Collana Medico‐Giuridica n.10
VULNERA MENTIS
‐ Associazione M. Gioia ‐
I DISTURBI PSICHIATRICI POST‐TRAUMATICI
Prof. Marcello Nardini* ‐ Bellomo A**
In passato, nell’ambito degli esiti di un trauma cranico, si é dedicata maggiore attenzione alle disabilità fisiche e motorie rispetto ai deficit psichici e ai problemi sociali, ed anche attualmente i servizi di riabilitazione tendono ad essere strutturati quasi esclusivamente in funzione del primo aspetto, mentre, in realtà, é ampiamente dimostrato che i maggiori problemi per il paziente e la famiglia sono principalmente di ordine psicologico e sociale, quando non francamente psichiatrico.
I disturbi psichiatrici post‐traumatici sono molto frequenti e di difficile inquadramento nosografico e ciò costituisce un notevole problema di ordine valutativo in sede medico‐legale.
I più comuni disturbi psichiatrici post‐traumatici sono le nevrosi, i disturbi di personalità e le psicosi.
Nella seguente revisione della letteratura, tuttavia, si é posta maggiormente l’attenzione a quei disturbi psichiatrici che comportano un maggiore impegno terapeutico e riabilitativo, che assumono più vaste implicazioni psico‐sociali e che determinano maggiori difficoltà sul piano diagnostico e valutativo.
Introduzione
Generalmente le conseguenze di un trauma cranico possono riguardare tre livelli di considerazione:
a) il tipo e la gravità dei sintomi neurologici;
b) i deficit delle funzioni psichiche superiori;
c) i problemi sociali che ne derivano.
Fino ad epoca recente si é dedicata di gran lunga maggiore attenzione alle disabilità fisiche e motorie rispetto ai deficit psichici e ai problemi sociali, ed anche attualmente i servizi di riabilitazione tendono ad essere strutturati quasi esclusivamente in funzione del primo aspetto (Bond,1975), mentre, in realtà, é ampiamente dimostrato che i maggiori problemi per il paziente e la famiglia sono quelli di ordine psicologico e sociale, quando non francamente psichiatrico (Fahy et al. 1967, Thomsen,1974; Parker, 1996).
I disturbi psichiatrici post‐traumatici sono molto frequenti e di difficile inquadramento nosografico (De Mol et al. 1987) e ciò costituisce un notevole problema di ordine valutativo in sede medico‐legale.
Pur esistendo una chiara associazione tra TBI (traumatic brain injury) e l’insorgenza di disturbi psichiatrici (Van Rekum et al. 1996), infatti, vi sono dati contrastanti circa la possibilità che traumatismi cranici di lieve entità possano essere causa di sviluppo di disordini psichiatrici
* Ordinario di Psichiatria, Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Università degli Studi di Bari
** Ricercatore Settore Scientifico‐Disciplinare di Psichiatria, Università degli Studi di Foggia.
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secondari (Newcombe et al. 1994; Deb et al. 1998); pochi dubbi invece rimangono sulla capacità psicopatogenica di traumi di media e severa entità che colpiscano il distretto cranico (Septien et al. 1993; Gerring et al. 1998; Hanlon et al. 1999).
Inoltre, i pazienti che in seguito ad un trauma cranico sviluppano vere e proprie sindromi psichiatriche costituiscono un'opportunità ideale per studiare la relazione tra disfunzioni cerebrali e malattie psichiatriche, grazie anche all’utilizzo integrato di moderne e sofisticate tecniche di neuroimaging e di batterie di test neuropsicologici di comprovata affidabilità (Mitchener et al. 1997).
Un largo spettro di fattori contribuisce a determinare le condizioni psichiche dopo un trauma cranico, alcuni dei quali sono fisiopatologici ed altri psicologici e ambientali.
Tra i primi grande importanza é stata conferita alla sede della lesione; le lesioni dell’emisfero sinistro sono maggiormente correlabili a disturbi psichiatrici, le lesioni del lobo frontale a sintomi di tipo deficitario sia sul piano cognitivo che su quello psicomotorio, le lesioni a carico del lobo temporale a discontrollo degli impulsi (Lishman et al 1968; Gainotti et al. 1972; Stuss et al. 1992).
Tra i fattori psicosociali, invece, sono stati citati: lo status sociale, la personalità premorbosa ed il contesto ambientale (McKinlay et al. 1981; Newcombe, 1996).
Tuttavia la parte di ciascuno di essi in senso predittivo é difficile da determinare poiché vi é una continua interazione e integrazione (cfr. tabella 1).
Tabella 1
Fattori che possono influenzare l'evoluzione post‐traumatica.
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Fattori personali
Fisici
Estensione e localizzazione delle lesioni encefaliche Epilessia
Psichici
Personalità premorbosa
Alterazioni primarie della personalità e delle capacità intellettive Alterazioni secondarie alle conseguenze del trauma
Fattori familiari e ambientali
Atteggiamento della famiglia verso il traumatizzato
Conseguenze delle modificazioni dei "ruoli" all'interno della famiglia Atteggiamento degli amici e dei datori di lavoro
Disponibilità dei servizi di ausilio Richieste di indennizzo
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I più comuni disturbi psichiatrici post‐traumatici sono le nevrosi, i disturbi di personalità e le psicosi. Nella seguente revisione della letteratura, tuttavia, ci dedicheremo principalmente a quei disturbi psichiatrici che comportano un maggiore impegno terapeutico e riabilitativo, che assumono più vaste implicazioni psico‐sociali e che determinano maggiori difficoltà sul piano diagnostico e valutativo.
a) Disturbi schizofrenosimili.
Esistono notevoli controversie riguardo alla sindrome schizofreniforme che può seguire un trauma cranico. Tali controversie riguardano innanzitutto l'epidemiologia della sindrome.
Dall'esame della letteratura, infatti, emergono dati eterogenei e talora molto discordanti (cfr.
tabella 2) sull'incidenza di questo disturbo.
Tabella 2
Incidenza dei disturbi schizofreniformi post‐traumatici
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Feuchtwanger e Mayer‐Gross (1938) 1,7 % Moros (1944) 0,07 % Hillbom (1951) 2,2 % Achte (1967) 8,9 % Davison et al. (1969) 9,8 % Vigoroux (1972) 1,2 %
Assal e Muller (1973) 1 %
Sutter et al. (1974) 5 %
Martini et al. (1977) 1 %
Lishman et al. (1978) 15 % DeMol et al. (1987) 3,4 %
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Altrettanto controversa é l'etiopatogenesi di tali disturbi; infatti vari aa. hanno riscontrato che i sintomi schizofrenici post‐traumatici possono essere correlati ad un danno cerebrale diffuso o ad un danno parziale del lobo temporale (Achté et al.1969; Davison et al.,1969; Feinberg et al. 1999), della regione prefrontale (Chua et al. 1997), del diencefalo (De Morsier,1969), dei gangli della base (Nasrallah et al. 1981), delle cavità ventricolari (Levin et al 1981; O’Callaghan et al. 1988).
É interessante notare che una delle sequele meglio caratterizzate da un punto di vista diagnostico di traumi cranici chiusi é l'allargamento ventricolare, correlato peraltro ad alcune conseguenze cliniche (disturbi dell'ideazione e delle sensopercezioni), a deficit cognitivi e della memoria, a invalidità sociale e professionale.
Poiché alcuni studi recenti hanno evidenziato anche negli schizofrenici cronici la presenza di segni di atrofia cerebrale e di allargamento ventricolare (riscontrati alla TAC o alla RMN) e la presenza di deficit cognitivi e mnestici (Johnstone et al.,1976; Buchsbaum,1979; Cazzullo et
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al.,1984; Nasrallah, et al.,1986; Gruzelier, 1986; Seidman et al.,1987; Sacchetti e Vita,1987;
Besson et al.,1987; Farmer et al.,1987; Scarone et al.,1987; Stahk et al.,1988; Cutting e Murphy,1988), e poiché la sindrome schizofreno‐simile post‐traumatica in molti casi é indistinguibile da una schizofrenia vera e propria, taluni aa. ritengono che studi sulla neuropatologia dei disturbi psichiatrici post‐traumatici possano in futuro chiarire molti dubbi sui meccanismi fisiopatologici del disturbo schizofrenico.
In definitiva, oggi si ritiene che un trauma cranico di grado severo possa costituire la causa di un danno cerebrale tale da determinare disturbi comportamentali molto simili a quelli della schizofrenia. É possibile, peraltro, che un danno alle strutture del sistema limbico, rendendo l'affettività incontrollabile, sia in grado di permettere ad un disordine schizofrenico latente di divenire manifesto.
b) Disturbi Affettivi
Un disturbo molto frequente nei mesi seguenti un trauma cranico di grado lieve, moderato e grave, è costituito dalla depressione (Levin e Grossman,1978; Rimel et al. 1982; Sebit el al.
1998).
Sentimenti depressivi sono spesso espressi, specie da parte di quei pazienti che, avendo deficit intellettivi e motori, hanno difficoltà a riprendere il precedente tipo di vita. Tali stati depressivi, se persistenti, appaiono quindi come una reazione nevrotica alla consapevolezza della propria condizione di minorazione. Come tali appaiono particolarmente gravi in adolescenti, o giovani adulti all'inizio di una carriera di lavoro, o prossimi al matrimonio, o già in precedenza affetti da disturbi di tipo nevrotico (Lishman,1978; Gomez Hernandez et al. 1997). Tuttavia alcuni pazienti hanno sviluppato in seguito a traumi cranici una forma endogena di depressione, con basi biologiche.
Per quel che riguarda i meccanismi patogenetici di tali disturbi, sembra che la severità del trauma (Levin e Grossman,1978; Rimel et al. 1982), il periodo di tempo trascorso da esso e la presenza di deficit focali (Robinson e Szetela,1981), siano tutti fattori da correlare in vario modo allo sviluppo di disturbi affettivi post‐traumatici. In un certo numero di pazienti con depressioni post‐traumatiche, inoltre, sono state riscontrate lesioni anatomopatologiche a livello dei lobi frontale e temporale (Robinson e Szetela,1981; Jorge et al. 1993) e a livello dei gangli della base (Jorge et al. 1993).
Alcuni aa. hanno anche tentato di individuare la possibile presenza di alterazioni neurochimiche indotte da traumi cranici. Van Woerkom et al. (1977), ad esempio, hanno riscontrato un decremento di HVA (acido omovanillico) e 5‐HIAA (acido 5‐idrossi‐indolacetico) nel periodo immediatamente successivo ad un trauma cranico, particolarmente accentuato in pazienti con danni a livello fronto‐temporale. L'importanza di queste modificazioni, in soggetti con depressione insorta dopo un danno fisico è, tuttavia, ancora incerta.
In tutti questi disturbi potrà essere di ausilio, anche se in molti casi non è risultato significativo, l'uso di alcuni esami, quali il test di soppressione al Desametasone, la determinazione di TSH dopo somministrazione di TRH, e lo studio dell'EEG notturno. Questi test possono permettere di dimostrare la presenza di eventuali lesioni dell'asse ipotalamo‐ipofisario o del tronco encefalico.
Un altro disturbo che può comparire in chiara relazione temporale ad un trauma cranico di media e grave entità é il disturbo maniacale; esso si manifesta con taluni sintomi, quali irritabilità, aggressività, stolidità, spesso accompagnati da disturbi dell'ideazione e delle sensopercezioni.
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Il concetto di una Mania Secondaria è stato introdotto per la prima volta da Krauthammer e Klerman (1978). Questi aa., infatti, riscontrarono casi di Mania secondari all'abuso di droghe, a disordini metabolici, infezioni, neoplasie intracraniche ed epilessia. A questa lista di possibili cause ne furono aggiunte altre, quali i disturbi cerebrovascolari e l'abuso di talune sostanze non ancora prese in considerazione precedentemente (Jampala e Abrahams,1983; Stasiek e Zetin,1985).
Oggi si ritiene che anche i traumi cranici possano costituire un importante fattore scatenante, se non determinante, di episodi maniacali. Già nel 1937, Tenent riscontrava in un gruppo di 44 traumatizzati cranici due casi di Mania; anche Achté et al. (1969), in uno studio catamnestico a lungo termine su un campione di soldati cerebrolesi, identificava sette casi di psicosi maniaco‐
depressiva. Ulteriori casi di disturbi maniacali post‐traumatici sono stati individuati da numerosi aa. (Ruesh e Bowman,1945; Young et al.1977; Levin et al.1982; Bracken,1987; Clark e Davison, 1987; Shukla et al.,1987; Mc Clelland,1988). In tutti questi studi non veniva riscontrata alcuna familiarità per i disturbi affettivi e il trattamento di elezione era costituito dalla terapia con carbonato di litio.
Anche la patogenesi di questa forma di disturbo affettivo è a tutt'oggi sconosciuta; tuttavia si ritiene che essa, al contrario della forma primaria, non sia legata ad una trasmissione genetica.
Questo ha autorizzato a pensare che si tratti di un disturbo legato ad un substrato organico (Krauthammer e Klerman 1978; Stasiek e Zetin,1985). Infatti la mancanza di una familiarità nella maggior parte dei casi e lo sviluppo del disturbo in maniera consequenziale al trauma (molto spesso senza un ritorno dopo di esso ad uno stato di normotimia), sono fattori che depongono per una causalità diretta da parte di quest’ultimo.
Così come fatto per i disturbi depressivi, anche nei disturbi maniacali si é cercato di rintracciare una sede di lesione verosimilmente collegabile all’insorgenza del quadro psicopatologico, riconoscendola soprattutto in lesioni del polo temporo‐basale (Jorge et al. 1993), lesioni dell’emisfero destro ed in particolare delle regioni corticali orbitofrontali, lesioni temporobasali, del nucleo caudato e del talamo, (Wright et al 1997). Lesioni della regione frontotemporale di sinistra sarebbero invece responsabili, secondo alcuni (Zwil et al. 1993), dell’insorgenza di quadri di disturbo bipolare a cicli rapidi.
c) Disturbi di personalità
Uno dei problemi maggiori nei pazienti cerebrolesi è costituito dai disturbi di personalità. Le alterazioni della personalità variano molto come tipologia e gravità, ma possono essere notevoli anche dopo un coma e un'amnesia relativamente brevi, a differenza di quanto si osserva per i deficit cognitivi. Nei casi meno gravi sono i pazienti stessi o i familiari a notare modificazioni del carattere mal definibili e non molto appariscenti che si manifestano con aumentata irritabilità, sentimenti di insicurezza e scarsa autostima, che spesso possono portare ad atteggiamenti di isolamento sociale.
I pazienti con un danno cerebrale diffuso possono esibire labilità emotiva, diminuito controllo degli impulsi, apatia e indifferenza; a questi disturbi, spesso, sono associati deficit della sfera cognitiva.
I riscontri anatomopatologici più frequenti nei disturbi di personalità post‐traumatici sono le lesioni del lobo frontale e quelle del lobo temporale (Lishman,1978).
Le lesioni del lobo frontale, oltre che a modificazioni della personalità, possono essere associati anche a lievi deficit cognitivi (disturbi dell'attenzione) ed alla tendenza ad evitare le reazioni abituali (Lishman,1978; Nardini e Bellomo,1999).
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Il paziente con lesioni frontali è disinibito, di umore variabile, generalmente euforico, con facilità agli scherzi (witzelsucht di Oppenheim), con atteggiamenti di spavalderia, con mancanza di preoccupazioni o con preoccupazioni eccessive, con egocentrismo o ostinatezza.
Inoltre si verificano frequentemente una riduzione dell'iniziativa, della spontaneità, dell'efficienza lavorativa, dell'espressività e della mimica facciale, della mancanza di insight.
Può dominare l'apatia, la distraibilità, l'indifferenza, la trascuratezza nell'abbigliamento, la bulimia, l'intolleranza, la sonnolenza fino alla letargia.
Kretschmer descriveva tre tipi di cerebrolesi frontali: il primo dominato da apatia e mancanza di impulsi (lesioni alla convessità laterale), il secondo in cui predominavano i comportamenti disinibiti e incontrollati (lesioni orbitali) e, infine, un terzo tipo con alterazioni autonomiche (lesioni basali).
Blumer e Benson (1975) distinguevano due tipi di personalità frontale, uno caratterizzato da apatia, mancanza di iniziativa, disinteresse totale, incapacità di fare programmi, definito
"pseudodepressivo" (lesioni generalmente bilaterali alla convessità laterale), l'altro contraddistinto da comportamenti puerili, scherzi, disinteresse verso gli altri, disinibizione sessuale, definito "Pseudopsicopatico" (lesioni generalmente bilaterali alle aree orbitali).
Non è raro comunque trovare delle combinazioni dei due tipi di personalità appena descritti, specie se l'estensione della lesione è marcata.
Un altro disturbo legato a lesioni frontali può essere la perdita dell'inibizione nei confronti delle norme sociali, specie nella sfera sessuale (Jarvie,1954).
Oggi, in definitiva, si ritiene che i disturbi di personalità dovuti a lesioni del lobo frontale possano presentarsi secondo due antitetiche modalità, con possibilità di passaggio da una all'altra nello stesso soggetto:
‐ presenza di inadeguatezza e/o incoerenza psico‐comportamentale, di tipo euforico‐disinibito o francamente ipomaniacale, spesso associata a linguaggio sciocco, motteggiante, volgare e stereotipato, cosiddetta "moria"
‐ presenza di indifferenza affettiva, apatia, abulia, fino a configurare la sindrome adinamica acinetico‐abulico‐apatica di Kleist e di Luria.
Sembrerebbe inoltre che i fattori della personalità premorbosi e le situazioni, le contingenze, i rinforzi ambientali giochino un certo ruolo nel determinare il quadro clinico della
"personalità frontale".
Una breve panoramica sulle possibili correlazioni tra sede della lesione frontale e deficit cognitivi e/o comportamentali, è riportata nella Tabella III.
Tabella 3
Possibili correlazioni tra sede della lesione frontale e relativi deficit cognitivi e/o comportamentali.
Sede lesione Deficit manifestati
Posteriore Difficoltà nell'organizzazione del movimento Anteriore Disordine nella programmazione motoria, dissociazione nel linguaggio e nel comportamento Dorsale Deficit nel movimento e deficit intellettivi
Dorso‐laterale Deficit comportamentali, inflessibilità, frequenti disturbi cognitivi e intellettivi
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comportamenti aggressivi, disinibizione, alterazioni della personalità, disordini affettivi, esplosioni emotive
Basale‐mediale Disturbi dello stato di attivazione e nelle risposte emotive, confabulazioni, impulsività
Convessità Mancanza di iniziativa, indifferenza, disinibizione, incapacità nel prendere decisioni
Altri autori, più recentemente, (Duffy e Campbell 1994; Stone et al. 1998), hanno suddiviso i Disturbi di Personalità legati a lesioni del lobo Frontale in tre tipologie fondamentali, legate a riscontri anatomopatologici diversi:
‐ Il Tipo Disesecutivo (lesioni della corteccia prefrontale dorsolaterale):
Diminuite capacità di giudizio, pianificazione, insight e organizzazione temporale;
Perseverazione cognitiva;
Deficit della programmazione motoria (può includere afasia e aprassia);
Diminuita cura della propria persona.
‐ il Tipo Disinibito (lesioni della corteccia orbitofrontale):
Comportamento disinibito, con scarso controllo degli impulsi e dei freni inibitori, facile irritabilità ed aggressività, euforia;
Diminuito insight sociale;
Distraibilità; Labilità emozionale.
‐ il Tipo Apatico (lesioni della corteccia prefrontale mediale, connessione tra cingolo e l’area motoria supplementare):
Diminuita spontaneità;
Diminuita produttività verbale (incluso il mutismo);
Diminuito comportamento motorio (inclusa l’acinesia) Incontinenza urinaria;
Diminuita prosodia spontanea.
Aumentata latenza di risposte.
Anche le lesioni del lobo temporale possono determinare taluni disturbi della personalità:
tra questi ultimi i più gravi sono causati da danni temporali bilaterali, di grado severo; essi costituiscono la sindrome di Kluver‐Bucy. Le manifestazioni di questa sindrome comprendono: estrema passività, iperoralità, ipersessualità, agnosia visiva e disturbi mnestici.
Alcuni traumi cranici sono invece associati a lesioni parziali estremamente complesse. In questo caso si sviluppa un disturbo che ha caratteristiche opposte a quelle della sindrome di Kluver‐Bucy, caratterizzata da iposessualità, sospettosità, loquacità (Blumer e Benson,1975).
Sia le lesioni temporali che frontali possono condurre a un ridotto controllo degli impulsi aggressivi. In questo caso i pazienti possono andare incontro ad improvvise e violente esplosioni di rabbia in risposta a provocazioni minime (Jarvie,1954;Lishman,1978). Stress psicosociali persistenti, litigi in corso, stress legati al lavoro, disturbi dell'immagine corporea, handicap persistenti, possono aggravare lo stato di irritabilità. Infine la presenza di un
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preesistente disturbo antisociale di personalità può ovviamente complicare il quadro, rendendo ancora più violente ed imprevedibili le esplosioni di questi pazienti.
Infine qualche nota va fatta a proposito dei problemi nosografici che tali disturbi comportano. Infatti, mentre nel DSM III R (APA, 1988) era previsto un Disturbo Organico di Personalità (cfr Tabella IV) per descrivere i suddetti disturbi, nel DSM IV (APA, 1995) tale categoria diagnostica non esiste più, ma é stata sostituita dalla “Modificazione di Personalità Dovuta a...” (cfr tab V), che fa parte dei Disturbi Mentali Dovuti a una Condizione Medica Generale. Il termine Modificazione della Personalità sostituisce il termine di Disturbo di Personalità perché si afferma chiaramente nel DSM IV che ci deve essere un osservabile cambiamento della personalità causato dagli effetti fisiologici diretti di una condizione medica (in questo caso un trauma cranico). La modificazione di personalità può assumere molte forme differenti, a seconda delle caratteristiche di personalità premorbose della persona, della regione del cervello coinvolta, e delle caratteristiche della condizione medica generale.
La International Classification of Diseases, nella sua ultima versione (ICD 10;
Organizzazione Mondiale della Sanità, OMS, 1992), utilizza criteri simili a quelli del DSM IV, senza però escludere rigidamente ipotesi eziologiche o qualificazioni e concetti definitori più tradizionali della cultura psichiatrica europea.
Esso include nelle propria classificazione un Disturbo Organico di Personalità (cfr. tab. VI) che riprende parzialmente il Disturbo che veniva descritto nel DSM III R.
Tabella 4
Criteri diagnostici del Disturbo Organico di Personalità secondo il DSM III R (APA, 1988)
________________________________________________________________________
A. Un disturbo persistente della personalità, che si manifesta lungo tutto l'arco della vita, o che rappresenta una modificazione o un'accentuazione di un precedente tratto caratterologico e che implica almeno uno dei seguenti elementi:
1‐ instabilità affettiva, sbalzi d'umore, irritabilità, ansietà;
2‐ ricorrenti scoppi di aggressività e collera sproporzionati
3‐ compromissione del giudizio sociale, p.e. atti sessuali sconvenienti 4‐ apatia e indifferenza marcata
5‐ sospettosità o ideazione paranoide.
B. Dimostrazione di un fattore (o fattori) organico specifico eziologicamente correlato al disturbo, fondata sull'anamnesi, sull'esame clinico o sugli esami di laboratorio.0
C. La diagnosi non é posta nel caso di un bambino o di un adolescente se il quadro clinico é limitato agli aspetti che caratterizzano il Disturbo da Deficit dell'Attenzione con Iperattività.
D. Non si verifica esclusivamente in corso di Delirium e non soddisfa i criteri diagnostici per la Demenza.
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Tab. 5
Criteri diagnostici per “Modificazione della Personalità Dovuta a ... “ [293.89]
[Indicare la Condizione Medica Generale] secondo il DSM IV (APA,1995)
________________________________________________________________________
A. Una alterazione persistente della personalità, che rappresenta una modificazione del precedente stile di personalità caratteristico del soggetto. (Nei bambini, il disturbo comporta una notevole deviazione dal normale sviluppo, o una modificazione significativa delle modalità di comportamento usuali del bambino che dura almeno per 1 anno).
B. Vi è dimostrazione fondata sulla storia, sull'esame fisico, o sugli esami di laboratorio che l'alterazione è la conseguenza fisiologica diretta di una condizione medica generale.
C. L'alterazione non è meglio giustificata da un altro disturbo mentale (inclusi gli altri Disturbi Mentali Dovuti a una Condizione Medica Generale).
D. L'alterazione non si verifica esclusivamente durante il corso di un delirium, e non soddisfa i criteri per una demenza.
E. L'alterazione provoca disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento sociale, lavorativo, o di altre importanti aree.
Specificare il tipo:
Tipo Labile: se la caratteristica predominante è la labilità affettiva.
Tipo Disinibito: se la caratteristica predominante è uno scarso controllo degli impulsi, come dimostrato da disinibizione sessuale, ecc.
Tipo Aggressivo: se la caratteristica predominante è il comportamento aggressivo.
Tipo Apatico: se la caratteristica predominante è marcata apatia e indifferenza.
Tipo Paranoide: se la caratteristica predominante è sospettosità e ideazione paranoide.
Tipo Diverso: se la caratteristica predominante non è alcuna di quelle sopra indicate, per es., una modificazione della personalità associata a un disturbo epilettico.
Tipo Combinato: se più di una caratteristica predomina nel quadro clinico.
Non Specificato.
Nota per la codificazione Registrare il nome della condizione medica generale sull'Asse I, per es., F07.0 Modificazione della Personalità Dovuta a Epilessia del Lobo Temporale [310.1]; codificare la condizione medica generale anche sull'Asse III.
________________________________________________________________________
Tab. 6
Disturbo Organico di Personalità (cod. F 07.0) secondo l’ICD‐10 (OMS,1992) ________________________________________________________________________
Questo disturbo é caratterizzato da una significativa alterazione delle modalità abituali del comportamento premorboso. L’alterazione abitualmente interessa più profondamente le espressioni delle emozioni, dei bisogni e degli impulsi. La sfera cognitiva può essere alterata principalmente o esclusivamente nelle aree della programmazione delle proprie azioni e dell’anticipazione delle loro probabili conseguenze personali e sociali, come nella cosiddetta
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sindrome del lobo frontale. Tuttavia é adesso noto che questa sindrome si manifesta non solo in relazione a lesioni del lobo frontale, ma anche in associazione con lesioni di altre aree cerebrali.
Direttive diagnostiche
In aggiunta ad una storia ben accertata o ad altra evidenza di malattia, danno o disfunzione cerebrale, una diagnosi di certezza é basata sulla presenza di due o più delle seguenti caratteristiche:
‐ riduzione persistente della capacità di perseverare in attività finalizzate, specialmente quelle che richiedono lunghi periodi di tempo ed una gratificazione differita;
‐ alterazioni della sfera emozionale, caratterizzate da labilità emotiva, allegria sciocca e immotivata e facile passaggio all’irritabilità o a brevi scoppi di rabbia e di aggressività; in qualche caso l’apatia può essere un aspetto più accentuato;
‐ tendenza ad esprimere i bisogni e gli impulsi senza considerazione delle conseguenze o delle convenzioni sociali (il soggetto può lasciarsi andare ad atti antisociali come il furto, le proposte sessuali inappropriate, la voracità esagerata, o mostrare disinteresse per l’igiene personale);
‐ disturbi della sfera cognitiva, in forma di sospettosità o ideazione paranoide, e/o eccessiva preoccupazione per un tema singolo, abitualmente astratto (per esempio la religione, il bene ed il male);
‐marcata alterazione della velocità del flusso verbale, con aspetti quali corcostanzialità, l’iperinclusione, la viscosità e l’ipergrafia;
‐ alterazione del comportamento sessuale (iposessualità o cambiamento della preferenza sessuale).
Include: Sindrome del lobo frontale; sindrome da lobotomia; sindrome post‐leucotomica;
personalità pseudorallentata organica; personalità psudopsicopatica organica; disturbo della personalità da epilessia limbica.
Esclude: sindrome post‐commotiva; sindrome post‐encefalitica; disturbi di personalità;
modificazione stabile della personalità.
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d) Demenza
Da un punto di vista descrittivo, comporta una compromissione cronica delle funzioni cognitive, irreversibile ed a volte progressivo, in conseguenza di un evento traumatico cranio‐encefalico.
Clinicamente interessa persone che hanno sofferto un trauma cranio‐encefalico, cui consegue un rallentamento dell'elaborazione dell'informazione (Gronwall et al. 1974; Mc Lean et al. 1983), un rendimento a compiti di problem solving ridotto (Barch et al. 1983), una scarsa prestazione a compiti di memoria implicanti un impegno particolarmente selettivo della working memory (Spinnler,1985;
Goldstein et al. 1994). Le manifestazioni di decadimento demenziale sono stabili, talora ad evolutività cronica progressiva (Demenze post‐traumatiche croniche progressive) senza difetti di vigilanza, associati più o meno a deficit neurologici plurifocali ed a comizialità.
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L'incidenza di questa patologia é dell'1‐2,5% tra i casi con grave trauma cranio‐encefalico (Achte et al. 1969; Mifka,1976) ed aumenta quando le lesioni cerebro‐contusive e lacerative interessano i lobi temporali (Lishman,1968).
Vi sono decadimenti demenziali che insorgono a breve distanza dal trauma, che hanno le caratteristiche di presentare un quadro prevalentemente di tipo confusionale, una rapida fluttuazione ed, a volte, una evoluzione verso il coma; conseguono solitamente a lesioni espansive (ematoma sottodurale; edema perilesionale; igroma sottoduare post‐traumatico) e sono suscettibili di trattamento chirurgico (Demenza da espanso endocranico post‐traumatico).
Anche traumi ripetuti possono portare verso un decadimento demenziale cronico progressivo che insorge nella quinta o sesta decade di età ed interessa atleti, sciatori, fantini, pugili (Demenza pugilistica) (Mendez , 1995).
In letteratura sono tra l’altro riportati alcuni studi che testimonierebbero un’associazione positiva tra traumatismi cranici e malattia di Alzheimer, così come con demenze di altro tipo (Rasmusson et al. 1995; Ruffolo et aL. 1999; Schofield et al. 1997).
BIBLIOGRAFIA
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