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Il giudice dovrebbe sempre esaminare criticamente le conclusioni del ctu

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Academic year: 2022

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Il giudice dovrebbe sempre esaminare criticamente le conclusioni del ctu

Avv. Anna Zaccaria*

Vorrei parlare del rapporto tra medico legale e giudice nell’attività di valutazione delle micropermanenti, prendendo spunto dalle ultime Tabelle del Tribunale di Milano, le quali hanno cercato di indicare dei punti fermi, oltre che per i criteri di quantificazione del danno, anche per quanto riguarda il modo di operare del C.T.U. e del giudice.

E’ indubbio che, in seguito al riconoscimento del danno biologico quale categoria di danno autonomamente risarcibile rispetto ai danni morali e a quelli patrimoniali, e quindi con il superamento del trasferimento alla capacità reddituale del soggetto e con la sua sostituzione con la nozione di lesione dell’integrità psicofisica, il medico legale ha assunto un ruolo molto importante.

Infatti, in precedenza era usuale da parte dei giudici ricorrere, per la liquidazione delle micropermanenti, al criterio “dell’abbattimento equitativo del calcolo tabellare”, nel senso che veniva operato un abbattimento dello scarto tra vita fisica e vita lavorativa, per questo l’entità della somma corrisposta a titolo di riconoscimento prendeva come parametro di base la capacità reddituale del soggetto, e costituiva quindi una reintegrazione della riduzione della sua capacità lavorativa. In tale prospettiva si riteneva che una lesione di modesta entità rivestisse un’incidenza assai scarsa sulla capacità lavorativa e reddituale del soggetto leso.

Tale indebita riduzione del risarcimento delle lesioni lievi veniva operato allo scopo di riservare un risarcimento più adeguato esclusivamente alle lesioni gravi, in quanto si riteneva che solo queste potessero avere un’incidenza effettiva sulla capacità lavorativa del soggetto leso.

Oggi, invece, con il riconoscimento della risarcibilità del danno biologico indipendentemente dalla capacità reddituale del soggetto leso, l’abbattimento delle microinvalidità non ha più senso, in quanto la giurisprudenza ha ormai unanimamente fatto rientrare il danno da micropermanente nel danno biologico. Da ultima, Cass. 20.01.1997 n. 535 (in Foro it., 1997, p. 3645), ha affermato che

“i postumi permanenti di modesta entità (cosiddette micropermanenti) non si traducono, di norma, in una proporzionale diminuzione della capacità lavorativa specifica, ma incidono esclusivamente sulle condizioni psicofisiche del soggetto e vanno pertanto risarciti a titolo di danno biologico comprensivo e come tale, della capacità lavorativa generica”.

Quindi il danno biologico costituisce il “danno base” e comprende, oltre al danno alla vita di relazione, al danno estetico, al danno nella sfera sessuale, anche tutte le micropermanenti non incidenti sulla capacità reddituale, nonché il danno da riduzione della capacità lavorativa generica (Trib. Milano, 25.01.1990, in foro it., Resp. 1990, voce Danni civili, n. 118).

E’ evidente che si è avuto il superamento della nozione di capacità lavorativa e la sua sostituzione con quella dell’integrità psicofisica.

In questa prospettiva, è molto importante, che vicino al ruolo del giudice ci sia quello del medico legale, in quanto è a questi che compete di identificare la lesione dell'integrità psicofisica subita dal soggetto, di accertare l'esistenza del nesso causale con il fatto illecito, di determinare la durata della malattia e l’eventuale incidenza dei postumi permanenti, e di tradurla, in conformità a parametri fissi, in un punteggio percentuale che sarà poi riportato nella perizia medico legale.

Solo in un momento successivo, sulla base della valutazione del medico, interverrà il giudice, il quale dovrà procedere ad una seconda e diversa valutazione sulla base della perizia medico legale e del materiale probatorio allegato dalle parti, ai fini di liquidare il danno: egli dovrà individuare in concreto le modificazioni peggiorative che la menomazione dell’integrità psicofisica ha determinato nel soggetto leso, al fine di determinare un risarcimento quanto più possibile rispondente al danno realmente subito.

* Assistente di Diritto delle Assicurazioni presso la Facoltà di Giurisprudenza di Bari.

Collana Medico Giuridica DE MINIMIS CURAT PRAETOR

ed. Acomep, 1999

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Pertanto, per procedere ad un equo ed apprezzabile risarcimento dei danni alla persona, che assicuri la tutela del diritto del leso, è necessaria un’opera di collaborazione tra magistrato e medico legale, i quali dovrebbero procedere alle loro rispettive valutazioni sulla base di criteri obiettivi e più o meno uniformi.

Purtroppo, nella prassi, tanto le decisioni dei giudici, che le perizie dei medici legali si sono rivelate troppo spesso prive di obiettività e di equità, tant’è vero che si è instaurata una situazione che potremmo definire “di comodo”, quella di riconoscere a tutti, di fronte all’elevato numero di richieste di risarcimento dei danni fisici derivanti da infortunio delle microliquidazioni, determinando così, da una parte, un intuitivo pregiudizio per coloro, in realtà non molti, che sono effettivamente portatori di un danno più consistente, e dall’altra un indebito e ingiustificato arricchimento di coloro che non hanno subito alcun danno, o almeno non hanno riportato postumi permanenti. Si è detto, che “un 2% di danno biologico non si nega a nessuno”.

All’origine di ciò, a mio parere, c’è la superficialità tanto dell’attività del medico legale, che di quella del giudice.

Il primo, infatti, spesso predispone delle relazioni peritali e incomplete.

A volte, dopo una prima diagnosi iniziale, nel momento in cui deve determinare i postumi e loro entità si attiene alla sintomatologia lamentata dal soggetto leso, senza approfondire le indagini cliniche, soprattutto in quelle patologie nelle quali è difficile fornire una prova concreta. Possiamo fare a questo proposito l’esempio della distorsione del rachide cervicale (cosiddetto “colpo di frusta”), che, secondo le statistiche, determina postumi permanenti addirittura nel 25% dei casi.

Infatti, per accertare le conseguenze di questo tipo di lesione, occorrerebbero indagini molto sofisticate, strumentali e/o specialistiche (TAC-RMN esame otovestibolare completo) che, di solito, non vengono eseguite a causa dei tempi di esecuzione troppo lunghi e per i costi eccessivi.

Di conseguenza, in questi casi, viene quasi sempre riconosciuta l’esistenza di postumi permanenti, seppur lievi, senza alcuna valutazione obiettiva.

Inoltre il medico legale non sempre indica il criterio di percentualizzazione adottato nella relazione peritale, né fornisce adeguate motivazioni alle sue conclusioni; addirittura, in alcuni casi, non ricomprende l’incapacità lavorativa generica nel danno biologico, ma ancora in quello patrimoniale.

Senza poi considerare, che sovente si chiede la valutazione medico legale in tempi troppo precoci, con conseguenti giudizi non corrispondenti alla realtà.

Il giudice, dal canto suo, di fronte ad una relazione peritale lacunosa ed oscura, invece di procedere ad un suo esame critico, si limita a rilevare soltanto la percentuale di invalidità stabilita dal C.T.U., allo scopo di liquidare i danni sulla base della tabella in uso presso il proprio ufficio giudiziario. Ma la valutazione del giudice rimane, in questo modo, incompleta, in quanto egli pone a base di essa esclusivamente la prova del danno fornita dal medico legale, cioè il mero accertamento della menomazione psicofisica, e non va invece alla ricerca della prova dell’incidenza concreta della menomazione sulla vita del soggetto.

Così operando, il giudice liquiderà il danno biologico solo nel suo aspetto statico, e non anche in quello dinamico.

E’ estremamente arduo, allo stato attuale, porre dei correttivi a questa situazione che potremmo definire “immorale e patologica”, poiché essa si è ormai radicata nella prassi nel corso degli anni.

Tutt’al più, in questa sede, si potrebbero dare alcuni suggerimenti per scoraggiare tali atteggiamenti speculativi e pretestuosi.

Per quanto riguarda l’attività del medico legale, ritengo che sia necessario un maggior rigore di questa, nel senso che il medico dovrebbe compiere approfondimenti diagnostici più numerosi e meno superficiali.

Inoltre egli dovrebbe indicare nella perizia i criteri di percentualizzazione adottati, eventualmente distaccandosi, se necessario, da quelli formulati ad uso del campo assicurativo, e cercando di ricondurre nelle giuste proporzioni le lesioni fisiche di modesta entità, e non di limitarsi ad utilizzare come base della propria diagnosi quanto dichiarato dal periziato.

Collana Medico Giuridica DE MINIMIS CURAT PRAETOR

ed. Acomep, 1999

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Infine, di fronte a richieste di diagnosi e accertamenti troppo precoci, dovrebbe limitarsi a valutare l’inabilità temporanea, eventualmente formulando un giudizio prognostico sulla presumibile durata della stessa. Occorrerebbe, poi, attendere almeno sei mesi o addirittura un anno dall’evento, prima di poter effettuare un'esatta valutazione definitiva.

Del resto l’esigenza di una valutazione medico legale più obiettiva è stata anche sentita dai giudici del Tribunale di Milano, i quali, hanno confermato per l’anno 1998 la tabella del 1996, anche per quanto riguarda la liquidazione delle micropermanenti, ma hanno deciso di richiamare l’attenzione del C.T.U. sulla necessità di accertare in concreto le microinvalidità, introducendo un elemento di novità: indicando uno schema di quesito che il giudice dovrebbe sottoporre al C.T.U. in corso di causa.

Per quanto riguarda l’attività del giudice, ho in precedenza messo in evidenza la necessità di acquisire nel processo, la prova della lesione che ha cagionato la menomazione percentuale dell’integrità psicofisica e delle conseguenze negative su tutte le sfere di vita in cui si manifesta la personalità del danneggiato.

Anche a questo proposito possiamo trovare un punto di riferimento nelle nuove tabelle milanesi;

infatti, il Tribunale di Milano ha deciso di adottare il quesito approvato nel Convegno dei medici legali, tenutosi a Montecatini Terme 2-4 maggio 1996.

Il giudice dovrebbe porre al perito tale quesito, dopo l’udienza ex art. 183 c.p.c., e poi esaminare criticamente la relazione peritale, chiedendo dei chiarimenti al C.T.U. se questi non abbia esaurientemente risposto, proprio allo scopo di acquisire la prova effettiva della lesione dell’integrità psicofisica.

Concludo auspicando che tale formula sia effettivamente utilizzata a livello nazionale, accanto al punto unico nazionale, e che, riuscendo finalmente a garantire un'uniformità di base nella liquidazione del danno biologico, si possa superare anche questa situazione che mi sono sentita di dovere denunciare.

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ed. Acomep, 1999

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