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La Corte di Appello di Napoli sezione civile settima (già terza bis) composta dai magistrati:

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Repubblica Italiana In nome del popolo italiano

La Corte di Appello di Napoli sezione civile settima (già terza bis) composta dai magistrati:

dott. Giorgio Sensale presidente

dott. Danilo Chieca consigliere

dott. Marco Marinaro giudice ausiliario rel.

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nella causa civile n. 617/2013 R.G., di appello contro la sentenza del Tribunale di Napoli – terza sezione civile - n. 56/2012 pubblicata il 3 gennaio 2012 resa nel giudizio rubricato al n. 30042/2008 R.G.,

t r a

Carolina CIACCI, nata a Napoli il 31.07.1957, c.f. CCCCLN57L71F839G;

Antonello ACCURSO, nato a Napoli il 21.10.1955, c.f. CCRNNL55R21F839R;

Edi MATTERA, nata a Napoli il 4.03.1959, c.f. MTTDEI59C44F839D;

Francesco SABBATINI, nato a Napoli il 9.11.1952, c.f. SBBFNC52S09F839G;

Fabiana CASTIGLIONE, nata a Bolzano l’1.05.1961, c.f. CSTFBN61E41A952L;

Sandro PIGNATA, nato a Napoli il 3.08.1962, c.f. PGNSDR62M03F839F;

Flavio FAZIOLI, nato a Napoli il 3.09.1956, c.f. FZLFVL56P03F839T;

Bruno DANIELE, nato a Salerno il 16.12.1958, c.f. DNLBRN58T16H703Y;

Alessandro PUZZIELLO, nato a Napoli il 15.2.56, c.f. PZZLSN56B15F839M;

tutti rappresentati e difesi dall’avv. Domenico Giovanni Ruggiero, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli alla via Duomo n. 61, fax 081.446754, p.e.c.: domenicogiovanniruggiero@avvocatinapoli.legalmail.it,

[parti appellanti]

e

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore;

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in persona del

Ministro pro-tempore;

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Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro- tempore;

Università degli Studi di Napoli “Federico II”, in persona del Rettore pro- tempore;

tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli (ads: 80030620639; PEC: ads.na@pec.avvocaturastato.it; fax 081.5525515), presso i cui uffici domiciliano ex lege in Napoli alla via A. Diaz n. 11.

[parti appellate]

Conclusioni

All’udienza del 6 aprile 2017 il procuratore delle parti appellanti nel riportarsi all’atto di appello e alle conclusioni ivi formulate chiedeva di rimettersi la causa in decisione.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 25 luglio 2008 e con successivo atto di integrazione del contraddittorio notificato in data 26 maggio 2009, gli odierni appellanti (tutti medici specialisti) convenivano in giudizio l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” e la Repubblica Italiana in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri (oltre che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze), chiedendo la condanna al pagamento delle somme dovute come corrispettivo per l’attività svolta durante l’espletamento del corso di specializzazione, dei rispettivi contributi previdenziali, ed in via subordinata il risarcimento del danno derivante dalla violazione dell’obbligo dello Stato italiano di attuare le Direttive comunitarie 16 giugno 1975 n. 75/363/CEE e 26 gennaio 1982 n. 82/76/CEE.

Con la sentenza gravata il tribunale respingeva sia la domanda volta ad ottenere la restituzione delle tasse universitarie, ravvisando nella fattispecie il difetto di giurisdizione, sia la domanda al pagamento delle somme dovute a titolo di corrispettivo per l’attività svolta durante il corso di specializzazione, sia la domanda risarcitoria per il danno derivante dalla violazione dello Stato Italiano dell’obbligo di attuare la citata direttiva comunitaria, entro il termine prescritto del 31 dicembre 1982.

In particolare, il giudice di prime cure disattendeva la domanda degli

attori, ritenendo che il diritto soggettivo riconosciuto dalla norma

comunitaria è “di per sé tutelabile in giudizio in quanto corrispondente ad un

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obbligo” incondizionato e preciso “degli Stati membri” aggiungendo tuttavia che “la direttiva ha effetto diretto solamente parziale”, perché essa “non è esaustiva circa il quanto e il chi debba materialmente pagare”. Da quanto precede – e così concludeva - “discende che, come affermato in numerosi precedenti di questo stesso Tribunale, la pretesa degli attori, di vedersi riconosciuta la remunerazione per gli anni di frequenza del corso di specializzazione, non può esser fondata né sulla normativa comunitaria, né su quella nazionale”.

Sotto altro aspetto, la domanda di risarcimento danni avanzata nei confronti dello Stato Italiano, per il ritardo nell’attuazione della direttiva comunitaria, veniva respinta, ritenendo non soddisfatto dagli attori “l’onere di provare di aver conseguito il diploma dopo il 31 dicembre 1982 a seguito di un corso che, in base alle note direttive, avrebbe giustificato il riconoscimento di un’adeguata remunerazione”. In altri termini, a giudizio del tribunale, gli attori non avrebbero provato il regime di impiego nel corso di specializzazione, con la conseguenza che la mancata dimostrazione della frequenza, riconducibile tanto al tempo pieno che al tempo parziale, avrebbe impedito la determinazione della remunerazione adeguata.

Veniva altresì dichiarata – sia pur soltanto in parte motiva – la carenza di titolarità passiva del rapporto in capo all’Università degli Studi di Napoli

“Federico II”, nonché ai due Ministeri chiamati in causa.

Con atto di appello notificato l’8 febbraio 2013, gli originari attori chiedevano la riforma della sentenza di prime cure con l’accoglimento delle seguenti conclusioni:

«1. condannare la Presidenza del Consiglio nella qualità, ovvero, in via subordinata, le Amministrazioni appellate a versare a ciascuno degli istanti la somma di € 11.103,82, oltre rivalutazione ed interessi (dal momento in cui la prestazione doveva esser eseguita), per ciascun anno di specializzazione, a titolo di “adeguata remunerazione”, applicando retroattivamente il D.Lgs.

257/1991, in coerenza con le richiamate direttive comunitarie (non tempestivamente applicate); per l’effetto condannare gli stessi appellati al ristoro delle tasse universitarie;

2. condannare la Presidenza del Consiglio nella qualità, ovvero, in via

subordinata, le Amministrazioni appellate a versare a ciascuno degli istanti la

somma di € 11.103,82, oltre rivalutazione ed interessi (dal momento in cui la

prestazione doveva esser eseguita), per ciascun anno di specializzazione, a

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titolo di risarcimento dei danni patiti dagli attori quantificati almeno in misura corrispondente all’importo della prestazione mancata, per ciascuno degli attori, con riferimento ad ogni anno del corso di specializzazione, o eventualmente, nella maggiore somma che sarà ritenuta congrua; per l’effetto condannare gli stessi appellati al ristoro delle tasse universitarie;

3. in via del tutto gradata, facendo applicazione dell’art. 11 della legge 19.10.1999, n. 370, condannare la Presidenza del Consiglio nella qualità, ovvero, in via subordinata, le Amministrazioni appellate, a versare a ciascuno degli istanti, quanto dalla legge prescritto, per ciascun anno di specializzazione; per l’effetto condannare gli stessi appellati al ristoro delle tasse universitarie;

4. condannare gli appellati al pagamento del doppio grado delle spese di giudizio».

Per tutte le amministrazioni appellate si costituiva con comparsa del 5 giugno 2013 l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli contestando l’atto di appello e chiedendo il rigetto le domande degli appellanti perché infondate, non provate ed in ogni caso prescritte con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.

All’udienza del 6 aprile 2017 questa Corte si riservava la decisione assegnando alle parti i termini per le comparse conclusionali e per le memorie di replica.

Motivi della decisione

1. – Con l’appello si propongono tre motivi di gravame deducendo la erroneità della sentenza di primo grado e se ne chiede quindi la riforma.

2. - Gli appellanti appartengono alla categoria dei medici che, iscritti ai corsi di specializzazione presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Napoli “Federico II”, tra gli anni 1981 e 1990, non hanno percepito alcuna remunerazione durante l’espletamento delle attività di formazione ed in dipendenza delle stesse.

2.1. - Prima di esaminare i motivi di appello appare utile inquadrare la posizione dei singoli appellanti al fine di consentirne nel prosieguo una puntuale verifica in ordine alle richieste formulate, ed in particolare:

il dott. Alessandro Puzziello ha frequentato il corso di specializzazione

in “Chirurgia dell’apparato digerente ed endoscopia digestiva” dal 1982 al

1987 (anni accademici 1982-1983; 1983-1984; 1984-1985; 1985-1986 e

1986-1987);

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la dott.ssa Carolina Ciacci ha frequentato il corso di specializzazione in

“Gastroenterologia ed endoscopia digestiva” dal 1982 al 1986 (anni accademici 1982-1983; 1983-1984; 1984-1985; 1985-1986);

il dott. Francesco Sabbatini ha frequentato il corso di specializzazione in “Gastroenterologia ed endoscopia digestiva” dal 1982 al 1986 (anni accademici 1982-1983; 1983-1984; 1984-1985; 1985-1986);

il dott. Flavio Fazioli ha frequentato il corso di specializzazione in

“Ortopedia” dal 1981 al 1986 (anni accademici 1981-1982; 1982-1983;

1983-1984; 1984-1985; 1985-1986);

il dott. Antonello Accurso ha frequentato il corso di specializzazione in

“Chirurgia oncologica” dal 1979 al 1983 (anni accademici 1979-1980; 1980- 1981; 1981-1982; 1982-1983); ha altresì frequentato il corso di specializzazione in “Chirurgia d’urgenza e pronto soccorso” dal 1983 al 1988 (anni accademici 1983-1984; 1984-1985; 1985-1986; 1986-1987; 1987- 1988);

il dott. Sandro Pignata ha frequentato il corso di specializzazione in

“Gastroenterologia ed endoscopia digestiva” dal 1986 al 1990 (anni accademici 1986-1987; 1987-1988; 1988-1989; 1989-1990);

la dott.ssa. Fabiana Castiglione ha frequentato il corso di specializzazione in “Gastroenterologia ed endoscopia digestiva” dal 1986 al 1990 (anni accademici 1986-1987; 1987-1988; 1988-1989; 1989-1990);

il dott. Bruno Daniele ha frequentato il corso di specializzazione in

“Gastroenterologia ed endoscopia digestiva” dal 1983 al 1987 (anni accademici 1983-1984; 1984-1985; 1985-1986; 1986-1987);

la dott.ssa. Edi Mattera ha frequentato il corso di specializzazione in

“Endocrinologia” dal 1984 al 1987 (anni accademici 1984-1985; 1985-1986;

1986-1987).

Tutti gli istanti hanno conseguito, presso l’Ateneo federiciano il diploma di specializzazione, avendo superato con il massimo dei voti l’esame finale, ma nessuno ha, però, goduto di alcuna borsa di studio.

3. – Passando all’esame dei motivi di appello, secondo la tesi esposta

con l’atto di impugnazione si imputa al giudice di primo grado di essere

incorso in un evidente “error in iudicando”, e ciò poiché lo stesso, in linea con

l’orientamento della giurisprudenza della S.C. e della Corte di Giustizia, ha

accolto sia l’opinione secondo la quale le Direttive incondizionate e dal

contenuto determinato hanno efficacia orizzontale se è scaduto il termine per

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il recepimento nel diritto interno, sia la tesi secondo la quale la mancata attuazione di un precetto discendente da una Direttiva comunitaria può esser fonte di nocumento per i cittadini di uno Stato membro della Comunità.

3.1. – Secondo la tesi della parte appellante (primo motivo di gravame), non v’è dubbio che l’ordinamento comunitario sia sovraordinato rispetto alle norme interne di legge: in questo senso, la Corte Costituzionale (sent.

406/2005) ha affermato che, in ragione anche del riformato art. 117 Cost., la legge interna che vìola il diritto comunitario non è solo disapplicabile, ma è anche illegittima.

Nel caso di specie, come il giudice di prime cure ha rilevato, l’atto normativo, pur derivando da una Direttiva, ha i requisiti idonei a determinarne un’efficacia orizzontale immediata. Pertanto, la tutela invocata, non può esser negata.

Per consolidata impostazione della giurisprudenza della Corte di Giustizia, la prescrizione di diritto interno che collida con un atto normativo (ad efficacia immediata) proveniente dalla Comunità europea, va disapplicata, nella misura in cui si è verificato il contrasto.

Prosegue l’appellante precisando che nella materia di cui ci si occupa, il Decreto legislativo 257/1991 lede la Direttiva comunitaria 82/76/CEE in data 26.01.1982, nella parte in cui adotta una disciplina per l’adeguata remunerazione dei medici in formazione, a partire dall’anno accademico 1991, senza alcuna salvaguardia degli interessi di tutti coloro che hanno frequentato i corsi di specializzazione negli anni accademici precedenti, vìola il disposto della richiamata Direttiva che statuiva l’obbligo di remunerazione, imponendo agli Stati membri di recepire tale indirizzo normativo entro il 31.12.1982.

Così, la giurisprudenza della Corte di Giustizia e ad oggi anche la giurisprudenza di merito e di legittimità, sostengono che, per sanare il contrasto, il giudice nazionale debba effettuare una interpretazione retroattiva della legge del 1991, con conseguente efficacia della disciplina anche ai medici che hanno frequentato il corso di specializzazione a partire dal 1983.

In particolare, la Corte di Giustizia suggerisce al giudice nazionale la

necessità di tendere comunque al risultato voluto dalla direttiva, ossia di

interpretare la legge nazionale in un senso che consenta in ogni caso di dare

effettività allo scopo sotteso alla direttiva comunitaria. In tal senso

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“l’applicazione retroattiva e completa delle misure di attuazione della direttiva 82/76 permette di rimediare alle conseguenze pregiudizievoli della tardiva attuazione di tale direttiva” (sent. Gozza, punto 39 della motivazione;

sent. Carbonari, punto 53 della motivazione).

La legge di attuazione del 1991, pur espressamente disponendo che il diritto è riconosciuto solo a partire da tale anno, dovrebbe essere intesa come se riconoscesse il diritto a partire dal 1983, ossia dalla data in cui avrebbe dovuto tale legge, essere promulgata (e, per ritardi dello Stato italiano, ciò non è avvenuto). Pertanto, anche in relazione al corso di specializzazione in svolgimento nell’anno 1983, andrà riconosciuto il risarcimento del danno per mancato recepimento delle direttive de quibus.

3.2. - Diversamente ragionando (e si passa così al secondo motivo), ove non si acceda alla detta impostazione, non sarebbe possibile applicare il Decreto legislativo 257/91 oltre i limiti temporali che scaturiscono dai princìpi ai quali è ispirata la disciplina generale dell’efficacia nello spazio e nel tempo della legge.

In questa prospettiva, secondo la tesi della parte appellante, la tutela degli specializzandi degli anni precedenti al 1991 (a partire dal 31.12.1982) avrebbe natura risarcitoria, per la subìta violazione dell’obbligo gravante sullo Stato italiano di dare attuazione alla citata Direttiva comunitaria.

Senza entrare nella querelle, che ha fatto seguito alle pronunce delle Corti, in ordine alla natura dell’atteggiamento dello Stato italiano, resta fermo che l’affermata responsabilità ha natura contrattuale.

Pertanto, nel caso di specie, la regola che governa l’onere della prova, risulta assolutamente soddisfatta con l’esibizione dei certificati che dimostrano la partecipazione ai corsi di specializzazione. Ai convenuti sarebbe spettato l’onere di dimostrare ogni fatto impeditivo alla percezione della remunerazione.

3.3. - Gli stessi argomenti valgono anche in relazione all’errato rigetto, nel merito, della domanda attorea in quanto, secondo la prospettazione del giudice di prime cure, non sarebbe stato dimostrato, nel caso in esame, che la frequenza al corso sia “avvenuta con modalità tali da integrare una situazione fattuale che avrebbe giustificato, ove la direttiva fosse stata attuata al momento della frequenza, il riconoscimento di un’adeguata remunerazione”.

Nello specifico, la sentenza precisa che i medici avrebbero dovuto dimostrare

che “la frequenza al corso di specializzazione da parte di ognuno degli istanti

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fosse avvenuta con modalità tali da integrare una situazione fattuale che avrebbe giustificato, ove la direttiva fosse stata attuata al momento della frequenza, il riconoscimento di un’adeguata remunerazione o per essere detta frequenza rifondibile al c.d. Tempo pieno o al tempo definito” e che gli stessi non avrebbero provato “alcunché sotto il profilo delle concrete modalità di esplicazione delle attività di specializzazione e della loro rispondenza ai requisiti fissati dalle direttive comunitarie”.

Sotto questo aspetto (ed è il terzo ed ultimo motivo di appello), la decisione è palesemente erronea ed infondata sotto molteplici profili che vanno ben oltre la violazione della regola che sovrintende alla disciplina dell’onere della prova (di cui si è detto sopra).

Innanzitutto, secondo la tesi esposta con l’atto di gravame, la prova richiesta dal giudice di primo grado è, palesemente, inesigibile e ciò in quanto la mancata adozione di una disciplina interna finisce con il negare tale diritto, esigendo una prova impossibile sulle modalità di svolgimento del corso di specializzazione ha precluso agli appellanti di poter compiere quelle attività prescritte dalle citate Direttive comunitarie e per le quali era prevista l’attribuzione di una borsa di studio.

Sicché, a prescindere dalle attività effettivamente svolte da ciascun specializzando, il diritto al risarcimento del danno discende direttamente dalla violazione dell’obbligo dello Stato italiano di attuare le Direttive entro i termini prescritti, a nulla rilevando se gli appellanti abbiano frequentato il corso con le medesime modalità indicate dalle citate direttive.

In tal senso la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione n.

9147 del 17 aprile 2009 e della Corte di Giustizia non lasciano dubbi al riguardo, laddove riconoscono che dalla omessa o tardiva trasposizione nel diritto interno, da parte del legislatore italiano, nel termine prescritto, delle direttive comunitarie, discende il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che deve essere determinato in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile

In altre parole, l’assenza di una normativa di attuazione, volta a

regolare, gli obblighi e i diritti dei frequentanti del corso di specializzazione

medica, rende assolutamente inesigibile la prova ingiustamente pretesa dal

giudice di prime cure. Senza contare che, in assenza di una legge che

disciplinasse lo status giuridico dei medici specializzandi, gli appellanti non

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avrebbero comunque potuto svolgere alcuna delle attività indicate nelle Direttive comunitarie, come ad esempio l’assistenza medica ai pazienti della clinica specialistica, o le guardie notturne, attività queste spettanti solo al personale medico a ciò autorizzato.

Così, l’unica prova che gli appellanti avrebbero dovuto, e potuto, produrre in giudizio è quella di aver svolto l’attività di formazione specialistica secondo le modalità previste dalla normativa all’epoca vigente, essendo tale condizione sufficiente a dimostrare che, in presenza di un tempestivo adempimento delle direttive comunitarie più volte citate, avrebbero potuto godere anch’essi del regime giuridico introdotto dal Decreto legislativo 257/91, sia per ciò che concerne l’assolvimento degli obblighi giuridici ivi previsti, sia per il godimento dei diritti espressamente attribuiti.

4. – D’altro canto, l’Avvocatura distrettuale per le parti appellate, contesta integralmente l’atto di impugnazione eccependo in via preliminare la inammissibilità del primo motivo di appello ex art. 342 c.p.c.

4.1. – Occorre dunque esaminare pregiudizialmente l’eccezione pregiudiziale posta dall’Avvocatura dello Stato.

Sulla questione la Cassazione ha affermato il principio in base al quale

«l’art. 434, comma 1, c.p.c., nel testo introdotto dall’art. 54, comma 1, lett. c) bis del d.l. n. 83/2012, convertito nella legge n. 134/2012, in coerenza con il paradigma generale contestualmente introdotto nell’art. 342 c.p.c., non ri- chiede che le deduzioni dell’appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impongono all’appellante di circoscrivere l’ambito del gravame, individuando i capi della sentenza da riformare argomentando il proprio dissenso (Cass. civ. Sez.

lavoro, 5 febbraio 2015, n. 2143).

La Corte ritiene che l’atto di appello in esame (e quindi anche il primo motivo di gravame) assolva a quanto prescritto dall'art. 342 c.p.c. nella formulazione attualmente vigente (e già vigente alla data di notifica dell’atto stesso). Infatti, dalla lettura dell’appello i motivi emergono con i caratteri della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, con l'esposizione delle ragioni che illustrano in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme e princìpi di diritto.

Pertanto, l’atto di appello deve ritenersi ammissibile contenendo sia il

profilo volitivo (indicazione delle parti che si intendono impugnare), sia

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quello argomentativo (con indicazione delle modifiche che dovrebbero essere apportate al provvedimento con riguardo alla ricostruzione del fatto), ma anche il profilo censorio (vi è l’indicazione del perché assume sia stata violata la legge) ed infine del profilo di causalità (con la giustificazione del rapporto causa ed effetto fra la violazione dedotta e l'esito della lite).

La censura proposta dalla parte appellante è dunque infondata e deve essere rigettata.

4.2. – Parte appellata contesta poi l’atto di impugnazione nel merito sostenendo la tesi di cui alla sentenza gravata e precisando che il diritto alla borsa di cui gli appellanti lamentano la violazione, ai sensi della Direttiva 82/76/CEE, ha quale condizione che la formazione specialistica dei medici presenti determinate caratteristiche.

Si reiterano poi le eccezioni di prescrizione quinquennale e decennale delle rivendicate borse di studio, nonché il difetto di legittimazione passiva per la Università “Federico II” di Napoli e per i due Ministeri chiamati in causa.

4.3. – Altrettanto infondato viene ritenuto dalla parte appellata il secondo motivo. Infatti, dopo aver eccepito la inammissibilità della chiesta condanna nei confronti dell’Università e dei due Ministeri in quanto è intervenuto giudicato sulla carenza di titolarità passiva dichiarata in primo grado, ritiene corretta la pronuncia del tribunale.

Vi è dunque un difetto di prova in quanto i medici oggi appellanti avrebbero dovuto dimostrare la avvenuta frequentazione della scuola di specializzazione prima del D.lgs. 257/1991 a tempo pieno, il cui onere della prova era posto a loro carico sia in base al principio della vicinanza della prova, trattandosi di fatti molto risalente nel tempo, sia per i princìpi generali in tema di risarcimento del danno.

4.4. – Si ribadisce poi la inammissibilità della domanda volta ad ottenere il rimborso delle tasse universitarie in quanto rientrante nella giurisdizione del giudice tributario.

4.5. – Infine in via subordinata, le amministrazioni appellante eccepiscono la inammissibilità delle domande proposte per quei medici che si sono immatricolati per la specializzazione ante 1° gennaio 1983 (ed in particolare per Flavio Fazioli, Francesco Sabbatini, Carolina Ciacci e Alessandro Puzziello).

4.6. – Sempre in via gradata, si eccepisce poi la circostanza che alcuni

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medici hanno frequentato scuole di specializzazione non conformi alle Direttive comunitarie (ed in particolare per Antonello Accurso, Daniele Bruno, Fabiana Castiglione, Sandro Pignata, Francesco Sabbatini, Carolina Ciacci, Alessandro Puzziello e Edi Mattera).

5. – Questa Corte in applicazione del principio c.d. della “ragione più li- quida” ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, ritiene di adot- tare un approccio interpretativo che verifichi prioritariamente le soluzioni sul piano dell'impatto operativo, in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall'art.

111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione senza che sia necessario esaminare previamente le altre (Cass. civ. Sez. Unite, 12 dicembre 2014, n.

26242).

5.1. – E tra i motivi proposti dagli appellanti occorre pertanto esaminare il secondo che attiene al natura risarcitoria della domanda proposta.

5.2. - Il Collegio rileva che all’esito delle più recenti sentenze di legittimità, intervenute sulla nota questione controversa, anche a Sezioni Unite, possono ritenersi acquisiti i seguenti princìpi, dai quali, nel caso in esame, non sussistono ragioni per discostarsi (sul punto, anche, App. Roma, sent. n. 432/2016):

I] la domanda deve essere qualificata (Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 17/04/2009, n. 9147) come domanda di risarcimento danni per inadempimento dello Stato per omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore nel termine prescritto da direttive comunitarie non autoesecutive o, se si preferisce, una responsabilità per inadempimento di obbligazione ex lege (in relazione alle specializzazioni contemplate negli elenchi degli artt. 5, n. 2, e 7, n. 2 e 3, della direttiva 75/362/CEE, le modalità di svolgimento di detti corsi secondo quanto stabilito dagli artt. 2, n. 1, 3 e relativo Allegato ai punti 1 e 2, concernenti, rispettivamente, la formazione a tempo pieno e quella a tempo parziale della direttiva 82/76/CEE; Cass. civ. Sez. III, 11/11/2011, n. 23577); essendo tale qualificazione corrispondente all'unico diritto configurabile in relazione alla vicenda, la legittimazione passiva in senso sostanziale all'azione di risarcimento danni basata sull'obbligo insorto per effetto dell'inadempimento statuale quale fatto rilevante ai sensi dell'art.

1173 c. c., compete esclusivamente allo Stato Italiano: la domanda va

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inquadrata, quindi, quale domanda risarcitoria e non retributiva, cui applicabile, ai soli fini della determinazione del quantum il criterio di cui all'art. 11 L. 370/1999 (Cass. civ. Sez. III, 11/11/2011, n. 23558);

II] la responsabilità per omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie va ricondotto in particolare allo schema della responsabilità contrattuale per inadempimento dell'obbligazione ex lege dello Stato, e lo Stato italiano è l'unico responsabile di detto inadempimento(Cass. civ. Sez. III, 11/11/2011, n. 23558);

III] l’ambito di applicazione della suddetta responsabilità deve essere interpretato nel senso che il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva 26 gennaio 1982, n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive 16 giugno 1975, n. 75/362/CEE e n. 76/362/CEE, è sicuramente insorto in favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica iniziati negli anni dal 1° gennaio 1983 all'anno accademico 1990-1991, in condizioni tali che, se detta direttiva fosse stata attuata, avrebbero acquisito i diritti da essa previsti (Cass. civ. Sez. VI - 3, 10/07/2013, n. 17067; Cass. civ. Sez. lavoro, 22/05/2015, n. 10612);

IV] la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all'adempimento di un'obbligazione ex lege riconducibile all'area della responsabilità contrattuale, è sottoposta all'ordinario termine decennale di prescrizione (Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 17/04/2009, n. 9147); tale termine si ritiene decorra dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. n. 370 del 1999, art. 11, che ha dato attuazione alle direttive summenzionate (Cass. civ. Sez.

III, 26/06/2013, n. 16104); peraltro, nessuna influenza dovrebbe avere la

sopravvenuta disposizione di cui all'art. 4, comma 43, della legge 12

novembre 2011, n. 183 - secondo cui la prescrizione del diritto al

risarcimento del danno da mancato recepimento di direttive comunitarie

soggiace alla disciplina dell'art. 2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fatto,

dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata

tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato - trattandosi di

norma che, in difetto di espressa previsione, non può che spiegare la sua

efficacia rispetto a fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore

(10 gennaio 2012) (Cass. civ. Sez. lavoro, 08/02/2012, n. 1850); nel caso in

esame, a prescindere dalla valutazione della decorrenza del termine in una

data successiva al 27 ottobre 1999, non è maturata la prescrizione in quanto

(13)

l’atto di citazione è stato notificato il 25 luglio 2008 e l’atto di chiamata in causa il 26 maggio 2009;

V] circa il difetto di prova del mancato svolgimento di attività lavorativa durante il periodo di specializzazione, la Suprema Corte ha statuito che nelle cause in oggetto i medici non “possono essere gravati della prova di non aver percepito, durante il periodo di formazione, altre remunerazioni o borse di studio, trattandosi di circostanze - eventualmente rilevanti a titolo di aliunde perceptum - l'onere della cui prova va posto a carico del soggetto inadempiente”, onere che nella specie non è stato assolto (Cass. civ. Sez. III, 27/01/2012, n. 1182);

VI] circa il difetto di prova del fatto che il corso fosse esclusivo ed a tempo pieno anche di recente la S.C. ha ribadito che il diritto al risarcimento del danno da tardiva attuazione di una direttiva comunitaria (ovvero, come altri preferisce dire, l'obbligazione dello Stato scaturente "ex lege" dalla tardiva attuazione di direttive comunitarie) “esige la prova che, se lo Stato avesse tempestivamente dato attuazione alla Direttiva comunitaria, il singolo avrebbe realizzato un lucro, od evitato un esborso”; ed in materia di remunerazione di medici specializzandi, questi ultimi per ottenere il risarcimento “debbono dunque dimostrare che, in caso di tempestiva attuazione della direttiva 75/362/CEE e successive modificazioni, essi avrebbero frequentato un corso di specializzazione che avrebbe dato loro diritto alla remunerazione” (Cass. civ. Sez. III, Sent., 08/03/2017, n. 5781);

- tuttavia, prima dell'emanazione del D.Lgs. 257/1991, di (tardiva) attuazione delle direttive 75/362/CEE e 82/76/CEE, le università erano libere di organizzare corsi di specializzazione quomodolibet: e quindi anche non esclusivi, e non a tempo pieno e da ciò discendono due conseguenze sul piano dell'onere della prova:

- la prima è che “dal fatto stesso che un medico abbia, prima del 1991, frequentato e portato a termine un corso di specializzazione, è possibile risalire ex art. 2727 c.c. al fatto ignorato che, se il D.Lgs. n. 257 del 1991 fosse stato già in vigore all'epoca di inizio di quel corso, il medico in questione vi si sarebbe ugualmente iscritto” (Cass. civ. Sez. III, 27/01/2012, n. 1182; Cass.

civ. Sez. III, Sent., 08/03/2017, n. 5781);

- la seconda conseguenza è che “non può pretendersi dal medico, il

quale abbia frequentato corsi di specializzazione iniziati prima del 1991, la

prova che il corso frequentato era esclusivo ed a tempo pieno: tali

(14)

caratteristiche infatti prima del 1991 non erano richieste, e sarebbe iniquo pretendere dallo specialista la prova di avere frequentato corsi aventi caratteristiche non richieste dalla legge all'epoca in cui li svolse, e per di più la cui mancata previsione dipendeva proprio dalla renitenza con cui lo Stato diede attuazione agli obblighi comunitari” (Cass. civ. Sez. III, 11/11/2011, n.

23577; Cass. civ. Sez. III, Sent., 08/03/2017, n. 5781);

- pertanto, lo specialista che abbia frequentato un corso non a tempo pieno, lavorando e percependo una remunerazione durante la frequentazione di esso, “potrà incidere sul quantum debeatur, ma tale circostanza - in quanto fatto modificativo della pretesa - deve essere dedotta e provata da chi la invoca, cioè del debitore” (Cass. civ. Sez. III, 27/01/2012, n. 1182; Cass. civ.

Sez. III, Sent., 08/03/2017, n. 5781);

VI] sulla liquidazione dell'indennizzo, il Collegio reputa che si debba fare riferimento al criterio equitativo, assumendo quale parametro della liquidazione i criteri indicati dal legislatore all’art. 11 L. 370/1999 (disciplina applicata agli specializzandi iscritti ai corsi ante 1991/1992 e che avevano proposto con successo ricorso al TAR), da considerarsi congrui — per la contiguità temporale e per la identità della situazione sostanziale - all'epoca della formazione effettuata dagli appellanti, con la conseguenza che nella presente controversia va adottato quale parametro equitativo per la determinazione del danno l'importo annuo di £. 13.000.000, pari ad euro 6.713,94, per il periodo di iscrizione compreso tra il 1° gennaio 1983 (data a decorrere dalla quale la direttiva comunitaria in materia di specializzandi doveva essere recepita dal legislatore italiano) e l’ottobre 1991, atteso che il recepimento della direttiva 82/76/CEE si è verificato con il D.lgs. 257/1991 a partire dall'anno accademico 1991/1992 (Cass. civ. Sez. I, 10/03/2010, n.

5842);

VIII] con riguardo alle somme così determinate occorre precisare che

sulle quelle che saranno liquidate spettano inoltre, alla luce della più recente

giurisprudenza di legittimità, gli interessi legali dalla data della domanda

(non essendo stato provato un diverso atto di messa in mora), ma non la

rivalutazione, essendo il risarcimento dei danni previsto in favore degli

specializzandi in medicina frequentanti in epoca anteriore al 1991 oggetto di

un peculiare diritto (para)risarcitorio, la cui quantificazione equitativa - da

compiersi sulla base delle indicazioni contenute nella legge 19 ottobre 1999

n. 370 - comporta esclusivamente la decorrenza degli interessi (e non anche

(15)

la necessità della rivalutazione monetaria, salva la prova del maggior danno ai sensi dell'art. 1224, comma 2, c.c.) in quanto, con la monetizzazione effettuata dalla legge n. 370 del 1999, l'obbligazione risarcitoria ha acquistato carattere di obbligazione di valuta (Cass. civ. Sez. III, 09/02/2012, n. 1917).

5.3. – Occorre poi affrontare il tema relativo al riconoscimento di analogo diritto a quei medici che abbiano iniziato il corso di specializzazione alla data del 31 dicembre 1982.

Al riguardo sussiste in giurisprudenza un contrasto che ha visto opporsi consapevolmente a numerosi precedenti convergenti su di una soluzione negativa, costituenti un orientamento ormai consolidato degli ultimi anni, delle recenti pronunce che hanno sostenuto la non conformità dell'indirizzo prevalente alle decisioni della Corte di Giustizia CE, intervenute in materia ed optato per il riconoscimento del risarcimento del danno anche ai medici specializzandi che avevano intrapreso la formazione specialistica prima del 31 dicembre 1982 (in diverso senso, per tutte, si vedano: Cass. civ. Sez. VI - 3, 10/07/2013, n. 17067; Cass. civ. Sez. lavoro, 22/05/2015, n. 10612).

In esito ai ricorsi per Cassazione proposti contro la sentenza della Corte di Appello di Palermo n. 1342/2012, con ordinanza interlocutoria n.

21654/2015 pronunciata dalla Sezione Lavoro della S.C. gli stessi venivano rimessi, ai sensi del combinato disposto degli artt. 374 e 376 c.p.c., al Primo Presidente che li assegnava alle Sezioni Unite: la rimessione conseguiva al riscontro di un evidente e motivato contrasto sul regime giuridico d'indole economica applicabile ai corsi di specializzazione per i laureati in medicina e chirurgia, indetti a tempo pieno con inizio in data anteriore e completamento in data posteriore al 31 dicembre 1982, problematica interpretativa che è apparsa anche integrare questione di massima di particolare importanza.

Le Sezioni Unite, considerato che è involto il diritto dell'Unione, che sui controversi specifici temi non risultano rese precedenti esegesi pregiudiziali da parte della Corte di Giustizia e che la soluzione del contrasto insorto sull'applicazione delle Direttive comunitarie non sembra imporsi con tale evidenza da non lasciare adito ad alcun fraintendimento, hanno ritenuto necessario chiedere alla medesima Corte, in via pregiudiziale, l'interpretazione delle cennate direttive n. 75/362/CEE n. 75/362/CEE e n.

82/76 CEE, a fronte delle questioni sottoposte al giudizio della S.C.,

“sussistendo dubbio circa la puntuale esegesi di quelle norme comunitarie e

l'esaustività della richiamata normativa nazionale che vi ha dato attuazione”.

(16)

Pertanto, con l’ordinanza n. 23581 del 21 novembre 2016, le Sezioni Unite hanno sottoposto alla Corte di giustizia dell'unione europea, in via pregiudiziale ai sensi e per gli effetti dell'art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea, le seguenti questioni d'interpretazione:

“1) Se la direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n.

75/362/CEE2 e n. 75/363/CEE, debba essere interpretata nel senso che rientrino nel suo ambito di applicazione anche le formazioni di medici specialisti, sia a tempo pieno che a tempo ridotto, già in corso e proseguite oltre il 31 dicembre 1982, termine fissato agli Stati membri dall’art. 16 della direttiva n. 82/76/CEE per adottare le misure necessarie per conformarsi.

In caso di risposta affermativa al quesito sub 1):

2) se l’allegato, aggiunto alla direttiva “coordinamento” n. 75/363/CEE dall’art. 13 della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n.

75/362/CEE e n. 75/363/CEE, debba essere interpretato nel senso che per i corsi di formazione specialistica già iniziati alla data del 31 dicembre 1982 l’insorgenza dell’obbligo di remunerazione adeguata per i medici specializzandi dipenda dall’assolvimento dell’obbligo di riorganizzazione o comunque di verifica di compatibilità con le prescrizioni delle predette direttive;

3) se in favore dei medici che abbiano conseguito specializzazioni frequentando corsi di formazione che avevano già avuto inizio ma non erano ancora conclusi al 1° gennaio 1983, sia insorto o meno l’obbligo di adeguata remunerazione per l’intera durata del corso o per il solo periodo di tempo successivo al 31 dicembre 1982 ed a quali eventuali condizioni” (data di deposito dell'atto introduttivo del giudizio: 28/11/2016; in G.U.U.E., C 63 del 27.02.2017; Causa C-616/16).

Ed allorquando una medesima questione sia già stata sottoposta

all'esame della giustizia comunitaria - perché proposta innanzi al Tribunale

di prima istanza di Lussemburgo, oppure perché già sollevata da un giudice

nazionale direttamente dinanzi alla Corte di Giustizia -, il successivo giudice

nazionale, non di ultima istanza, cui sia sottoposta una controversia sullo

stesso punto, la cui soluzione dipende anch'essa dalla decisione che verrà

adottata dalla giustizia comunitaria, può legittimamente sospendere, in

attesa della pronunzia, il giudizio avanti a lui pendente, senza che sia

necessario, a tal fine, che sollevi a sua volta la medesima questione dinanzi

alla giustizia comunitaria (Cass. civ. Sez. lavoro, 09/10/2006, n. 21635).

(17)

Pertanto, saranno decise tutte quelle posizioni che non rientrano tra quelle oggetto di rimessione alla Corte di Giustizia UE, mentre con separata ordinanza di disporrà con riguardo alle altre circa la sospensione.

5.4. – In relazione alla domanda di rimborso delle tasse universitarie che viene riproposta quale conseguenza automatica derivante dall’accoglimento dell’appello occorre rilevare che il tribunale ha dichiarato sul punto il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in quanto la questione rientra nella giurisdizione del giudice tributario.

Pertanto, considerato che non vi è impugnazione del citato capo della pronuncia, la relativa domanda deve essere dichiarata inammissibile in quanto si è formato il giudicato sulla statuizione di cui alla sentenza di primo grado.

5.5. – Resta altresì ferma la statuizione relativa alla carenza di titolarità passiva del rapporto in relazione alla Università ed ai due Ministeri appellati posto che anche il capo della sentenza in questione non è stato assoggettato a gravame con l’atto di appello.

6. - Per le ragioni fin qui esposte non può condividersi l'iter motivazionale del tribunale che ha respinto le domande delle parti appellanti che devono essere riesaminate alla luce dei princìpi sopra esposti.

Deve in primo luogo rilevarsi che i medici appellanti hanno documentato sin dal primo grado con apposite certificazioni rilasciate dall’università frequentata, l’iscrizione, negli anni in questione, alle scuole di specializzazione (con il conseguimento del relativo diploma).

Come chiarito dalla Corte di Giustizia nella sentenza Carbonari, C- 131/97 del 25 febbraio 1999, ai punti 26 e 27, nei quali si richiama la precedente sentenza del 6 dicembre 1994, causa C-277/93, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-5515), l’obbligo di retribuire i periodi di formazione relativi alle specializzazioni mediche, prescritto dall’art. 2, n. 1, lett. c) della direttiva «coordinamento», s’impone soltanto per le specializzazioni mediche comuni a tutti gli Stati membri o a due o più di essi e menzionate dagli artt. 5 o 7 della direttiva «riconoscimento» (nello stesso senso, anche, la sentenza Gozza, C-371/97del 3 ottobre 2000).

Di conseguenza, soltanto entro il perimetro normativo delineato dalla

direttiva citata può ritenersi sussistente il diritto derivante dalla violazione

dell’obbligo statuale di trasposizione della direttiva medesima non senza

tenere presente quanto ribadito dalle citate pronunce della Corte di Giustizia

(18)

UE secondo cui “il giudice nazionale è tenuto, tuttavia, quando applica disposizioni di diritto nazionale precedenti o successive ad una direttiva, ad interpretarle, quanto più possibile, alla luce della lettera e dello scopo della direttiva stessa”.

6.1. – Per le posizioni sottoposte all’esame di questa Corte occorre esaminare preliminarmente quelle le cui immatricolazioni sono successive al 31 dicembre 1982.

6.1.1. - Alcuni medici appellanti hanno conseguito la specializzazione in

“Gastroenterologia ed endoscopia digestiva” (corso di durata quadriennale), compresa nel capitolo IV della direttiva 75/362/CEE del Consiglio tra le specializzazioni proprie di due o più Stati membri (art. 7, § 2) apparendo del tutto irrilevante la circostanza che ivi la denominazione italiana era all’epoca diversa (“Malattie dell’apparato digerente, della nutrizione e del ricambio”) essendo comunque ricompresa nella categoria prevista dalla direttiva denominata “Gastroenterologia”); ai medici che hanno conseguito detta specializzazione risulta dovuto l’importo di € 6.713,94 all’anno, spettando dunque (per quattro anni) € 26.855,76, con gli interessi legali dalla domanda (26 maggio 2009); più precisamente tale somma spetta ai medici specialisti appellanti: Fabiana Castiglione, Sandro Pignata e Bruno Daniele.

6.1.2. – Quanto alla posizione di Edi Mattera si rileva che ha conseguito la specializzazione in “Endocrinologia” (corso di durata triennale con immatricolazione nell’anno accademico 1983/84), compresa nel titolo IV della direttiva 75/362/CEE del Consiglio tra le specializzazioni proprie di due o più Stati membri (art. 7, § 2) con identica denominazione italiana; pertanto, risulta dovuto l’importo di € 6.713,94 all’anno, spettando dunque (per tre anni) € 20.141,82, con gli interessi legali dalla domanda (26 maggio 2009).

6.1.3. – Con riguardo ad una delle due domande proposte da Antonello Accurso, si rileva che questi ha conseguito la specializzazione in “Chirurgia d’urgenza e pronto soccorso” (corso di durata quinquennale con immatricolazione nell’anno accademico 1983/84), disciplina notoriamente equipollente e, comunque, connessa strettamente ed analoga alla chirurgia generale e, perciò, compresa nel titolo III della direttiva 75/362/CEE del Consiglio tra le specializzazioni comuni a tutti gli Stati membri (art. 5, § 3);

pertanto, risulta dovuto l’importo di € 6.713,94 all’anno, spettando dunque

(per cinque anni) € 33.569,70, con gli interessi legali dalla domanda (26

maggio 2009).

(19)

6.1.4. – Con riferimento poi alla seconda domanda formulata da Antonello Accurso, si rileva che questi ha conseguito anche la specializzazione in “Chirurgia oncologica” (corso di durata quadriennale con immatricolazione nell’anno accademico 1979/80), disciplina non prevista e non assimilabile ad alcuna di quelle comprese nel titolo III e nel titolo IV della direttiva 75/362/CEE del Consiglio; pertanto, la domanda – a prescindere dalla valutazione della sua fondatezza in ordine alla data di immatricolazione antecedente al 1° gennaio 1983 – non può essere accolta (sia pure per motivi diversi da quelli esposti dal tribunale nella sentenza gravata), risultando assorbente il rilievo della non conformità alle specializzazioni comuni a tutti o ad almeno due Stati membri.

6.2. – Le ulteriori posizioni attengono a quei medici specialisti appellanti che si sono immatricolati prima del 1° gennaio 1983 (e cioè:

Carolina Ciacci, Flavio Fazioli, Alessandro Puzziello e Francesco Sabbatini), ma per i quali sussistono astrattamente i titoli per il riconoscimento del diritto richiesto, risultando quindi pregiudiziale la pronuncia della sentenza della Corte di Giustizia UE cui è stata rimessa la soluzione da parte delle Sezioni Unite della S.C. come è stato già precisato. Per cui dette posizioni sono destinate a rimanere sospese in attesa della sentenza della Corte di Giustizia UE e con separata ordinanza sarà disposta a tal fine la rimessione sul ruolo.

6.3. – Infine, in relazione alla specifica eccezione sollevata dall’Avvocatura dello Stato, deve ritenersi irrilevante l’eventuale mancato inserimento di una scuola di specializzazione in medicina e chirurgia, attivata presso l’Università, nell’elenco delle specializzazioni di tipologia e durata conformi alle norme comunitarie, previsto dall’art. 1, comma 2, del D.lgs. n.

275 del 1991, quando si tratti di specializzazione del tutto analoga a quelle istituite in almeno altri due Stati membri (come di recente precisato da Cass.

civ. Sez. III, 28/10/2016, n. 21798; Cass. civ. Sez. VI - 3, 04/05/2016, n.

8939).

6.4. - Del debito risponde la Presidenza del Consiglio dei Ministri, organo che rappresenta lo Stato nella sua unitarietà e al quale fanno capo (secondo la legge n. 400 del 1988) tutte le attribuzioni in materia di attuazione degli obblighi comunitari.

7. - Le spese del processo seguono la soccombenza secondo la regola dettata dall’art. 91, comma 1, c.p.c., e si liquidano come in dispositivo.

7.1. - Per il giudizio di primo grado, iniziato nel 2008 e concluso il 3

(20)

gennaio 2012, le competenze professionali restano dovute secondo le tariffe approvate con il D.M. 8 aprile 2004 n. 127 (in regime di prorogatio delle tariffe forensi, ai sensi dell’articolo 9 del D.L. n. 1 del 2012, come convertito), tenuto conto in particolare dei criteri di cui all’art. 5, commi 1 e 4, del decreto citato (con aumento del 20% per ciascun soggetto attore successivo al primo).

Infatti, qualora l’attività giudiziale dell’avvocato della parte vittoriosa - con riferimento ai singoli gradi - sia terminata prima del 23 luglio 2012 e del- la caducazione definitiva delle tariffe forensi, per la liquidazione giudiziale delle spese si deve fare riferimento alle tariffe forensi; qualora, invece, la conclusione dell’attività difensiva, con il compimento dell’opera professionale, abbia luogo dopo l’intervenuta abrogazione di dette tariffe, l’entrata in vigore dei nuovi parametri ministeriali farà sì che la liquidazione giudiziale delle spese di soccombenza avvenga in base a questi e non più in base alle previ-genti tariffe, ancorché alcune attività siano state svolte nel vigore di queste. In definitiva, i compensi professionali degli avvocati devono essere liquidati secondo il sistema in vigore al momento dell’esaurimento della prestazione professionale ovvero della cessazione dell’incarico, secondo una unitarietà da rapportarsi ai singoli gradi in cui si è svolto il giudizio (Cass.

Sez. Lavoro – Sent. 5/11/2012 n. 18920; Cass. civ. Sez. VI - 2, 11/02/2016, n.

2748).

7.2. – Sulla base dei princìpi sopra enunciati, la liquidazione delle spese del grado di appello è dovuta, invece, secondo i parametri previsti dal D.M. 10 marzo 2014 n. 55 (in vigore dal 3 aprile 2014) e liquidate secondo i parametri di cui alla tabella 12 allegata al D.M. citato, per le fasi di studio della controversia, introduttiva del giudizio e decisionale, tenuto conto in particolare dei criteri di cui all’art. 4, commi 1 e 2, del decreto citato (con aumento del 20% per ciascun soggetto appellante successivo al primo).

7.3. – Quanto alla dichiarazione d’inammissibilità dell’appello nei

confronti dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, del Ministero

dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e del Ministero dell’Economia e

delle Finanze, considerata la unicità della difesa assunta mediante

l’Avvocatura dello Stato e le ragioni della citazione in appello finalizzata ad

assicurare il contraddittorio completo anche in questa fase del processo,

appare equo compensare le spese del grado di appello nei loro confronti

integrando tale premessa un giusto motivo di compensazione (in

(21)

applicazione dell'art. 92 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis in ragione della data di instaurazione della lite in primo grado).

P. Q. M.

La Corte di Appello di Napoli, definitivamente pronunciando sugli appelli proposti da Antonello Accurso, Fabiana Castiglione, Bruno Daniele, Edi Mattera e Sandro Pignata, così decide:

a) in riforma della sentenza del Tribunale di Napoli, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento dei seguenti importi con interessi al tasso legale decorrenti dal 26 maggio 2009 al soddisfo: in favore di Antonello Accurso la somma di € 33.569,70 (limitatamente al corso di specializzazione in “Chirurgia d’urgenza e pronto soccorso”); in favore di Fabiana Castiglione la somma di € 26.855,76; in favore di Bruno Daniele la somma di € 26.855,76; in favore di Edi Mattera la somma di € 20.141,82; in favore di Sandro Pignata la somma di € 26.855,76;

b) per l’effetto condanna, inoltre, la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento, in favore di Antonello Accurso, Fabiana Castiglione, Bruno Daniele, Edi Mattera e Sandro Pignata, delle spese di lite, liquidate per il primo grado in € 6.615,55 (di cui € 540,55 per spese, € 2.160,00 per diritti,

€ 3.240,00 per onorari ed € 675,00 per spese generali al 12,5%), oltre agli accessori fiscali e previdenziali come per legge, e per l’appello in € 12.006,61 (di cui € 1.656,61 per spese, € 9.000,00 per compensi professionali ed € 1.350,00 per spese forfettarie al 15%), oltre agli accessori fiscali e previdenziali come per legge;

c) dichiara inammissibile l’appello nei confronti dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e del Ministero dell’Economia e delle Finanze con compensazione delle spese;

d) rigetta l’appello e, quindi, la domanda di Antonello Accurso con riguardo al corso di specializzazione in “Chirurgia oncologica”;

e) dispone con separata ordinanza per il prosieguo in relazione all’appello e alle domande proposte da Carolina Ciacci, Flavio Fazioli, Alessandro Puzziello e Francesco Sabbatini.

Così deciso il 5 ottobre 2017.

Il giudice ausiliario estensore (Marco Marinaro)

Il presidente

(Giorgio Sensale)

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