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ALCUNI PROBLEMI CORRELATI ALL’IMPIEGO DI ANTISETTICI E DISINFETTANTI IN ODONTOIATRIA

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TAGETE 2-2007 Anno XIII

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ALCUNI PROBLEMI CORRELATI ALL’IMPIEGO DI ANTISETTICI E DISINFETTANTI IN ODONTOIATRIA

Prof. G. Agolini* - Dr. M. Biondi** - Dr. D. Papale***

Dr. A. Raitano**** - Dr. G. Sandonà*****

1) Premesse

2) Dati di tossicologia generale

3) Prevenzione delle malattie virali a trasmissione ematica 4) Antisepsi delle mani e del cavo orale

5) Prevenzione della contaminazione microbica dell’acqua usata nei riuniti 6) Antisettici, disinfettanti ed antibiotici nell’endodonzia

7) Agenti patogeni nel materiale trattato nel laboratorio odontotecnico 8) Proprietà negative ed impieghi erronei di antisettici e disinfettanti

1) Premesse

Gli odontoiatri ed i loro collaboratori non sono esposti solo a diversi tipi di infortuni sul lavoro, ma anche a malattie professionali tra le quali prevalgono quelle di origine batterica e virale (1-2).

*Dipartimento di Scienze Biomediche, Farmacologia, Università di Trieste.

** Scuola di Specializzazione di Igiene e Medicina Preventiva, Università Politecnica delle Marche, Ancona

*** Dipartimento di Biologia, II Università di Napoli

**** Dirigente Farmacista, Farmacia S. Orsola, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna

***** Direzione Farmaceutica, Eurospital S.p.A, Trieste

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Il contatto degli operatori con la popolazione microbica presente nella cavità orale dei pazienti è stretto e frequente : ogni giorno ciascun professionista si espone ad agenti potenzialmente patogeni, (veicolati da secreti, sangue, saliva), di decine di soggetti trattati. Il pericolo d’infezione

“trasmessa” riguarda, in aggiunta agli odontoiatri e loro collaboratori, anche i pazienti.

A scopo preventivo, per il personale si suggeriscono i mezzi di protezione individuale (quali guanti, occhiali, mascherine ecc.) ed i vaccini ; per tutti, compresi i pazienti, possono essere utili, assieme agli antisettici topici ed ai chemioterapici, anche i disinfettanti che possono diminuire, e, nel caso dei chemiosterilizzanti, anche annullare, il burden microbico eventualmente presente sugli strumenti e nell’ambiente.

2) Dati di tossicologia generale

L’applicazione pratica di antisettici e disinfettanti (biocidi) nei vari campi della odontostomatologia va esaminata con attenzione: così come si

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debbono conoscere, in aggiunta ai loro dati di tossicità acuta, i problemi specifici che talora conseguono il loro uso, nonché le inattese contaminazioni batteriche di alcune loro preparazioni, che ne diminuiscono notevolmente la sicurezza d’impiego.

I valori della LD50 dei disinfettanti somministrati per os nei ratti non presentano elevate differenze. Variano da valori minimi di 0,34 g / Kg di peso dell’animale per il biossido di cloro e 0,4 g/Kg per il Bactofen® a valori massimi di 6-6,9 g/Kg rispettivamente per i derivati fenolici di interesse clinico e di 13,7g/Kg per l’alcool etilico ( Tabella 1)

Tabella 1 Tossicità acuta, per os nei ratti, di disinfettanti (LD 50 g/Kg) (1- 3)

A) Alcoli

alcool etilico 13,7 g/Kg

alcool isopropilico 5,8 g/Kg

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B) Aldeidi

Glutaraldeide 0,6 g/Kg

C) Ammonici quaternari

Bactofen ® 0,4 g/Kg

D) Cloroderivati

ipoclorito di sodio (sol al 5%) 6,4 g/Kg

biossido di cloro 0,3 g/Kg

NaDCC (sodiodicloroisocianurato) 1,4 g/Kg

E) Fenolo e suoi derivati

Fenolo 0,5 g/Kg

o-fenilfenolo 6,0 g/Kg

o-benzil-p-clorofenolo 6,4 g/Kg

p-tert-amilfenolo 6,9 g/Kg

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Considerando “fuori norma” la concentrazione degli alcoli, perché utilizzati in genere dal 60 % al 70 % , nella pratica odontoiatrica le percentuali in soluzione dei biocidi sopraelencati per lo più variano dallo 0,5 % al 4 %. Quasi sempre le quantità totali dei biocidi impiegati per i singoli pazienti sottoposti alle cure dei dentisti sono modeste ed escludono qualsiasi pericolo di avvelenamento (se non di reazioni locali e dello stabilirsi di ipersensibilità).

Quando poi si esaminano in dettaglio i problemi di tossicità dei cloroderivati e dei polifenoli-detergenti ( i biocidi suggeriti per la disinfezione ambientale nei reparti ospedalieri ed extra-ospedalieri) non possiamo non ricordarne alcun aspetti del tutto particolari.

I cloroderivati indicati per la decontaminazione delle superfici, ipoclorito di sodio ed NaDCC (sodio dicloroisocianurato), hanno un ampio spettro d’azione, che comprende tutti gli agenti patogeni che ci interessano, dai microrganismi Gram-positivi, i più sensibili, ai prioni, i più resistenti. Quando si debba contare su una sicura efficacia biocida sugli HIV, HBV ed HCV se la perdita ematica contaminante è piccola, per la sua disinfezione possono bastare soluzioni di cloroderivati con sole 5.000-10.000 ppm (0,5%

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- 1%) di cloro disponibile, mentre se la perdita ematica sospetta è notevole, una volta assorbita con un panno e poi eliminata in modo opportuno gran parte del sangue presente, si preferiscono usare i granuli di NaDCC (ad alto potere assorbente, non “disperdente”, come le soluzioni di ipoclorito) per fornire le 150.000 ppm (il 15 %) di cloro disponibile, in grado di eliminare detti virus in soli due minuti.

Anche le soluzioni con sole 5.000-10.000 ppm di ipoclorito richiedono agli utilizzatori ospedalieri una certa prudenza, perché oltre ad essere corrosive per i metalli e decoloranti per le superfici, possono risultare irritanti per la cute e le vie respiratorie ( 1-2,4-7).

Se non si può effettuare una buona pulizia preventiva, la necessità di impiegare i cloroderivati in più alte concentrazioni dipende dall’elevato potere inattivante che il sangue ha sui disinfettanti alogenati. Questi sono parimenti inattivabili, in tante diverse situazioni, ad opera di residui di altre sostanze proteiche) (4-7).

Le quantità di cloroderivati che si usano per potabilizzare l’acqua dei fiumi, e delle sorgenti sotterranee non ottimali, sono del tutto diverse. Ai volumi notevoli di acqua di origine superficiale o profonda inizialmente si aggiungono in modo graduale soluzioni di alogeno molto concentrate, al

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13-14 % ; così le diluizione effettuate già nelle prime fasi del trattamento portano a percentuali inferiori allo 0,01% (100 ppm) ; nella rete idrica di distribuzione poi, quando viene richiesto un effetto biostabilizzante, si deve stare attenti a non superare le 0,5 ppm, cioè lo 0,00005 % di cloro disponibile(4-7).

Anche per l’NaDCC (sodio dicloroisocianurato), malgrado il

“sospettabile” nome chimico, la tollerabilità generale è alta, come provano l’impiego da decenni delle compresse per la disinfezione dell’acqua delle piscine natatorie, anche aperte al pubblico, e l’uso, da almeno 30 anni, delle soluzioni estemporanee diluite a 150 ppm, lo 0,015

%, di cloro disponibile, per la disinfezione delle tettarelle e dei poppatoi dei neonati ( 4-7).

Per la disinfezione ambientale di superfici prepulite, si usano soluzioni di ipoclorito di sodio contenenti cloro disponibile non inferiore allo 0,5 %, (5.000 ppm) se ottenute diluendo le soluzioni concentrate commerciali;

possono invece bastare concentrazioni dello 0,1 % (1.000 ppm) se la soluzione di ipoclorito di sodio è stata preparata utilizzando granuli solidi di cloroderivati .

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Della formula approvata dall’ US EPA di polifenoli detergenti, le soluzioni di Fenplus HWP ® suggerite, ad esempio, per disinfettare pavimenti ed altre superfici nelle sale operatorie sono abitualmente allo 0,5 % (con un contenuto di sostanze attive dello 0,1 %). Non essendo i polifenoli né corrosivi e nemmeno inattivabili da parte di residui proteici sfuggiti alla pulizia, per la loro efficacia e per la loro tollerabilità da parte di pazienti ed utilizzatori sono diventati il gold standard per gli ambienti chirurgici, quanto di meglio sia disponibile a tal fine negli Stati Uniti ed altrove (8-9).

Pur trattandosi di disinfettanti e non di antisettici, alla minima tossicità acuta dei prodotti fenolici somministrati per os negli animali, si associa infatti l’assenza di irritazioni cutanee e anche delle mucose dopo contatti casuali con le soluzioni per uso ospedaliero. Nella nostra esperienza, anche gli occhi di lavoratori aziendali venuti a contatto con soluzioni concentrate di polifenoli, non hanno subito danni se sottoposti ad un immediato lavaggio sotto acqua corrente.

Privi di qualsiasi logicità sono invece i riferimenti ai problemi ecologici dovuti alla lunga permanenza di policlorobifenili nell’ambiente oppure alla irritazione cutanea o percutanea tipica dei fenoli policlorurati, quale il pentaclorofenolo.

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I polifenoli-detergenti per uso ospedaliero,di formula “americana”, aclorurati e monoclorurati, risultano di alta biodegradabilità e, di fatto, atossici (10-11) .

3) Prevenzione delle malattie virali a trasmissione ematica

In odontoiatria rischi maggiori delle contaminazioni batteriche per gli operatori ed i pazienti sono le possibile trasmissioni delle infezioni da HIV, HBV ed HCV : il poter prevenire queste con sicurezza è meno facile di quanto lo sia in altre branche chirurgiche, per la frequente necessità di intervenire in tempi brevi, talora purtroppo senza anamnesi accurate, e di regola senza indagini diagnostiche, nel cavo orale di soggetti che talora non sanno di essere stati infettati da detti virus .

Un contributo notevole alla prevenzione anche se parziale di questi pericoli per i collaboratori del dentista e in altre sedi operatorie, è dato dall’adozione di un comportamento razionale nel trattamento dei ferri chirurgici in uso.

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Nei reparti di pronto soccorso, di chirurgia d’urgenza e negli studi dentistici ecc., se non si dispone di attrezzature particolari, il personale addetto deve effettuare il ‘presoaking’ dei ferri chirurgici come previsto dalla legge (12); deve cioè tempestivamente decontaminare gli strumenti ponendoli subito dopo l’uso in vaschette contenenti una soluzione detergente e disinfettante, attiva sui virus a trasmissione parenterale, che non sia corrosiva ( preferibilmente pertanto di polifenoli- detergenti ).

Questo perchè, prima del disassemblaggio e del lavaggio degli strumenti per la successiva sterilizzazione, i manipolatori sono soggetti a gravi rischi di contaminazione in conseguenza di tagli o lesioni, per la presenza di sangue o secreti, plasma, saliva, infettati dai più vari e pericolosi agenti patogeni.

4) Antisepsi delle mani e del cavo orale

In tutti i reparti critici ospedalieri, il personale deve curare, per prassi, in aggiunta alla disinfezione ambientale, degli strumenti e delle attrezzature, anche l’antisepsi delle mani.

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Abbiamo già sottolineato l’importanza dell’uso di guanti sterili, possibilmente monouso, ma i guanti non diminuiscono la necessità di un buon lavaggio delle mani degli operatori, che deve essere di tipo chirurgico negli interventi più gravi, per diminuire notevolmente la popolazione microbica cutanea, superficiale e profonda.

Nell’odontostomatologia la prevenzione e la terapia delle infezioni del cavo orale trovano vantaggio nell’impiego di farmaci antisettici, i quali, talora, possono raggiungere un livello di efficacia superiore a quello degli antibiotici.

Ricordiamo, tra le soluzioni antisettiche, quelle a base di clorexidina (Parodont ®), di dequalinio ( Dequadin tintura®), di iodio-PVP ( Betadine®) o “miste” ( Skinsept®).

Secondo diversi autori i ripetuti sciacqui antisettici preoperatori, associati, durante l’intervento, all’aspirazione continua, diminuiscono il numero degli agenti patogeni

nella cavità orale con un effetto profilattico notevole. Se ripetuti anche dopo il l’intervento odontoiatrico diminuirebbero sostanzialmente le

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infiammazioni e le infezioni delle ferite, le periodontiti ed i dolori prolungati( 13 ).

Negli interventi di chirurgia maxillo-facciale, specie nei pazienti portatori di protesi cardiache, ossee od in altre situazioni ad alto rischio, gli antisettici topici vanno di regola associati ai chemioterapici sistemici.

5) Prevenzione della contaminazione microbica dell’acqua usata nei riuniti

Per affrontare il problema della disinfezione delle vie idriche in odontoiatria va premesso che l’acqua fornita dall’acquedotto municipale non è mai sterile. Specie in ospedale poi, l’acqua, ritenuta

“potabile”, si può arricchire dei più pericolosi agenti patogeni.

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I CDC di Atlanta, nella seconda edizione ( 2003) delle loro linee guida suggerite per la riduzione delle infezioni in odontoiatria, hanno aggiunto una sezione relativa alla qualità dell’acqua usata nei combinati (14).

Nelle linee idriche degli stessi le conte microbiche non dovrebbero superare le 500 unità formanti colonia (CFU) per ml. Poiché però, pochi giorni dopo l’installazione di nuove unità dentarie, se non si cura la disinfezione idrica, il totale dei batteri può superare anche di 1.000 volte detto livello, si evidenzia la necessità di interventi efficaci di riduzione preventiva.

Per i riuniti esiste la possibilità di usare acqua sterile in flaconi di plastica di alto volume oppure acqua addizionata con sostanze biocide in grado di eliminare i patogeni più pericolosi ed anche la formazione di biofilm, ma non sempre i risultati rimangono soddisfacenti nel tempo.

Più o meno presto anche i nuovi combinati possono presentare difficoltà di tipo meccanico, per l’impiego di tubi troppo lunghi e sottili, per gli arresti del flusso dovuti a valvole, per l’esistenza di veri e propri tratti morti, per il posizionamento dei riuniti alteratosi durante l’uso e per tante altre ragioni che possono aggravare i ristagni di liquido ( in aggiunta a quelli

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“fisiologici” dei week-end) ecc. Si possono così avere notevoli crescite microbiche, formazione di biofilm, sviluppo di corrosioni e di vie anomale ecc.

Spesso non risulta sufficiente far scorrere l’acqua rimasta nei tubi dei riuniti per non meno di due minuti all’inizio della giornata e per 15 secondi tra un paziente e l’altro .

Per migliorare la qualità dell’acqua circolante nei combinati è stato suggerita la sua disinfezione mediante l’aggiunta dei più diversi biocidi,il trattamento con i raggi UV ecc.(15-17).

Ma il problema, per le cause multiple sopra citate, può permanere.

Come nella potabilizzazione dell’acqua negli impianti municipali oggi si preferiscono “sistemi ibridi” ,cioè disinfezioni associate, così è stato recentemente proposto lo stesso suggerimento per l’acqua dei riuniti.

Se infatti per trattare l’acqua dei fiumi o delle sorgenti sotterranee non ottimali si ricorre a filiere di potabilizzazione, basate: 1) sulla filtrazione iniziale, tramite river bank o grigliatura o altri filtri grossolani, cui seguono 2) la preossidazione con ozono o cloroderivati, nonchè, 3) la

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chiariflocculazione e 4) l’ossidazione intermedia. Una volta completata quest’ultima, si aggiungono 5) il trattamento con carbone attivato, GAC, ed infine 6) la disinfezione terminale, per lo più con cloroderivati, per poter distribuire alla popolazione, tramite la rete periferica, acqua per usi alimentari “biostabilizzata” (18-20).

Così, per garantire la prevenzione migliore della contaminazione dell’acqua presente nei tubicini dei riuniti, recentemente, in Italia, come accennato, è stato proposto un “trattamento multiplo” basato su : 1) un’iniziale filtrazione tramite carbone attivato dell’acqua di origine municipale oppure distribuita nell’ospedale, seguita poi 2) dalla filtrazione dell’acqua per osmosi inversa, e successivamente 3) da una disinfezione topica con UV e infine 4) da un trattamento biocida di lunga durata mediante l’aggiunta di biossido di cloro.

Questo biocida non produce alometani e in detto impiego non è pericoloso per la possibile formazione di DBP, disinfection by products ( cloriti e clorati) sia per la concentrazione ridotta del disinfettante richiesto dall’acqua dell’origine riferita e trattata nel modo descritto che per le dosi minime di acqua utilizzate per singolo paziente.

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Noi speriamo che gli anni a seguire possano confermare la validità di questa nuova proposta italiana.

6) Antisettici, disinfettanti ed antibiotici nell’endodonzia

L’infezione del canale radicolare è una sequela abituale della carie dentaria.

Quando l’infezione interessa i fori apicali e quelli laterali è necessario intervenire nel modo migliore .

Una volta rimossi il tessuto pulpare contaminato, e la dentina infetta, l’inosservanza dell’asepsi e dell’antisepsi può comportare periodontiti apicali.

Per l’alesaggio canalare si deve agire su superfici endodontiche mantenute umide, evitando di spingere materiale infetto oltre l’apice e senza causare lesioni chimiche o traumi al tessuto periapicale. Alla fine la camera pulpare va poi lavata e pulita con soluzioni detergenti e disinfettanti, per ottenere non solo un campo ben visibile ma anche una presenza microbica ridotta.

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Disinfettanti ( e talora detergenti) noti sono : gli oli essenziali, i derivati fenolici, gli alogeni, gli antibiotici, gli antisettici ( in particolare la clorexidina ed il Dequadin® tintura).

L’esame microscopico ed i raggi X (ottenuti tramite sensori digitali) permettono sia il controllo immediato dei risultati ottenuti che l’evitare il pericolo di superare le barriere anatomiche (21).

I vari tipi di laser oggi disponibili possono pulire ed anche disinfettare i canali endodontici: bisogna però saperli usare .

In alcune prove sperimentali non sempre i laser hanno dato risultati migliori di quelli riscontrati con disinfettanti chimici, quale l’ipoclorito di sodio al 6 % (22).

Nell’endodonzia alcuni preferiscono usare l’acqua ossigenata nei canali con polpa vitale, mentre, per eliminare i tessuti necrotici, ricorrono all’ipoclorito di sodio nell’alta percentuale citata : 5%-6 % .

Abbiamo accennato ai danni periradicolari che si possono avere nell’impiego delle soluzioni concentrate di alogeni. Molti preferiscono pertanto usare soluzioni di ipoclorito maggiormente diluite, ad esempio al 2,5 % (23) oppure soluzioni con percentuali ancora più ridotte, fino allo 0,5

% (24).

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Poiché in prove effettuate per confrontare l’eliminazione proteica conseguente all’uso di prodotti a base di dequalinio, come il Dequadin®

tintura, in paragone

all’ipoclorito di sodio in alta concentrazione, si è dimostrato che i primi evidenziavano sia una migliore efficacia detersiva che il mantenimento dell’attività antisettica in presenza di residui proteici e batterici, in complesso una migliore pulizia del terzo distale del canale endodontico (25), diversi dentisti hanno preferito associare i due diversi trattamenti.

7) Agenti patogeni nel materiale inviato al laboratorio odontotecnico

Per proteggere il personale addetto alle attività odontotecniche, e successivamente i pazienti che ricevono il materiale di ritorno, è importante la riduzione della carica infettiva delle impronte, dei rilievi con cere, dei materiali in prova ecc., che già all’inizio vanno disinfettati adeguatamente, senza ridurne qualità e precisione(13-16).

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In aggiunta alla compatibilità chimica dei vari antisettici e dei disinfettanti nei confronti dei diversi materiali d’uso comune in odontoiatria, resta pertanto confermata la necessità di conoscere le proprietà antimicrobiche e la tossicologia dei biocidi impiegati (1-7).

Le impronte in materiale al silicone prese da pazienti con AIDS vanno poste, preferibilmente, in una soluzione di polifenoli-detergenti all’ 1 % oppure in una soluzione di cloroderivati, sempre all’ 1%, per almeno 5 minuti, però senza trattenere a lungo le impronte in dette soluzioni, se si vogliono evitare perdite di precisione.

Un buon disinfettante per le impronte è anche la glutaraldeide al 2 %, da usare con un minimo di precauzione. Si tenga presente che ,per certi microrganismi, questo chemiosterilizzante può richiedere tempi lunghi (un’ora ed anche più).

Per i portaimpronte metallici , in alluminio od ottone cromato, si usa abitualmente la sterilizzazione in autoclave oppure al calore secco.

Anche nei laboratori odontotecnici la migliore disinfezione ambientale si può basare sull’impiego dei polifenoli-detergenti, quale il Fenplus HWP®.

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Per la disinfezione domestica delle protesi, infine, dopo una loro pulizia sotto acqua corrente, si può usare la soluzione di NaDCC, sodio dicloroisocianurato, ottenuta dalle piccole compresse disponibili in commercio (Babysteril®), sostanza di assoluta sicurezza ed efficacia se usata nelle stesse concentrazioni e nei tempi adoperati per la disinfezione delle tettarelle e dei poppatoi in neonatologia (6).

8) Proprietà negative ed impieghi erronei degli antisettici e disinfettanti

Dal punto di vista esemplificativo possiamo ricordare che infezioni gravi anche in odontoiatria possono essere facilitate dall’impiego sbagliato a scopo antisettico o disinfettante, dei vecchi ammonici quaternari. Questi, in aggiunta allo spettro antimicrobico ristretto, risultano, anche per nostra esperienza, troppo facilmente inattivabili e poi contaminabili dai microrganismi più diversi (1-2). ( Il loro uso clinico in odontoiatria, come è ben noto, è da decenni sconsigliato dall’ADA, l’Associazione dei Dentisti Americani.)

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Contrariamente agli antibiotici, i biocidi, anche a distanza di molto tempo, vedono difficilmente l’instaurarsi di una resistenza acquisita da parte dei vari batteri. I diversi microrganismi presentano invece quadri immediati molto diversi di resistenza naturale intrinseca agli antisettici ed ai diversi disinfettanti, come accade per gli antibiotici.

Nel caso del triclosan vengono, ad esempio, riferite concentrazioni minime inibenti, MIC, inferiori a 0,1 ppm per molti germi Gram- positivi, mentre per molti ceppi di Pseudomonas aeruginosa sono riportate concentrazioni minime inibenti , MIC, superiori a 1.000 ppm.

Per i cloroderivati abbiamo visto come le percentuali utilizzate nei diversi impieghi variano dallo 0,00005% al 15 %, per cui, con lo stesso biocida, le diverse concentrazioni possono assicurare sia l’effetto biostabilizzante idrico che la sicura efficacia, dopo pochi minuti, contro i virus a trasmissione parenterale in presenza di sangue (e, in tempi più lunghi, anche contro le contaminazioni da prioni).

Tutti gli altri biocidi, se troppo diluiti in acqua o mescolati ad eccipienti in eccesso, non solo possono risultare del tutto inefficaci, ma, se non si è curata l’asepsi delle loro preparazioni farmaceutiche, queste possono poi

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venire più o meno gravemente contaminate (26-29) e, in certi casi, secondo la nostra esperienza, possono anche comportare effetti letali (1- 2).

Meno gravi, ma parimenti note in odontoiatria, sono le allergie e le facili irritazioni cutanee da guanti in lattice, da monomeri acrilici e da miscele di aldeidi. Questi ultimi preparati, spesso usati in passato per ridurre il burden microbiologico ambientale, da tempo sono stati sostituiti in Germania con le stesse indicazioni da soluzioni disinfettanti sinald, cioè senza aldeidi (30) .

Nell’alta disinfezione di strumenti non termoresistenti effetti collaterali relativamente frequenti sono le dermatiti, le congiuntiviti e le irritazioni respiratorie da glutaraldeide alcalina al 2 %, quando questa non viene usata adoperando guanti di gomma al butile od al nitrile, occhiali, mascherine con carbone attivato, ecc., usati sotto cappa chimica aspirante o in sistema chiuso o, almeno, in ambiente ben ventilato(31).

Queste sono le ragioni per le quali sono spesso disponibili negli ospedali linee guida specifiche.

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Anche se la glutaraldeide non è un farmaco topico con il quale il paziente deve (ed il personale può) avere un contatto diretto, detto chemiosterilizzante, usato nelle abituali concentrazioni, il 2 %, ed in modo appropriato , non presenta problemi di teratogenesi, genotossicità, embriotossicità, fetotossicità, carcinogenicità.

Nei diversi test di mutagenesi, ai numerosi risultati favorevoli (compreso il test di Ames) si oppongono singole indicazioni negative, d’altra parte attese da un prodotto di così elevato potere biocida .

Nessuno infatti degli enti internazionali più noti di sorveglianza sanitaria ed ecologica (OSHA, NPT, JARC, USEPA) ha espresso né in passato né recentemente dubbi sulla sicurezza della glutaraldeide, se impiegata secondo le regole (31-32).

Pur non trascurando poi l’importanza, anche per gli studi dentistici, di una regolare dismissione dei rifiuti di origine sanitaria, anni or sono il nostro gruppo di studio, dopo un esame dettagliato e ben documentato, ha sottolineato il frequente errore di considerare rifiuto ‘tossico e nocivo la glutaraldeide al 2% usata per gli endoscopi o per altre attrezzature sanitarie(31).

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Nei paesi europei ed in altre parti del mondo, contrariamente ad alcuni nostri decreti regionali, la glutaraldeide alcalina al 2 %, dopo l’impiego corretto nei reparti ospedalieri di endoscopia e negli studi dentistici, può venire smaltita, come ripetiamo, con tutta sicurezza, come ‘ordinario rifiuto domestico, sempre che il sistema di scarico nelle fogne funzioni rapidamente (31-32).

Per una prevenzione generale delle infezioni da virus a possibile trasmissione parenterale (HIV, HBV ed HCV) il farmacista ospedaliero deve anche accertare il titolo dei cloroderivati acquistati a tal fine.

La ben nota instabilità nelle soluzioni commerciali concentrate di ipoclorito di sodio, presenti nelle farmacie degli ospedali, comporta, a volte, il riscontro di ‘pseudoconcentrazioni’, che non permettono di raggiungere le “minime” 10.000 ppm ( l’1% ) necessarie per la sicura eliminazione dei virus citati in presenza di residui proteici ( dovuti spesso a scarsa pulizia o a perdite ematiche o di altri liquidi corporei).

In queste situazioni, se si utilizzano concentrazioni minori, ad es. di 2.700 ppm di cloro disponibile ( 33) si rischia di non eliminare con sicurezza detti virus.

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Spesso, purtroppo nella pratica clinica anche privata, per ancestrali ed ingiustificati timori ecologici, non vengono talora sufficientemente valutati i vantaggi alternativi ottenibili con l’uso dei polifenoli-detergenti, mentre gli impieghi dell’acido peracetico e dell’acqua ossigenata vengono spesso effettuati senza conoscere alcuni degli aspetti tossicologici del primo e delle possibilità di danni a certe attrezzature ad opera della seconda (3,34).

Così la clorexidina in acqua può, a sua volta, risultare inutile quando, in certi reparti, prevalgono gli MRSA oppure i virus resistenti all’antisettico (35-36).

Come regola generale, contro i virus, dato che farmaci specifici non sono sempre disponibili, che gli antibiotici non agiscono su questi patogeni e che i vaccini presentano spesso problemi di ottenibilità, tempestività e costi, specie per la prevenzione delle malattie emergenti e riemergenti di origine microbiologica, le misure aggiuntive di antisepsi e disinfezione meritano grande attenzione ed anche la lettura delle più recenti pubblicazioni ( 37-38)

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Questa consapevolezza non si evidenzia quando, da ambienti che dovrebbero essere aggiornati, si afferma, ad esempio, che i derivati del fenolo sono “corrosivi”, il che non è vero (39).

Questa affermazione purtroppo dimostra, ancora una volta, come in certi ambienti permanga una pericolosa ignoranza nei riguardi di biocidi, i quali devono spesso essere considerati tra i pochi mezzi validi per ridurre i gravi pericoli emergenti di origine virale (40).

Più della tossicità “generica” degli antisettici e delle soluzioni disinfettanti , ci si deve allora dunque preoccupare delle loro indicazioni elettive e delle loro più efficaci modalità d’impiego secondo i dati aggiornati della letteratura.

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Bibliografia:

1) Raitano A, Curti C, Agolini G: Igiene e disinfezione clinica nelle strutture ospedaliere. II Ed., Edizioni Kappadue, Milano, 2004

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