggiate indicano i legami idrogeno fra le catene di PVA. C= sfere grigie, O= sfere rosse, I= sfere viola.
Si noti che per le catene di PVA è stata assunta una configurazione sindiotattica. Gli idrogeni e gli ioni potassio non sono mostrati.
Tali complessi sono caratterizzati da immagini di diffrazione di raggi X molto differenti fra loro (Figura 22), fatto che li rende facilmente individuabili [4].
Quando le catene di PVA vengono orientate lungo una data direzione, attraverso un processo di stiro uniassiale, anche le molecole di iodio si orientano parallelamente alle catene, ottenendo quindi un reticolo bidimensionale ordinato che, se attraversato dalla luce, funge da polarizzatore assorbendo le radiazioni nella direzione parallela a quella a cui sono orientate e facendone passare l’altra componente.
Figura 22: Immagini di diffrazione 2D, di raggi X (Mo Kα) misurati per i campioni PVA orientati uniassialmente e immersi in soluzioni KI/I2 a diversa concentrazione: A) complesso I, ottenuto per immersione in una soluzione 0.5 M di I2 per 48 h, B) complesso II, ottenuto per immersione in una soluzione 3 M di I2 per 48 h. In A) e B) l’asse di fibra è verticale. In C) sono mostrati invece i profili di intensità letti lungo le linee equatoriali delle immagini di diffrazione riportate in A) e B).
2.2.2 Obiettivi del lavoro di tesi.
Sulla base di quanto esposto, in questo lavoro di tesi abbiamo cercato di utilizzare la capacità del PVA di dare complessi molecolari al fine di ottenere nuovi materiali che potessero essere utilizzati come filtri polarizzatori. In particolare la nostra attenzione si è concentrata su molecole ospiti che, come lo iodio, contenessero un elevato numero di elettroni facilmente polarizzabili. Come descritto in dettaglio nel prossimo capitolo, la nostra scelta è caduta su un cromoforo organico, il 4’-metossi-4-idrossi-azobenzene, e alcuni metalli di transizione. In particolare, per quanto riguarda i metalli di transizione, per semplificare le procedure di co-cristallizzazione, abbiamo deciso di ottenere innanzitutto dei complessi molecolari con alcuni sali solubili in acqua di tali metalli per poi procedere alla riduzione della specie metallica direttamente in situ una volta ottenuto il co-cristallo.
Capitolo 3
3.1 Materiali e metodi
Il presente lavoro di tesi verte sulla realizzazione di filtri polarizzatori per la radiazione visibile basati su complessi molecolari del poli(vinil alcol) (PVA) con diverse molecole ospiti. In particolare sono stati utilizzati come molecole ospiti una molecola di dye, il cromoforo 4’-metossi-4-idrossi-azobenzene, e diversi sali di metalli di transizione (CuSO4·5H2O; FeSO4·7H2O; ZnSO4·7H2O). Vale la pena evidenziare che tali sali sono stati utilizzati per provare ad ottenere, in maniera relativamente semplice, dei co- cristalli contenti dei cationi metallici da ridurre poi a specie metalliche mediante l’uso di blandi riducenti organici (tale step sintetico non è stato effettuato dal momento che non siamo riusciti ad ottenere alcuna fase co-cristallina). Dopo essere stati caratterizzati strutturalmente per accertarsi della eventuale formazione del complesso molecolare mediante diffrazione di raggi X ad alto angolo (WAXD), i campioni sono stati sottoposti a misure di dicroismo per analizzarne la eventuale capacità polarizzatrice della luce.
° Poli (vinil alcol), PVA
Il materiale utilizzato è stato acquistato dalla Sigma-Aldrich, con grado di idrolisi 98/99% e massa molecolare media fra 85000 e 124000 Da. Esso si presenta in forma di granuli (pellet).
° Sintesi 4’-metossi-4-idrossi-azobenzene
Il cromoforo che abbiamo deciso di utilizzare nella preparazione dei co-cristalli con PVa è il 4’-metossi-4-idrossi-azobenzene (Figura 23).
Figura 23: Formula di struttura del 4’-metossi-4-idrossi-azobenzene
La sintesi di tale cromoforo è stata eseguita dal dott. Antonio Carella del Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università degli Studi di Napoli Federico II secondo la procedura sperimentale di seguito riportata. 20 grammi di p-metossianilina (0.162 mol) sono stati aggiunti in una beuta da 250 ml contenente una soluzione costituita da 40 ml di acido cloridrico concentrato (37% in peso) e 60 ml di acqua distillata. La soluzione così ottenuta viene posta in un bagno a ghiaccio sotto agitazione. Quindi, una soluzione acquosa di nitrito di sodio preparata sciogliendo 12.18 g di sale in 30 mL di acqua distillata, viene aggiunta goccia a goccia alla prima soluzione nell’arco di temo di 15 minuti. Durante l’aggiunta si presta attenzione che la temperatura non superi i 4 °C.
Terminata l’aggiunta, che porta alla formazione del sale di diazonio, si lascia in agitazione per ulteriori 30 minuti. A parte, si prepara una soluzione costituita da 15.2 grammi di fenolo (0.162 mol), 16.8 grammi di bicarbonato di sodio in 400 mL di acqua.
Anche questa soluzione viene posta in un bagno a ghiaccio e vi si aggiunge la soluzione di sale di diazonio precedentemente preparata. Si ottiene immediatamente la formazione di un precipitato bruno. Si lascia in agitazione per ulteriori 30 minuti e quindi si filtra a pressione ridotta. Il precipitato ottenuto viene lavato abbondantemente con acqua e successivamente ricristallizato da etanolo-acqua. Si recuperano, per filtrazione, 32.1 grammi (0.113 mol) di prodotto desiderato sotto forma di aghi di colore giallo bruno. La resa della reazione è pari al 70 %.
° Solfato di rame pentaidrato, CuSO4·5H2O
Il materiale utilizzato è stato acquistato dalla Sigma-Aldrich ed è stato utilizzato senza ulteriori purificazioni.
Il materiale utilizzato è stato acquistato dalla J. T. Baker Chemicals ed è stato utilizzato senza ulteriori purificazioni.
°Solfato di zinco eptaidrato, ZnSO4·7H2O
Il materiale utilizzato è stato acquistato dalla J. T. Baker Chemicals ed è stato utilizzato senza ulteriori purificazioni.
3.2 Tecniche di preparazione del film
I film a vari complessi molecolari a base di PVA sono stati preparati mediate diverse procedure sperimentali: solution casting, swelling ed esposizione a vapori.
La procedura di solution casting, prevede la realizzazione di film polimerici a partire da una soluzione omogenea del polimero in un opportuno solvente. L’allontanamento del solvente viene fatto avvenire per evaporazione e il film recuperato dal fondo del recipiente utilizzato. Lo spessore e l’omogeneità del film ottenuto dipendono da diversi parametri tra i quali la concentrazione della soluzione, la temperatura e la ventilazione.
La procedura di swelling prevede invece l’immersione di un film di polimero preformato in una soluzione per tempi differenti. È importante che in questo processo il film polimerico si rigonfi della soluzione ma non si dissolva in essa.
La procedura di esposizione a vapori prevede infine che un film di polimero già formato sia esposto per tempo variabili ai vapori saturi di una molecola di interesse.
3.2.1 Preparazione del film di PVA
Film di PVA sono stati ottenuti dissolvendo in acqua distillata PVA in granuli e lasciando poi evaporare il solvente. L’acqua, posta all’interno di un pallone in vetro munito di refrigerante a ricadere, viene portata ad ebollizione mediante immersione in un bagno ad olio termostatato a 110°C (Figura 24). Raggiunta la temperatura di 100°C si aggiungono gradualmente i granuli di PVA. La soluzione viene lasciata in agitazione magnetica per circa 1h, fin quando non sia ottenuta una soluzione limpida. La soluzione
viene rimossa dal bagno e versata in una piastra Petri (diametro 14 cm) e lasciata evaporare per circa 24h sotto cappa aspirante a temperatura ambiente (circa 20°C) (Figura 25). I migliori risultati in termini di spessore (circa 150 µm) e uniformità del film sono stati ottenuti per una soluzione acquosa di PVA all’1% in peso (PVA= 2,31g, H2O=150mL), (Figura 26)
Figura 24: L’immagine mostra la fase di preparazione del film di alcol poli vinilico su di una piastra con bagno ad olio termostatico con riflusso.
Figura 25: La soluzione di PVA in acqua appena versata nella capsula di Petri.
Figura 26: Film di PVA: trascorse 24/48 ore dalla preparazione della soluzione l’acqua si è quasi completamente allontanata e si ottiene un film di polimero omogeneo e trasparente.
3.3 Ottenimento dei campioni non orientati
• Preparazione del complesso molecolare PVA- 4’-metossi-4-idrossi- azobenzene (cromoforo)
Campioni preparati mediante esposizione a i vapori
Per prima cosa si preparando il film di PVA (come descritto nel paragrafo precedente 3.2.1). Si procede poi preparando delle strisce di campioni di PVA con lunghezza 7 cm, larghi 6 mm. Vengono pesati 0.0500 g di granuli del cromoforo in una provetta e vengono inserite all’interno anche i campioni di PVA, sigillando il tutto all’interno di un cristallizzatore e lasciando sotto cappa aspirante per tre giorni. Tale processo farà sì che l’ambiente interno alla provetta si saturi in modo che il materiale ospite si co- cristallizzare con il PVA.
Trascorsi i tre giorni, non sono stati rilevati evidenti segni di saturazione all’interno della provetta, quindi si è deciso di posizionare il cristallizzatore in una stufa alla temperatura di circa 50 °C per circa dieci giorni: dopo tale periodo si è notato che il
procedimento aveva saturato la provetta e, di conseguenza, anche i campioni al suo interno. (Figura 27)
Figura 27: Campioni di PVA non orientati con polvere del Cromoforo in essiccatore.
Campioni preparati mediante swelling
Questa tecnica ha lo scopo di far sì che la molecola ospite (host) sia assorbita dal polimero di PVA (guest), ottenendo un rigonfiamento dello stesso per assorbimento e, quindi, una struttura.
Come primo step, anche in questo caso, si precede preparando un film di PVA, così come descritto nel paragrafo precedente (3.2.1). Vengono ritagliati dei campioni di PVA con lunghezza 7 cm, larghi 6 mm. Viene preparata una soluzione a base di acetone e di 0.0500 g del cromoforo.
Ottenuta questa soluzione, si utilizza un essiccatore sul quale verranno posizionati i vetrini con il campione di PVA, bloccando il tutto tramite una pinza e versando su di esso la soluzione sopra descritta. Successivamente sigillando e lasciando sotto cappa aspirante per tredici giorni a temperatura ambiente.
Figura 28: La figura mostra il campione di PVA in soluzione di acetone e cromoforo.
– Nota: lo stesso essiccatore è stato utilizzato anche per le fibre di PVA orientate –
Campioni preparati mediante solution casting
Questo tipo di tecnica si differenzia sotto alcuni aspetti per via dei materiali utilizzati.
Una volta ottenuti i parametri del volume della piastra Petri, si prosegue misurando 130 mL di H2O distillata e 50 mL di Etanolo, pesando poi 2,0087 g di PVA in granuli e 0,0508 g del cromoforo.
Viene utilizzando un bagno di olio termostatico posizionato su di una piastra
riscaldante, raggiungendo la temperatura di 90 °C con agitazione magnetica. Dei due solventi in questione, acqua distillata (130 mL) ed etanolo (50 mL), saranno
conservati 15 mL di etanolo, da utilizzare per sciogliere il cromoforo, poiché presenta insolubilità in acqua. I due fluidi saranno versati all’interno di un pallone in vetro munito di refrigerante a riflusso (che farà sì che la quantità di acqua resti costante impedendone l’evaporazione). Raggiunta la temperatura di 90 °C, ai due solventi ben miscelati tra loro verrà aggiunto gradualmente i pellet di PVA. La soluzione è lasciata in agitazione magnetica per circa un’ora, fin quando con si sarà ottenuta una
soluzione limpida ed omogenea. Trascorso questo tempo viene versato all’interno del pallone la soluzione a base di cromoforo ed etanolo ben disciolta in quest’ultimo, il
tutto lasciato in agitazione magnetica e a riflusso per altri 30 minuti.
Terminato il processo, la soluzione è rimossa dal bagno, versata in una piastra Petri (diametro 14 cm) e lasciata evaporare per circa quarantotto ore sotto cappa aspirante alla temperatura ambiente di circa 20 °C (Figure 29 e 30). Il film ottenuto è stato utilizzato per altri tipi di prove.
Figura 29: La figura mostra la soluzione di PVA-DYE appena versata nella capsula di Petri.
Figura 30: Film di PVA-DYE: trascorse 24/48 ore dalla preparazione della
soluzione l’acqua e l’etanolo si sono completamente allontanati e si ottiene un film omogeneo.
• Preparazione del complesso molecolare PVA- ZnSO4
Campioni preparati mediante swelling
Come prima cosa si precede preparando un film di PVA, così come descritto nel paragrafo precedente (3.2.1). Successivamente sono ritagliate delle strisce di PVA di lunghezza 7 cm e larghi 5mm.
Il campione viene posizionato tra due vetrini e bloccato con una pinza per fissare il tutto. Si prosegue preparando una soluzione a base di acqua distillata e solfato di zinco:
in un becher si misurano 10 mL di H20 distillata, ai quali si aggiungono successivamente 2,8770 g di ZnSO4 da miscelarsi sotto agitazione magnetica, fino ad ottenere un fluido omogeneo. Una volta ottenuta questa soluzione saranno posizionati al suo interno i campioni, mettendo tutto in un essiccatore lasciato sotto cappa aspirante per tredici giorni a temperatura ambiente. (Figure 31 a, b)
a b
Figure 31: L’immagine (a) mostra la fase di essiccazione per far avvenire il processo di swelling. Mentre l’immagine (b) mostra il campione dopo il periodo del
trattamento - Nota bene all’interno dei vetrini sono contenuti sia una fibra orientata che una non orientata per swelling di solfato di zinco -
Campioni preparati mediante solution casting
Numerose prove sono state effettuate con diverse concentrazioni di acqua, PVA e solfato di zinco prima di poter determinare quale fosse la migliore nella realizzazione di un film liscio e omogeneo. Una volta determinate le proporzioni si procede alla preparazione del film. Si procede misurando 35 mL di H2O distillata e pesando 0,5032 g di PVA in granuli e 0,0297 g di solfato di zinco.
Utilizzando un bagno di olio termostatico posizionato su di una piastra riscaldante si porta lo stesso ad una temperatura di 90 °C con agitazione magnetica. Del solvente in questione, cioè l’acqua distillata pari (35 mL), se ne conserveranno 5 mL da
utilizzarsi per sciogliere il solfato di zinco tramite agitazione magnetica, in modo da ottenere un composto ben miscelato. Si continua versando l’acqua all’interno di un pallone in vetro munito di refrigerante a riflusso (che fa sì che la quantità di acqua resti costante impedendone l’evaporazione), raggiunta la temperatura di 90 °C sarà aggiunto gradualmente il pellet di PVA. La soluzione è lasciata in agitazione magnetica per circa un’ora, fino a che non risulterà una soluzione limpida ed omogenea. Trascorso tale tempo, viene versato all’interno del pallone la soluzione premiscelata di solfato in acqua, il tutto lasciato in agitazione magnetica e a riflusso per altri trenta minuti.
Terminato il processo di miscelazione, la soluzione è rimossa dal bagno, versata in una piastra Petri (9 cm) e lasciata evaporare per circa quarantotto ore sotto cappa aspirante alla temperatura ambiente di circa 20 °C (Figura 32 e 33).
Figura 32: L’immagine mostra la soluzione di PVA- ZnSO4 appena versata nella capsula di Petri.
Figura 33: Film di PVA- ZnSO4 trascorse 24/48 ore dalla preparazione della soluzione l’acqua si è quasi completamente allontanata e si ottiene un film di polimero omogeneo e abbastanza trasparente.
• Preparazione del complesso molecolare PVA- FeSO4
Campioni preparati mediante swelling
Anche in questo caso come prima cosa si precede preparando un film di PVA, così come descritto nel paragrafo (3.2.1). Successivamente sono ritagliate delle strisce di PVA di lunghezza 7 cm e larghi 5mm.
Il campione viene posizionato tra due vetrini e bloccato con una pinza a fissare il tutto. Si prepara una soluzione a base di acqua distillata e solfato di ferro. In un
becher si misurano 10 mL di H20 distillata a i quali si aggiungono 2,7822 g di CuSO4
da miscelarsi sotto agitazione magnetica fino ad ottenere una miscela omogenea.
Ottenuta questa soluzione il campione verrà posizionato all’interno del becher, mettendolo tutto in un essiccatore e lasciando sotto cappa aspirante per tredici giorni a temperatura ambiente. (Figure 34 a, b)
a b
Figure 34: L’immagine (a) mostra la fase di essiccazione per poter far avvenire il processo di swelling. Mentre l’immagine (b) mostra il campione trascorso il periodo del trattamento – Nota: all’interno dei vetrini sono contenuti sia una fibra orientata che una non orientata per swelling di solfato di ferro -
Campioni preparati mediante solution casting
Anche in questo caso, numerose prove sono state testate a diverse concentrazioni di acqua, PVA e solfato di ferro prima di poter determinare quella ideale. Una volta determinate le proporzioni si procede alla preparazione. Si ricava il valore del volume della piastra (la relazione del paragrafo 3.2.1), si procede misurando 35 mL di H2O distillata e si pesano 0,5096 g di PVA in granuli e 0,0253 g di solfato di ferro. Il criterio di preparazione di questo casting è lo stesso utilizzato per il casting del PVA- CuSO4. Successivamente si prepara un bagno di olio termostatico posizionato su di una piastra riscaldante e lo si porta ad una temperatura di 90 °C con agitazione magnetica. Del solvente in questione, cioè l’acqua distillata, pari a 35 mL se ne conserveranno 5 mL da utilizzarsi per sciogliere il solfato di ferro tramite agitazione magnetica, da ottenere una miscela uniforme. Si versa l’acqua all’interno di un pallone in vetro munito di refrigerante a riflusso (affinché la quantità di acqua resti costante impedendone l’evaporazione). Raggiunta la temperatura di 90 °C, verrà aggiunto gradualmente il pellet di PVA. La soluzione è lasciata in agitazione magnetica per circa un’ora, in modo da far sciogliere nel solvente, in maniera ottimale, tutto il polimero polivinilico. Trascorso questo tempo viene versato
all’interno del pallone la soluzione premiscelata di solfato e acqua, si lascia tutto in agitazione magnetica e a riflusso per altri trenta minuti.
Terminato il processo di miscelazione, la soluzione è rimossa dal bagno, versata in una piastra Petri (diametro 9 cm) e lasciata evaporare per circa quarantotto ore sotto cappa aspirante alla temperatura ambiente di circa 20 °C (Figure 35 e 36).
Figura 35: L’immagine mostra la soluzione di PVA- FeSO4 appena versata nella capsula di Petri.
Figura 36: Film di PVA- FeSO4 trascorse 24/48 ore dalla preparazione della soluzione l’acqua si è quasi completamente allontanata e si ottiene un film di polimero omogeneo e abbastanza trasparente.
• Preparazione del complesso molecolare PVA- CuSO4
Campioni preparati mediante swelling
Partendo dal film di PVA già prodotto (descritto nel paragrafo 3.2.1), vengono ritagliando delle strisce di PVA di lunghezza 7 cm e larghi 5mm. Questa volta la
di CuSO4 da miscelarsi sotto agitazione magnetica, fino ad ottenere una miscela omogenea. Ottenuta questa soluzione, saranno posizionati i vetrini con il campione suo interno inserendo il tutto in un essiccatore e lasciando il tutto sotto cappa
aspirante per tredici giorni a temperatura ambiente. (Figure 37 a, b)
a b
Figure 37: L’immagine (a) mostra la fase di essiccazione per poter far avvenire il processo di swelling. Mentre l’immagine (b) mostra il campione trascorso il periodo del trattamento – Nota: all’interno dei vetrini sono contenuti sia una fibra orientata che una non orientata per swelling di solfato di rame –
Campioni preparati mediante solution casting
La procedura sperimentale utilizzata per produrre questo film è la medesima utilizzata per produrre i film di PVA- ZnSO4 e PVA- FeSO4
Si ricava il valore del volume della piastra, si procede misurando 35 mL di H2O distillata e pesando 0,5032 g di PVA in granuli e 0,0265 g di solfato di rame.
Si prepara un bagno di olio termostatico posizionato su di una piastra riscaldante e portato il bagno ad una temperatura di 90 °C con agitazione magnetica. Anche in questo caso si terranno da parte 5 mL di acqua da utilizzarsi per sciogliere il solfato di rame.
Si andranno a versare 30 mL di acqua all’interno di un pallone in vetro munito di refrigerante a reflusso, portandolo alla temperatura di 90 °C. Raggiunta la
temperatura saranno aggiunti gradualmente i pellet di PVA. La soluzione è lasciata in agitazione magnetica per circa un’ora, in modo che tutto il polimero polivinilico sia bene sciolto nel solvente. Trascorso questo tempo sarà versato all’interno del pallone anche la soluzione premiscelata di solfato e acqua, il tutto lascato in agitazione
magnetica e a riflusso per altri trenta minuti.
Terminato il processo di miscelazione, la soluzione è rimossa dal bagno e versata in una piastra Petri (diametro 9 cm) e lasciata evaporare per circa quarantotto ore sotto cappa aspirante alla temperatura ambiente di circa 20 °C (Figure 38 e 39).
Figura 38: L’immagine mostra la soluzione di PVA- CuSO4 appena versata nella capsula di Petri.
Figura 39: Film di PVA- CuSO4 trascorse 24/48 ore dalla preparazione della soluzione l’acqua si è quasi completamente allontanata e si ottiene un film di polimero omogeneo e abbastanza trasparente.
3.4 Ottenimento dei campioni orientati
• Preparazione di campioni di PVA orientati mediante stiro uniassiale.
Come descritto nel precedente capitolo, per poter costituire un reticolo polarizzatore, le molecole di ospite intrappolate fra le “maglie” costituite dalle catene di PVA devono essere orientate parallelamente fra loro. A tal fine si può procedere all’ottenimento di campioni orientati di clatrato a partire da fibre di PVA.
Fibre di PVA possono essere ottenute mediante uno “stiro a caldo” che prevede che il PVA sia portato ad una temperatura compresa tra la temperatura di transizione
vetrosa (≈80°C) e la temperatura di fusione del polimero(≈200°C), appoggiandolo su di una piastra riscaldante ricoperta con un foglio di alluminio e stirandolo
meccanicamente con l’ausilio di due pinzette metalliche.
Per ottenere dei campioni utili è stato necessario tagliare i film di PVA descritti nel precedente paragrafo in provini rettangolari di lunghezza variabile da 4-5 cm e con
larghezza di circa 1,2 cm, in modo da poterli stirare agevolmente, evitando la rottura degli stessi. (Figura 40)
Tale procedura ci ha permesso di ottenere fibre con rapporti di stiro pari al 300%
(3=λ) e al 600% (6=λ).
Figura 40: Campione di PVA sottoposto a stiro uniassiale a cado.
• Preparazione del complesso molecolare PVA- 4’-metossi-4-idrossi- azobenzene (cromoforo)
Campioni preparati mediante esposizione a i vapori.
In questo caso sono state utilizzate delle fibre di PVA orientate, ottenute come descritto nel paragrafo precedente. I campioni usati presentano percentuale di stiro pari al 400%
(λ=4), con lunghezza pari a 7 cm, larghi 5 mm.
Si procede pesando 0.0500 g di granuli del cromoforo in una provetta e inserendo all’interno anche le fibre di PVA, sigillando il tutto all’interno di un cristallizzatore e lasciando in una stufa alla temperatura di circa 50 °C per circa dieci giorni. Trascorso tale periodo si è notato che il cromoforo aveva ben saturato la provetta e quindi anche le fibre al suo interno. (Figura 41)
Figura 41: Fibre di PVA orientati al 400% (λ=4) con polvere di cromoforo in essiccatore.
Campioni preparati mediante esposizione ai vapori e ricottura.
In questa specifica tecnica è stato utilizzato il film di PVA-4’-metossi-4-idrossi- azobenzene ottenuto per casting (descritto nel paragrafo precedente) e sottoposto successivamente a stiro a caldo uniassiale pari al 400% (λ=4). Tale procedura di ricottura dovrebbe favorire la ricristallizzazione del film in modo che il cromoforo vada a generare un nuovo complesso molecolare con il PVA. I tentativi sono stati due:
PVA-DYE per esposizione ai vapori.
Sono state preparate delle strisce di campioni di film orientate di lunghezza 7 cm, larghe 5 mm. Viene pesato 0.0500 g del cromoforo, posto all’interno di una provetta, al quale verranno aggiunte anche fibre di film, sigillando il tutto all’interno di un cristallizzatore e lasciando in una stufa alla temperatura di 50 °C per circa cinque giorni. (Figura 42)
Figura 42: Fibre di PVA-DYE orientate al 400% (λ=4) con polvere di cromoforo posizionate in essiccatore.
PVA-DYE per ricottura standard.
Analogamente a quanto fatto precedentemente, sono preparate delle strisce di
campioni di film orientati di lunghezza 7 cm, larghi 5 mm. Questi campioni vengono posizionati tra due vetrini, bloccati con una pinza in modo da fissare il tutto, e lasciati in una stufa alla temperatura di 50 °C per circa cinque giorni. (Figura 43).
Figura 43: Fibre di PVA-cromoforo orientate al 400% (λ=4) e messe in stufa per ricottura.
Campioni preparati mediante swelling
Come primo step si precede preparando un film di PVA, (così come descritto nel paragrafo precedente 3.2.1). Verranno ritagliate delle strisce di film e sottoposte a stiro a caldo uniassiale. Le fibre ottenute avranno una percentuale di stiro pari al 400% (λ=4). Questi campioni sono posizionati tra due vetrini e bloccati con una pinza in modo da fissare il tutto. Successivamente si preparano due soluzioni diverse a base di acetone, acqua distillata e il cromoforo.
1° soluzione - 75% di H2O (45 mL), 25% di Acetone (15 mL) e 0.0500 g di cromoforo.
2° soluzione - 75% di Acetone (45 mL), 25% H2O (15 mL) e 0.0500 g di cromoforo.
Ottenute queste soluzioni, si utilizzano due essiccatori sui quali verranno posizionati i vetrini con fibre di PVA, versando su di essi le rispettive soluzioni sopra descritte, sigillando il tutto e lasciando sotto cappa aspirante per tredici giorni a temperatura ambiente. (Figura 44 e 45)
44 45
Figure 44 e 45: Le figure mostrano gli essiccatori al cui interno sono stati posizionati i campioni di fibre orientati 400% (λ=4) con le due diverse soluzioni per far avvenire il processo di swelling del cromoforo 4’-metossi-4-idrossi-azobenzene.
Un terzo caso per swelling viene preparato con una soluzione a concentrazione diversa.
3° soluzione – Acetone (100 mL) e 0.0500 g di cromoforo.
In questo caso le fibre di PVA scelte hanno percentuale di stiro pari al 400% (λ=4), larga 3 mm e lunga 6 cm.
Il campione, così come nei casi precedenti è inserivo tra due vetrini e fissati con una pinza. Successivamente viene posizionato in un essiccatore con la soluzione sopra descritta e, Sigillato il tutto, viene lasciato sotto cappa aspirante per circa tredici giorni (Figura 28).
• Preparazione del complesso molecolare PVA- ZnSO4
Campioni preparati mediante swelling
Come primo step si precede preparando un film di PVA, così come descritto nel paragrafo precedente (3.2.1). Successivamente sono ritagliate delle strisce di PVA e sottoposte a stiro a caldo uniassiale con percentuale di stiro pari 400% (λ=4) di lunghezza 7 cm e larghi 5mm.
La fibra ottenuta viene posizionata tra due vetrini, bloccati con una pinza in modo da fissare il tutto. Si prosegue preparando una soluzione a base di acqua distillata e solfato di zinco: in un becher si misurano 10 mL di H20 distillata, ai quali si aggiungono successivamente 2,8770 g di CuSO4 da miscelarsi sotto agitazione
magnetica, fino ad ottenere un fluido omogeneo. Una volta ottenuta questa soluzione, all’interno del becher viene posizionata la fibra e inserita il tutto in un essiccatore.
Lasciando sotto cappa aspirante per tredici giorni a temperatura ambiente. (Figure 31 a, b)
• Preparazione del complesso molecolare PVA- FeSO4
Campioni preparati mediante swelling
Sì precede preparando un film di PVA (descritto nel paragrafo 3.2.1), vengono ritagliate delle strisce di PVA e sottoposte a stiro a caldo uniassiale con percentuale di stiro pari 400% (λ=4) di lunghezza 7 cm e larghe 5mm. Il campione di fibra
ottenuto viene posizionato tra due vetrini e bloccato con una pinza fissando il tutto. Si prepara una soluzione a base di acqua distillata e solfato di ferro: in un becher si misurano 10 mL di H20 distillata, aggiungendo successivamente 2,7822 g di CuSO4
da miscelarsi sotto agitazione magnetica fino ad ottenere una miscela omogenea.
Ottenuta questa soluzione, posizioneremo i campioni al suo interno mettendoli in un essiccatore, lasciando il tutto sotto cappa aspirante per tredici giorni a temperatura ambiente. (Figura 34 a, b)
• Preparazione del complesso molecolare PVA- CuSO4
Campioni preparati mediante swelling
Partendo dal film di PVA già prodotto (descritto nel paragrafo 3.2.1), vengono ritagliate delle strisce di PVA e sottoposte a stiro a caldo uniassiale con percentuale di stiro pari 400% (λ=4) di lunghezza 7 cm e larghi 5mm.
La fibra ottenuta viene posizionata tra due vetrini e bloccata con una pinza.
Questa volta la soluzione sarà a base di acqua distillata e solfato di rame. In un becher saranno misurati 10 mL di H20 distillata, aggiungendo successivamente 2,5060 g di CuSO4 da miscelarsi sotto agitazione magnetica, fino ad ottenere un composto omogeneo. Ottenuta questa soluzione, viene posizionata la fibra di PVA al suo interno, mettendo il tutto in un essiccatore e lasciando sotto cappa aspirante per tredici giorni a temperatura ambiente. (Figura 37 a, b)
3.5 Tecniche di caratterizzazione
I materiali di partenza e i film prodotti sono stati sottoposti a caratterizzazioni chimico- fisiche, al fine di monitorare la procedura di realizzazione degli stessi e per studiarne le proprietà ottiche e di polarizzazione
• Diffrazione a i raggi X
In fisica i raggi X sono quella porzione di spettro elettromagnetico con lunghezza d’onda compresa, approssimativamente, tra i 10 nanometri e 1 picometro. Nei nostri esperimenti abbiamo utilizzato la radiazione Cu Kα (λ= 0.15418 nm) e Mo Kα (λ=0.071073 nm). I profili di diffrazione dei raggi X di campioni non orientati sono stati registrati mediante un diffrattometro per polveri Panalytical Empyrean utilizzando la radiazione Kα del Cu filtrata con Ni. I profili sono stati registrati mediante una scansione continua dell'angolo di diffrazione 2θ nell’intervallo 5-40° ad una velocità di 0,02° (2θ)/s (∆2θ=0,1° e ∆t=5s). (Figura 46 e 47)
Figura 46 e 47: Le due figure mostrano un diffrattometro per polveri Panalytical Empyrean che utilizza la radiazione Kα del Cu filtrata con Ni.
Le immagini di diffrazione dei raggi X dei campioni orientati sono state invece ottenute utilizzando la radiazione MoKα con un diffrattometro quattro cerchi della Bruker Nonius equipaggiato con area detector CCD piatto. Ciascuna immagine è stata acquisita per 180 s. La fibra viene posizionata su di una testina goniometrica e correttamente posizionata sullo strumento tramite l’ausilio di una telecamera in modo che il campione durante la sua rotazione resti sempre ben allineato “bagnato” dalla radiazione (figure 48 e 49). Per poter verificare il cambiamento strutturale del film ottenuto sarà necessario confrontare l’immagine di diffrazione del campione con quella di un campione di PVA tal quale.
Figure 48 e 49: Le due immagini mostrano un diffrattometro quattro cerchi della Bruker Nonius equipaggiato con area detector CCD piatto.
● Studio del dicroismo e polarizzazione
Il dicroismo in ottica è un fenomeno per il quale i cristalli birifrangenti monoassici, attraversati da un fascio di luce bianca, presentano per trasparenza due colorazioni
di riflettere una determinata componente cromatica dello spettro di un fascio luminoso, lasciando passare le altre; filtri di questo tipo sono impiegati nella fotografia e nella televisione a colori al fine di scomporre successivamente le immagini nei colori fondamentali (rosso, verde e blu) che le costituiscono.
Le misure sono state eseguite tramite l’ausilio di sistema ottico costituito da un laser rosso (λ=635 nm), un filtro polarizzatore, un cavaliere ottico sul quale viene posizionato il campione di film da esaminare, due lenti convergenti (per ridurre il cammino ottico) e uno schermo rilevatore collegato ad un amperometro (per misurare l’intensità della corrente, impostato su milliampere (mA). (Figura 50)
Figura 50: L’immagine mostra il sistema ottico utilizzato per rilevare le misure di dicroismo dei campioni prodotti.
Il raggio laser viene polarizzato dal primo filtro polaroid. Questo incide quindi sul campione che, come detto in precedenza, è posizionato su un cavaliere accessoriato con una ghiera graduata movibile. Al variare dell’angolo θ (e cioè dell’angolo diedro formato dai piani di polarizzazione del filtro polaroid e quello del campione da
esaminare, che in prima approssimazione dovrebbe coincidere con la direzione in cui è stato stirato uniassialmente il campione di film) è stata quindi registrata l’intensità della radiazione trasmessa mediante un amperometro (Figura 51).
Figura 51: La figura mostra il cavaliere di sostegno utilizzato per posizionare i campioni da esaminare. Questo possiede una ghiera che consente di modificare costantemente l’angolo d’incidenza della radiazione laser.
Le misurazioni sono state effettuate in condizioni di scarsa luminosità ambientale per ridurre il rumore di fondo. Da un punto di vista operativo si procede ruotando il film tramite una ghiera e, leggendo sull’amperometro, si è trovato il massimo valore del passaggio di corrente che corrisponde alla situazione in cui il piano di polarizzazione dei due film coincide. Procedendo per step si ruota di 10° in 10 °, riportando su di una tabella i valori dell’angolo di rotazione del film rispetto al valore dell’intensità della corrente relativa, ottenendo così un valore massimo e minimo.