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IL DANNO MORALE: UN DANNO MINORE CHE NON SI NEGA A NESSUNO?

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Academic year: 2022

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IL DANNO MORALE:

UN DANNO MINORE CHE NON SI NEGA A NESSUNO?

Il danno morale è spesso disistimato e svalutato

Il danno morale viene giudicato dai più come una sorta di danno di serie C, cioè un danno che non si nega a nessuno e quindi, nel conteggio complessivo della somma risarcitoria, si indica anche questa voce che tutto sommato, non necessitando di prova alcuna, è quella che preoccupa di meno.

Ebbene, come vedremo, invece il danno morale ha nobilissime origini e rappresenta una voce importantissima di danno alla persona tanto da essere, soprattutto di recente, oggetto di continue aggressioni da parte della dottrina e della giurisprudenza che in qualche modo, conoscendo la potenzialità applicativa di questo titolo di danno "immateriale", lo vorrebbero sfruttare anche oltre i limiti codificati.

"Sottospecie di danno biologico"

L'ultimo attacco alla cittadella dell'art. 2059, così come lo ha definito Ponzanelli, è stato sferrato dal Tribunale di Bologna con l'ordinanza del 13.6.1995 che ha rinviato alla Consulta una questione di incostituzionalità di questo articolo nella parte in cui escluderebbe, al di fuori di certe ipotesi normative, la risarcibilità del danno morale in tutti i casi in cui vi sia stato un turbamento psichico1.

I giudici bolognesi, per arrivare a dimostrare la fondatezza della loro tesi, definiscono il danno morale una "sottospecie del danno biologico" che, quale diritto tutelato dall'art. 32 della Costituzione, non può subire limitazione per scelte discrezionali del legislatore ordinario.

E' proprio da questa ordinanza che ho preso lo spunto per questo articolo in quanto credo che sia ora di far chiarezza su che cosa sia e su quali compiti abbia il c.d. danno morale che è stato per troppo tempo invece disistimato e svalutato e dal quale, da più parti, si è tentato spesso di estrapolare concetti impropri e svianti, come fosse un territorio di conquista o una riserva di immagini giuridiche delle quali appropriarsi impunemente.

Tentativi di inquadratura del danno morale

Il danno morale, almeno fino alla nascita del danno alla salute, aveva avuto una vita, se non tranquilla, almeno sicura. Si sa che l'ultimo nato è sempre il più coccolato, ma poiché tutti i figli sono uguali, sarebbe più giusto che almeno si lasciasse ad ognuno quel che gli spetta e non dare all'ultimo quel che è del primo. Invece, nel nostro caso, abbiamo assistito a vari tentativi di spogliare ora l'uno ora l'altro di quelle precipue loro attribuzioni che con l'andar degli anni il diritto aveva riconosciuto.

I Giuristi, appassionati a discutere de iure, anche in passato hanno espresso discordanti pareri sul danno morale, se si dovesse chiamare così o solo non patrimoniale, se l'uno comprendeva l'altro o viceversa, se vi fosse distinzione tra danno morale subbiettivo e obbiettivo, se le sue radici fossero Romane, Germaniche o Francesi, se fosse liquidabile solo alle persone fisiche o anche a quelle giuridiche2 , ma tutto sommato il nostro danno se la cavò bene e dalla sua definitiva codificazione ad oggi ha più o meno assolto allo scopo cui fu destinato dal regio legislatore del 1930. Ma una cosa è certa, che la cittadella del danno morale vacilla sempre di più sotto gli attacchi di estemporanee interpretazioni giurisprudenziali e delle eccezioni di incostituzionalità che la Corte Costituzionale ha sino ad ora respinto ma con motivazioni così equivoche da consentire subito dopoun'altra eccezione.

Ancora non sappiamo che cosa dirà questa volta la Consulta, essendo cambiati i Giudici dall'ultima decisione del 27.10.1994 n.3723 , ma credo che, non per fare l'uccello del male augurio,

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ci sarà un altro rigetto se non altro per rispetto della tradizione e per tutela di quella stabilità che la Corte ha sempre perseguito, per lo meno nelle intenzioni, nelle quattro decisioni che in qualche modo hanno interessato l'art. 2059 dal 1979 ad oggi4. Comunque emerge da tutto ciò che per vasta parte della dottrina e della giurisprudenza il danno morale, così come delimitato dal legislatore con l'art. 2059, non avrebbe più funzione di tutela del bene persona, e se ne chiede l'abrogazione o la modifica.

Questa diminuita capacità di servire alle nuove esigenze del "diritto vivente", si è manifestata indubbiamente perché, prima della introduzione nel nostro ordinamento giuridico di questa sorta di diritto non codificato che è il danno biologico, l'unica forma riparatoria delle lesioni c.d. immate- riali, che non attengono all'ambito reddituale o patrimoniale ma incidono sulla essenza dell'individuo e si manifestano come reazioni all'illecito subito sotto l'aspetto di patemi d'animo, turbamenti psichici, dolore e frustrazione, era appunto regolata, ed in forma limitata, dal combinato disposto degli artt. 185 c.p. e 2059 c.c.

Chi non ricorda infatti che nelle richieste di risarcimento danni si vedevano quantificati solo il danno patrimoniale, sia da lucro cessante che emergente ed il danno morale, quest'ultimo come postulato di fede laddove la lesione era conseguenza di un reato?

Si trattava infatti di un diritto pacifico comunque dovuto alla parte offesa da un reato, sia che essa avesse subito una lesione personale, sia che avesse patito solo un turbamento psichico, così come avviene per tutti quei reati che non riguardano la persona e cioè per i reati contro il patrimonio, i reati di ingiuria e di diffamazione ecc.

Lo schiaffo in pubblico: uno "schiaffo morale"?

L'esempio più chiarificatone della funzione comunque riparatoria del nostro danno, è quello dello schiaffo ricevuto in pubblico: io credo che maggior sentimento di vergogna, di frustrazione ed offesa non possa essere provato perché simile gesto lede non tanto la persona fisica, trattandosi di una percossa che al di là di un rossore dell'epidermide colpita null'altro produce, quanto e soprattutto la dignità dell'individuo. Quindi non c'è un danno patrimoniale, né c'è alcun altro diritto al risarcimento se non quello di ottenere soddisfazione e riparazione per l'offesa subita.

Questo avviene anche laddove vi sia, oltre all'offesa ai valori dell'individuo, anche la lesione alla sua integrità psicofisica o, nei reati di danno, perdite di valore economico, che saranno risarcite con le forme usuali della reintegrazione in forma specifica o per equivalente.

E' evidente però che se tali danni sono conseguenza solo di un illecito civile, il risarcimento riguarderà solo le perdite o le riparazioni di rilevanza economica e quindi il danno sarà solo patrimoniale, mentre se l'atto illecito costituisce anche reato, oltre al risarcimento dei danni patrimoniali, dovrà essere risarcito anche il danno morale, quale riparazione della più grave offesa subita dal danneggiato e consistente appunto in quei turbamenti e patemi d'animo di pura valenza psichica sofferti proprio per la commissione di quel fatto vietato dalla legge penale.

Si è quindi voluto considerare il danno sofferto in conseguenza di un comportamento criminoso più grave e diverso da quello subito per un illecito di pura valenza civilistica perché, pur essendo le conseguenze identiche, il comportamento ha violato nel primo caso due norme: l'una di carattere penale posta a tutela della intera collettività, e l'altra di valenza privatistica cioè civile, posta a tutela del singolo.

Non per nulla si è discusso anche se il danno morale potesse trovare ingresso negli illeciti contrattuali5.

Primordiali criteri riparatori del danno ingiusto e violento

La codificazione di questo danno nel nostro ordinamento è avvenuta non per una più o meno felice intuizione del regio legislatore ma perché si è recepito un retaggio antico che addirittura possiamo far risalire alla biblica legge "occhio per occhio, dente per dente" e, attraverso i secoli

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anche più bui della nostra storia, "all'Ordalia Germanica", alla "Faida" ed alla purtroppo ancora vigente in qualche paese islamico, "Legge del Taglione" che ha origini antichissime essendo prevista nel codice di Hammurabi, o alla Lex Regia risalente addirittura a Numa Pompilio, che consentiva l'uccisione dell'omicida da parte dei parenti dell'ucciso.

Si tratta quindi di primordiali criteri riparatori del danno ingiusto e violento attraverso la

"vendetta privata" che, essendo altrettanto violenta e dannosa doveva, per una sorta di contrappasso, servire a compensare l'offesa e contemporaneamente perseguire effetti punitivi e quindi di preven- zione. Ma anche i sistemi di diritto a noi più congeniali e vicini, quali il diritto Attico ed il diritto Romano, prevedevano il primo la "Diche Blabe" ed il secondo, così come tramandatoci dalla lex Aquilia e da Giustiniano, "l'Actio Iniuria Danni"6.. Per entrambi questi sistemi, qualora il danno avesse colpito la persona causando, oltre a perdite economiche, anche offesa, il risarcimento doveva essere corrisposto nel doppio della somma richiesta. Si ricorda il concetto di "iniuria" che, pur non avendo una qualificazione penale data la confusione nel diritto Romano tra illecito penale e illecito civile, purtuttavia stava ad indicare il comportamento offensivo e dannoso sia nei confronti del singolo che nei confronti della collettività.

Quindi il doppio risarcimento aveva indubbiamente un valore reintegratorio delle perdite subite di valenza patrimoniale e riparatorio per l'offesa morale, consistente nei patimenti e turbamenti dell'animo sofferti a causa dell'iniuria.

Questo breve excursus storico credo possa servire per comprendere come sin dall'inizio società più dissimili per usi, cultura e razza, avessero però in comune il principio di tutela non solo dei singoli ma anche della collettività dai fatti criminosi e lesivi.

Esigenza di giustizia primaria

Il danno morale fa parte quindi del nostro patrimonio giuridico genetico essendo avvertito come una esigenza di giustizia primaria e per questo, dopo essere apparso nel Codice Zanardelli7, ove era previsto come forma riparatoria limitata alle offese all'onore della persona e della famiglia, fu definitivamente inserito nel sistema risarcitorio per la responsabilità civile.

Sia il codice penale che quello civile però adottarono, nella determinazione di tale danno, la terminologia più vasta di danno non patrimoniale forse perché identificava meglio l'ambito di applicazione non solo ai danni subiti dagli individui ma anche a quelli subiti dalle persone giuridiche.

Non è importante stabilire in questa sede se sia corretto definire il nostro danno morale o non patrimoniale, se il primo sia compreso nel più vasto ambito del secondo, se si sia fatto riferimento alla definizione usata nel diritto germanico: "der nicht Vermögenschaden ist", piuttosto che quella francese di "dommage morale", benché se ne sia discusso a lungo ed ancora, in qualche caso, se ne discuta8, ma è determinante invece rilevare che, fin dagli albori della storia del diritto, si è voluto in qualche modo meglio tutelare il danno conseguente a reato perché, proprio per la violazione delle norme del vivere civile, la commissione di un atto criminoso pregiudica non solo i diritti del singolo ma anche e soprattutto quelli della collettività: duplice funzione quindi il danno morale, o non patrimoniale che dir si voglia, ha sempre avuto e cioè di riparazione e prevenzione sanzionatoria per i danni conseguenti ad un reato.

E' stato detto dai più attenti interpreti del nostro diritto che il danno morale non esiste al di fuori delle ipotesi di legge, nel senso che non è stata limitata dal legislatore la sua più ampia natura risarcitoria a sole poche ipotesi, bensì che esso c'è solo come conseguenza di quelle ipotesi previste dalla legge. Per comprenderci: il danno morale sta al reato come il danno biologico sta alla lesione.

Entrambi esistono solo e limitatamente ai fenomeni che li generano.

Questa limitata ed eccezionale tutela, cui è stato destinato il danno morale, essendosi con l'andar del tempo modificati i concetti valutativi della persona in considerazione delle modificate condizioni di vivere sociale, delle modificate relazioni interpersonali, dei modificati costumi, è sembrata inutile in quanto inapplicabile a tutte quelle situazioni analoghe ma non dipendenti da

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reato in cui restavano irrisarciti patimenti, offese e turbamenti, come nel caso di applicazione della presunzione sussidiaria del secondo comma dell'art. 2054 c.c., che per altro è l'ipotesi di esclusione più ricorrente, a prescindere dalle varie formule assolutorie penalistiche altrettanto negative, benché limitata ai soli casi di mancanza di prove di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.

Danni indiretti da "rimbalzo"

Si è giustamente ritenuto che la persona non è soltanto produzione di reddito e che la sua estrinsecazione non può essere commisurata alla ricchezza ed al lavoro: l'individuo vive anche nella società e contribuisce a costituirla. Si è dunque concluso che, aumentato il valore dell'uomo, dovessero trovare ingresso nel nostro ordinamento anche istituti di tutela per la sua personalità laddove risultasse comunque lesa da fatti illeciti non economicamente apprezzabili né costituenti reato. E quindi si sono cominciate a leggere varie teorie di illustri giuristi, seguite da alcune decisioni di merito ed anche di legittimità, che in qualche modo cercavano di introdurre nell'ambito del danno morale anche altri e diversi aspetti di lesioni a beni immateriali non tutelati dall'istituto della responsabilità civile9. E così abbiamo letto sentenze che hanno ammesso al risarcimento del danno morale i genitori di un fanciullo gravemente e permanentemente leso, giustificando tale ammissione con il fatto che il coma è equiparabile alla morte, assimilando dunque, con inaccettabile trasposizione di ruoli, i genitori del leso alla parte offesa10. Oppure il riconoscimento in capo al nascituro del danno morale per l'omicidio del padre perché della sua assenza ne avrebbe sofferto in futuro11.

Si tratta in realtà di danni indiretti, che oggi vengono definiti da "rimbalzo", e che si discute se siano compresi o meno nel danno biologico, ma certamente non possono essere compresi nel danno morale che, essendo personalissimo cioè subibile solo dal soggetto leso dal reato, non può essere trasferito a terzi che siano stati solo indirettamente o, appunto, di "rimbalzo" colpiti da conseguenze pregiudizievoli per lo stesso fatto.

Oggi con la individuazione nel nostro "diritto vivente" del danno biologico, queste ipotesi potrebbero trovarvi tutela, prescindendo da quanto ha sostenuto la Corte Costituzione con la sentenza n. 372 del 1994, ma non ritengo giusto contrabbandare danni diversi per natura e genere e per finalità. Comunque quanto è successo, e sta ancora accadendo, dimostra indubbiamente che i sistemi risarcitori adottati nel nostro ordinamento giuridico non sono più adeguati alle mutate condizioni di vita e questa esigenza è talmente avvertita che, a mio giudizio, si rischia di creare una enorme confusione che servirà solo ad aggravare ancora di più l'incertezza giuridica nella quale viviamo. Certamente consci che l'abuso interpretativo di principi di diritto creava il caos e quindi era necessario un intervento riparatorio legittimo, ecco che si è ricorsi alla eccezione di illegittimità di quelle due norme che il nostro codice pone a tutela dei risarcimento danni da responsabilità civile onde adeguarle attraverso il sistema costituzionale alle attuali esigenze del vivere moderno.

Legittimità del danno extrapatrimoniale

Alla fine degli anni '70, quando già si parlava da più parti di lesione al diritto alla salute12 come danno personalissimo ad un bene primario dell'individuo costituzionalmente protetto e appartenente ad una categoria da definirsi, la Corte Costituzionale fu interessata da due ordinanze di rinvio, una del Tribunale di Padova che denunziava l'incostituzionalità dell'art. 2059 c.c. in riferimento agli artt.3 e 24 Cost., ed una del Tribunale di Camerino che denunciava analoga incostituzionalità dell'art. 2043 c.c. in riferimento agli artt. 3, 24 e 32 Cost.13. I giudici di Padova avevano rilevato l'incostituzionalità dell'art. 2059 perché avrebbe limitato il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale solo ai casi previsti dalla legge, mentre quelli marchigiani la incostituzionalità dell'art.

2043 c.c. perché non avrebbe consentito una adeguata tutela del diritto alla salute, quale bene primario costituzionalmente protetto.

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Queste due ordinanze hanno di fatto suscitato le due decisioni della Corte Costituzionale attraverso le quali è stato in pratica concepito il danno biologico e che, rigettando comunque la incostituzionalità eccepita, ribadivano, soprattutto la prima, la legittimità del danno extra patrimoniale così come limitatamente applicabile a casi eccezionali in quanto: "posta la sostanziale diversità, per presupposti e gravità, delle due situazioni [danno da illecito civile e danno da reato], rientra nella discrezionalità del legislatore adottare un trattamento differenziato ove non vengono in considerazione situazioni soggettive costituzionalmente garantite"14 la doglianza era stata infatti sollevata perché nell'assolvere un imputato di omicidio colposo, il Giudice aveva escluso l'esistenza dell'elemento soggettivo del reato per cui, nel susseguente giudizio civile, non avrebbe potuto trovare ingresso la domanda risarcitoria del danno morale essendo questo ammissibile solo quale conseguenza di un reato la seconda sentenza, quella n. 88 del 1979, nel giudicare in merito all'ap- partenenza del danno biologico alle uniche due figure di danno riconosciute nel nostro ordinamento, stabiliva che questa nuova figura rientrava nell'ambito di applicazione dell'art. 2059 "che ricomprende ogni danno non suscettibile direttamente di valutazione economica" e quindi comprende senz'altro anche quello alla salute15.

Dunque le due sentenze del 1979, peraltro pronunciate la stesso 26 luglio e con numeri immediatamente successivi, 87 ed 88, insieme stanno a dimostrare come la Consulta ebbe subito a reagire al primo attacco, invero un po' sconclusionato, portato contro la eccezionalità dell'art. 2059 c.c., confermando la limitazione del danno non patrimoniale solo ai fatti illeciti conseguenti a reato ma facendo forzosamente rientrare l'embrione del danno alla salute nel suo piccolo grembo e creando in tal modo il primo presupposto per le ulteriori eccezioni che di là a poco, come vedremo, sarebbero state sollevate.

Però, quanto meno, risultava confermato, soprattutto dalla sentenza n. 87, che la ratio dell'art.

2059 c.c. è di tutela di quella più grave offesa che il reato di fatto arreca ai valori della persona garantiti dall'ordinamento.

E' evidente che la Corte si era arrabattata a difendere la stabilità dell'ordinamento e quindi le motivazioni delle due sentenze, che incidenter tantum riguardavano il danno biologico, suscitarono dubbi e perplessità che sfociarono nella seconda bordata sparata dai Tribunali di Genova e Salerno.

Si era infatti subito compreso come la sentenza della Consulta n.88/79, che configurava il danno alla salute come danno non patrimoniale, costituisse una grave limitazione della risarcibilità di tale tipo di danno alle sole ipotesi dipendenti da reato, principio ribadito dalla Corte, e quindi i giudici del merito, nello stesso 1979, avevano riproposto l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art.

2059 nella parte in cui limita la risarcibilità del danno non patrimoniale "derivante dalla lesione del diritto alla salute alle sole ipotesi espressamente previste dalla legge"16 17. La Consulta, con la sentenza del 14.7.1986 n. 184, che in pratica partorisce e battezza definitivamente il danno alla salute, quale danno evento rappresentato dalla lesione stessa, resasi conto della impossibilità di mantenere nel ristretto ambito dell'art. 2059 c.c. il danno biologico, in pratica ne decreta l'appartenenza ad un tertiun genus ma risarcibile secondo la norma generale dell'art. 2043 c.c.

perché il danno non patrimoniale deve essere limitato alla sola figura dei danni morali subiettivi per tutte quelle ragioni storico-giuridiche che ne hanno definito la funzione mista nell'ambito dell'istituto del la responsabilità civile18.

"Anarchia del dopo principio"

Per ricordare brevemente quello che accadde dopo tale sentenza, basta dire che il Busnelli definì quel tormentato periodo come "anarchia del dopo principio", ben descrivendo con questa felice frase il travaglio nel quale tutti, giuristi, Giudici ed operatori si muovevano per cercare di capire, codificare, definire e soprattutto gestire il pargoletto generato dalla Corte Costituzionale19. E' però importante comprendere che, proprio perché con quella sentenza si sancì definitivamente l'esistenza nel nostro sistema risarcitorio da responsabilità civile anche del danno biologico, tutta l'attenzione di tutti fu solo per questo, perdendosi di vista, invece, quello che drasticamente la Corte

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Costituzionale aveva affermato: il danno extra patrimoniale è danno morale subbiettivo non suscettibile di valutazione patrimoniale, riconoscibile solo, per il suo scopo preventivo e sanzionatorio, quale riparazione per l'offesa che il reato ha arrecato. In pratica, dopo che la Corte Costituzionale del 1979 aveva assimilato il danno biologico al danno morale, ritenendo il primo quindi compreso nel secondo, nella successiva decisione del 1986 la stessa Consulta aveva eliminato invece questa sovrapposizione di ruoli assolutamente inaccettabile per i diversi momenti genetici dei due istituti, essendo il primo danno evento mentre il secondo è solo un danno conseguenza di un evento lesivo causato da un reato.

Di tal che, a parte qualche sentenza di merito ed anche di legittimità20 più o meno il danno morale continuò la sua funzione così come rimarcata dalle tre decisioni della Consulta fintanto che i suoi Supremi Giudici furono nuovamente chiamati dal Tribunale di Firenze con l'ordinanza del 10.11.1993 a decidere se gli artt. 2043 e 2059 c.c. legittimamente escludessero il risarcimento del danno biologico spettante ai familiari superstiti per la morte di un congiunto21.

Di questo argomento ne ho trattato nel 1991 nella conferenza che allora organizzammo sul danno biologico, e fin da allora sostenni, né con troppa difficoltà, né con meriti divinatori, che questa figura di danno biologico, c.d. da morte, poteva essere riconosciuta solo nell'ipotesi in cui fosse maturato il corrispondente diritto nell'arco di tempo intercorso tra l'evento lesivo e la conseguente morte, ma non poteva dipendere dal decesso che definisce la vita e dunque annulla qualsiasi ulteriore diritto22.

Attribuii, peraltro, la paternità del danno biologico da morte all'amico Giannini individuandone il

"nonno" nel Carnelutti, tanto che la prima volta che ebbi il piacere di conoscere Gennaro Giannini al congresso di Montecatini, egli argutamente mi disse: "Guarda che lo non sono figlio di Carnelutti!".

Sentenza N° 372 del 27.10. 1994 Cort. Cost.

Ma non voglio ripetermi, soprattutto perché tale argomento oggi non mi riguarda direttamente, mentre invece mi riguarda per ciò che la Corte Costituzionale, con la sentenza 27.10.1994 n. 372, ha ribadito ancora una volta, pur con diverse sfaccettature che, come vedremo, preannunciavano già quanto poi è successo, riaffermando in pratica la non patrimonialità del danno morale23. I Giudici della Consulta hanno infatti, nel negare la risarcibilità jure proprio del danno biologico subito dai familiari per il decesso di un congiunto, affermato che sotto tale precipuo aspetto, cioè per i turbamenti psichici e per le sofferenze dell'animo, tale danno altro non è che un danno extra patrimoniale e dunque assorbito dal disposto normativo vigente di cui all'art. 2059, mentre se costoro hanno subito un danno di natura psichica avente caratteristiche patologiche accertabili se- condo i criteri della medicina legale, tale danno ha natura di lesione patrimoniale e dunque è liquidabile ex art. 2043 c.c.. Nel creare questa peraltro inaccettabile dicotomia del danno alla salute, tanto che a caldo Giannini che la definì una "sentenza da dimenticare"24, la Corte ancora una volta è riuscita a difendere la cittadella del danno extra patrimoniale, che incidentalmente definisce danno morale soggettivo, benché, comprendendovi estensivamente anche lo schock psichico transitorio e destinato a scemare subito dai familiari per il decesso del congiunto, abbia in qualche modo risentito del duro attacco perché comunque una breccia era stata aperta nel bastione ed attraverso questa una parte di danno morale viene confusa con il danno biologico. Da una parte quindi la Consulta ha chiuso la porta ad ulteriori applicazioni del danno morale, ma dall'altra ha lasciato socchiusa la finestra perché nel nostro danno venissero comprese delle ipotesi di danno alla salute in qualche modo peraltro assimilabili ad esso. Vi è stato in pratica un rinnegamento di quanto la stessa Corte Costituzionale nel 1986 aveva già stabilito sulla essenza costitutiva del danno biologico che, quale danno evento, c'è sempre coincidendo con la lesione stessa, perché lo ha suddiviso in danno patrimoniale per ciò che riguarda la lesione di natura patologica subita a livello psichico, ed in danno morale per ciò che riguarda lo schock, il dolore, il turbamento, inquadrandolo a tutti gli effetti nella impropria categoria dei danni conseguenza.

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Prescindo ancora da ulteriori ed ultronei commenti di questa decisione che certamente ha suscitato grosso clamore, tanto che immediatamente dopo la Corte di Cassazione e vari Tribunali l'hanno subito disattesa25, per andare invece ad esaminare gli aspetti che hanno riguardato più precipuamente il danno morale. Mi pare di poter affermare che quanto meno la sentenza 372 ha ribadito, dimostrando almeno in questo una certa coerenza con il passato, il concetto che il danno morale è riconoscibile solo quando un illecito di rilevanza penale abbia provocato turbamenti d'animo, patemi, schock e quant'altro che, non incidendo materialmente nel fisico o nella psiche a livello lesivo, non può essere patibile di valutazione mercantile, cioè economica. Anche con questa quarta decisione la Corte Costituzionale ha garantito la esistenza del danno non patrimoniale quale danno morale subbiettivo risarcibile nei limiti previsti dal legislatore con la duplice funzione di prevenzione e riparazione. E' purtuttavia evidente che in qualche modo la Consulta ha invogliato i nemici del danno morale tradizionale a rinnovare gli attacchi, perché in effetti ha autorizzato a credere che i confini tra questo e il danno biologico fossero vaghi se non sovrapponibili.

Quindi, più preoccupata di impedire il dilagamento del danno biologico oltre i suoi confini naturali di applicazione, la Corte Costituzionale lo dirotta nell'ambito dell'extra-patrimoniale determinando in tal modo un'ulteriore confusione di ruoli. Fatto sta' che per questo motivo, e per il germogliare di nuovi virgulti di figure di danno nel dissodato e conciliato campo della responsabilità civile, apparecchiato all'uopo per nuove coltivazioni proprio da quelle sentenze della Consulta che avevano, di volta in volta, consentito di sperare in nuovi frutti della terra del risarcimento del danno, era ovvio che i tempi erano maturi per nuovi attacchi a quei criteri giuridici che in qualche modo sembravano limitare la estensione del concetto dell'equo e congruo risarcimento, tanto che il Tribunale di Bologna, a distanza di soli 8 mesi della pronuncia della sentenza della Corte Costituzionale, ha riportato tutto l'esercito ad attaccare nuovamente la cittadella l'art. 2059 c.c., per usare ancora il titolo del commento di Ponzanelli26. Impugnando per illegittimità costituzionale l'articolo in esame per violazione degli artt. 24 e 32 Cost. "nella parte in cui esclude, al di fuori delle ipotesi di reato, la risarcibilità del danno morale", i Giudici remittenti lo hanno definito "una sottospecie di danno biologico", che trovando una sua tutela nell'art. 32 Cost., non può subire limiti e compressioni in base ad una scelta discrezionale del legislatore ordinario.

La motivazione, di questa eccezione di incostituzionalità forse è quella più diretta e più pericolosa, perché comprende in sé la sintesi di quelle precedenti, ma come dicevo prima, non credo che la Corte Costituzionale vorrà rimangiarsi 20 anni di storia giuridica e disattendere così le quattro precedenti decisioni di rigetto. L'ordinanza è ben fatta, ben argomentata e ben sostenuta, ma è proprio dalla sua impostazione che ho tratto il convincimento che ancora una volta ne uscirà rafforzato il concetto più volte ormai espresso di danno morale. Infatti si afferma che questo danno

"viene generalmente inteso come stato psichico di rilevante turbamento dell'ordinarlo assetto interiore del soggetto... (che) si sostanza in una acuta sensazione di sofferenza più psichica che fisica destinata comunque ad essere riassorbita in un periodo più o meno lungo e senza lasciare strascichi qualificabili tecnicamente come patologici".

Spiegano infatti i Giudici bolognesi che qualora tale sconvolgimento psicofisico assumesse carattere di permanenza, sconfinerebbe inevitabilmente nel campo della malattia psichica e quindi del danno biologico.

Concordo con tale definizione, così come concordo con l'ordinanza quando riferendosi alla sentenza 184 del 1986 della Corte Costituzionale, traccia la ulteriore distinzione tra danno morale e danno biologico nel momento del fatto pato-genetico e cioè che il primo è un danno conseguenza di una lesione penalmente apprezzabile, mentre l'altro è danno evento e cioè è la lesione stessa all'integrità psicofisica.

Stabiliti questi due ambiti di assoluta diversificazione, il Tribunale di Bologna però, seguendo la traccia ormai indelebile lasciata dalle sentenze dei Giudici di merito susseguitesi negli ultimi 30 anni, afferma che le figure di danno patrimoniale e non patrimoniale, così come delineate dal legislatore del codice civile del 1942, non possono più essere sufficienti a comprendere la tutela di

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tutti quei valori dell'individuo che con l'evoluzione dei costumi, della società, dei confini territoriali, dei concetti interpretativi socio economici, si sono talmente ampliati sino a comprendere "ogni modo di essere e potenzialità dell'essere umano".

Ritengono i Giudici di Bologna che ogni qual volta "si verifichi un radicale peggioramento delle abitudini e delle condizioni di vita del soggetto" si ha una menomazione del precedente standard psicofisico che è qualificabile come danno biologico. Respingono la interpretazione della sentenza n. 372 della Corte Costituzionale che invece accettava il danno biologico solo se patologicamente esistente, cioè tecnicamente accertato come malattia, in quanto osservano che ciò costituirebbe una limitazione delle sfere di appartenenza e di estrinsecazione dell'essere individuo con esclusione della componente psichica.

Anche un turbamento morale conseguente alla privazione di un bene costituisce una alterazione e quindi una malattia e cioè una differenza tra come si era prima e come si è diventati dopo l'evento dannoso. Tale malattia, che in ogni caso pur colpendo la psiche, incide comunque nel fisico, potrà diventare permanente oppure svanire senza lasciar traccia.

Carattere temporaneo o permanente del danno biologico

Cioè in pratica si è ribadito quel principio ormai pacifico che il danno biologico può avere carattere temporaneo oppure permanente, così come il danno patrimoniale, e quindi non riesco a comprendere perché al punto G l'ordinanza ha concluso che è "evidente che nell'ambito del danno biologico deve essere ricompreso anche il danno morale, inteso come acuta sofferenza più psichica che fisica, incidente in un'arco di tempo più o meno lungo ma comunque limitato" per cui si tratterebbe "in definitiva di una particolare sottospecie di danno biologico o meglio di uno del modi nei quali si può atteggiare il danno biologico da invalidità temporanea".

Mi risulta così assai difficile accettare quanto affermano i giudici di Bologna che in pratica vanno a scardinare un principio che secondo me è sempre stato pacifico e cioè che il danno morale, quale danno conseguenza di un illecito penale, trova applicazione solo nei limiti previsti dal legislatore, per farlo rientrare nel danno biologico, del quale sarebbe una sottospecie, forzando così addirittura l'evoluzione cronologica della specie di danno. Tutt'al più potevo comprendere quelli che avevano tentato il contrario, Giudici di merito e di legittimità, giuristi e Corte Costituzionale27, perché certamente è di gran lunga più vecchio il primo, piuttosto che il secondo che per di più non è neanche una figura codificata nel nostro ordinamento, e poi non comprendo lo scopo di tutto questo perché se si voleva estendere l'applicabilità delle ipotesi previste, dall 'art. 2059 anche oltre i limiti ivi indicati, nel momento stesso in cui si dice che il danno morale appartiene in qualche modo al danno biologico, sovvertendo così il principio più volte consacrato del contrario, si va a negare non solo e non tanto la specialità del primo, ma quanto la generalità del secondo, cioè si corre il rischio di invogliare la Corte Costituzionale a ridire che il danno biologico è un danno non patrimoniale, attinendo, così come suggerito dai Giudici bolognesi, agli stati d'animo il che in qualche modo è stato già, seppure contraddittoriamente e quindi in modo inaccettabile, detto alla sentenza n. 372 del 94, con la gravissima conseguenza che si ripiomberebbe in un attimo al 1979 o giù di lì.

I problemi ci sono, proprio perché non c'è certezza nel diritto, per cui ove questa c'è, sembrerebbe conveniente ed opportuno mantenerla a tutti i costi, anzi difenderla strenuamente, limitando invece la discussione laddove c'è incertezza, cioè al danno biologico.

Da quando è uscito il codice civile, abbiamo nel nostro ordinamento due figure di danno: quello patrimoniale, ex art. 2043 e quello extra patrimoniale ex art. 2059 la Corte Costituzionale, bene o male, non spetta a me dirlo ma "ai posteri l'ardua sentenza", ha creato tra il 1979 ed il 1986 il tertium genus e cioè il danno biologico, del quale ormai non se ne discute più, mentre invece si discuterà, e chissà per quanto tempo, sui metodi liquidativi, sugli ambiti di applicazione di tale danno, se esso è trasferibile per decesso del danneggiato ed in quali limiti, ma certamente non mi pare costruttivo andare a discutere se un danno già codificato come quello morale sia una sottospecie di un danno non codificato, ma comunque esistente quanto meno per il diritto vivente,

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con il rischio di veder in qualche modo cancellato il terzo proprio perché, rispetto agli altri due dal legislatore previsti, frutto di una creazione intorno alla quale ancora tanto c'è da dire.

Mutate condizioni della vita sociale

Se ciò è stato fatto, come mi pare evidente, allo scopo di socializzare, cioè rendere più adeguato alle mutate condizioni del vivere sociale, il criterio risarcitorio del danno alla persona, ebbene non è attraverso l'inquinamento dei concetti già fermi nel nostro ordinamento giuridico che a ciò si può giungere, ma attraverso lo sforzo combinato tra i vari fronti (Magistratura ed Avvocatura), di dare una definizione concettuale al danno biologico, per inquadrarlo in un'ambito ben preciso senza perciò andare a scardinare l'istituto ormai consolidato del danno morale.

Per di più, così facendo, si sortirebbe un ulteriore e più benefico risultato che è quello di convogliare l'attenzione generale sull'adeguamento a più attuali criteri del risarcimento del danno alla persona attraverso l'istituto del danno biologico, che data la vastità potenziale delle sue applicazioni, ben può comprendere sia il danno fisico che psichico, gli aspetti permanenti che quelli temporanei, sia le conseguenze dirette che quelle indirette dell'illecito civile, lasciando negli stretti limiti codificati il danno morale a tutela preventiva e sanzionatoria del danno causato dall'illecito penale.

Si avrebbe così quanto è già successo con il danno patrimoniale che, di fronte al danno biologico, che c'è sempre in ogni caso e per tutti, viene riconosciuto solo se rigorosamente provato nella perdita economica.

Per di più, con lo scopo di adeguare i criteri risarcitori, in pratica si eliminerebbe un danno risarcibile perché se venisse effettivamente confuso il danno morale con quello biologico, la liquidazione di entrambe non sarebbe più ammissibile divenendo una duplicazione. Ad ognuno il suo, cioè il Danno Biologico comprende ogni tipo di lesione alla integrità psicofisica, sia permanente che temporanea, comunque causata da un fatto naturalmente illecito, mentre il danno non patrimoniale riguarda le sole conseguenze morali di un reato, per fermarci all'ipotesi più corrente, e quindi si aggiunge, quale ipotesi eccezionale, agli altri danni da lesione alla persona.

Sussumerlo nel biologico, quale sottospecie, vuol dire eliminare di fatto dal nostro ordinamento della responsabilità civile uno dei tre danni, che in ogni caso non disturba affatto gli altri per avere fini e natura non alternativa con essi.

Peraltro tale opinione non è neppur giustificata dal fatto che, assimilandolo al biologico, esso avrebbe un ambito applicativo senza limiti, perché in realtà, negando la sua natura eccezionale, si ridurrebbe di fatto la risarcibilità del danno e per di più si eliminerebbe anche quell'altro aspetto di tutela dell'ordinamento che altrimenti sarebbe facile preda di speculazioni difficilmente accertabili e quindi creerebbe una situazione di assoluta incertezza ed indeterminabilità sulla sussistenza di tale danno.

Voglio dire che nel momento stesso in cui si è detto e si dice, da parte di costituzionali, che il concetto di danno morale attiene a quei patemi d'animo, turbamenti, dolore psichico per perdite di congiunti ed in genere per l'offesa ricevuta dalla gravità stessa connaturata ad ogni rato che in qualche modo ci colpisca, evidente deve risultare come la dimostrazione di tali soggettive sensazioni sia assolutamente improbabile e quindi lasciata alla discrezionalità interpretativa con la conseguenza che facile sarebbe l'abuso e la speculazione28.

Creando il limite della risarcibilità di tale danno solo come conseguenza del reato, e di quelle altre pochissime ipotesi previste dal legislatore con gli artt. 89 e 120 c.p.c. od in tema di responsabilità dei magistrati, fermo restando che si deve pur dare la prova della violazione del precetto legislativo per poterne pretendere il risarcimento, in tal modo il pericolo dell'abuso viene di fatto evitato.

Questa è un ulteriore certezza che deve accompagnarci nella difesa dell'art. 2059 c.c.

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Al di là delle definizioni tecnico-giuridiche

Dunque se abbiamo riconosciuto che questa norma e l'istituto che essa prevede abbiamo delle funzioni insostituibili perché addirittura in qualche modo attinenti all'ordine pubblico come prevenzione, e contemporaneamente riparatorie, in quanto appunto finalizzate, a ripagare della più grave offesa che solo il reato, a parità di lesione, può arrecare; se abbiamo accertato che il danno morale è limitato nella sua responsabilità alle sole ipotesi previste dalla legge anche per evitare speculazioni ed abusi dovuti alla discrezionalità interpretativa, si deve di conseguenza concludere che questo è l'unico istituto certo nel nostro ordinamento giuridico della responsabilità civile da fatto illecito.

Mentre il danno patrimoniale ha subito una compressione dovuta alla eliminazione di quella assurda presunzione costituita dalla liquidazione secondo il sistema tabellare in proporzione al reddito ed è stato quindi limitato solo allorquando sia rigorosamente provata la perdita economica o la spesa sostenuta, ed il danno biologico è così effervescente ancora da risultare assolutamente incontenibile entro i confini nei quali la Corte Costituzionale lo voleva invece costringere, il danno morale era ed è rimasto racchiuso nei limiti nei quali il legislatore lo aveva sin dall'inizio costretto e cioè, a tutela di quelle lesioni all'integrità della persona causate da un offensivo reato. Se dunque l'art. 2059 è stato creato per questo scopo, se proprio nei limiti che il legislatore gli ha imposto trova la sua ragion d'essere, non si comprende per quale motivo debba essere invece richiamato in un ambito che non gli appartiene, quello del biologico, ed in tal modo eliminato con grave perdita non solo per la certezza del nostro diritto ma anche e soprattutto per le funzioni sociali e politiche che esso assolve.

Diamo ad ognuno il suo e non forziamo in estranei ambiti istituti diversi: eviteremo così di dover poi rimpiangere "quando si stava peggio". Mi riferisco per esempio alla pecunia doloris che da molte parti29 si ritiene appartenere al danno morale mentre, a mio avviso, è tipica componente del danno biologico soprattutto dopo che la Corte di Cassazione, con una serie di sentenze, subito riprese da vari Tribunali, tra cui quello di Ancona ha stabilito il criterio della personalizzazione del danno biologico e cioè che il sistema di liquidazione di questo danno va commisurato, oltre che alla età, alla incidenza pregiudizievole nelle esplicazioni del vivere sociale, anche alla durata della malattia, alla gravità delle lesioni, al dolore ed alle sofferenze patite per gli interventi chirurgici, e quindi ha in pratica racchiuso nel concetto della lesione psichica anche il pretium doloris che assieme al danno alla vita di relazione, alla incapacità lavorativa generica, al danno sessuale ecc. ne compone l'essenza30. Non facciamoci entusiasmare da estemporanee decisioni o tesi di diritto cui il c.d. "diritto vivente" ci ha abituato ma avvertiamo il disagio che i tentativi di "clonazione" del danno morale può creare, giustificando quindi, nella evanescenza dei confini tra esso ed il biologico, qualsiasi pretesa risarcitoria che può essere contrabbandata attraverso l'uno o l'altro tipo di danno.

Se giustifichiamo il risarcimento del danno morale quale turbamento per il reato subito da altri o, confondendolo con il biologico, per il solo turbamento d'animo o per i patimenti dovuti di rimbalzo, allora potremo per assurdo giustificare anche il risarcimento del danno biologico riconosciuto a quella povera vecchietta alla quale è stato ammazzato il gatto, così come ha fatto un Giudice Conciliatore abbastanza di recente31 o, peggio ancora, ammetterne la risarcibilità nel caso che una moglie sia stata tradita ed abbandonata dal marito, così come pochi giorni fa' si è preteso a Verona da parte di un avvocato matrimonialista.

Al di là delle definizioni tecnico-giuridiche che si vogliono dare del danno morale, sia esso subbiettivo od obbiettivo, sia esso coincidente con il danno non patrimoniale o a questo appartenente, sia che lo si voglia vedere come sanzione privata o deterrente sociale o mezzo riparatorio, ferma deve restare la assoluta appartenenza di questo tipo di danno all'ambito eccezionale così come previsto nel nostro ordinamento giuridico. Questa è certezza, per cui, a meno che la Corte Costituzionale od il legislatore non intervengano drasticamente sovvertendone i principi costitutivi essendo il danno morale una conseguenza del reato, mai e poi mai potrà essere

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ritenuto una sottospecie del danno evento biologico che ha origini, natura e funzioni completamente diverse.

In un commento di Giovanni Comandè alla Ordinanza di Bologna nel quale, con non poca malizia, addirittura si adombra il sospetto che l'eccezione di incostituzionalità dell'art.2059 segua un certa moda, più che necessità di giustizia, perché l'Autore ritiene che il rinvio non solo sia pericoloso proprio per gli scopi che invece i Remittenti vogliono raggiungere, in quanto la Corte potrebbe cancellare il danno Biologico assimilandolo al morale, ma anche inutile dal momento che il concetto di danno Biologico temporaneo è già accettato nel nostro sistema risarcitorio e non c'è quindi necessità di dover ricorrere ad improprie assoggettazioni del danno morale32.

Mi ha confortato sapere che un così autorevole Giurista difende il danno morale e soprattutto il sistema "bipolare" del regolamento risarcitorio del nostro Codice Civile che, con adeguati interventi sul danno alla salute, potrà egregiamente servire a tutelare l'intero danno alla persona composto di tre distinte voci non sovrapponibili ma cumulabili tra di esse.

Così delimitati i confini invalicabili tra i danni risarcitili, del danno morale resta l'essenziale e cioè il ruolo di pura tutela delle parti offese da reato per il quale esso fu sin dalle origini previsto e che ne giustifica, anzi pretende, la sua presenza di diritto nel nostro ordinamento giuridico.

Avv. Rodolfo Berti Avvocato Civilista, Ancona

1 In Corr. Giur. 1995, 9, 1093 e segg

2 La legittimazione degli enti a pretendere il risarcimento del danno morale venne negata da Cass. Sez. Un. 22.5.1923 in Giur. It. 1923, I, 882; è stata invece ammessa da Cass. 26.2.1964 in Resp. Civ. e Prev. 1963, 521 e, di recente, da Trib.

Roma 10.6.1986, in Resp. Civ. e Prev. 1986, 673, a proposito del caso Lockheed, nonché da Cass. 10.7.1991 n. 7642 in Giur. It. 1992, I, 1, 96.

3 In Corr. Giur. 1994, 12, 1455 e segg., con nota di G. Giannini.

4 Corte Cost. sent. n. 87 - 88 del 26.7.1979 in Resp. Civ. e Prev. 1979, 698, con nota di G. Alpa; Corte Cost. sent. n.

184 del 14.7.1986 in Foro It. 1986, I, 2053, con nota di G. Ponsanelli e P. G. Monateri; Corte Cost. sent. n. 372 del 27.10.1994, v. nota n. 3.

5 Per la soluzione positiva v. Trib. Milano 13.5.1982 in Resp. Civ. e Prev. 1983, 156.

6 In Novissimo Digeto, voce Danno - Danno morale, 142 e segg.

7 Codice promulgato il 30.6.1889 che all'art. 28 prevedeva "oltre alle restituzioni ed al risarcimento dei danni, il giudice, per ogni delitto che offende l'onore della persona e della famiglia, ancorché non abbia cagionato danno, può assegnare alla persona offesa, che ne faccia domanda, una somma determinata a titolo di riparazione".

8 Vedi A. De Cupis Il danno - Teoria della responsabilità civile - Ed. Giuffrè 1979, Vol. I, 63 nota n. 47.

9 G. Alpa - Danni alla persona e danni alla personalità - in Resp. Civ. e Prev., 1979, 3; G. Bonilini - Il danno non patrimoniale nella giurisprudenza della Corte Costituzionale - in Resp. Civ. e Prev., 1986, 577.

10 Trib. Ancona, sent. n. 8 del 13.1.1994; Trib. Verona 4.3.1991, in Giur. Merito, I, 823 e segg. con nota di Giambelli Galotti confermata da App. Venezia, Sez. IV, 11.2.193 n. 242 in Resp. Civ. e Prev. 1993, 984 segg.

11 App. Torino 8.2.1988 in Dir. e Prat. Ass., 1989, 859; App. Firenze, 16.4.64 in Resp. Giur. It., 1964 ed 3298, 447.

12 G. Alpa - Danno biologico e diritto alla salute. Un'ipotesi di applicazione diretta dell'art. 32 Cost., nota a sent. Trib.

Genova 28.10.1975, in Giur. It., 1976, I, 2, 443.

13 Trib. Padova, ord. 22.3.1973 in Giur. Merito, 1974, I, 347 con nota di A. De Cupis; Trib. Camerino, ord. 12.11.1976 in Resp. Civ. e Prev., 1977, 615.

14 Corte Cost. sent. n. 87 - 88 del 26.7.1979 in Resp. Civ. e Prev. 1979, 698.

15 Vedi nota n. 14.

16 Trib. Genova ord. 8.10.1979 in Resp. Civ., 1980, 112

17 Trib. Salerno ord. 4.12.1981 in Resp. Civ., 1982, 783

18 Vedi nota n. 4

19 F. D. Busnelli - Danno biologico e danno alla salute - in La valutazione del danno alla salute a cura di Bargagna e Busnelli, CEDAM, 1986.

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20 Cass. 13.1.1993 n. 157 in Foro It, I, 1897, con nota di De Marzo; Cass. 18.2.1993 n. 2009, in Resp. Civ. e Prev., 1993, 268, con nota di G. Comandè.

21 Trib. Firenze ord. n. 2879 del 10.11.1993 in Corr. Giur., 1, 103, con nota di G. Ponzanelli; in Giur. It. 1994, I, 2, 81, con nota di G. Comandè; in Resp. Civ. e Prev., 1994, 122, con nota di G. Giannini.

22 Rodolfo Berti "Il danno biologico da morte" Atti della conferenza di Ancona del 31.10.1991, in Orientamenti di Giurisprudenza Marchigiana, anno II, n. 4.

23 Si può leggere anche in Foro It., 1994, I, 3297, con nota di G. Ponzanelli in Resp, Civ. e Prev., 1994, 996, con nota di E. Navarretta; in Giust. Civ., 1994, I, 3035, con nota di F. D. Busnelli.

24 Vedi nota n. 3

25 Vedi Cass. Civ. Sez. III, 27.12.1994 n. 11169, in Corr. Giur. 1995, 470 e segg., con nota di A. Batà; Trib. Napoli 16.1.1995 e Trib. Treviso, 27.12.1994, entrambe in Resp. Civ. ePrev., 1995, 616 e segg.

26 Vedi nota n. 1

27 Corte Cost. sent. n. 88 del 26.7.1979, in Resp. Civ. e Prev., 1979, 698.

28 Cass. 24.7.1969 n. 2810; Cass.25.3.1970 n. 820; Cass. 2.6.1984 n. 3344; Cass. 11.10.1985 n. 4947 in Arch. Giur.

Circ. e Sin. 1986, 110; Trib. Roma 10.3.1982 in Giur. It. 1983, I, 2, 190.

29 Cass. 25.7.1969 n. 2810; Cass. 23.5.1972 n. 1603; Cass. 20.10.75 n. 3447; Cass. 30.3.1981 n. 2028 in Resp. Civ. e Prev. 1881, 742.

30 Da ultimo Cass. 14.4.1995 n. 4253 in Resp. Civ. e Prev. 1995, 519; vedi anche Trib. Ancona 11.4.1994 n. 538 in Orientamenti di Giurisprudenza Marchigiana 1994, I, 136 con mia nota.

31 Il Giornale 23.4.1994 - Sentenza Pretore Udine.

32 G. Comandè - L'incostituzionalità dell'art. 2059 c.c. tra necessità e moda, in Giur. It. 1995. 1, 2, 891.

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