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Linee guida

PRESERVAZIONE DELLA FERTILITÀ NEI PAZIENTI ONCOLOGICI

Edizione 2019

In collaborazione con

(2)

2

Coordinatore Lucia Del Mastro Breast Unit - IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Università degli Studi di Genova - Genova

Segretario Matteo Lambertini U.O.C. Clinica di Oncologia Medica - IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Università degli Studi di Genova - Genova

Estensori Paola Anserini S.S. Fisiopatologia della Riproduzione Umana - IRCCS Ospedale Policlinico San Martino - Genova

Ugo De Giorgi S.S.D. Oncologia Genitourinaria - Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori (IRST) IRCCS - Meldola

Gianluca Ingrosso Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Biomediche - Università degli Studi di Perugia, Perugia

Giorgia Mangili Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia - IRCCS San Raffaele - Milano

Rosario Mazzola Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata - IRCCS Sacro Cuore Don Calabria - Negrar di Valpolicella - Verona

Fedro Alessandro Peccatori

Fertilità e Procreazione, Div. Oncologia Ginecologica - Istituto Europeo di Oncologia - Milano

Valentina Sini U.O. Centro Oncologico SS-NRM - Asl Roma1 - Roma

Revisori Saverio Cinieri AIOM Oncologia - ASL Brindisi - Brindisi

Giuseppe De Placido SIOG

Dipartimento di Neuroscienze e Scienze riproduttive ed odontostomatologiche - Università degli Studi di Napoli Federico II - Napoli

Enrico Vizza SIGO Ginecologia Oncologica – Istituto Regina Elena - Roma

Giancarlo Morrone SIA UOD Fisiopatologia della Riproduzione Umana - Azienda Ospedaliera di Cosenza - Cosenza

Giuseppina Peluso SIA UOD Fisiopatologia della Riproduzione Umana - Azienda Ospedaliera di Cosenza - Cosenza

Andrea Garolla IGG

UOC Andrologia e Medicina della Riproduzione, Azienda Ospedaliera Università degli Studi di Padova - Padova

Carlo Foresta SIAMS UOC Andrologia e Medicina della Riproduzione, Azienda Ospedaliera Università degli Studi di Padova – Padova

(3)

3

Indice

1. Introduzione ... 7

2. Diventare genitori dopo il cancro ... 9

3. Rischio di infertilita’ correlato ai trattamenti antitumorali ... 11

3.1 Chemioterapia e terapia endocrina ... 14

3.2 Radioterapia ... 15

4. Tecniche di preservazione della fertilità ... 17

4.1 Il quadro legislativo Italiano ... 18

4.2 Tecniche di preservazione della fertilita’ nell’uomo ... 18

4.2.1 Crioconservazione del seme ... 19

4.2.2 Protezione gonadica con trattamenti ormonali ... 21

4.2.3 Crioconservazione di tessuto testicolare ... 21

4.3 Tecniche di preservazione della fertilità nella donna ... 22

4.3.1 Trasposizione ovarica (ooforopessi) ... 23

4.3.2 Crioconservazione di tessuto ovarico ... 24

4.3.3 Crioconservazione ovocitaria ... 26

4.3.4 Crioconservazione dell’embrione ... 29

4.3.5 Utilizzo di tecniche di PMA dopo trattamento di neoplasia maligna ... 31

4.3.6 Utilizzo di LHRH analoghi in concomitanza a chemioterapia... 32

5. Trattamenti conservativi per tumori ginecologici ... 38

6. Figure ... 48

7. Raccomandazioni prodotte con metodologia GRADE ... 50

8. Bibliografia ... 51 Allegato: Tabelle GRADE evidence profile

(4)

4

Come leggere le raccomandazioni *

Le raccomandazioni cliniche fondamentali vengono presentate in tabelle e vengono corredate dalla qualità delle evidenze a supporto e dalla forza della raccomandazione

Nel caso in cui la qualità delle evidenze è stata valutata con metodologia SIGN (Scottish Intercollegiate Guidelines Network) la riga d’intestazione della tabella è verde, mentre è in arancione nel caso di applicazione del metodo GRADE (v. capitolo specifico alla fine di ogni linea guida).

Qualità dell’evidenza

SIGN (1) Raccomandazione clinica (3)

Forza della raccomandazione

clinica (2)

B

Nel paziente oncologico in fase avanzata di malattia, con dolore di diversa etiologia, la somministrazione di FANS e paracetamolo dovrebbe essere effettuata per periodi limitati e con attenzione ai possibili effetti collaterali.

Positiva debole

(1) Qualità dell’evidenza SIGN: PRECEDE LA RACCOMANDAZIONE

Nell’approccio SIGN, la qualità delle evidenze a sostegno della raccomandazione veniva valutata tenendo conto sia del disegno dello studio sia di come esso era stato condotto: il Livello di Evidenza veniva riportato nel testo a lato della descrizione dei soli studi ritenuti rilevanti a sostegno o contro uno specifico intervento.

Livelli di Evidenza SIGN

1 Revisioni sistematiche e meta-analisi di RCT o singoli RCT 1 ++ Rischio di bias molto basso.

1 + Rischio di bias basso.

1 - Rischio di Bias elevato -> i risultati dello studio non sono affidabili.

2 Revisioni sistematiche e meta-analisi di studi epidemiologici di caso/controllo o di coorte o singoli studi di caso/controllo o di coorte.

2 ++ Rischio di bias molto basso, probabilità molto bassa di fattori confondenti, elevata probabilità di relazione causale tra intervento e effetto.

2 + Rischio di bias basso, bassa probabilità presenza fattori di confondimento, moderata probabilità di relazione causale tra intervento e effetto.

2 - Rischio di Bias elevato -> i risultati dello studio non sono affidabili, esiste un elevato rischio che la relazione intervento/effetto non sia causale.

3 Disegni di studio non analitici come report di casi e serie di casi.

4 Expert opinion.

La Qualità Globale delle Evidenze SIGN veniva quindi riportata con lettere (A, B, C ,D) che sintetizzavano il disegno dei singoli studi, unitamente all’indicazione sulla diretta applicabilità delle evidenze e alla eventuale estrapolazione delle stesse dalla casistica globale.

Ogni lettera indicava la “fiducia” nell’intero corpo delle evidenze valutate a sostegno della

raccomandazione; NON riflettevano l’importanza clinica della stessa e NON erano sinonimo della forza della raccomandazione clinica.

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5

Qualità Globale delle Evidenze SIGN

A

Almeno una meta-analisi o revisione sistematica o RCT valutato 1++ e direttamente applicabile alla popolazione target oppure

Il corpo delle evidenze disponibili consiste principalmente in studi valutati 1+

direttamente applicabili alla popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto

B

Il corpo delle evidenze include studi valutati 2++ con risultati applicabili direttamente alla popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto.

Evidenze estrapolate da studi valutati 1++ o 1+

C

Il corpo delle evidenze include studi valutati 2+ con risultati applicabili direttamente alla popolazione target e con risultati coerenti per direzione e dimensione dell’effetto.

Evidenze estrapolate da studi valutati 2++

D

Evidenze di livello 3 o 4

Evidenze estrapolate da studi valutati 2+

Dal 2016 le LG AIOM hanno abbandonato il SIGN in quanto quest’ultimo ha deciso di integrare il GRADE come metodo per la sola valutazione della qualità delle evidenze suddivisa in quattro livelli:

MOLTO BASSA, BASSA, MODERATA, ALTA*.

Per raccomandazioni prodotte dal 2016, infatti, la tabella delle raccomandazioni subisce delle leggere modifiche e si avvicina a quella derivante da tutto il processo formale GRADE.

Qualità Globale

delle evidenze Raccomandazione

Forza della raccomandazione

clinica ALTA

I pazienti con tumore pN+ oppure sottoposti a intervento resettivo senza adeguata linfoadenectomia (<D2) o anche R1 devono essere sottoposti a radiochemioterapia adiuvante (68,73)

Positiva forte

(2) LA FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE CLINICA

La forza della raccomandazione clinica viene graduata in base all’importanza clinica, su 4 livelli:

Forza della raccomandazione

clinica

Terminologia Significato

Positiva Forte

“Nei pazienti con (criteri di selezione) l’intervento xxx dovrebbe essere preso inconsiderazione come opzione terapeutica di prima intenzione”

L’intervento in esame dovrebbe essere considerato come prima opzione terapeutica (evidenza che i benefici sono prevalenti sui danni)

Positiva Debole

“Nei pazienti con (criteri di selezione) l’intervento xxx può essere preso in considerazione come opzione terapeutica di prima intenzione, in alternativa a yyy”

L’intervento in esame può essere considerato come opzione di prima intenzione,

consapevoli dell’esistenza di alternative ugualmente proponibili (incertezza riguardo alla prevalenza dei benefici sui danni)

(6)

6

Forza della raccomandazione

clinica

Terminologia Significato

Negativa Debole

“Nei pazienti con (criteri di selezione) l’intervento xxx non dovrebbe essere preso in considerazione come opzione terapeutica di prima intenzione, in alternativa a yyy”

L’intervento in esame non dovrebbe essere considerato come opzione di prima

intenzione; esso potrebbe comunque essere suscettibile di impiego in casi altamente selezionati e previa completa condivisione con il paziente (incertezza riguardo alla prevalenza dei danni sui benefici)

Negativa Forte

“Nei pazienti con (criteri di selezione) l’intervento xxx non deve essere preso inconsiderazione come opzione terapeutica di prima intenzione”

L’intervento in esame non deve essere in alcun caso preso in considerazione (evidenza che i danni sono prevalenti sui benefici)

(3) LA RACCOMANDAZIONE CLINICA

Deve esprimere l’importanza clinica di un intervento/procedura. Dovrebbe essere formulata sulla base del P.I.C.O.* del quesito (popolazione, intervento, confronto, outcome). In alcuni casi può contenere delle specifiche per i sottogruppi, indicate con il simbolo √.

* La descrizione complete delle metodologie applicate alle LG AIOM e la modalità di formulazione del quesito clinico sono reperibili sul sito www.aiom.it

SIGN= Scottish Intercollagiate Guidelines Network

GRADE= Grading of Recommendations Assessment, Development and Evaluation

Le informazioni complete relative al processo GRADE sono riportate nel capitolo successivo a quello delle FIGURE.

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1. Introduzione

Ogni giorno in Italia vengono diagnosticati almeno 30 nuovi casi di tumore in pazienti di età inferiore ai 40 anni, pari al 3% della casistica generale (373.000 nuovi casi nel 2018 - stima AIRTUM) 1. Riferendosi per maggior precisione ai soli casi registrati, su un totale di 254.979 nuovi iscritti nei Registri Tumori nel 2010, i pazienti al di sotto dei 40 anni sono 7.828, con netta prevalenza per il sesso femminile (4.897 donne vs.

2.931 uomini) 2. I più comuni tipi di cancro in questo sottogruppo di pazienti sono rappresentati nell’uomo da tumore del testicolo, melanoma, tumore della tiroide, linfoma non Hodgkin, tumore del colon-retto, mentre nella donna da carcinoma mammario, tumori della tiroide, melanoma, carcinoma del colon-retto e cervice uterina 1.

Le strategie terapeutiche prevedono spesso il ricorso a trattamenti citotossici. La possibile comparsa di sterilità o d’infertilità secondaria ai trattamenti antitumorali e il disagio psico-sociale ad essa legato sono temi di importanza crescente, non solo in considerazione del miglioramento della prognosi nei pazienti oncologici di età pediatrica e giovanile 3–7, ma anche a causa dello spostamento in avanti dell’età alla prima gravidanza nei paesi occidentali 8,9. In Italia la percentuale di gravidanze registrate in donne oltre i 35 anni è passata dal 12% nel 1990 al 16% nel 1996 ed è stato stimato che sarà pari al 25% nel 2025 10. Un recente studio australiano ha evidenziato come il timore di sterilità secondaria non sia strettamente legato a un progetto concreto di procreazione, ma abbia più ampiamente a che fare con la sfera profonda dell’identità sessuale nel suo complesso 11. La criopreservazione del seme sembra avere un impatto positivo nell’affrontare emotivamente la diagnosi di cancro e il suo trattamento, anche se poi i campioni di seme saranno effettivamente utilizzati solo da una minoranza dei pazienti (<10%) 12–14. Il desiderio di avere un figlio naturale prevale nettamente su alternative percorribili (adozione) o sulla possibilità, là dove la normativa lo consente (in Italia non consentite dalla legge 40/2004), di ricorrere a forme di procreazione che prevedano l’intervento di terzi (maternità surrogata) 15,16. Quanto affermato è vero anche quando al desiderio di genitorialità si associa la preoccupazione relativa alla prognosi oncologica nonché al timore di possibili danni al prodotto del concepimento quale conseguenza tardiva dei trattamenti antitumorali ricevuti prima del concepimento 17,18.

Attualmente la maggiore anticipazione diagnostica delle neoplasie, nonché l’aumentata efficacia dei relativi trattamenti chemio- radio- e/o ormonoterapici, ha portato al sensibile miglioramento della prognosi. I pazienti guariti possono avere la possibilità di diventare buoni genitori e vedono nella loro esperienza di malattia un fattore in grado di arricchire il loro ruolo genitoriale 15,16,19.

Alcuni dati evidenziano che i pazienti infertili con pregressa diagnosi di cancro, presentano, rispetto a pazienti infertili per altri motivi, qualità di vita (depressione 20, ansia 21) e funzione sessuale meno soddisfacenti 22–24.

Sebbene evidenze suggeriscano come alcuni pazienti preferirebbero ricevere trattamenti anche meno efficaci pur di prevenire complicanze a lungo termine 24,25 molti di loro preferiscono non affrontare in prima persona l’argomento con il proprio medico. Spetta quindi al clinico adeguare i livelli di comunicazione ed avviare con i pazienti una serena e corretta informazione, in collaborazione con le figure infermieristiche il cui ruolo in questo ambito è ampiamente riconosciuto anche in letteratura 26–28.

Studi anche recenti indicano che il tema della fertilità non sempre viene trattato in maniera adeguata 11,16,19,29–

32 e che i pazienti vengono così privati della possibilità di accedere a metodiche/procedure efficaci; il dato è fortunatamente in miglioramento. Uno studio tedesco ha evidenziato come la proporzione dei pazienti che non ricordano di avere affrontato, prima del trattamento, tematiche legate alla fertilità si sia gradualmente ridotta nel tempo 33: nel periodo 1980-1984 tale proporzione rappresentava il 67% mentre nel quadriennio 2000-2004 era scesa al 50% (p < .001) 33, ma siamo ancora lontani 34–36 da una applicazione sistematica di un counselling adeguato e tempestivo secondo le raccomandazioni di Barcellona 37 e le indicazioni dei Comitati Etici della Società Americana di Medicina Riproduttiva (ASRM) 38,39. A questo proposito si fa espresso riferimento alla nuova edizione del 2018 delle linee guida della Società Americana di Oncologia Medica (ASCO) 7. Il documento, attraverso la revisione e la discussione della più recente letteratura, conclude riconfermando i contenuti già espressi nella versione 2006 3 e 2013 5, sottolineando ancora una volta come la discussione degli aspetti legati alla preservazione della fertilità debbano essere parte integrante della valutazione specialistica e del colloquio medico-paziente non solo nell’ambito dell’Oncologia Medica ma anche nel settore della specialistica d’organo orientata in senso oncologico. A tal proposito, nel giugno 2017,

(8)

8

un gruppo di esperti europei nel campo dell’oncofertilità ha prodotto una serie di raccomandazioni volte a guidare oncologi, ematologi e le figure professionali coinvolte nel counselling su questa importante tematica

40.

Diversi sono i fattori che possono ostacolare lo scambio di informazioni tra medico-oncologo e paziente.

Alcuni studi condotti anche nel nostro Paese hanno suggerito che è ancora scarsa la cultura degli oncologi relativemente a questa problematica o che la loro conoscenza su tale argomento pecchi di scarso aggiornamento 41–44; altri studi segnalano l’effetto negativo della mancanza di team multidisciplinari ad hoc

29,45. Rieker descriveva già vent’anni fa che gli oncologi sono più propensi a discutere la possibilità di criopreservare il seme con i pazienti di livello di istruzione più elevato 46. Elementi favorenti il dialogo sono l’interesse scientifico o il sesso (femminile > maschile) del medico, la consuetudine ad operare all’interno di equipes multidiciplinari 47, la richiesta diretta dei pazienti 45. Fattori in grado di influenzare il livello di comunicazione sono la prognosi del paziente stesso 12,29,41, il sesso 41,42, lo stato genitoriale 41, lo stato civile

29, l’età e lo stato puberale 42, le possibilità economiche 29, l’eventuale omosessualità o l’infezione da HIV

29,41. Nel caso particolare di una prognosi quoad vitam da subito sfavorevole, solo il 16.2% degli oncologi americani propone ai pazienti la possibilità di una criopreservazione finalizzata all’ipotesi di una genitorialità postuma (in Italia non consentita) mentre il 51.5% non ha una opinione in proposito 48. Per quanto attiene le differenze di genere, va rilevato come la comunicazione sia rivolta agli uomini in percentuale maggiore (80%) rispetto alle donne (48%) 49,50.

Una questione emergente è la presenza, in costante crescita, di pazienti provenienti da aree geografiche e culture diverse, con retroterra sociali, storici e familiari specifici. Queste peculiarità (età, desiderio di gravidanza post trattamento, parità) devono essere considerate sia nella proposta terapeutica, sia nel counselling relativo alla preservazione della fertilità 51.

Accenniamo solamente in questa sede all’ambito del tutto peculiare dei trattamenti oncologici in età pediatrica, tema che meriterà una trattazione a parte 19. Uno studio recente, condotto su oltre 3.500 giovani donne sopravvissute a tumori infantili, documenta come esista un rischio di infertilità significativamente più alto rispetto al gruppo di controllo (rischio relativo [RR]: 1.48) 52. Tuttora, per i pazienti in età prepuberale, le modalità a disposizione per preservare la fertilità sono limitate e sostanzialmente sperimentali sia sul versante tecnico 53–56 sia sul versante del consenso 57,58. Tecniche di trapianto autologo di tessuto testicolare immaturo potrebbero in questo ambito aprire nuove prospettive 59. Nelle pazienti prepuberi, la criopreservazione del tessuto ovarico, seppur considerata ancora sperimentale, è la sola metodica disponibile;

essa non richiede stimolazione ovarica, né la maturità sessuale e pertanto attualmente costituisce la tecnica di riferimento in tali pazienti 60. Uno studio multicentrico americano ha preso in considerazione la comunicazione della preservazione della fertilità tra oncologi e pazienti pediatrici 61. Sono emersi, come variabili che influenzano tale comunicazione, fattori relativi al personale medico (disagio nel discutere il tema della fertilità, percezione della priorità dell’argomento, percezione del ritardo nell’inizio del trattamento), ai genitori (stato emozionale, livello culturale), al piccolo paziente (capacità di comprensione, condizioni cliniche ed età) ed istituzionali (presenza di centri di riferimento, linee guida, costi economici).

Comincia peraltro, specie tra i pediatri oncologi del Nord Europa, a farsi strada una sempre maggiore sensibilità e competenza sull’argomento 62,63.

Lo scopo di queste raccomandazioni è favorire un buon counselling come momento chiave nel percorso decisionale del paziente. E’ importante che tutti i/le pazienti con diagnosi di tumore in età riproduttiva vengano adeguatamente e tempestivamente informati/e del rischio di riduzione della fertilità, in seguito ai trattamenti antitumorali e, al tempo stesso, delle strategie oggi disponibili per ridurre tale rischio 64–71. E’

documentato che l’impiego di materiale informativo è un valido ausilio alla comunicazione, in grado di produrre un aumento significativo delle richieste di counselling specialistico di secondo livello 32,72. E’

altrettanto noto che disparità socio-demografiche (etnia, orientamento sessuale, età superiore o inferiore ai 35 anni) sono associate a differenti opportunità di accesso ai servizi di preservazione della fertilità 73.

In virtù del continuo progresso nel settore, dovrebbero essere messi in atto tutti gli sforzi per aumentare lo scambio di informazioni tra gli oncologi e i medici specialisti in medicina della riproduzione: solo integrando queste strategie nella comune pratica clinica, gli oncologi saranno in grado di migliorare la qualità di vita dei loro pazienti nel processo terapeutico volto non solo alla loro guarigione ma anche al mantenimento dei loro obbiettivi futuri, compresi quelli di una pianificazione familiare 74–76.

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Circa il 3% del totale dei casi di tumore maligno viene diagnosticato in pazienti con età inferiore a 40 anni. Un importante problema che si pone nei giovani pazienti oncologici è rappresentato dalla possibile comparsa d’infertilità secondaria ai trattamenti antitumorali e il disagio psico-sociale ad essa legato. Tutti i/le pazienti con diagnosi di tumore in età riproduttiva devono essere adeguatamente informati/e del rischio di riduzione/perdita della fertilità come conseguenza dei trattamenti antitumorali e, al tempo stesso, delle strategie oggi disponibili per ridurre tale rischio.

2. Diventare genitori dopo il cancro

Un numero sempre maggiore di coppie si rivolge ai Centri di Medicina della Riproduzione per problemi di infertilità dopo che uno dei due partner è stato curato per un tumore. Oltre ai casi in cui ci sono fattori di infertilità indipendenti dal trattamento chemio/radioterapico quali un fattore tubarico, la principale causa della ridotta fertilità in queste coppie deriva dagli effetti gonadotossici delle terapie 77.

Per quanto riguarda i giovani pazienti maschi, in assenza di una sindrome neoplastica ereditaria, non esiste alcuna evidenza scientifica che una precedente storia di cancro aumenti il tasso di anormalità congenite o di cancro nella loro prole 78,79. E’ stato segnalato che il seme di pazienti oncologici ancora non trattati potrebbe presentare una integrità ridotta del DNA rispetto all’atteso 80,81; tuttavia, uno studio europeo su 2.362 pazienti affetti da malattia di Hodgkin ha evidenziato che, nel 90% dei pazienti, il seme era di qualità idonea 82. Una serie di piccoli studi ha messo poi in evidenza un transitorio aumento del rischio di aneuploidia dopo trattamento chemioterapico e radiante 83–86, benché l’integrità del DNA seminale in una coorte di pazienti oncologici pediatrici sia risultata simile a quella dei controlli sani della stessa età 87. Allo stato attuale, i pazienti di sesso maschile dovrebbero essere informati che non è possibile escludere un modesto aumento del rischio di danno genetico nel seme crioconservato dopo la diagnosi di cancro o all’inizio delle terapie antitumorali. Non esistono invece evidenze di un maggior rischio di eventi avversi con l’utilizzo di seme criopreservato piuttosto che fresco, almeno nella popolazione non oncologica. L’iniezione intracitoplasmatica di un singolo spermatozoo (“intra cytoplasmatic sperm injection”: ICSI), applicabile anche in presenza di pochissimi spermatozoi, permette di ottenere una gravidanza sebbene non siano ancora state del tutto fugate le cautele circa la salute della prole ottenuta con tale tecnica da padri in precedenza chemiotrattati 86,88. E’ quindi consigliabile discutere con le coppie il possibile rischio teratogenico aggiuntivo rispetto ai concepimenti spontanei derivante dalla selezione degli spermatozoi effettuata con l’applicazione di tale tecnica. Tuttavia, nessuno studio ha messo in evidenza un aumentato tasso di eventi avversi con ICSI in confronto con le tecniche tradizionali di fertilizzazione in vitro (entrambe potrebbero essere associate a un aumento di difetti alla nascita rispetto ai concepimenti naturali 89,90). Una recente valutazione, su bambini nati da ICSI e confrontati con altri nati da concepimento naturale, non ha evidenziato sostanziali differenze nello sviluppo neurocognitivo-motorio a 10 anni di follow-up 91. La tecnica ICSI è tuttavia ancora relativamente nuova ed è opportuno un follow-up più lungo della progenie 31,92.

Per quanto riguarda le giovani pazienti donne, due sono le preoccupazioni principali: i possibili effetti nocivi dei pregressi trattamenti antitumorali su una futura gravidanza, e le conseguenze che la gravidanza possa avere sulla paziente stessa in particolare se si tratta di neoplasie endocrino-sensibili.

Riguardo al primo punto, i pochi dati disponibili non dimostrano un aumento del rischio di difetti genetici o di altro tipo nei nati da donne precedentemente sottoposte a terapie antineoplastiche 88,93. La maggior parte dei dati disponibili provengono da donne trattate per tumore della mammella. Considerando gli articoli pubblicati, si osserva un tasso di aborto relativamente più alto (20-44%) rispetto a quello della popolazione non trattata: in esso si riflettono le incertezze delle pazienti e dei medici stessi sulla sicurezza di una gravidanza dopo diagnosi di carcinoma mammario 94–97. In verità, due studi di coorte su un’ampia popolazione di donne precedentemente trattate per una neoplasia mammaria sono rassicuranti 98,99; tuttavia nello studio svedese è stata osservata un’aumentata incidenza di complicazioni da parto, tagli cesarei, nascite pre-termine o neonati con un basso peso alla nascita nella donne trattate rispetto ai controlli 99. E’ quindi consigliabile un monitoraggio più attento della gravidanza in donne precedentemente trattate rispetto a quanto si faccia nella popolazione generale. Si sono recentemente resi disponibili i dati di un ulteriore studio di coorte danese che ha considerato 472 lungosopravviventi oncologici sottoposti a radioterapia e/o chemioterapia e le rispettive 1.037 gravidanze 100. Non è stata evidenziata alcuna associazione statisticamente significativa tra le malattie genetiche occorse e i trattamenti antiproliferativi subiti 100.

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In merito alle conseguenze che la gravidanza potrebbe avere sulle pazienti affette da neoplasie endocrino- sensibili, in passato sulla base di presupposti meramente teorici si riteneva che la gravidanza potesse avere un effetto sfavorevole sulla loro prognosi in particolare nelle donne con pregresso tumore mammario ormono-sensibile (in età pre-menopausale circa il 60% dei tumori mammari esprime i recettori ormonali 101).

In realtà i dati clinici attualmente disponibili non hanno confermato tale ipotesi: oggi è noto che le donne che hanno avuto una gravidanza dopo diagnosi di tumore mammario non hanno una prognosi peggiore.

Al contrario, i risultati di una metanalisi condotta su 1.244 donne e 18.145 controlli segnalerebbero addirittura un effetto protettivo della gravidanza, con una significativa riduzione del rischio di morte (hazard ratio [HR] 0.59; 95% Intervalli di Confidenza [CI] 0.50-0.70) 102. Anche dopo aver corretto il dato per il cosiddetto “healthy mother effect”, cioè utilizzando controlli con intervallo libero da malattia pari al tempo alla gravidanza, gli esiti oncologici delle donne che hanno avuto una gravidanza dopo tumore mammario rimangono leggermente migliori dei controlli (HR 0.85; 95% CI 0.53-1.35) 102. Inoltre, in uno studio di coorte retrospettivo che aveva come obiettivo quello di valutare l’impatto della gravidanza sulla sopravvivenza libera da malattia specificatamente in donne con storia di carcinoma mammario ormono- sensibile, non è stata riscontrata nessuna differenza in sopravvivenza libera da malattia tra le pazienti che hanno avuto una gravidanza e quelle che non l’hanno avuta, sia nel gruppo di pazienti con malattia estrogeno-responsiva (HR 0.91; 95% CI 0.67-1.24) sia nel gruppo di pazienti con malattia senza espressione dei recettori ormonali (HR 0.75; 95% CI 0.51-1.08) 103. Tuttavia, le pazienti che hanno avuto una gravidanza hanno dimostrato una migliore sopravvivenza globale (HR 0.72; 95% CI 0.54-0.97) senza nessuna differenza in base allo stato recettoriale 103. L’aggiornamento recente di questo studio a un follow-up mediano di 7.2 anni dopo la gravidanza (circa 10 anni dalla diagnosi di tumore mammario), ha confermato l’assenza di differenza in sopravvivenza libera da malattia (DFS) per le donne con recettori omonali positivi (HR 0.94;

95% CI 0.70-1.26, p=0.68) o negativi (HR 0.75; 95% CI 0.53-1.06, p=0.10) che hanno o non hanno avuto una successiva gravidanza 104. Inoltre, nessuna differenza in sopravvivenza globale (OS) (HR 0.84; 95% CI 0.60-1.18, p=0.32) è stata osservata nelle pazienti con recettori ormonali positivi mentre l’OS delle pazienti recettori ormonali negativi che hanno avuto una gravidanza successiva alle cure è risultata migliore rispetto a quelle che non hanno avuto alcuna gravidanza (HR 0.57; 95% CI 0.36-0.90, p=0.01) 104. Durante il congresso annuale ASCO 2019, sono stati presentati i risultati di uno studio internazionale, multicentrico, retrospettivo volto a valutare la sicurezza di avere una gravidanza in pazienti con pregressa storia di carcinoma mammario diagnosticato in giovane età e portatrici di mutazione germinale BRCA 105. Delle 1252 pazienti incluse, 195 (16%) hanno avuto una successiva gravidanza. La gravidanza è risultata sicura, in particolare nelle pazienti portatrici di mutazione BRCA1; non è stato osservato alcun effetto detrimentale sia negli outcome fetali sia nella prognosi materna (DFS: HR 0.71; 95% CI 0.51-0.99; p=0.045; OS: HR 0.86; 95% CI 0.44-1.67;

p=0.65) 105. E’ quindi da ritenersi definitivamente caduta la storica pregiudiziale controindicazione alla gravidanza nelle pazienti con pregresso carcinoma mammario sebbene non si conosca ancora l’intervallo di tempo ideale tra il termine dei trattamenti antiblastici e il concepimento 106. E’ consuetudine diffusa suggerire di attendere almeno due anni 107: non vi è però un razionale biologico nella scelta di un intervallo di tempo standard. Sembra più ragionevole, nella pratica clinica, tener conto dell’ampia variabilità della casistica e della possibilità di suggerire tempi diversi di attesa, in rapporto alla prognosi della malattia e all’età della paziente 95. Una più recente revisione della letteraturasuggerisce, nelle pazienti sottoposte a chemioterapia adiuvante, un periodo “di sicurezza” minimo di 6 mesi prima del concepimento 108. E’ attualmente in corso uno studio prospettico nelle pazienti con carcinoma mammario ormono-responsivo volto a valutare la sicurezza e fattibilità di una sospensione temporanea della terapia endocrina adiuvante per una durata massima di due anni per permettere alle pazienti di avere una gravidanza (lo studio “POSITIVE”) 109. Nonostante non sussistano reali controindicazioni, la quota di pazienti che ha almeno una gravidanza a termine dopo la diagnosi di carcinoma mammario è tuttora molto bassa: solo il 3% tra le donne di età inferiore a 45 anni alla diagnosi (8% se si considerano solo le donne di età inferiore a 35 anni) 95,110,111,112. Uno studio norvegese effettuato confrontando 6.070 pazienti sottoposti a trattamenti antitumorali dal 1971 al 1997 e 30.350 controlli provenienti dalla popolazione generale, ha confermato il dato atteso che il tasso riproduttivo post-tumore è più basso rispetto a quello della popolazione generale 113. I tassi sono più favorevoli nella popolazione maschile e, a partire dal 1988 e per alcune neoplasie, in incremento grazie alle strategie di preservazione della fertilità 113. In ambito femminile, uno studio retrospettivo statunitense ha

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evidenziato come donne lungo sopravviventi dopo chemioterapia o radioterapia abbiano una percentuale più elevata di insuccessi quando sottoposte a tecniche di riproduzione assistita 77.

Nonostante le iniziative volte alla preservazione della fertilità, il tasso riproduttivo nelle donne trattate per neoplasia resta basso, con tassi di gravidanza del 40% inferiori rispetto alla popolazione generale anche dopo aggiustamento per età, livello culturale e gravidanze precedenti 114. In particolare, si evidenziano tassi riproduttivi ridotti fino al 70% nelle donne trattate per neoplasia mammaria rispetto alla popolazione generale 114.

Una situazione a parte è quella del trattamento riproduttivo nelle pazienti con carcinoma endometriale trattate con progestinici. Queste pazienti, spesso con problemi di anovularietà da sindrome dell’ovaio policistico (“polycystic ovary syndrome”: PCOS), devono essere riferite al più presto ai medici della riproduzione per conseguire la gravidanza nel minor tempo possibile in modo da poter poi completarne il trattamento oncologico con la terapia standard (isterectomia) 115. Per quanto riguarda i tumori borderline il problema di preservazione della fertilità è prevalentemente legato alla gestione delle recidive. Una terapia chirurgica conservativa è proponibile anche in caso di recidiva, ma certamente il re-intervento, specie se coinvolge l’ovaio residuo è destinato a ridurre la riserva ovarica e quindi il potenziale riproduttivo. Sebbene ci siano alcune segnalazioni sulla possibilità di effettuare un ciclo di stimolazione per riproduzione assistita in “emergenza” prima di un re-intervento per recidiva di tumore borderline (7 casi) con un buon successo riproduttivo (4 gravidanze [57% del totale]) non è ancora possibile definire l’impatto di tale approccio sull’evoluzione della malattia 116.

In conclusione, non appare controindicata la gravidanza dopo diagnosi di neoplasia, anche nelle pazienti con carcinoma mammario recettori ormonali positivi. In tutti i casi in cui si decida di applicare una tecnica di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) a pazienti che hanno avuto un tumore è necessaria una corretta comunicazione, possibilmente scritta, fra l’oncologo e il medico specialista in riproduzione umana per definire un corretto timing della gravidanza che tenga conto del rischio di recidiva e della prognosi oncologica.

Per i giovani pazienti di sesso maschile, in assenza di una sindrome neoplastica ereditaria, non esiste alcuna evidenza scientifica che una precedente storia di cancro aumenti il tasso di anormalità congenite o di cancro nella loro prole. Non è però possibile escludere ad oggi un modesto aumento del rischio di danno genetico nel seme crioconservato.

Per quanto riguarda le donne, non esiste ad oggi alcuna dimostrazione né di un aumentato rischio di difetti genetici o di altro tipo nei nati da donne precedentemente sottoposte a terapie antineoplastiche, né di un possibile effetto sfavorevole della gravidanza sulla prognosi di pazienti precedentemente trattate per tumori ormono-responsivi.

3. Rischio di infertilita’ correlato ai trattamenti antitumorali

L’infertilità è definita come l’incapacità di concepire dopo un anno di rapporti sessuali non protetti. I trattamenti antiproliferativi (radioterapia e chemioterapia) sono associati a un elevato rischio di infertilità temporanea o permanente. Il tasso di infertilità iatrogena è variabile e dipende da più fattori: classe, dose e posologia del farmaco impiegato, estensione e sede del campo di irradiazione, dose erogata e suo frazionamento, età e sesso del/la paziente, anamnesi di pregressi trattamenti per infertilità 3.

L'infertilità maschile può anche essere secondaria alla malattia stessa (neoplasie del testicolo, linfoma di Hodgkin), a danno anatomico (eiaculazione retrograda o aneiaculazione), a insufficienza ormonale primaria o secondaria, e a esaurimento delle cellule staminali germinali 3. Gli effetti misurabili, secondari ai trattamenti antineoplastici, sono rappresentati dalla compromissione del numero di spermatozoi nell’eiaculato, della loro motilità e morfologia, dell’integrità del DNA di cui sono vettori 3. In particolare, uno studio di biologia cellulare eseguito con metodica array CGH, in grado di eseguire un cariotipo molecolare degli spermatozoi, ha dimostrato che dopo una terapia ABVD per linfoma di Hodgkin una

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percentuale molto elevata di cellule presenta importanti aberrazioni cromosomiche sia a carico dei cromosomi somatici che di quelli sessuali 115.

Nelle donne, la fertilità può essere compromessa da qualsiasi trattamento che riduca il numero dei follicoli primordiali, che colpisca l'equilibrio ormonale o che interferisca con il funzionamento delle ovaie, delle tube, dell’utero o della cervice. Cambiamenti anatomici o della vascolarizzazione a carico delle strutture genitali (chirurgia e/o radioterapia) possono impedire il concepimento naturale e il successo della gravidanza anche in presenza di funzione ovarica conservata e richiedere l’ausilio di tecniche di riproduzione assistita 3. E’ importante sottolineare come la fertilità femminile possa essere compromessa anche in presenza di una attività mestruale ciclica. Un qualsiasi declino della riserva ovarica può tradursi in minori probabilità di concepimento e in maggior rischio di menopausa precoce: in altre parole, anche se le donne sono inizialmente fertili dopo i trattamenti antitumorali, la durata della loro fertilità può essere abbreviata 3. I livelli sierici di ormone anti-mulleriano (AMH) pre-trattamento insieme all’età sembrano essere affidabili fattori predittivi di recupero dell’attività ovarica dopo il trattamento 117.

La crescente complessità dei trattamenti oncologici integrati, più efficaci ma anche più tossici, impone già in fase di programmazione terapeutica una maggiore attenzione alla qualità di vita a lungo termine, compresa una attenta discussione sui temi riproduttivi 118.

E’ pertanto indispensabile prevedere, per questi pazienti, dei percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali (PDTA) condivisi in grado di assicurare loro un percorso privilegiato e tempestivo per l’attuazione delle strategie di preservazione della fertilità, e che consenta contemporaneamente l’accesso ai trattamenti oncologici nei tempi appropriati, senza ritardi che possano comprometterne l’efficacia.

Questo risulta particolarmente importante per le giovani pazienti oncologiche considerata la maggiore complessità delle tecniche di preservazione della fertilità in questo ambito e della necessità di tempistiche più lunghe. Il percorso deve prevedere un’adeguata selezione delle pazienti da inviare al counselling di oncofertilità, ed una stretta coordinazione, se non la compresenza, tra oncologo e ginecologo specialista in Medicina della Riproduzione, per la presa in carico delle pazienti oncologiche nella fase di scelta ed attuazione della preservazione della fertilità 119.

Terminati gli opportuni trattamenti antineoplastici, laddove le condizioni cliniche lo consentano, i pazienti potranno ricorrere a tutte le tecniche di fecondazione assistita regolamentate ed autorizzate dalla legislazione italiana vigente utilizzando il materiale biologico precedentemente prelevato e conservato presso la banca biologica dedicata.

Le due tabelle seguenti (Tabella 1 e Tabella 2), riassumono in forma sinottica il rischio associato ai trattamenti farmacologici 3.

Diversi fattori influenzano il rischio di infertilità iatrogena: classe, dose e posologia del farmaco impiegato, estensione e sede del campo di irradiazione, dose erogata e suo frazionamento, età e sesso del/la paziente, anamnesi di pregressi trattamenti per infertilità.

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Tabella 1. Effetto dei differenti agenti antitumorali sulla produzione di sperma nell’uomo (modificato rispetto all’originale 3).

AGENTI (DOSE CUMULATIVA PER AVERE

L’EFFETTO) EFFETTO

-Radiazioni (2.5 Gy al testicolo) -Clorambucil (1.4 g/m2) -Ciclofosfamide (19 g/m2) -Procarbazina (4 g/m2) -Melphalan (140 mg/m2) -Cisplatino (500 mg/m2)

Azoospermia prolungata

Frammentazione DNA spermatico Aneuploidie

-BCNU (carmustina) (1 g/m2) -CCNU (lomustina) (500 mg/m2)

Azoospermia nell’età adulta dopo trattamento in età prepuberale

-Busulfano (600 mg/kg) -Ifosfamide (42 g/m2) -BCNU (300 mg/m2) -Mostarde azotate -Actinomicina D

Azoospermia probabile, in genere data da altri agenti altamente sterilizzanti associati

Frammentazione DNA spermatico Aneuploidie

-Carboplatino (2 g/m2)

Azoospermia prolungata non sempre osservata a questa dose

-Doxorubicina (adriamicina) (770 mg/m2) -Tiotepa (400 mg/m2)

-Citosina arabinoside (1 g/m2) -Vinblastina (50 g/m2) -Vincristina (8 g/m2)

Tossicità additiva con i farmaci sopra nel determinare una azoospermia prolungata; se non combinati con i farmaci sopra, causano solo una riduzione temporanea della conta spermatica

-Amsacrina, bleomicina, dacarbazina, daunorubicina, epirubicina, etoposide, fludarabina, fluorouracile, 6- mercaptopurina, metotrexate, mitoxantrone, tioguanina

Riduzione temporanea nella conta spermatica alla dose usata negli schemi convenzionali, ma sono possibili effetti additivi

-Prednisone

Improbabile che riduca la produzione spermatica

-Interferone alfa

Nessun effetto sulla produzione spermatica

-Nuovi agenti: oxaliplatino, irinotecan, anticorpi monoclonali (trastuzumab, bevacizumab, cetuximab), inibitori delle tirosino chinasi (erlotinib, imatinib), taxani

Rischi sconosciuti sulla produzione spermatica

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Tabella 2. Rischio di amenorrea permanente nelle donne trattate con chemioterapia e radioterapia (modificato rispetto all’originale 3).

GRADO DEL RISCHIO TRATTAMENTO

Rischio elevato (> 80%)

-Trapianto di cellule staminali ematopoietiche con ciclofosfamide/irradiazione corporea totale o con ciclofosfamide/busulfano.

-Radioterapia esterna che includa nel campo d’irradiazione le ovaie.

-CMF, CAF, CEF, 6 cicli in una donna con età > 40 anni.

Rischio intermedio

-CMF, CAF, CEF, per 6 cicli in una donna tra 30 e 39 anni.

-AC o EC per 4 cicli in una donna con età > 40 anni.

-AC o EC  Taxani

Rischio basso (< 20%)

-ABVD (doxorubicina/bleomicina/vinblastina/dacarbazina).

-CHOP per 4-6 cicli (ciclofosfanide/doxorubicina/vincristina/prednisone).

-CVP (ciclofosfamide/vincristina/prednisone).

-AML (antracicline/citarabina).

-ALL (polichemioterapia).

-CMF, CAF, CEF, 6 cicli in una donna con età < 30 anni.

-AC o EC per 4 cicli in una donna di età < 40 anni.

Rischio molto basso o assente

-Vincristina.

-Metotrexate.

-Fluorouracile.

Rischio sconosciuto

-Oxaliplatino.

-Irinotecan.

-Anticorpi monoclonali (trastuzumab, bevacizumab, cetuximab).

-Inibitori delle tirosino-chinasi (erlotinib, imatinib).

3.1 Chemioterapia e terapia endocrina

Predire quale sia l’effetto del singolo trattamento sulla fertilità del/la singolo/a paziente comporta ampie aree di incertezza dovute a una elevata variabilità individuale 93. Recenti dati provenienti da revisioni di grandi casistiche su lungo sopravviventi possono esser di ausilio agli oncologi nella pianificazione del programma di cura 120,121.

L’epitelio germinale del testicolo dell’adulto è più sensibile al danno da chemioterapia rispetto all’epoca prepuberale e, in caso di danno, la possibilità di una ripresa dell’attività gonadica aumenta con il tempo intercorso dalla fine del trattamento 93,122. In ambito femminile, sono le pazienti con età superiore a 35-40 anni ad essere le più suscettibili: le ovaie di pazienti più giovani, infatti, possono sopportare dosi maggiori di farmaci citotossici 123,124.

In entrambi i sessi, il maggior rischio è associato alla chemioterapia e in particolare agli agenti alchilanti (ifosfamide, nitrosouree, clorambucil, melfalan, busulfan, procarbazina, carmustina, lomustina) 93,125,126 ed è probabilmente dose-dipendente 127; altrettanto noto è l’effetto negativo di carboplatino e cisplatino 128. Al contrario, un basso rischio è associato a metotrexate, fluorouracile, vincristina, vinblastina, bleomicina e dactinomicina. Da segnalare l’esperienza del Memorial Sloan-Kettering relativa all’aggiunta di taxani ad una chemioterapia contenente antracicline: in una casistica di 230 donne non si è evidenziato un rischio di amenorrea più alto rispetto ai controlli storici 129. Tuttavia i dati relativi al rischio da taxani non sono ancora conclusivi 130. Una metanalisi di otto studi su 2124 pazienti non ha dimostrato un incremento statisticamente significativo del rischio di sviluppare amenorrea correlata al trattamento devivante dall'aggiunta dei taxani (odds ratio [OR] 1.45; 95% CI 0.94-2.23) 131. Al contrario, un'analisi recente condotta su un campione di 2737 pazienti nell'ambito dello studio ALTTO (BIG 2-06) ha rilevato un incremento del rischio di amenorrea nelle donne sottoposte a trattamento con taxani in aggiunta alle antracicline, senza differenze rilevabili tra docetaxel e paclitaxel 132.

I regimi utilizzati per il trattamento del linfoma non Hodgkin sono generalmente ritenuti meno gonadotossici di quelli usati nella malattia di Hodgkin 93. Nello studio di Behringer, la probabilità ed il tempo alla ripresa del ciclo mestruale in 579 donne affette da linfoma di Hodgkin e randomizzate a 2 tipi di trattamento

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(ABVD per 4 vs BEACOPP x 2 + ABVD x 2) sono risultati sovrapponibili, ma i dosaggi plasmatici di ormone follicolo-stimolante (FSH) e AMH erano significativamente più favorevoli nel gruppo di pazienti trattate con il solo ABVD 133. L’analisi multivariata ha mostrato che l’utilizzo durante la chemioterapia di LHRH analoghi è stato, in questa coorte di pazienti, un fattore ad alto significato prognostico per la preservazione della fertilità (OR 12.87; p=0.001) 133. A conferma di quanto già da tempo noto, un recente studio EORTC in donne con pregressa malattia di Hodgkin conferma la minore gonadotossicità dei regimi senza alchilanti e quantifica il rischio cumulativo di insufficienza ovarica precoce nel 3% delle pazienti, verso il 60% di pazienti che avevano ricevuto alchilanti 134. Nei maschi lungo sopravviventi da linfoma sembra opportuno un monitoraggio del livello sierico degli ormoni sessuali nel corso del follow up, specialmente se trattati con chemioterapia ad alte dosi 135. In ogni caso, una tossicità gonadica dopo trattamento per linfoma di Hodgkin è più frequente nel sesso femminile (25-34% delle pazienti) rispetto ai pazienti maschi a parità di trattamento 136,137.

Più della metà dei pazienti con tumori germinali del testicolo presentano una spermatogenesi compromessa di base, ancora prima di iniziare il trattamento citotossico e quasi il 6% presenta azoospermia alla diagnosi.

Nel 25% dei pazienti fertili trattati con chemioterapia, l’azoospermia compare a un follow di 2-5 anni 138. Il tasso di infertilità permanente sembra prevedibile sulla base della dose cumulativa di cisplatino somministrata: a dosi inferiori a 400 mg/m2 gli effetti a lungo termine sono improbabili, mentre dosi maggiori sono associate a una disfunzione endocrino-gonadica permanente 139.

Riguardo alla terapia endocrina adiuvante, è noto che tamoxifene comporta un rischio di menopausa precoce basso e correlato all’età: oltre i 45 anni il rischio è del 10% superiore al controllo 140. L’impiego di tamoxifene sequenziale alla chemioterapia provoca un aumento statisticamente significativo del rischio di menopausa rispetto alla sola chemioterapia 131,132.

Gli LHRH analoghi determinano una soppressione ovarica per definizione transitoria. Tuttavia la reversibilità dipende fortemente dall’età della paziente: la ripresa del flusso mestruale è attesa nel 90% delle pazienti di età inferiore a 40, rispetto al 70% delle pazienti di età superiore 110,141.

Infine, dati limitati sono al momento disponibili sul possibile effetto gonadotossico delle terapie a bersaglio molecolare. I pochi dati a disposizione su trastuzumab, lapatinib e sulla loro associazione sembrano suggerire l’assenza di rischio aumentato di amenorrea oltre quello causato dalla chemioterapia 132,142,143. Recentemente un’analisi esploratoria condotta nell’ambito dello studio ALTTO (BIG 2-06) ha evidenziato un rischio di amenorrea simile nei diversi bracci di trattamento anti-HER2: 72.6% con il solo trastuzumab, 74.0% con lapatinib, 72.1% con trastuzumab seguito da lapatinib e 74.8% con il doppio blocco anti-HER2 di trastuzumab e lapatinib 132. Pur sottolineando che lo studio ALTTO non prevedeva un braccio di trattamento senza terapia anti-HER2, lo studio dimostra che, rispetto al braccio di trattamento con solo trastuzumab, non sembra esserci un aumento del rischio di gonadotossicità con il doppio blocco anti-HER2 (OR 1.19; 95% CI 0.94-1.51; p=0.14) suggerendo una verosimile sicurezza gonadica di questi agenti 132. Questi risultati sono in linea con quelli di piccoli studi precedenti 142,143. Tuttavia, non si possono trarre solide conclusioni in questo campo e ulteriori studi sono necessari per comprendere meglio l’effetto gonadotossico delle terapie a bersaglio molecolare.

In entrambi i sessi, il maggior rischio di infertilità iatrogena è associato agli agenti alchilanti. Un basso rischio è associato a metotrexate, fluorouracile, vincristina, vinblastina, bleomicina e dactinomicina. I dati relativi al rischio da taxani non sono ancora conclusivi. Il tamoxifene comporta un rischio di menopausa precoce basso e correlato all’età; la reversibilità della soppressione ovarica con LHRH analoghi dipende fortemente dall’età della paziente.

3.2 Radioterapia

Quando il testicolo viene esposto a radiazioni, la conta spermatica comincia a ridursi in misura proporzionale al dosaggio ricevuto, con conseguente sterilità temporanea (al di sotto dei 6 Gy) o permanente (per dosi superiori) 124. Con le moderne tecniche di irradiazione conformazionale su sede lombo-aortica, con dosi < 30

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Gy e appropriata schermatura testicolare, l’infertilità radioindotta è un’evenienza rara nei pazienti sottoposti a radioterapia profilattica per seminoma 139. La conta spermatica è più bassa a 4-6 mesi, per poi tornare tipicamente ai livelli pretrattamento in 10-24 mesi 128; solo il 3-6% rimane azospermico a 2 anni 144. A differenza dell’epitelio germinale, le cellule di Leydig sono meno suscettibili al danno radioindotto, soprattuto in età adulta 93,145. In un recente studio su pazienti sottoposti a TBI (total-body irradiation) nell’ambito di trattamenti combinati ad alte dosi, una disfunzione delle cellule di Leydig compare nel 23%

dei casi 146 ma il danno sulla linea germinale è molto rilevante, fino all’80% dei pazienti 147,148.

Sul versante diagnostico, la tossicità gonadica nel maschio può essere studiata mediante determinazione del livello plasmatico degli ormoni sessuali, analisi del seme e biopsia testicolare. Quando l’infertilità sia esclusivamente secondaria a deficit ormonale, è sufficiente una banale terapia sostitutiva 149.

Per quanto riguarda le donne, una dose compresa tra 5 e 20 Gy sull’ovaio è sufficiente per causare una permanente disfunzione gonadica, indipendentemente dall’età della paziente. Alla dose di 30 Gy la menopausa precoce è certa nel 60% delle donne con età inferiore a 26 anni 150,151. Oltre i 40 anni, laddove la conta follicolare ovarica è fisiologicamente inferiore, sono sufficienti dosi di 5 o 6 Gy per provocare un danno permanente. La TBI, in corso di condizionamento pre-trapianto di cellule staminali, è associata ad una disfunzione gonadica permanente in più del 90% delle donne trattate 152, con una incidenza di gravidanza post-trattamento inferiore al 3% 128,153–155 128,153,154,155. Uno studio francese su donne lungosopravviventi a neoplasie pediatriche documenta, in caso di radioterapia addominale con esclusione della pelvi, un regolare sviluppo sessuale e la possibilità di una gravidanza rispettivamente nel 91% e nel 40 % delle pazienti, rispetto al 37% e 19% nel caso di irradiazione pelvica 156. L’esposizione a radioterapia può influenzare negativamente anche lo sviluppo uterino cui può seguire, in caso di gravidanza, un maggior rischio di aborto spontaneo o un ritardo di crescita intrauterina del feto 151,157. Un recupero della funzione ovarica per trattamenti ricevuti prima della pubertà è più frequente in caso di maggior frazionamento della dose 148. Bambine e adolescenti sottoposte a irradiazione ipotalamo/ipofisaria con una dose di 30 Gy hanno una probabilità di futura gravidanza più bassa in confronto ai controlli 120 , dato confermato anche da studi più recenti per dosi di 22-27 Gy 158.

A differenza dell’uomo, nelle donne è più indaginoso ottenere misure attendibili di tossicità gonadica dopo i trattamenti antitumorali, soprattutto per la più difficoltosa accessibilità dell’ovaio alla biopsia. In passato, il ritorno del ciclo mestruale era considerato unico marcatore di ripresa della funzione ovarica; tuttavia, benché facile da valutare, l’attendibilità dell’attività mestruale come segno di ripresa della funzione ovarica è assai discutibile. Livelli premenopausali di estradiolo sono stati riscontrati in donne con amenorrea chemioindotta e, viceversa, la presenza di cicli mestruali non è sinonimo di fertilità: infatti, la ciclicità mestruale può essere mantenuta anche in casi in cui ci sia stato un danno gonadotossico rilevante che ha accelerato la fisiologica riduzione del patrimonio follicolare (riserva ovarica) 159. La riserva ovarica è la potenzialità funzionale dell’ovaio data dal numero e dalla qualità degli ovociti in un dato momento. La riserva ovarica è dipendente dall’età, dalla esposizione ad altri fattori tossici per l’ovaio (fumo, interventi chirurgici ecc) e dal patrimonio follicolare individuale. La riserva ovarica può quindi essere ridotta rispetto all’età anche prima dell’inizio di terapie gonadotossiche. I test di valutazione più adeguati per valutare l’aspetto quantitativo della riserva ovarica sono il dosaggio dell’AMH e la conta ecografica trans-vaginale dei follicoli preantrali, ma anche altri dosaggi ormonali (livelli di FSH, ormone luteinizzante [LH], estradiolo, progesterone e di inibina B) possono essere d’aiuto 160–162.

In attesa che i nuovi e promettenti indicatori di riserva ovarica, in particolare l’AMH e il conteggio dei follicoli preantrali, dimostrino la loro reale attendibilità, i criteri più usati per definire la disfunzione ovarica post-trattamento sono la ripresa dell’attività mestruale, il dosaggio di FSH ed estradiolo nel sangue, ed evidenze cliniche di ripresa dell’attività ovarica.

Un dosaggio di 6 Gy a livello testicolare comporta una sterilità temporanea, che diventa permanente per dosaggi superiori. Per quanto riguarda le donne, una dose compresa tra 5 e 20 Gy sull’ovaio è sufficiente per causare una disfunzione gonadica permanente, indipendentemente dall’età della paziente. Alla dose di 30 Gy la menopausa precoce è certa nel 60% delle donne con età inferiore ai 26 anni.

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4. Tecniche di preservazione della fertilità

Lo specialista oncologo deve possedere le competenze che gli permettano di stimare il rischio di infertilità per ciascun trattamento e valutare quando tale rischio risulti sufficientemente elevato da dover ricorrere alla conservazione dei gameti prima dell’inizio delle terapie. In quest’ultimo caso, è indispensabile offrire ai pazienti un percorso privilegiato e rapido per la crioconservazione degli spermatozoi o degli ovociti/tessuto ovarico, stabilendo una rete con centri di medicina della riproduzione oppure organizzando un servizio di crioconservazione dei gameti collegato al servizio oncologico stesso. Risulta quindi fondamentale che lo specialista oncologo stabilisca una comunicazione efficace con lo specialista in medicina della riproduzione per la definizione delle strategie di preservazione della fertilità e per la tempistica delle terapie oncologiche.

Come stabilito dalle linee guida internazionali 3,5–7, il counselling riproduttivo ai giovani pazienti oncologici andrebbe proposto subito dopo la diagnosi e la successiva stadiazione della malattia oncologica, così da avere il tempo necessario per condividere il momento e le migliori strategie per la preservazione della fertilità, che variano a seconda della prognosi oncologica e riproduttiva. Già durante i primi accertamenti oncologici, in tutti i pazienti in età riproduttiva che devono sottoporsi a trattamenti potenzialmente gonadotossici è indicato eseguire un profilo ormonale di base; inoltre, nei maschi è indicata una visita andrologica e un dosaggio di FSH mentre nelle femmine una visita ginecologica e un dosaggio di AMH sia per poter effettuare un più accurato counselling riproduttivo sia per valutare l’impatto della terapia sulla funzione gonadica e la successiva fertilità 163.

Il counselling riproduttivo va eseguito da un medico che abbia adeguate competenze oncologiche e di medicina della riproduzione. Il counselling richiede comunque un approccio multidisciplinare e una comunicazione efficace fra oncologo e medico della riproduzione. Durante il counselling va indagato l’interesse del paziente ad una futura gravidanza, maternità o paternità. Va dunque stimato il rischio di infertilità del trattamento proposto e la prognosi oncologica. Se il paziente è interessato e ne ha l’indicazione, vanno illustrate le diverse metodiche disponibili sia di criopreservazione (gameti e tessuto) che di riduzione farmacologica della tossicità gonadica.

Nella tabella 3 sono riportati alcuni spunti utili per affrontare un corretto counselling riproduttivo.

La corretta informazione sui rischi di infertilità iatrogena e sulle strategie disponibili per ridurre l’incidenza di tale effetto (counselling riproduttivo) andrebbe proposto ai giovani pazienti oncologici subito dopo la diagnosi e la successiva stadiazione della malattia oncologica e prima dell’inizio dei trattamenti. Il counselling richiede un approccio multidisciplinare e una comunicazione efficace fra oncologo e medico della riproduzione.

Tabella 3. Punti di discussione tra medico e paziente: metodi di preservazione della fertilità nei pazienti oncologici (modificata rispetto all’originale 3).

-I trattamenti antitumorali causano infertilità in maniera variabile in base a diversi fattori: fattori individuali (malattia, età), trattamento e dosaggio, pregressi trattamenti per la fertilità.

-I pazienti interessati a una delle strategie di preservazione della fertilità dovrebbero accedervi il prima possibile per aumentare le probabilità di successo delle stesse. La discussione con gli specialisti nel campo della riproduzione è fondamentale per il processo decisionale da parte dei pazienti e la pianificazione delle corrette tecniche utilizzabili.

-I metodi di preservazione della fertilità disponibili sono la criopreservazione del seme per l’uomo, la criopreservazione di embrioni o ovociti e la criopreservazione di tessuto ovarico per la donna; inoltre, approcci di chirurgia conservativa, trasposizione delle ovaie o appropriata schermatura delle gonadi prima del trattamento radiante, possono consentire la preservazione della fertilità in alcuni selezionati pazienti.

-I dati disponibili sono scarsi, ma non sembra che le tecniche di preservazione della fertilità o una successiva gravidanza siano associate a un maggior rischio di recidiva di malattia, nenche nei tumori ormono-responsivi.

-A parte per alcune sindromi ereditarie genetiche o per esposizione in utero alla chemioterapia, non c’è evidenza che una storia di cancro, trattamenti antitumorali o l’utilizzo di tecniche di preservazione della fertilità aumentino il rischio oncologico o di avere malformazioni congenite nella progenie.

-L’infertilità come conseguenza dei trattamenti antitumorali ricevuti può essere associata a un importante distress psicosociale.

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4.1 Il quadro legislativo Italiano

La crioconservazione di embrioni è vietata in Italia dall’articolo 14 comma 1 della Legge 19 Febbraio 2004, n. 40 “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”.

Le modificazioni all’applicazione della Legge 40 introdotte dalla Sentenza della Corte Costituzionale N° 51 del 2009, pur avendo ampliato le eccezioni al divieto di crioconservazione di embrioni sopranumerari derivanti dall’applicazione delle tecniche riproduttive, non hanno abolito il comma 1 dell’articolo 14 lasciando inalterato il divieto a produrre embrioni per la crioconservazione.

Inoltre, essendo le tecniche riproduttive applicabili solo a coppie infertili secondo l’Art. 4 (“Accesso alle tecniche”) comma 1, non sarebbe comunque consentita la fertilizzazione in vitro in una coppia che non ha una accertata infertilità.

Per questo motivo le Raccomandazioni Italiane non includono la crioconservazione di embrioni fra le tecniche di preservazione della fertilità femminile.

Il 9 Aprile 2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione assistita eterologa (l'articolo 4 comma 3), contenuto nella legge 40 e in vigore dal 2004. La fecondazione eterologa non sarà oggetto di questa trattazione perché, pur essendo una possibile soluzione per i/le pazienti che hanno subito un irreversibile danno gonadico dopo terapie oncologiche, non rientra propriamente nelle tecniche di

“preservazione della fertilità”.

4.2 Tecniche di preservazione della fertilita’ nell’uomo

Dai dati oggi disponibili, la criopreservazione del seme rappresenta una strategia efficace di preservazione della fertilità nei giovani pazienti che devono sottoporsi a trattamenti antitumorali; al contrario della donna, nell’uomo, la protezione gonadica attraverso la manipolazione ormonale non risulta efficace; d’altra parte la criopreservazione del tessuto testicolare o degli spermatogoni con reimpianto e lo xenotrapianto testicolare sono in fase di sperimentazione e non sono ancora stati testati con successo nell’uomo 164.

La raccolta di spermatozoi per la crioconservazione è semplice e, se adeguatamente programmata, non comporta un ritardo nell’inizio del trattamento antitumorale. La tabella seguente riassume le tecniche di preservazione della fertilità nell’uomo oggi disponibili.

Tabella 4. Riassunto delle strategie di preservazione della fertilità nell’uomo (modificata rispetto all’originale 3).

TECNICA DEFINIZIONE COMMENTI

Criopreservazione del seme dopo masturbazione (St)

Congelamento del seme dopo masturbazione.

Rappresenta la tecnica più consolidata per preservare la fertilità nell’uomo;

importanti studi di coorte in pazienti oncologici.

Criopreservazione del seme ottenuto attraverso metodi alternativi di raccolta (St)

Congelamento del seme ottenuto attraverso aspirazione o biopsia testicolare/epididimaria,

elettroeiaculazione sotto sedazione, o da un campione di urine alcalinizzate ottenuto dopo masturbazione.

Piccole serie di casi e case report.

Schermatura gonadica durante radioterapia (St)

Utilizzo di appropriate schermature per ridurre la dose di radiazioni ricevuta dal testicolo.

Serie di casi.

Criopreservazione di tessuto testicolare; xenotrapianto testicolare; isolamento degli spermatogoni (Sp)

Congelamento di tessuto testicolare o cellule della linea germinale e successivo reimpianto dopo i trattamenti

antitumorali o maturazione in animali.

Non ancora testato nell’uomo; testato con successo negli animali.

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