• Non ci sono risultati.

Il concordato preventivo a cinque anni dalla riforma - Judicium

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Il concordato preventivo a cinque anni dalla riforma - Judicium"

Copied!
15
0
0

Testo completo

(1)

www.judicium.it

GUIDO CANALE

Il concordato preventivo a cinque anni dalla riforma

SOMMARIO: 1. Premessa. 2. La domanda, il piano e la fase di autorizzazione. 3. segue: il contenuto della proposta e alcuni profili ulteriori 4. La formazione delle classi: facoltà o obbligo per il debitore? 5. Segue: il conflitto di interessi dei creditori in sede di voto. 6. La fase di omologa e i poteri del tribunale. 7. Una proposta ricostruttiva.

1. Negli ultimi anni il concordato preventivo è stato oggetto di interventi legislativi, che ne hanno significativamente modificato la disciplina; il primo, nel 2005, ha rivisto profondamente l’istituto; il secondo, alla fine del 2007, con il c.d. decreto correttivo, ne ha modificato alcuni aspetti (1).

Il primo intervento riformatore prendeva origine – come noto - dal desiderio e dalla speranza di favorire l’utilizzo del concordato preventivo, con un ovvio intento di accelerazione della cronicità dei (gravi) ritardi delle procedure fallimentari. L’idea di fondo era quella di un intervento deflattivo sull’utilizzo del fallimento, nella convinzione che le procedure alternative potessero svolgere un ruolo di rilievo all’interno delle soluzioni concorsuali per le imprese in crisi. Sebbene non condivisa da tutti, l’opinione prevalente era concorde nel ritenere che la scelta del legislatore si fosse articolata sulla base di due principi:

a) la assoluta libertà di contenuto conferita alla domanda di concordato preventivo (2);

b) la “privatizzazione” del processo di concordato, sottratto in larghissima misura all’intervento del giudice e rimesso al potere dispositivo delle parti, debitore e creditori (3).

Sia pur con qualche oscillazione, anche la giurisprudenza si era orientata ad una interpretazione del nuovo istituto conforme ai due principi appena ricordati, nelle loro varie applicazioni (4). L’intervento correttivo

1Ve ne è stato un terzo, nel 2010 (con l’art. 48 della l. 31 maggio 2010 n.78, convertito nella l. 122/2010) che ha cercato di agevolare il reperimento di finanziamenti sul mercato e di introdurre una sorta di procedura che garantisca, a certe

condizioni, al debitore un “ombrello” nella fase delle trattative pre-concorsuali; queste modifiche sono estranee ai problemi presi in esame nel presente lavoro e ad esse dedico altro scritto di prossima pubblicazione.

2Grazie alla riforma è divenuto possibile proporre un accordo in qualsivoglia forma, subordinato soltanto al consenso della maggioranza dei creditori; si sottolineava che il contenuto del nuovo art. 160 prendeva origine dalle esperienze maturate in ordinamenti vicini al nostro; e in ciò si rinveniva una conferma del rilievo che, in un’epoca di facile circolazione di modelli culturali, è pressoché insopprimibile la tentazione di cambiare modello nella speranza di un miglioramento.

3Privatizzazione della procedura che prendeva origine sia dall’insoddisfazione verso il giudice gestore, sia, soprattutto, dal vantaggio competitivo acquisibile nell’affidarsi alle scelte delle parti.

4 App. Torino, 19 giugno 2007, in Fall., 2007, p. 1315, con nota di Vacchiano, I poteri di controllo in sede di ammissione del debitore al concordato preventivo, con una articolata sentenza, aveva apertamente preso posizione a favore della tesi che negava qualunque potere valutativo in ordine alla fattibilità del piano, rimesso unicamente ai creditori, debitamente informati dalla relazione del commissario giudiziale

(2)

www.judicium.it del 2007, modificando alcune norme che regolano il concordato preventivo, ha riacceso un dibattito, ormai pressoché sopito. Secondo alcuni, infatti, la riforma avrebbe inciso sul secondo principio sopra ricordato, restituendo al tribunale poteri di controllo sulla proposta del debitore (e sul piano allegato) assai più penetranti di quelli prima previsti (5). In questi pochi anni si è così formato un orientamento, soprattutto giurisprudenziale, volto a “riconquistare il terreno perso con la riforma del 2005”; e si afferma che sussisterebbe un più ampio potere del tribunale di valutare nel merito la proposta del debitore sia in fase di ammissione sia in fase di omologa.

Vi è dunque motivo per fare il punto della situazione. Il presente lavoro viene suddiviso in tre parti, che avranno ad oggetto: (i) i presupposti e la fase di autorizzazione; (ii) la formazione delle classi e la votazione dei creditori; (iii) il controllo del tribunale nella fase di autorizzazione e nella fase di omologa.

2. - Il tema dei presupposti è quello sul quale minore è il dibattito, anche grazie all’intervento correttivo del legislatore (6); ma vi è un argomento, sul quale merita immediatamente soffermarsi: quello della consecuzione delle procedure concorsuali.

Il problema della unitarietà di procedure concorsuali succedutesi nel tempo attira l’attenzione della dottrina e della giurisprudenza da lungo tempo (7); e, come probabilmente noto ai più, la discussione è stata particolarmente vivace a cavallo degli anni 80-90, nel periodo di massimo vigore della azione revocatoria, sino a giungere all’esame della Corte Costituzionale (8).

5 L. Panzani, Il decreto correttivo della riforma delle procedure concorsuali,(prima parte), in Fallimento online 2007, 1 afferma “il disegno del legislatore del 2006 di eliminare il controllo del giudice sul merito della proposta concordataria è stato definitivamente accantonato”, cui adde, senza ambizione di completezza, Rago, I poteri del tribunale sul controllo della fattibilità del piano nel concordato preventivo dopo il decreto correttivo, in Fallimento, 2008, 264; Azzaro, Concordato preventivo e autonomia privata, in Fallimento 2007, 1267; Piccinini, I poteri del tribunale nella fase di ammissione alla procedura di concordato preventivo dopo il “decreto correttivo, in Riv dir. fall. 2009, II, 551.

6 Con l’art. 36 del decreto 30.12.2005 n. 273 il legislatore è intervenuto a chiarire che l’imprenditore che si trova in stato di insolvenza si trova certamente (anche) in stato di crisi; il che, per vero, a me pareva ovvio anche prima dell’intervento chiarificatore. Non ho mai compreso i dubbi, talora avanzati (G.Bozza. Le condizioni soggettive e oggettive del nuovo concordato, in Fallimento 2005, 960) secondo i quali il concordato preventivo sarebbe stato riservato all’imprenditore in crisi e precluso all’imprenditore insolvente, il quale, dunque, privo di alternative, avrebbe potuto soltanto chiedere il proprio fallimento.

Inoltre, a seguito dell’intervento correttivo del 2007 la domanda di concordato deve essere comunicata al pubblico ministero; si è così sottolineato che il p.m. oggi non sia più parte nessaria del procediemento e il suo parere sia facoltativo;

da ultimo sul punto cfr. G. Schiano di Pepe, Alcune considerazioni sui poteri dell’autorità giudiziaria con riguardo al concordato preventivo, in Riv. dir. fall. 2010, II, 304 e spec. 318; S. Scarafoni, Il pubblico ministero nel concordato preventivo: disciplina ante novella e post novella, in Riv. dir. fall. 2010, II, 81; S. Bonfatti - P.F.Censoni, Le disposizioni correttive e integrative della riforma della legge fallimentare, Padova 2008, 81.

7 Per un esame del tema e per i necessari riferimenti bibliografici e giurisprudenziali, cfr. U. Apice, La consecuzione di procedure concorsuali, in Le procedure concorsuali, Il fallimento, Trattato diretto da G.M. Raagusa Maggiore e C. Costa, Torino, 1997, III, 823;

V. Giorgi, Consecuzione di procedure concorsuali e prededucibilità dei crediti, Milano, 1996, passim.

8 C. Cost., 6 aprile 1995 n. 110 e C.Cost., 1 giugno 1995, ord., entambe in Fallimento 1995, 707

(3)

www.judicium.it In un precedente scritto sull’argomento (9) ricordavo che gli effetti della consecuzione delle procedure concorsuali, privi di una disciplina positiva, erano stati ricostruiti in via interpretativa dalla giurisprudenza in base all’identità del presupposto oggettivo del fallimento e del concordato preventivo (e dell’amministrazione controllata). Orbene, se l’imprenditore ha chiesto l’ammissione al concordato preventivo sulla base di uno stato di crisi, potenzialmente distinto e diverso dall’insolvenza, tale identità di presupposti in caso di successivo fallimento potrebbe essere revocata in dubbio (10); e ne conseguirebbe l’inapplicabilità del principio della consecuzione delle procedure concorsuali, con una potenziale lesione per il ceto creditorio (11).

Credo, tuttavia, che il dubbio possa essere superato: come noto, un problema analogo si poneva in precedenza nei rapporti del fallimento con la amministrazione controllata e l’opinione di larga maggioranza riteneva che la temporanea difficoltà di adempiere, che ai sensi dell’art. 187 l. fall. costituiva il presupposto di quest’ultima, non differisse ontologicamente dall’insolvenza e costituisse soltanto un diverso e minor grado del medesimo fenomeno (12); e si concludeva affermando l’applicabilità del principio di consecuzione anche in caso di successione tra amministrazione controllata e fallimento (13). Al di là delle differenze terminologiche, mi pare si possa assumere un punto fermo: “temporanea difficoltà” e “stato di crisi” esprimono, nella sostanza, un identico fenomeno di intensità minore del dissesto, che costituisce il presupposto della dichiarazione di fallimento. E tra i due concetti non esiste una apprezzabile differenza (14). A sostegno, giova altresì ricordare che l’art. 111, 2 co.,

9 G. Canale, Il nuovo concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, in Riv. dir. proc., 2005, p. 897. Giova anche ricordare che U.

Apice, La consecuzione, cit., III, 834 concludeva il suo lavoro sottolineando “la vastità e spinosità dell problematiche sottese al fenomeno della consecuzione delle procedure richiede che una specifica attenzione venga nel futuro dedicata dal legislatore in sede di revisione dell’intera materia. L’opinabilità delle soluzioni vigenti nuocciono certamente alla stessa credibilità delle procedure alternative al fallimento, che spesso sono viziate ab origine da equivoci e timori”; spiace dover verificare che l’invito è stato largamente disatteso.

10 Ancor più tenendo presente che è oggi venuta meno l’automaticità della dichiarazione di fallimento ogniqualvolta la domanda di concordato abbia esito negativo. Sul tema della matrice giurisprudenziale della ricostruzione della disciplina della consecuzione delle procedure concorsuali cfr. F. Santangeli, La consecuzione delle procedure concorsuali nell’evoluzione

giurisprudenziale, in www.judicium.it.. L’unica decisione edita sul punto (Trib. Mantova, 9 aprile 2009, in www.ilcaso.it) ritiene che per potersi applicare il principio di consecuzione occorre che l’imprenditore ammesso versasse in stato di insolvenza e non di mera crisi; sicché, a contrario, mi pare si possa ricavare l’affermazione che non si potrebbe parlare di consecuzione di procedure concorsuali laddove il presupposto per l’ammissione alla procedura di concordato fosse lo stato di crisi.

11 Sottolinea l’esistenza dell’argomento ab inconvenienti S. Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, Padova 2008, in Trattato di diritto commerciale diretto da G. Cottino, p.29; S. Bonfatti, Le procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa: opportunità e responsabilità, in www.ilcaso.it. , sottolinea che l’attuale disciplina del concordato preventivo costituisce il (tentativo) di una sintesi tra la disciplina dell’amministrazione controllata e quella del concordato preventivo previgente.

12 S. Ambrosini, Il concordato preventivo, op. ult. cit, p. 20, ritiene tra insolvenza e stato di crisi sussista un rapporto di genere a specie.

13 Sugli effetti dell’abrogazione della amministrazione controllata sulla perdurante sussistenza dei reati di bancarotta cfr.

Cass. pen., S.U., 12 giugno 2009, n. 24468, in Fallimento, 2010, 310, con commento di R. Lottini, Amministrazione controllata e reati fallimentari.

14 In senso conforme a quanto affermato si è pronunciata di recente la Suprema Corte (Corte di Cassazione Sez. I Civile, 6 agosto 2010, n. 18437 in www.ilcaso.it) nonché Trib. Siracusa, 19 novembre 2010, in www.ilcaso.it.

(4)

www.judicium.it l.fall., dispone la prededucibilità nel successivo fallimento dei crediti sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali previste dalla legge fallimentare (oggi il solo concordato preventivo, a seguito dell’abrogazione dell’amministrazione controllata), confermando così positivamente – almeno a me pare – la perdurante unitarietà della procedura di concordato con quella di fallimento.

Se dal punto di vista del presupposto il problema può essere superato, vi è tuttavia un profilo, del quale bisogna prendere atto: il venir meno della automaticità della dichiarazione di fallimento a seguito della “chiusura”

della procedura di concordato, posto che oggi il tribunale è privo di poteri di iniziativa d’ufficio. In vari casi il problema non sussiste: (i) quando vi siano istanze di fallimento già pendenti al momento del deposito della domanda di concordato; (ii) quando il tribunale trasmetta gli atti al p.m. per le iniziative ex art. 7, n. 2, l. fall.; (iii) in caso di risoluzione o annullamento del concordato, poiché l’art. 186 l. fall., richiamando gli artt. 137 e 138 l.

fall., chiarisce che il tribunale, pronunciando la risoluzione, deve altresì dichiarare il fallimento (15).

Il problema si pone dunque soltanto laddove alla pronuncia di inammissibilità del concordato non faccia seguito la dichiarazione di fallimento, ma questa pervenga dopo una nuova domanda di un creditore. In questo caso il problema effettivamente esiste: e, sia pur con la consapevolezza di un margine di opinabilità, sono convinto che si debba ritenere applicabile il principio della consecuzione delle procedure, con esclusione di quelle ipotesi, nelle quali il lasso di tempo intercorrente tra le due pronuncie divenga, in concreto, sì esteso da impedire una visione unitaria. A questa affermazione induce una interpretazione costituzionalmente orientata e una consapevole scelta tra i valori in gioco (16).

In primo luogo vi è il necessario rispetto dei diritti dei creditori, costituzionalmente garantiti. L’art. 168 l.

fall. fissa il divieto, a pena di nullità, dell’inizio o della prosecuzione delle azioni esecutive individuali a decorrere dalla data di deposito della domanda di concordato; in assenza del principio della consecuzione delle procedure essi rimarrebbero privi di tutela nei confronti di tutti quegli atti compiuti dal debitore prima di accedere alla procedura concordataria, che si consolidererebbero in assenza di una unitarietà delle procedure che si susseguono (17).

In secondo luogo si deve ricordare la previsione contenuta all’art. 236 l. fall., che estende la responsabilità penale prevista agli artt. 223 e 224 l. fall. anche alle ipotesi di concordato preventivo (e prima di amministrazione controllata). Ebbene, la Corte Costituzionale ha avuto occasione di ricordare che l’estensione della responsabilità penale per le ipotesi sanzionate agli artt. 223 e 224 l. fall. ai fatti commessi prima della amministrazione controllata è (rectius, era) preordinata alla conservazione della integrità del patrimonio dell’impresa, costituente la garanzia per i creditori della medesima in vista della eventualità di un loro non

15 Si veda Cass. 26 marzo 2010, n. 7273, in Fallimento, 2010, 649, con osservazioni di A. Badini Confalonieri, per qualche ulteriore riflessione sul tema, anche se il caso specifico concerneva gli eventuali effetti del principio di consecuzione per i creditori personali dei soci illimitatamente responsabili di una società di persone.

16 Per un primo esame dei molti problemi che la mancata considerazione unitaria delle procedure provocherebbe cfr.

P.F.Censoni, Prescrizione, decadenza e “consecuzione di procedure concorsuali” nella nuova azione revocatoria fallimentare, in Riv. dir. fall.

2010, I, 166.

17 Il problema potrebbe essere ovviato soltanto accedendo a quella tesi, autorevolmente sostenuta in dottrina (E.F.Ricci, Azioni esecutive in corso di fallimento e tutela del creditore rispetto ai terzi, in Giur. comm., 1987, 222, cui si rimanda per un approfondimento) secondo la quale non vi sarebbe un vero divieto ma una mera inopponibilità alla procedura dell’esecuzione individuale; soluzione che, peraltro, non ha incontrato i favori della giurisprudenza prevalente.

(5)

www.judicium.it

integrale soddisfacimento (18); con una motivazione ancor’oggi valida.

3. - Un secondo tema sul quale merita soffermarsi attiene al contenuto della proposta del debitore.

Infatti, secondo parte della giurisprudenza di merito, la proposta di concordato dovrebbe contenere l’indicazione specifica della percentuale offerta ai creditori, non potendo essere rimessa ad un calcolo più complesso o essere, addirittura, riferita all’importo che si ricaverà dalla liquidazione (19); la percentuale dovrebbe essere altresì determinata e, inoltre, non puramente simbolica o irrisoria (20).

Si assiste qui ad un esempio di quella corrente interpretativa ricordata in apertura: si cerca un ritorno al passato (21), ad una proposta del debitore che proponga una percentuale specifica, non irrisoria; e su tale requisito dovrebbe vigilare il tribunale in sede di ammissione. La ratio di questa interpretazione non solo è inaccettabile, ma, a vero dire, del tutto incomprensibile. In primo luogo, è proprio la struttura della domanda di concordato, voluta dal legislatore del 2005 e oggi vigente, a rendere in più occasioni impossibile determinare a priori la percentuale specifica da offrire ai creditori: senza immaginare i complessi piani talvolta necessari per le grandi insolvenze, è sufficiente pensare a una proposta che preveda la mera cessione dei beni per comprendere che sarebbe impossibile predeterminare le condizioni economiche di liquidazione di ciascun cespite. In realtà è qui evidente la nostalgia della antica disciplina, quando la proposta di concordato doveva rispettare la previsione minima del 40% e la giurisprudenza, in modo rigoroso, ne chiedeva garanzia già al momento della ammissione alla procedura.

Il problema, però, è di più ampio respiro, poiché in tal modo si sottrarrebbe alla valutazione del ceto creditorio ciò che, invece, il legislatore ha voluto sottoporre al suo esclusivo consenso. Sono i creditori che devono valutare se la percentuale loro offerta sia soddisfacente, sebbene di minima entità (22); sono i creditori che devono valutare se il piano di liquidazione dei cespiti proposto dal debitore e attestato dall’esperto sia a loro avviso credibile e portatore di una soluzione preferibile alla alternativa del fallimento. Qualificando come requisito di ammissibilità ciò che costituisce un tema della valutazione di merito sulla convenienza della proposta, si incide, in modo inammissibile, sulla struttura stessa dell’istituto.

18 C.Cost., 18 maggio 1989, n. 268, in Riv. dir. fall., 1990, II, p. 11.

19Trib. Milano, 25 gennaio 2010, in Fallimento, 2010, 624.

20 Trib. Arezzo, 17 maggio 2009, in Redazione Giuffrè 2009; Trib. Piacenza, 23 giugno 2009, in www.ilcaso.it.; Trib. Roma, 16 aprile 2008, in Riv. dir. fall., 2009, II, 551; conf., sia pure in modo dubitativo, S. Ambrosini Il controllo giudiziale sull’ammissibilità della domanda di concordato preventivo e sulla formazione delle classi, in Riv. dir. fall. 2010, 551.

21 Parla apertamente di un “tentativo di leggere il nuovo con gli occhiali del vecchio” G. Fauceglia, Ancora sui poteri del Tribunale per l’ammissibilità del concordato preventivo: errare è umano, perseverare diabolico, in Riv. dir. fall., 2008, II, 573.

22 Non mi pare pertinente (e, per vero, tautologica) l’affermazione, secondo la quale in caso di percentuale irrisoria l’accordo concordatario sarebbe privo di causa; i creditori, per le più svariate ragioni, possono trovare preferibile percepire un soddisfacimento minimo, in tempi brevi e portare a perdita il lor credito in luogo di affrontare una procedura di fallimento all’esito della quale percepire nulla (che è comunque ontologicamente meno di un qualcosa di irrisorio) e perdere altri benefici quali quelli fiscali o quelli, ad esempio, diuna continuazione anche parziale dell’attività del debitore e, dunque, la possibilità di nuovi rapporti commerciali.

(6)

www.judicium.it Come noto, al piano deve essere allegata la relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67 lett. d) (23) che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano proposto. Sin dal 2005 si è posto il problema di quale sia il ruolo rivestito da questo professionista e, in particolare, se egli rilasci una attestazione tecnica di parte ovvero possa esere considerato incaricato di un pubblico servizio (24); in quest’ambito (e di conseguenza) è sorto il quesito se il tribunale possa, qualora ritenga non completa o soddisfacente detta relazione, disporre una consulenza tecnica d’ufficio (25).

A me pare che, ancora una volta, si confondano i piani. La responsabilità della proposizione di un piano chiaro e convincente è del debitore proponente e dei professionisti dei quali si avvale. Se il tribunale, in sede di ammissione, ritiene che vi siano profili non chiari e necessari di approfondimento, può invitare il debitore a fornire chiarimenti e integrazioni ai sensi dell’art. 162, 1 co., l.fall.; ma non può, in alcun modo, sostituirsi al debitore acquisendo una diversa valutazione peritale. Le osservazioni critiche al contenuto della proposta potranno essere espresse, successivamente, dal commissario nella relazione ex art. 172 l.fall., al fine di informare compiutamente i creditori che dovranno esprimere il voto e ai quali è comunque rimessa, in via esclusiva, la decisione.

Un ultimo profilo merita di essere segnalato (26): con il provvedimento di ammissione il tribunale fissa l’importo del deposito delle spese da effettuarsi da parte del debitore e che può essere pari a una percentuale della somma complessiva individuata dal tribunale. Il termine entro il quale il deposito deve essere effettuato è – a mio avviso - ordinatorio (27); a sostegno di questa opinione (28) vi è, da un lato, l’assenza di una espressa previsione

23 Anche su questa norma è intervenuto il decreto correttivo del 2007, poiché prima il professionista doveva essere in possesso dei soli requisiti previsti dall’art. 28 per la nomina a curatore mentre ora deve essere iscritto all’albo dei revisori dei conti, essere in possesso dei requisiti di cui all’art. 28, lett. a) e b) ai sensi dell’art. 2501 bis, quarto comma, c.c..

24da ultimo Trib. Torino, sez. IV pen., 31 marzo 2010, in Fallimento, 2010, 973, ha escluso che il professionista rivesta la qualtà di pubblico ufficiale

25 Trib. Piacenza, 3 luglio 2008, in Fallimento, 2009, 121.

26 Giova anche ricordare che, introdotta la riforma, si era segnalato che il legislatore avesse perso l’occasione di regolare un punto che già in precedenza aveva costituito occasione di dibattito in dottrina e giurisprudenza: quello della eventuale modifica della proposta da parte del debitore in corso di procedura. Ebbene, a seguito dell’intervento correttivo del 2007, l’attuale art. 175 l.fall. prevede che la proposta di concordato non possa più essere modificata soltanto dopo le operazioni di voto; in caso di modifica (prima della votazione, ovviamente) non è più necessaria una nuova relazione del professionista né un nuovo provvedimento di ammissione da parte del tribunale. E’ sufficiente che la modifica sia valutata dal commissario giudiziale, che la illustri ai creditori ai fini della votazione (cfr. Trib. Pescara, 16 ottobre 2008, in Giur. merito, 2009, I, 125, con nota di D’Orazio; Trib. Bologna, 25 ottobre 2007, in Il merito, s. m., 2008, 3, 41; Trib. Sulmona, 5 dicembre 2007, in Fall., 2008, 822, con nota di Fimmanò).

27conf. Trib. Messina, 24 settembre 2008, in Fall., 2009, p. 209 con nota di Rago, Il deposito delle spese nel concordato preventivo.

28 Prima della riforma, come noto, l’opinione del tutto prevalente riteneva che il termine fissato dal tribunale fosse

perentorio e la sua inosservanza comportasse l’automatica dichiarazione di fallimento (Cass., 10 luglio 1993, n. 7598, in Fall., 1993, 1250; Cass., 12 marzo 2001, n. 2917, ivi, 2001, 267, con nota di Rago; Trib. Siena, 14 gennaio 1992, in Riv. dir. fall., 1992, II, 830). La dottrina non era concorde, poiché riteneva che il versamento fosse possibile sino a quando il tribunale non avesse pronunciato il fallimento (Bonsignori, Il concordato preventivo, Bologna, 1979, 152; Pajardi, Manuale di diritto fallimentare,

(7)

www.judicium.it del legislatore in ordine alla perentorietà del termine e, dall’altro, il venir meno della automatica dichiarazione di fallimento, essendo oggi prevista l’apertura del procedimento ex art. 173 l.fall. Infine, la ordinarietà del termine appare funzionale a quello spirito di favor verso l’istituto che ha permeato e permea la riforma.

4. - La riforma del 2005 ha rivoluzionato i principi di fondo del concordato preventivo in tema di trattamento dei creditori; ha infatti previsto la facoltà per il creditore di suddividere i creditori chirografari in classi, secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei. Sin dall’inizio si è sottolineata l’importanza di questa novità, volta a consentire al debitore la strutturazione di un piano articolato, nel quale i creditori siano raggruppati in classi, cui offrire trattamenti diseguali non solo nella percentuale di pagamento offerta ma anche – e direi soprattutto - nella modalità di soddisfazione (29). La discussione è divenuta subito accesa sulla individuazione dei criteri guida per la formazione delle classi (30); ma, per il vero e se non erro, nessuno aveva posto in dubbio il rilievo che si trattasse di una facoltà del debitore, rimessa alla sua esclusiva discrezionalità.

Anzi, molti sono coloro che, sin dall’introduzione della riforma, hanno sottolineato la carenza di una analoga previsione anche per i creditori privilegiati, almeno parzialmente introdotta con il c.d. decreto correttivo (31).

Negli ultimi tempi, dopo l’intervento correttivo del 2007, alcune decisioni, con l’avallo di parte della dottrina, hanno assunto una posizione del tutto nuova, interpretando in modo diverso il contenuto dell’art. 160 l.fall. e affermando che la formazione delle classi costituirebbe un vero e proprio dovere per il debitore proponente (32), sul cui adempimento il tribunale sarebbe chiamato a vigilare in sede di esercizio dei poteri di Milano, 1986, 725;); e anche una parte della giurisprudenza di merito condivideva questa posizione (Trib. Treviso, 27 marzo 1986, in Fall., 1987, 330; Trib. Catania, 9 gennaio 1984, in Riv. dir. fall., 1984, II, 338; Trib. Genova, 3 febbraio 1987, in Fall., 1987, 1183).

29 Per un esame dei vari profili in base ai quali possono essere formate le classi e sulla loro finalità cfr., da ultimo, D. Galletti, Classi obbligatorie? No, grazie!, in Giur. comm. 2010, 2, 343.

30 Per un ampia e ragionata casistica cfr. P.G. Demarchi, Fallimento e altre procedure concorsuali, Milano, 2009, 804.

31 Che, come noto, ha modificato l’art. 160, penultimo comma, l. fall., introducendo analoga previsione a quella dettata in tema di concordato fallimentare; oggi dunque è consentito un trattamento differenziato dei creditori privilegiati (e dunque la formazione di una apposita classe) limitatamente ai creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca purchè la loro

soddisfazione non sia inferiore a quella che avrebbero conseguito in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore del bene o diritto sul quale sussiste la causa di prelazione.

32 Si ritiene che le classi siano uno strumento di tutela anche dei creditori al fine di garantire una uguaglianza di trattamento del creditore e del suo dissenso innanzi al tribunale; il dissenso dorebbe pesare in proporzione alle dimensioni economiche dell’insofddisfazione di ciascuno. Per la necessaria trasparenza dell’operazione concordataria, al fine di evitare la

commistione di interessi disomogenei, può divenire necessario procedere a suddividere i creditori chirografari in classi, e in questi casi la suddivisione costiuirebbe un vero e proprio dovere el debitore proponente e non una semplice facoltà. Così Trib. Monza, 7 aprile 2009, in Redazione Giuffrè, 2009 e in Giur. merito, 2009, 7-8, 1895.; nello stesso senso, anche se in modo meno esplicito, Trib. Milano, 4 dicembre 2008, in Fallimento 2009, p.423, con nota di G. Bozza, La facoltatività della formazione delle classi nel concordato preventivo. In dottrina cfr. Sacchi, Concordato preventivo, conflitti di interessi fra creditori e sindacato dell’autorità giudiziaria sul concordato preventivo, in Studi in onore di Vittorio Colesanti, vol. II, Napoli, 2009, p. 1129; Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare, Torino, 2009, 321; Id., Diritto e processo a confronto sul nuovo fallimento e lo spettro dei conflitti di classe, in Fallimento, 2008, p.8; S. Ambrosini, Il controllo giudiziale sull’ammissibilità, cit,. 563. Per una diversa finalità della introduzione delle classi cfr. D. Galletti, op. cit., 343.

(8)

www.judicium.it controllo sin dalla fase di ammissione alla procedura (33).

Un fermo dissenso è qui necessario (34): sebbene lo sforzo interpretativo sia notevole, esso si scontra con il chiaro tenore dell’art. 160 l.fall.. La suddivisione dei creditori in classi è una facoltà rimessa alla discrezionale valutazione del debitore: inequivoco in tal senso è il contenuto della norma appena ricordata, che testualmente dispone che il debitore “può” prevedere le classi; il fatto che la suddivisione in classi costituisca una mera eventualità è poi confermata dai successivi artt. 163, 177 e 182 ter l. fall., nei quali si ribadisce, nei singoli casi, la disciplina da seguire “nell’eventualità che siano previste diverse classi di creditori”(35).

Forse sul piano dei desideri (e del “concordato che vorrei”) si potrebbe meditare sull’utilità di un siffatto dovere (36); ma al momento, le cose stanno in modo diverso e la forzatura del dato testuale è talmente evidente da non poter essere accettata, senza necessità di ulteriori commenti (37).

5. - Il secondo profilo, connesso al primo, sul quale si è assistito ad un interessante dibattito e ad una evoluzione giurisprudenziale, attiene alla disciplina dell’eventuale conflitto di interessi del creditore in sede di votazione (38). Il problema si pone in tutte quelle situazioni, nelle quali l’eventuale conflitto di interessi del

33 Sul punto della sussistenza di un vero e proprio dovere, e non di una mera facoltà, per il debitore di suddividere i creditori in classi laddove sia rinvenibile la presenza di una posizione giuridica e soprattutto di interessi non omogenei è stata sollevata una questione di illegittimità costituzionale per violazione del criterio di ragionevolezza rilevante ai sensi dell’art. 3 Cost.; così Trib. Biella, 23 aprile 2009, in Giur. merito, 2009, 7-8, p. 1988 e in Fallimento, 2010, 43, con nota di G. Minutoli, Il controllo giudiziale sul mancato o insufficiente “classa mento” dei creditori: il punto nella prassi e in dottrina. La questione è stata dichiarata manifestamente infondata dalla Corte Costituzionale con ord. 12 marzo 2010, n.98, in Fallimento, 2010, 775, con nota di P.

Catallozzi, Il “classa mento obbligatorio” nei concordati.

34 Da ultimo, sia pure in tema di concordato fallimentare, App. Torino, 3 novembre 2009, in Fallimento 2010, 248; In senso conforme, con ampiezza di motivazioni di natura sostanziale, D. Galletti, Classi obbligatorie? No, grazie!, cit., 343.

35 G. Lo Cascio, Classi di creditori e principio di maggioranza nel concordato preventivo, in Fallimento, 2010, 385; Id., Concordati, classi di creditori e incertezze interpretative, in Fallimento, 2009, 1129; G. Bozza, La facoltatività della formazione delle classi nel concordato preventivo, in Fallimento, 2009, 424.

36 Giova sottolineare che in altri ordinamenti il legislatore ha preso espressa posizione sul punto: in Germania, ad esempio, il par. 222 dell’InsO stabilisce il principio della obbligatorietà della formazione delle classi per le differenti posizioni giuridiche, mentre per le differenti posizioni economiche la suddivisione è rimessa alla discrezionalità del debitore proponente.

37 Conforme è M. Sciuto, La classificazione dei creditori nel concordato preventivo (un’analisi comparatistica), in Giur. comm., 2007, I, p.

581; S. Ambrosini, op. ult. cit., 567; cui adde D. Galletti, op. cit., 343

38 Il tema è stato segnalato in dottrina, per primo da R. Sacchi, Dai soci di minoranza ai creditori di minoranza, in Fallimento, 2009, p. 1063; Id., Concordato preventivo, conflitti di interessi fra creditori e sindacato dell’Autorità giudiziaria, ibidem, 30; cui adde M.

Fabiani, Brevi riflessioni su omogeneità degli interessi e obbligatorietà delle classi nei concordati, in Fallimento 2009, 423.

(9)

www.judicium.it creditore rinviene dalla sua relazione sostanziale con il debitore ammesso alla procedura o con la sua compagine sociale; ovvero, secondo alcuni, quando il creditore sia titolare di diritti collaterali, come accade – ad esempio – quando disponga di garanzie personali da parte dei soci della società ammessa alla procedura.

Innanzitutto le due situazioni non sono accomunabili; e la posizione del creditore titolare di diritti collaterali non dà luogo, a mio avviso, ad alcun conflitto di interessi. Il rilievo che un creditore abbia la possibilità di acquisire un’ulteriore soddisfazione sul patrimonio di soggetti terzi rispetto al debitore concordatario non mi pare sia costitutiva di un suo interesse differente e in contrasto con quello degli altri creditori; quel creditore, in virtù di rapporti sostanziali in precedenza acquisiti, avrà la possibilità di una maggiore soddisfazione (come sempre accade in presenza di una pluralità di obbligati o coobbligati) senza che ciò possa in alcun modo presupporre che egli abbia un interesse diverso e contrastante con quello degli altri creditori, volto alla massimizzazione del suo ricavo in sede di distribuzione concordataria (39).

Affatto diversa è l’altra ipotesi, nella quale il creditore ha rapporti “societari” con il debitore o con la sua compagine sociale; in questo caso il problema si pone in modo aperto, poiché la disciplina positiva del concordato preventivo non contiene alcuna previsione sul punto; in ambito di concordato fallimentare, invece, il legislatore ha disciplinato almeno parzialmente il tema, prevedendo all’art. 127, 6 co. l. fall., l’esclusione dal voto e dal computo delle maggioranze delle società controllanti, di quelle controllate e di quelle soggette a comune controllo. A vero dire, l’art. 177, 5 co., l. fall., detta per il concordato preventivo una disciplina sul punto dell’eventuale conflitto di interessi, ma si limita a prevedere l’esclusione dal voto del coniuge del debitore e dei suoi parenti e affini fino al quarto grado.

Il quesito, se le norme dettate per il concordato fallimentare possano trovare applicazione in via analogica in sede di concordato preventivo, se sia possibile interpretare estensivamente il disposto dell’art. 177, 5 co., l. fall. appena ricordato o se sia possibile (e preferibile) risolvere il problema in altro modo, invocando le norme che regolano il conflitto di interessi nell’ambito della disciplina delle società per azioni, deve dunque essere preso in esame, unitamente a quello su quale sia l’organo investito della sua risoluzione.

Innanzitutto, si deve sgomberare il campo dall’idea di applicare in modo (ampiamente estensivo) il disposto dell’art. 177 l. fall.; si tratta di una norma a mio avviso di carattere eccezionale, ai sensi dell’art. 14 delle preleggi, che disciplina un caso specifico ed eccezionale in deroga alla disciplina generale; inoltre “avvicinare”

l’ipotesi del rapporto di parentela a quella del controllo in tema di società di capitali é operazione che va ben al di là di una interpretazione analogica, costituendo una vera e propria creazione di norma regolatrice, vietata in sede di interpretazione del diritto positivo (40).

L’applicazione del disposto del 6 comma dell’art. 127 l. fall. deve, invece, essere presa in esame; a sostegno di questa soluzione si invoca l’orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte (41), che, in tema di risoluzione del concordato, ha predicato la possibilità di estendere al concordato preventivo le norme previste in materia di concordato fallimentare.

39 Se mai si deve riflettere sul fatto se il debitore, nell’ambito del generale dovere di comportamento secondo buona fede previsto agli artt. 1175 e 1375 c.c., debba esplicitare queste situazioni, e, forse, se il debitore non rispondesse a richieste di chiarimenti sul punto formulate dal tribunale in sede di ammissione, si potrebbe ritenere non trasparente la proposta e la attestazione del professionista.

40 In senso conforme Trib. Reggio Emilia, 1 marzo 2007, in www.ilcaso.it

41 Cass., 3 agosto 2007, n. 17059, in Fallimento 2008, 358 ha ritenuto che in materia di risoluzione del concordato

preventivo si applica il principio per cui gli obblighi di restituzione posti dall’art. 140 l.fall. (dettato in materia di concordato fallimentare) a carico dei creditori costituiscono un effetto ordinario dell’apertura del fallimento consecutivo ogniqualvolta non vi sia stata salvezza, nei pagamenti attuati in costanz della procedura concorsuale minore, delle clausole legittime di prelazione. Ma, si ricordi, che, in senso contrario, prima del decreto correttivo, l’opinione pressoché pacifica escludeva la possibilità di applicare analogicamente e/o estensivamente l’art. 124, 3 co., l. fall. al concordato preventivo, sicché non era possibile prevedere una soddisfazione parziale dei creditori privilegiati in una proposta di concordato preventivo.

(10)

www.judicium.it Sono peraltro di ostacolo alcune considerazioni: in primo luogo, secondo l’opinione preferibile, l’applicazione ad una fattispecie di norme che regolino situazioni simili è consentita soltanto quando manchi del tutto una specifica disciplina (42); e nel nostro caso si è appena visto che nel concordato preventivo il legislatore ha preso in esame il profilo del conflitto di interessi in sede di espressione del voto da parte dei creditori, limitandosi a disciplinare il rapporto di parentela. In secondo luogo, l’interpretazione proposta assume una presunzione assoluta di non genuinità del voto, mentre in altri settori dell’ordinamento (come nell’ambito delle società per azioni) il legislatore ha dettato una regola che circoscrive l’ipotesi a quella, nella quale il soggetto in luogo di perseguire i propri interessi, persegua in concreto quelli di un altro (43). Orbene, mi pare una sorta di petizione di principio affermare che il soggetto che esprime il proprio voto favorevole alla proposta di concordato, sebbene legato da vincoli societari (e, poi, quale sarebbe il livello di intensità rilevante?) con il debitore proponente, non persegua (anche) il proprio interesse a percepire la percentuale offerta, ma esclusivamente quello di favorire, indebitamente e contro il proprio interesse, il debitore concordatario (44).

Il problema peraltro esiste; ed alcuni casi limite, di recente segnalati in giurisprudenza, ne testimoniano il rilievo. La formazione di classi, in una delle quali siano posti i creditori in potenziale conflitto, risolverebbe il problema; in questa ipotesi il conflitto sarebbe reso noto, soddisfacendo al requisito richiesto dall’art. 1394 c.c., e non avrebbe efficacia determinante sulla formazione della volontà della classe degli altri creditori, soddisfacendo così al requisito fissato dall’art. 2373 c.c.. Tuttavia, lo si è già evidenziato, la formazione delle classi è una facoltà per il debitore; e il problema pemane per tutte quelle ipotesi, nelle quali le classi non siano previste.

In questi casi, tuttavia, non mi pare consentito escludere il creditore dal voto (45); l’ (eventuale) abuso del voto (46) non può comportare – in assenza di apposita previsione - la sterilizzazione del voto stesso. L’art. 176 l.fall. prevede che il giudice possa escludere dal voto i creditori contestati; ampio è il dibattito se il giudice debba decidere sulla base di contestazioni sollevate dal debitore o da altri creditori ovvero se possa esercitare d’ufficio tale potere (47). A seguito della riforma del 2005 mi pare che non si possa più avere dubbi in ordine alla necessità

42 Bobbio, Ancora intorno alla distinzione tra interpretazione estensiva ed analogia, in Giur. It., 1968, I, c. 695; Guastini, Completezza ed analogia, in materiali per una storia della cultura giuridica, 1976, IV, p. 511.

43 E, anzi, il novellato art. 2373 c.c. prevede che il voto dato in conflitto di interessi assuma rilievo soltanto se determinante per l’approvazione della delibera; con la conseguenza che secondo l’opinione del tutto prevalente il socio in conflitto di interessi non possa essere escluso dalla votazione. Contrario all’interpretazione analogica è Filocamo, sub. art. 177, in La legge fallimentare, Commentario teorico pratico a cura di M.Ferro, Padova, 2007, 1339; conf. Trib. Reggio Emilia, 1 marzo 2007, cit.

44 conf. S. Ambrosini, Il controllo giudiziale sull’ammissibilità, cit., 568.

45 Le norme che disciplinano queste situazioni escludendo il soggetto in conflitto dal diritto al voto sono ormai residuali anche nella disciplina delle società per azioni (art. 2373 2 co. c.c.) e ritenute di carattere eccezionale; così D. Galletti, op. cit., 343.

46Così lo definisce R. Sacchi, Concordato preventivo, cit., 33.

47 In tema di amministrazione controllata Cass., 10 giugno 1994, n. 5652, in Fallimento 1995, 141, ha ritenuto esercitabile tale potere anche d’ufficio; in senso conforme nel concordato preventivo, S. Pacchi , L’adunanza dei creditori in S. Pacchi (a cura di) Il nuovo concordato preventivo.Dallo stato di crisi agli accordi di ristrutturazione, Milano, 205, 193; A. Patti, Tutela giurisdizionale, in Diritto fallimentare (a cura di G. Lo Cascio), Milano, 1996; R. Sacchi, Il voto dei creditori nel concordato preventivo e

(11)

www.judicium.it di una contestazione e alla inammissibilità dell’esercizio d’ufficio di un siffatto potere da parte del giudice delegato; l’intero attuale assetto della procedura concorsuale è improntato alla tendenziale esclusione di qualsivoglia potere suppletivo in capo al giudice, che è oggi chiamato a svolgere una funzione giudicante e non più gestoria (48); anche in questo caso il giudice deve decidere su contestazioni sollevate dai creditori e eventualmente dal debitore, essendo privo del potere di agire d’ufficio o su sollecitazione del commissario, a sua volta privo della legittimazione alla contestazione. A prescindere da questo profilo, si tratta in ogni caso di una decisione assunta dal giudice delegato in assenza di un sia pur minimo procedimento e di un adeguato contraddittorio; è pur vero che tale decisione ha unicamente effetti sul calcolo delle maggioranze senza decidere sul rapporto di credito sottostante, ma la sua portata potrebbe essere addirittura esiziale (49).

La soluzione più conforme ai principi mi pare quella che rimette la questione all’iniziativa dei creditori dissenzienti, fatta valere in sede di opposizione innanzi al collegio, nell’ambito del giudizio di omologa (50). In questo modo, innanzitutto, si elide in radice il rischio che l’esclusione del creditore in sede di voto provochi il mancato raggiungimento della maggioranza prevista, con la conseguente declaratoria di inammissibilità del concordato e la possibile pronuncia di fallimento (51); al contrario, l’ammissione del creditore in potenziale conflitto di interessi consentirà di (i) verificare se quel voto abbia avuto effetto decisivo per l’approvazione e (ii) a seguito dell’opposizione all’omologazione, l’apertura di un giudizio, in contraddittorio e con una istruttoria permeata di poteri inquisitori (52), all’esito del quale si avrà la decisione del collegio che, ove favorevole all’esclusione, porterà alla constatazione del mancato raggiungimento della maggioranza richiesta.

La soluzione proposta non incontra ostacoli significativi: ai sensi dell’art. 180 l.fall., l’opposizione può essere proposta dai creditori dissenzienti e da qualunque interessato (53). Il voto in conflitto di interessi vizia la nell’amministrazione controllata: problemi, in Giur. comm., 1977 I, 772; M.E. Gallesio Piuma, Le adesioni alla proposta di concordato preventivo, in Riv. dir. fall., 1970, 108. Contra A. Ravazzoni, Commento sub. Art. 176 e 178 l .fall., in Comm. diretto da G.U.

Tedeschi, 1997, II, 173; Bonsignori, Concordato preventivo, in Commentario Scialoja – Branca. Legge Fallimentare, Bologna-Roma 1979, 340; Ragusa Maggiore, Istituzioni di diritto fallimentare, Padova, 1994, 1038. Sul tema cfr. anche P. Liccardo, sub. art. 176 l.fall., in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di A.Nigro, M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2010, III, 2188.

48 Innumerevoli sono i contributi in questo senso soprattutto con riferimento alla fase di formazione del passivo nel fallimento.

49 L’esclusione del creditore in sede di voto potrebbe comportare il mancato raggiungimento della maggioranza prevista, con la conseguente declaratoria di inammissibilità del concordato e la possibile pronuncia di fallimento; decisione

sostanzialmente irreversibile.

50 Mi pare evidente che i creditori favorevoli alla proposta non abbiano interesse alcuno al profilo

51 Il provvedimento di esclusione non è impugnabile neppure con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 l.fall.

secondo Cass., 25 novembre 1971, n. 3442.

52 Sul punto cfr. I. Pagni, op.cit., 592.

53 Dovrebbero reputarsi legittimati il creditore dissenziente, il creditore astenuto, il creditore dissenziente appartenente a classe dissenziente e il crediore escluso (così S.Pacchi, L. D’Orazio, A. Coppola, Il concordato preventivo, Torino, 2005, 1882; su

(12)

www.judicium.it delibera, se il voto è determinante; e si tratta di una fattispecie di applicazione generale, estensibile a mio avviso anche a quelle situazioni nelle quali manca una espressa regola sul punto (54). La delibera di approvazione della proposta concordataria è “impugnabile”, poiché il voto espresso in conflitto di interessi provoca un vizio di legittimità del procedimento (55).

Sono consapevole che non sarà sempre agevole distinguere i fini concordatari da quelli extra concordatari (56); nè mi pare possibile fissare una regola, dovendo essere rimessa la soluzione del problema al singolo caso, sulla base di alcuni principi: (i) quale sia il grado intensità del rapporto che lega il creditore all’imprenditore o alla sua compagine sociale; (ii) se il conflitto di interessi sia evidente, vale a dire se emerga che il creditore sta esprimendo il proprio voto senza perseguire una propria utilità; (iii) se il voto espresso in conflitto di interessi abbia avuto influenza determinante per l’approvazione della proposta. La previsione che competa al collegio in sede di omologa decidere la questione, assicura il contraddittorio con il creditore in conflitto di interessi, la possibilità di una istruttoria (57) e, dunque, la salvaguardia di interessi di rango assoluto che, invece, la attribuzione della soluzione al giudice delegato ai sensi dell’art. 176 l.fall. potrebbe pregiudicare.

punto per interessanti osservazioni cfr. I. Pagni, Contratto e processo nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti:analogie e differenze, in Trattato di diritto fallimentare, Padova, 2010, I, 572); ad avviso di Trib. Reggio Emilia, 1 marzo 2007 citato in P.G. Demarchi, op. cit., 860) interessati sarebbero tutti coloro che potrebbero subire un pregiudizio immediato e diretto dalla pronuncia, indipendentemente dl fatto che tale soggetto sia anche legittimato a proporre opposizione; Trib.

Monza, 29 gennaio 2010, in Fallimento 2010, 497, ritiene “interessati” i creditori non votanti; Trib. Bari, 26 novembre 2009, in Fallimento 2010, 377, ritiene che i creditori dissenzienti, anche in caso di mancata formazione di classi, possano proporre opposizione.

54 M. Fabiani, op. cit., 439, nota 2, che ricorda l’ipotesi del condominio negli edifici (sul quale cfr. anche Cass., 25 novembre 2004, n. 22234, in Arch.locaz., 2005, 293; Cass., 22 luglio 2002, n. 10683, in Foro it., 2003, I, 540); contrario all’esistenza nel concordato preventivo di un “principio immanente” imperniato sul divieto di conflitto di interessi è S. Ambrosini, Il controllo giudiziale, cit., 569, che sottolinea anche l’inutilizzabilità di quanto previsto dall’art. 223 l.fall. in tema di mercato di voto, stante l’impossibilità di ricorrere all’analogia in materia penale, vietata dall’art. 14, disp. gen., cod. civ.

55 In questo modo si ricade in quella situazione che la giurisprudenza è usa a definire di abuso di potere, nel quale è

consentito un sindacato fondato sull’esercizio del voto secondo gli obblighi di correttezza e buona fede, qualora il socio (i.e., il creditore) si è orientato secondo motivazioni estranee a quelle “tipiche” che possono essere dedotte nel procedimento decisionale.

56 Ad esempio extra-concordatario potrebbe essere l’interesse a salvaguardare atti dispositivi a proprio favore in precedenza effettuati dal debitore, che potrebbero venir meno in caso di dichiarazione di fallimento in applicazione del principio di consecuzione delle procedure; al contrario la circostanza che il creditore abbia la consapevole aspettativa di acquisire un ulteriore soddisfazione grazie alla titolarità di garanzie su beni di terzi non consente di ritenere automaticamente che egli non valuti liberamente la percentuale offertagli in alternativa alle aspettative derivanti da una procedura fallimentare e esprima il proprio voto in modo non genuino. D’altronde, l’esistenza di eventuali garanzie collaterali era ben presente al legislatore, il quale ha previsto all’art. 184 l.fall. la regola secondo la quale restano impregiudicati i diritti dei creditori anteriori al decreto di ammissione alla procedura nei confronti di coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso.

57 Sul punto cfr. I. Pagni, op.cit., 592.

(13)

www.judicium.it 6. - Con l’introduzione della riforma del concordato preventivo si era sottolineato, soprattutto in dottrina, la volontà del legislatore di privatizzare l’istituto, rimettendo ogni valutazione ai creditori e restringendo i poteri del tribunale ad un controllo di legaltà; a tal punto che si era sostenuto che il tribunale rivestisse una funzione avvicinabile a quella notarile (58). Sotto il vigore della primigenia disciplina il dibattito era acceso, poiché non tutti erano di questa opinione; e non mancavano coloro che ritenevano sussistere poteri residuali del tribunale sul controllo di fattibilità del piano (59).

La riforma del 2007 ha rinvigorito la discussione, poiché è intervenuta a modifica del testo degli artt.

161, 162 e 163 l.fall.; e questo triplice intervento correttivo ha portato nuova linfa al dibattito, alimentando la tesi di coloro che ritengono che al tribunale sia consentito un potere di verifica nel merito della fattibilità del piano.

L’indagine sull’ampiezza dei poteri del tribunale nella fase di ammissione non può essere condotta disgiuntamente da quella relativa alla fase di omologa, laddove anche l’art. 180 l.fall. è stato oggetto di intervento con il decreto di rettifica del 2007.

Su questo profilo si riscontrano, in dottrina e giurisprudenza varie posizioni: alcuni ritengono che in sede di ammissione il tribunale non debba limitare la sua valutazione alla mera esistenza materiale di un piano corroborato dalla attestazione rilasciata da un professionista, bensì debba estenderla al contenuto del piano medesimo; e in tal senso si ritiene che il tribunale svolga un ruolo facilitatore a favore dei creditori (60). L’indagine del tribunale avrebbe ad oggetto la fondatezza della proposta del debitore (61) o, quanto meno, la fattibilità del piano e non la mera esistenza di un piano accompagnato dalla relazione che attesti la fattibilità, poiché un piano che non sia fattibile non sarebbe un piano; e si afferma così che il giudizio di fattibilità consisterebbe in una valutazione di probabilità e non di mera eventualità o auspicio (62). In sede di omologa, sebbene vi sia chi sottolinea che il nuovo disposto dell’art. 180 l.fall. abbia ristretto i poteri del tribunale (63), l’opinione di larga maggioranza in giurisprudenza ritiene che permanga in capo al collegio un potere di esame nel merito della

58 G. Lo Cascio il quale, peraltro, ha di recente rivisto la propria precedente interpretazione; al riguardo per l’esame della primigenia interpretazione e per la sua rivisitazione si veda Classi di creditori e principio di maggioranza nel concordato preventivo, in Fallimento, 2010, 385.

59 Da ultimo, la Corte d’Appello di Torino aveva pronunciato una articolata sentenza (App. Torino, 19 giugno 2007, in Fall., 2007, p. 1315, cit.), con la quale prendeva apertamente posizione a favore della tesi che negava qualunque potere valutativo in ordine alla fattibilità del piano, rimesso unicamente ai creditori, debitamente informati dalla relazione del commissario giudiziale.

60 Trib. Napoli, 19 maggio 2010, in www.ilcaso.it.

61 Trib. Piacenza 1 luglio 2008, in Giur. merito, 2009, 1, 149; Trib. Bari, 25 febbraio 2008, in Fallimento, 2008, 682; Trib. Roma, 24 aprile 2008, in Riv. dir. fall., 2009, II, 573; Trib. Roma, 24 aprile 2008, in Riv. dir. fall., 2008, II, 573 con nota critica di G.

Fauceglia, Ancora sui poteri del Tribunale, cit.

62 Trib. Pordenone, 7 ottobre 2008, in Redazione Giuffré, 2009; contra Trib. Arezzo, 7 maggio 2009, in Redazione Giuffré 2009.

63 Trib. Modena, 21 ottobre 2008, in Fallimento 2009, 742 (s.m.); Trib. Mondovì, 6 marzo 2009, in Riv. dir. fall. 2010, II, 305, con nota di G. Schiano di Pepe, Alcune considerazioni sui poteri dell’autorità giudiziaria con riguardo al concordato preventivo.

(14)

www.judicium.it proposta, ancorché approvata dal ceto dei creditori (64).

Una prima ed immediata osservazione è possibile: la giurisprudenza di merito formatasi sul punto reca in sé il vizio evidente di una interpretazione teleologicamente orientata. Da un lato si enfatizzano le modifiche agli artt. 161, 162 e 163 l. fall. per ricavarne un penetrante potere del tribunale di esame della fattibilità del piano;

dall’altro si sminuisce la modifica dell’art. 180 l. fall. per trovare conferma del permanere di un analogo potere in sede di omologa.

7. - Pur prendendo atto delle modifiche apportate dal legislatore mi pare che l’intervento (65) non possa essere interpretato con una valenza restauratrice dell’antica disciplina; i poteri del tribunale, sia in sede di ammissione sia in sede di omologa, debbano essere disegnati nell’alveo di una procedura, nella quale, come più volte sottolineato in dottrina, vi è un sistema di autotutela endoconcorsuale dei diritti dei creditori in luogo dell’antica eterotutela affidata all’autorità giurisdizionale. Il punto fermo, dal quale occorre muovere, è rappresentato dal principio, secondo il quale il potere valutativo e decisionale sulla proposta del debitore e sulla connessa relazione del professionista è esclusivamente attribuito ai creditori; al tribunale e al commissario giudiziale sono attribuiti poteri strumentali alla garanzia di una completa e veridica informazione dei creditori, a garanzia della espressione informata del loro voto (66). In questo senso deve essere letta, anzitutto, la modifica dell’art. 162, 1 co., l.fall., a mente del quale il tribunale può concedere al debitore un termine di quindici giorni per colmare le lacune della propria domanda e del connesso piano; ben altro, dunque, e assai meno di quel pervasivo potere che ha condotto alcuni tribunali a ritenere di poter disporre consulenze tecniche valutative o sollecitare il debitore a formare le classi.

Punto centrale e qualificante del concordato preventivo disegnato dal legislatore è l’incontro delle volontà del debitore proponente e dei creditori; e ruolo essenziale è svolto dall’esperto, che deve attestare che quanto proposto dal debitore trae origine da una piena e corretta esplicitazione dei dati aziendali che costituiscono il nucleo e il presupposto di quella fattibilità del piano che egli attesta. Al tribunale (e, successivamente, al commissario) compete il controllo della completezza ed esaustività di questa relazione, in modo da garantire ai debitori la possibilità di esprimere il loro voto nella consapevolezza di una verificata veridicità e esaustività di quanto loro prospettato (67).

In sede di ammissione compete al tribunale verificare: (i) la sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi per l’ammissione al concordato; (ii) la competenza e la regolarità formale del ricorso; (iii) la presentazione di un piano di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei creditori e la relazione del professionista; (iv) la verifica della soddisfazione integrale dei creditori privilegiati ovvero parziale, qualora consentita (v) la correttezza della eventuale formazione delle classi. Ciò che al tribunale è precluso è un c.d. secondo giudizio, vale a dire il giudizio

64 Trib. Milano, 19 novembre 2008, in Giustizia a Milano, 2008, 11, 79 (s.m.); Trib. Pescara, 16 ottobre 2008, in Giur. merito, 2009, I, 1, 125; Trib. Arezzo, 19 novembre 2008, in Fallimento, 2009, 742 (s.m.); Trib. Venezia, 30 ottobre 2008, in Fallimento 2009, 742 (s.m.); Trib. Pescara, 16 ottobre 2008, in Fallimento, 2009, 1212; Trib. Palermo, 18 maggio 2007, in Fallimento 2008, 75.

65 Dichiaratamente correttivo di quanto introdotto con la riforma.

66 Sul punto, in senso contrario alla tesi giurisprudenziale, cfr. G. Schiano di Pepe, Alcune considerazioni sui poteri, cit., 315; G.

Fauceglia, Ancora sui poteri del Tribunale, cit., 577.

67Da ultimo cfr. Trib. Milano, 18 marzo 2010, in Fallimento 2010, 743.

(15)

www.judicium.it sul giudizio reso dall’esperto; la verifica del tribunale, dunque, non dovrà avere ad oggetto i fatti in via diretta ma la rappresentazione che di quei fatti ha dato la relazione dell’esperto. Il tribunale dovrà dunque verificare che la relazione dell’esperto sia congrua, omogenea, chiara e completa e sia esaustiva nella sua funzione certificatrice (68).

Nel corso della procedura il tribunale avrà poteri di intervento ove sollecitato dal commissario ai sensi dell’art. 173 l.fall., al quale è demandato il compito di verificare la veridicità dei dati aziendali come esposta nella relazione ex art. 161 l.fall.

In sede di omologa, come noto, si dovrà distinguere a seconda della eventuale proposizione di opposizioni; in assenza di opposizioni il tribunale dovrà esclusivamente verificare la regolarità della procedura e l’intervenuta approvazione della proposta dalla maggioranza dei creditori, essendogli precluso alcun controllo su merito e sulla convenienza della proposta e sulla sua fattibilità, ormai irrevocabilmente valutata dalla assemblea dei creditori. In presenza di opposizioni il tribunale dovrà (i) decidere delle opposizioni, espletata l’istruttoria (69)e (ii) nel solo caso si tratti dell’opposizione di un creditore appartenente ad una classe dissenziente che contesti la convenienza della proposta, scendere all’esame del merito della medesima (70).

68 Cass., 29 ottobre 2009, n. 22927, in Fallimento, 2010, 822 così statuisce “il controllo del tribunale ai sensi dell’art. 163 l.fall. ha per oggetto la completezza e la regolarità della documentazione, senza che possa valutarne l’adeguatezza sotto il profilo del merito; ne consegue che, quanto all’attestazione del professionista circa la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, il giudice si deve limitare al riscontro di quegli elementi necessari a fare sì che detta relazione possa corrispondere alla funzione, che le è propria, di fornire elementi di valutazione per i creditori”. Conf. S. Ambrosini, Il controllo, cit., 551 sottolinea che al tribunale spetti un ruolo non meramente formale di legalità, ma quello della tutela della corretta e completa informazione dei creditori, a garanzia della genuina e consapevole

formazione dell’accordo tra il debitore e i suoi creditori e non della effettiva realizzabilità del piano proposto dal debitore.

69Se si condivide quanto qui sostenuto, il tribunale potrà anche decidere, in presenza di opposizioni, dell’eventuale voto espresso da un creditore in conflitto di interessi.

70 Al momento dell’invio del presente scritto per la sua pubblicazione è divenuta nota la recentissima decisione della Suprema Corte (Cass., 25 ottobre 2010, n. 21860, al momento inedita e reperibile sul sito www.dejure.it) che, per la prima volta, prende posizione sui poteri del tribunale in sede di ammissione del debitore alla procedura di concordato e che, sostanzialmente, condivide l’interpretazione qui sostenuta.

Riferimenti

Documenti correlati

Il legislatore della riforma avrebbe, infatti, abdicato al precedente carattere pubblicistico della procedura in favore di quello privatistico, attribuendo al consenso dei

15, recante delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni,

La legge delega, recependo le proposte della commissione Luiso, adotta invece una diversa linea d’azione, prevedendo di “riordinare le disposizioni concernenti lo svolgimento

In applicazione di questo principio un Giudice di merito ha riconosciuto la liceità della riscossione da parte del creditore, posto che l’assegnazione era antecedente al

Così delineato il regime transitorio, esaminiamo partitamente le modifiche introdotte dalla riforma. 2, del decreto legge), pur essendo stato interamente sostituito,

Lasciando da parte gli enti pubblici e le altre peculiari categorie di soggetti esclusi dal fallimento (ad esempio i soggetti sottoposti alla liquidazione coatta amministrativa

La novità più significativa della Riforma consiste, però, nell’introduzione nel nostro ordinamento degli Accordi di Ristrutturazione dei debiti (art. Fall.), definiti come una

SESSIONE POMERIDIANA Presiede: Dott.ssa Paola Rava Presidente di Sezione – Tribunale di Biella. Gli strumenti