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LE CAUSE DI INABILITÀ TEMPORANEA: TRAUMATISMI E PATOLOGIE ORTOPEDICHE

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LE CAUSE DI INABILITÀ TEMPORANEA:

TRAUMATISMI E PATOLOGIE ORTOPEDICHE

Dr. Matteo Pennisi

Il vasto settore della patologia ortopedica riveste un ruolo di primo piano nel panorama delle cause responsabili della inabilità temporanea.

Basti pensare alla varietà e complessità di problemi inerenti i singoli settori all’interno dell’ortopedia stessa (ginocchio, spalla, piede, colonna vertebrale, mano) che hanno ormai portato alla creazione di ultraspecializzazioni autonome. Le patologie traumatiche da sole, con il costante coinvolgimento delle strutture scheletriche, dei tessuti molli, l’apparato nervoso, la possibilità di utilizzare tecniche incruente o cruente con varie metodiche chirurgiche, i differenti tempi di guarigione specifici per ogni segmento, la possibilità di complicazioni, rendono impossibile la condensazione dei vari aspetti nel tempo messo a disposizione, senza accennare all’altro esteso capitolo riguardante le affezioni ortopediche non traumatiche.

E’ necessario quindi concentrare la nostra attenzione verso le patologie preminenti, e nel caso specifico dell’inabilità temporanea queste sono principalmente rappresentate dalle problematiche inerenti la colonna vertebrale, ed in modo particolare dalla lombalgia.

Perché la lombalgia? Potrebbe sembrare riduttivo in confronto a malattie ben più invalidanti e drammatiche, ma questa scelta scaturisce dall’enorme incidenza rilevata di questa patologia, specie in ambito lavorativo, ed il conseguente impatto economico che ne consegue.

Alcuni dati Europei:

In Gran Bretagna nel solo 1993 sono state effettuate 15 milioni di visite per lombalgia, a cui sono conseguiti un milione e mezzo di esami radiografici

Dirigente Fisiatra Azienda Ospedaliera Papardo di Messina, Membro Centro Europeo Colonna Vertebrale

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della colonna, 1 milione di utenti di cure fisioterapiche riabilitative, 100.000 ricoveri, 30.000 giornate di Day-Hospital e 24.000 interventi chirurgici. Il tutto per un costo stimato di 1.200 miliardi di lire/anno.

In Svezia la lombalgia è risultata la causa più frequente di assenza dal lavoro (30%), colpisce 4 adulti su cinque, in maggioranza giovani, per un costo stimato di 8.000 miliardi/anno.

Per quanto riguarda l’Italia non sono stati ancora diffusi dati completi riguardanti il territorio nazionale, ma il tutto è in via di rilevazione.

Ma dove forse si è analizzato con più completezza il problema e le sue ricadute sull’attività lavorativa sono gli Stati Uniti, dove la lombalgia o Low Back Pain (LBP) rappresenta la prima causa di assenza dal lavoro, disabilità e perdita di ore lavorative, interessando 28,6/100 lavoratori, per la maggior parte al di sotto dei 45 anni, quindi in piena età produttiva; il costo stimato degli effetti diretti (sanitari) ed indiretti (ore non lavorate, risarcimenti, cause legali, etc.) oscilla dai 10 ai 60 miliardi di dollari/anno (22.000 ai 135.000 miliardi di lire) ed è lievitato dal 1956 al 1976 del 2700%, e secondo altri studi dal 1952 al 1987 del 6000%, tanto da far ritenere che su questo aspetto valga la pena o addirittura si renda necessario rimettere in discussione alcuni aspetti della strategia fin qui utilizzata e delle ricadute conseguenti sullo stato sociale.

Ma come mai tante problematiche della colonna vertebrale ed in particolare del tratto lombosacrale arrivano a rivestire un peso così rilevante nella nostra salute?

In effetti come ormai ben conosciuto la specie umana paga lo scotto della verticalizzazione rispetto ai nostri progenitori in cui la colonna vertebrale veniva utilizzata in quadrupedia. La messa in piedi ha comportato uno sforzo in estensione delle articolazioni coxo-femorali e del tratto lombosacrale per consentire al capo di porsi in equilibrio insieme al restante corpo (Fig. 1).

Questo ha portato al formarsi di una serie di curve a livello del rachide assenti nella colonna vertebrale ancestrale dove si riscontrava una sola curva, il foro occipitale si è centralizzato, il piede ha assunto caratteristiche più adatte alla funzione di unica interfaccia con il suolo (Fig. 2).

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Fig. 1

Fig. 2

Va aggiunto a quanto detto che il bacino dell’homo sapiens è il risultato di un compromesso tra le esigenze della verticalizzazione e quelle della

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procreazione, infatti l’antiversione del bacino permette un rientro dell’osso pubico, limitando i traumatismi in posizione verticale per la testa del feto.

Tale situazione ha portato a livello del tratto lombare al formarsi di una curva lombare in lordosi con una obliquità importante del sacro dove vanno a concentrarsi le forze provenienti dall’alto; questo, unito all’esigenza di una buona mobilità a livello del tratto lombare crea in corrispondenza del passaggio della regione lombosacrale un punto biomeccanicamente debole e poco protetto, specie in presenza di deficit muscolari, di anomalie posturali e di uno scorretto utilizzo della struttura.

Ricordiamo brevemente che le vie afferenti del dolore provengono dalla componente muscolare, dalle faccette dei processi articolari, dal legamento longitudinale posteriore e da una piccola porzione periferica del disco, mentre il legamento longitudinale anteriore e la quasi interezza del disco intervertebrale non sono in pratica dotati di innervazione, per cui una qualunque delle suddette zone può in definitiva essere responsabile di una sintomatologia dolorosa acuta e cronica, e molte volte vi compartecipano più di una contemporaneamente.

E’ chiaro che episodi di sovraccarico, traumi maggiori o microtraumi ripetuti portano ad un coinvolgimento delle strutture deputate al trasferimento delle forze alle zone inferiori comportando o il cedimento strutturale (più comunemente una lesione discale) o l’innescarsi di un processo infiammatorio e degenerativo complesso (contrattura muscolare, diminuzione o alterazione della fisiologica biomeccanica) capace di determinare ulteriori fatti degenerativi delle singole strutture che a loro volta compartecipano al peggioramento della biomeccanica creandosi così un circolo vizioso destinato inesorabilmente ad autoperpetuarsi in mancanza di un intervento sulle cause originarie (Fig. 3).

Questo escludendo naturalmente gli altri motivi possibili, ma statisticamente meno significativi di dolore lombare (infezioni, neoplasie, etc.)

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Sovraccarico o disfunzionamento Sovraccarico o disfunzionamento

biomeccanico biomeccanico

Dolore e limitazione movimento

Alterazione Fisiologia articolare Fattori

Psico-sociali Cronicizzazione

Fatti Degenerativi dolore

Fig. 3

RMN evidenziante una ernia del disco al passaggio

L’approccio alla sindrome lombalgica non può essere riduttivo, ma deve tenere in considerazione tutte le cognizioni più moderne e le evidenze scientifiche, infatti troppo spesso vengono utilizzati protocolli di diagnosi e di trattamento basati su dati non controllati. In questo campo particolarmente la EBD (Medicina Basata sull’Evidenza) deve trovare la collocazione prioritaria per evitare che vengano impiegati risorse od atti terapeutici in modo non razionale.

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Per tale motivo sono nate le linee guida statunitensi elaborate dalla Agency for Health Care Policy and Research (AHCPR) nel 1994. le linee guida inglesi elaborate dal Royal College of General Practitioner (RCGP) nel 1996 con algoritmi ove è possibile identificare i vari percorsi diagnostico-terapeutici relativi alle varie possibilità, e recentemente nel Giugno del 2000 a Bologna sono state presentate le linee guida redatte dalla Regione Emilia Romagna basate sui dati di efficacia reperiti in letteratura riguardanti la diagnosi e la terapia della lombalgia acuta e cronica.

Secondo questa classificazione, essenzialmente clinica, tutti i quadri clinici sono riconducibili a tre grosse categorie:

• lombalgia semplice: dolore di origine muscolo scheletrico limitato alla zona lombare o irradiato ai glutei o alla coscia ma solitamente non oltre il ginocchio.

• dolore radicolare: dolore solitamente unilaterale che si irradia secondo la distribuzione dermatomerica, spesso associato ad alterazioni della sensibilità con analoga distribuzione; possono essere presenti segni o sintomi di irritazione radicolare che seguono la stessa distribuzione dermatomerica o miomerica.

• possibile grave patologia spinale: tumori primitivi o metastatici, patologia infettiva della colonna, fratture vertebrali, sindrome della cauda equina. La lombalgia è spesso costante, progressiva, non alleviata dal riposo e peggiora durante le ore notturne; si può far diagnosi presuntiva di possibile grave patologia spinale in presenza dei cosiddetti “semafori rossi”: anamnesi positiva per tumore, recente perdita di peso altrimenti inspiegabile, abuso di droghe, assunzione protratta di cortisonici, osteoporosi, traumi recenti. Per quanto riguarda la sindrome della cauda equina sono segni indicativi la anestesia a sella, disturbi urinari e dell’alvo, debolezza motoria bilaterale.

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Dalla analisi delle suddette linee guida emergono a mio avviso alcuni punti chiave:

La necessità di ridurre al minimo gli esami radiografici, limitandosi ad utilizzarli solo là dove questi trovino la corretta indicazione; la dose di radiazioni ionizzanti utilizzata in un esame Rx standard del tratto lombosacrale corrisponde a 20 esami standard del torace, una TC spinale L3-S1 corrisponde grosso modo a 100 esami standard del torace. La Risonanza Magnetica Nucleare è capace di fornire indicazioni praticamente sovrapponibili o superiori senza irradiare il paziente.

Nel corso del primo mese dalla comparsa dei sintomi non vi è l’indicazione per eseguire nessun tipo di ulteriore approfondimento diagnostico in assenza all’anamnesi ed all’esame clinico di segni e sintomi specifici (bandiere rosse) che possano far pensare alla possibilità di trovarsi in presenza di una grave patologia spinale o pluriradicolare( alterazione della funzionalità urinaria, anestesia a sella, etc., oppure di impegno radicolare documentato da:

• positività alle manovre da stiramento radicolare (Lasègue e Wassermann);

• alterazione della sensibilità a distribuzione radicolare;

• alterazione dei riflessi rotuleo e achilleo;

• riduzione della forza a distribuzione radicolare.

Infatti, dopo un mese, nella maggior parte dei casi si assiste alla risoluzione spontanea della la limitazione funzionale dovuta alla rachialgia. Se dopo il suddetto periodo di trenta giorni non viene rilevato nessun significativo miglioramento, è opportuno ricorrere ad approfondimenti diagnostici in grado di evidenziare l’eventuale altra causa alla base del sintomo dolore.

E’ buona norma consigliare al paziente il mantenimento della normale attività quotidiana nei limiti consentiti dal dolore, mentre nella fase acuta l’esecuzione di specifici esercizi per la schiena non è raccomandata.

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Superato il periodo caratterizzato dal dolore più forte che a volte impone una riduzione (che deve essere più breve possibile) dell’attività, è utile la pratica regolare e costante di una attività motoria a basso impatto (nuoto, camminare).

Per quanto riguarda i presidi terapeutici specifici, non vi sono studi che valutino l’efficacia delle infiltrazioni articolari e periarticolari in pazienti con lombalgia acuta, quindi queste non sono raccomandate per la loro invasività.

Anche nei confronti delle infiltrazioni e della mesoterapia in corrispondenza dei Trigger Point, dei Tender point e dei legamenti vi sono pochi studi che ne valutino l’efficacia e con risultati contrastanti, per cui di conseguenza non sono raccomandate considerandone l’invasività.

Il discorso è un po’ diverso per quanto riguarda la manipolazione vertebrale, in quanto nella lombalgia acuta senza segni radicolari si è dimostrata di moderata efficacia a breve termine nella risoluzione dell’episodio acuto.

Può quindi costituire una opzione terapeutica utile al fine di ottenere un miglioramento della sintomatologia dolorosa nel singolo episodio. E’ bene comunque che l’esecuzione sia effettuata da personale medico qualificato.

Se ne raccomanda la sospensione se dopo 4 trattamenti non si osservino benefici ed è naturalmente controindicata in caso di sospetta lesione radicolare o di presenza di ernia del disco per la possibilità di aggravare la sofferenza della radice.

L’utilizzo delle manipolazioni in presenza di una lombalgia cronica non è adeguatamente confortato dai dati della letteratura scientifica che risultano contrastanti relativamente alla efficacia del trattamento, pertanto non si possono trarre conclusioni definitive.

Può essere indicato nelle riacutizzazioni ed anche in questo caso, analogamente a quanto detto a proposito della lombalgia acuta, l’atto manipolativo deve essere sospeso se dopo 4 trattamenti non si osservano miglioramenti significativi.

Le linee guida sottolineano inoltre la necessità di fornire al paziente adeguati interventi educativi- informativi, eventualmente integrati da opuscoli

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esplicativi contenenti dati chiari ed informazioni complete insieme ai consigli e suggerimenti del caso.

Infatti una completa conoscenza sull’origine della malattia, la sua storia naturale e sulle opzioni terapeutiche disponibili consentono un migliore approccio psicologico riducendo le preoccupazioni del paziente, ottenendo una maggiore e più fattiva compartecipazione alla terapia stessa aumentando di conseguenza le possibilità di arrivare ad una più rapida risoluzione della sintomatologia. Si tratta in definitiva di effettuare, specie per quanto riguarda la lombalgia cronica, altamente invalidante, una presa in carico completa del paziente considerando nel suo insieme oltre agli aspetti medici veri e propri anche quelli informativo – educativo - psicologici, la reale situazione psichica, lavorativa, logistica e familiare del paziente in modo da identificare la strategia terapeutica più idonea nel singolo caso e che abbia le maggiori possibilità di restituire il paziente alla sua vita di relazione e quindi anche all’attività lavorativa specifica.

Un dato importante emerge sull’utilizzo del riposo a letto, e cioè che questo per un periodo di 2-7 giorni non è efficace. Al contrario se l’immobilizzazione viene protratta a lungo può portare a debilitazione e rendere quindi più lenta e difficoltosa la riabilitazione. In pratica quindi il riposo a letto oltre i due giorni non deve essere considerato come una terapia efficace e fin dove possibile sarà anzi bene sconsigliarlo al paziente, spingendolo verso una precoce ripresa delle attività funzionali, anche se limitate dal dolore.

Entrando nel campo specifico della lombalgia cronica, una attenta analisi dei dati basati sull’evidenza mostra una reale efficacia dell’elettroanalgesia con TENS sul dolore a breve termine, che può essere quindi considerata come una opzione terapeutica interessante, specialmente se inserita in un approccio globale mirato ad un recupero precoce della disabilità.

Invece per altri mezzi fisici (freddo, caldo, massaggi, ultrasuoni, laser cutaneo non sono stati reperiti studi che supportino l’efficacia di tali strumenti terapeutici nella lombalgia cronica, per cui le linee guida non ne raccomandano l'uso .

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Lo stesso vale per le trazioni vertebrali per le quali vi è evidenza di non efficacia, come, anche se moderatamente, per i corsetti; anche per l’agopuntura i dati della letteratura scientifica sono contrastanti relativamente alla efficacia del trattamento, e l’uso non è raccomandato per i potenziali rischi.

Là dove si trova una forte evidenza di efficacia è nella dimostrata superiorità dell’esercizio rispetto ad altri trattamenti (terapia fisica, riposo, assistenza tradizionale, nessun trattamento).

Non vi è evidenza di supremazia di un tipo di esercizio rispetto ad un altro. È raccomandata la prescrizione di esercizi per il trattamento della lombalgia cronica, anche se non è possibile consigliare un protocollo specifico di esercizi valido per tutti i casi. Ovviamente anche la back school si è dimostrata efficace nella lombalgia cronica se realizzata in specifici ambienti di lavoro e con personale qualificato. Nel vasto settore della terapia farmacologia le linee guida identificano come farmaco di scelta nella lombalgia acuta il paracetamolo, per la bassa incidenza di effetti collaterali, a patto che non venga utilizzato per un periodo prolungato e rispettando le specifiche del farmaco.

Nella lombalgia cronica, dove si rende necessario utilizzare per periodi più prolungati i farmaci, i FANS hanno dimostrato una maggiore efficacia rispetto al paracetamolo, anche se va sempre considerata con attenzione la possibilità di insorgenza di gravi effetti collaterali, in particolare se assunti a dosi elevate e nelle persone anziane, per cui possono essere prescritti solo dopo aver attentamente valutato la presenza di controindicazioni ed i possibili seri effetti collaterali.

Il loro utilizzo è risultato efficace nel trattamento della lombalgia cronica.

L’uso degli steroidi per via sistemica non viene raccomandato in presenza di lombalgia cronica per la mancanza di studi specifici, analogamente alle infiltrazioni articolari e periarticolari, le infiltrazioni dei Trigger Point e dei Tender point, quelle dei legamenti, la mesoterapia

In letteratura molto recentemente sono stati riportati dati confortanti riguardanti l’attività fisica, in particolare Hagen ed altri evidenziano come il riposo a letto paragonato al mantenimento dell’attività non mostra nel caso

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migliore nessuna efficacia, ed al peggio può avere un effetto dannoso sulla lombalgia cronica (“Bed rest compared with advice to stay active at best has no effect, and at worst may have slightly harmful effects on LBP”) ed inoltre che non sono state riscontrate importanti differenze sugli effetti determinati dal riposo a letto comparati con l’esercizio nella lombalgia acuta, e neanche nella comparazione tra un periodo di 7 giorni in confronto a 2-3 giorni di riposo a letto (“There is no important difference in the effects of bed rest compared with exercises in the treatment of acute low back pain, or 7 days compared with 2-3 days of bed rest in patients with low back pain of different durations with and without radiating pain”).

Van Tulder ed altri sottolineano come la terapia motoria nella lombalgia risulta più efficace rispetto alle usuali cure e sovrapponibile alla fisioterapia convenzionale per quanto riguarda la lombalgia cronica. ( “Exercises therapy was more effective than usual care by the general practitioner and just as effective as conventional physiotherapy for chronic low back pain”).

Gli stessi autori aggiungono inoltre che l’esercizio può aiutare i pazienti con lombalgia cronica ad accelerare il ritorno alle attività giornaliere ed al lavoro (“Exercises may be helpful for patients with chronic low back pain to increase return to normal daily activities and work”).

Da non trascurare a questo riguardo il ruolo rivestito dal rilascio delle endorfine durante l’attività muscolare al fine di giustificare anche il miglioramento sul controllo del dolore.

Da ciò emerge come una corretta e specifica attività motoria controllata all’interno di un programma medico, a patto di essere praticata costantemente consenta di ottenere un miglior sostegno biomeccanico, un miglioramento della sintomatologia dolorosa, e di essere capace quindi di prevenire i fatti degenerativi discali ed articolari conseguenza del sovraccarico biomeccanico e del cattivo utilizzo della struttura.

Infine solo per introdurre la prossima relazione riguardante i traumi distorsivi del rachide cervicale, voglio ricordare a proposito delle altre cause di inabilità temporanea come riguardo al colpo di frusta cervicale Freeman ed altri

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abbiano attribuito un’incidenza economica a questa patologia di circa 29 miliardi di dollari/anno e che su 10.000 articoli abbiano riscontrato soltanto 30 studi epidemiologici, di cui solo tredici affidabili e rispondenti ai requisiti richiesti.

Ferrari, Russel ed altri della Quebec Task Force sottolineano come in studi effettuati in Lituania, Grecia e Germania nelle forme più lievi di trauma distorsivo (grado 1 e 2) da colpo di frusta del rachide cervicale non sia stata riscontrata nessuna significativa differenza nelle sequele croniche dopo 3-6 settimane rispetto alla restante popolazione. Sarebbe quindi interessante valutare l’incidenza, in una popolazione che ha riportato un trauma distorsivo del tratto cervicale ed in una popolazione indenne statisticamente omogenea, della sintomatologia comunemente ritenuta invalidante dopo il trauma, in modo da potere eventualmente effettuare un distinguo tra la sintomatologia “fisiologicamente”

presente in quella fetta di popolazione rispetto alle reali sequele invalidanti.

In conclusione nel vasto e complesso campo della patologia dolorosa lombare un approccio schematico e semplicistico non può più essere considerato corretto. E’ necessario conoscere bene l’eziologia, la storia naturale, le varie espressioni della patologia e le cure efficaci che abbiano una validazione scientifica, in modo da disegnare una strategia terapeutica capace di condurre il paziente al miglior risultato possibile nei tempi più brevi evitando accertamenti e terapie inutili o dannosi . Grande valore va inoltre assegnato a mio avviso alla presa in carico del paziente, con una corretta e completa informazione, l’educazione posturale e lavorativa, e la programmazione di un piano riabilitativo e di rieducazione motoria delineati all’interno della realtà singola (socio- economica – lavorativa - familiare) in modo di limitare al minimo la malattia, prolungare al meglio lo stato di salute e diminuire l’incidenza di recidive e l’instaurarsi di lesioni degenerative altresì evitabili. In tal modo certo non riusciremo a sconfiggere e cancellare la lombalgia, ma avremo messo in essere tutte le opzioni terapeutiche efficaci a nostra disposizione e con una corretta informazione permetteremo al paziente la possibilità di comprendere, se è il caso convivere, ed amministrare al meglio le proprie problematiche dolorose.

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TAGETE n.2 Giugno 2003 Anno IX

Riferimenti

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