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L ESPERIMENTO GRECO. CONCLUSIONE DI UN PROCESSO O AVVERTIMENTO PER IL FUTURO?

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Academic year: 2022

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CORTO CIRCUITO

L’ “ESPERIMENTO GRECO”.

CONCLUSIONE DI UN PROCESSO O AVVERTIMENTO PER IL FUTURO?

di Crescenzio Sangiglio

…coincidono tragicamente l’estromissione e soppressione dell’entità nazionale e la

parallela creazione di una pura e semplice entità mercantile gestita da terzi, europei o no, e a precipuo uso, consumo e interesse degli stessi.

1. Si sa, si vede: la Grecia oggi somiglia ad un veicolo che procede lungo il ciglio di un baratro e poco ci manca che devii e precipiti in un vuoto che nessuno dei governanti (ma anche, in particolare, dell’opposizione) sembra abbia ancora debitamente assimilato nella coscienza, se non somatizzato, e misurato sopra tutto prevedendo e preliminarmente progettando, in ambito economico.politico interno ed estero, possibili e idonei (e magari anche sufficienti, per il momento) vie d’uscita e opportune pratiche di attutimento delle conseguenze di una (eventuale) caduta.

Altresì si sa, e si vede: la Grecia attualmente non è uno “stato nazionale”, ma la

“marionetta statale” che viene mossa a piacere dalle mani (e dalla mente) di c.d.

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“istituzioni” europee in sostanza non legittimate, quindi giuridicamente illegittime, però fornite tacitamente di tutti i poteri impositivi – una marionetta che si dibatte per quanto possibile, cercando per quanto possibile di “addolcire” le percosse ricevute, di sminuirne l’impatto deleterio e continuare ad apparire “padrona di sé” e in certo modo ancora protettrice degli obliterati diritti del suo popolo messo sotto torchio.

Dal 2009 in poi è in corso di svolgimento l’”esperimento greco”: approfittando della superlativa corruzione esistente nel mondo politico, amministrativo e, in parte, anche giudiziale ellenico – una corruzione abilmente “costruita” sopra tutto dai grossi lobby tedeschi: non per nulla, la Germania è sempre stata la prima partner commerciale della Grecia: un caso o un progetto ben organizzato e messo in atto? – e fondamentalmente “ispirando”, anzi “guidando” in questa corruzione l’intera classe politica ed economia greca al potere, il capitale tedesco sperimenta sulla “cavia Grecia” gli effetti del proprio mercato liberale nelle più attuali tecniche imperialiste.

Lentamente ma inesorabilmente, e se nulla nel frattempo sopravviene a cambiare il corso degli eventi, la Grecia viene condotta a spogliarsi delle prerogative di uno stato nazionale (già è spoglia della prerogativa economica: la Grecia non può, più di ogni altro Paese, contrarre accordi economici con i Paesi di suo gradimento: v. Russia, Cina), per il 90% è altresì spoglia della prerogativa legislativa (quasi tutte le sue leggi devono essere autorizzate dalla Commissione Europea “ispiureata” dalla Germania prima di essere promulgate); con lo strozzamento finanziario impòstole, nel cui ambito sono comprese anche le spese militari, non è più in grado di provvedere adeguatamente alla propria difesa quando il suo nemico n. 1, la Turchia, si dota dei più avanzati sistemi bellici.

Avviene pertanto il passaggio da uno “stato nazionale” ad uno “stato mercantile”

o “dei mercati”(v. S. Papathemelìs, quot. “Kiriakàtiki Kontra News, 19.2.2017), ossia praticamente da uno “stato di cittadini” ad uno “stato delle mercanzie”, dove il popolo, la popolazione cessa di essere la base di esistenza dello stato, soppiantata dal sistema dei mercati assunto a base e motore di ogni asse di sviluppo e convivenza sociale.

Nel contempo, e grazie ad opportuni Quisling culturali locali (per ultimo, l’ex ministro dell’istruzione Filis) avviene il tentativo di degrecizzazione sminuendo di continuo la validità della stessa lingua greca e delle sue origini: un sistematico

“taglio” delle ore di insegnamento del greco antico e moderno, accompagnato dalla costante esclusione di testi fondamentali per la consistenza storico-linguistica greca.

Parimenti nello specifico campo della storia, le autorità ministeriali non esitano a sopprimere senza alcun (apparente?) motivo importanti periodi della storia nazionale non solo dal punto di vista politico, ma anche e sopra tutto in relazione al critico concetto e contenuto dell’”ellenismo”, un concetto che, per i “cervelloni” governativi risulta essere poco digeribile, per non dire (purtroppo) allogeno e insussistente, pertanto inservibile e da eliminare!

Al contrario, una particolare insistenza si manifesta affinchè la gioventù greca utilizzi il più ampiamente possibile il c.d. greeklish, sopra tutto nella intercomunicazione telefonica mobile et sim. e nei “contatti” internetici: un linguaggio di palese bastardizzazione della lingua greca nelle più impensabili

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commistioni letterali attraverso assurde equiparazioni tra alfabeto greco e alfabeto inglese. In sostanza, la più e deformante “latinizzazione” dell’alfabeto e lingua ellenica!

A queste diffuse modalità di estraneazione dalla nazionale lingua greca va aggiunto un esasperato utilizzo – si direbbe “imposizione occulta” – della lingua inglese ad ogni piè sospinto, quasi diventato una insostituibile “moda”, non solo circoscritto al patinato life style di un falso cosmopolitismo, ma ampiamente espresso in ogni segmento della società e vita quotidiana, nella stampa e nel commercio.

Rammentiamoci, come deleterio ed estremo esempio di scempiaggine filostraniera, la estemporanea ma tuttavia corrosiva proposta avanzata alcuni anni fa dall’ex deputata socialista (PASOK) ed ex Commissaria comunitaria Anna Diamandopùlu di decretare l’inglese addirittura come seconda lingua nazionale greca!

Incredibile decadenza ma vera.

La lingua e la società greche quindi vengono ulteriormente minate, certamente in tutta coscienza dei prepotenti servizi governativi, con la promulgazione nello scorso febbraio 2017 della legge con la quale acquisiscono automaticamente la cittadinanza ellenica i figli di stranieri che abbiano frequentato alternativamente le sei classi delle Elementari oppure le sei classi del Ginnasio (tre classi) e del Liceo (tre classi).

Un inconsiderato ampliamento dello status ellenico di ignoti futuri esiti sociali e civili, se si presta attenzione al fatto che in Grecia la maggioranza degli “stranieri”

residenti è, guarda caso, albanese e di varie etnie arabe, quasi tutti pertanto strettamente musulmani (!), la semplice frequenza scolastica assunta a requisito di cittadinanza assume carattere di “mina vagante” nel corpo della società greca.

2. D’altra parte, la situazione diviene ancor più pericolosa e critica tenendo presente: 1) la chiusura dei confini imposta agli e dagli stati confinanti con la Grecia(v. anche quanto verrà riferito più sotto); 2) la conseguente impossibilità di uscita dalla Grecia di tutti i profughi(minoranza) e più che altro degli illegali immigrati economici(stragrande maggioranza), asiatici e africani musulmani; 3) l’insussistente possibilità di ritorno, come previsto, in Turchia della grande massa di illegali “bloccati” in Grecia, visto l’indebito rifiuto della Turchia di riaccoglierli e la comprovata incapacità dell’U.E. a imporle l’osservanza delle regole poco tempo fa liberamente concordate.

A queste palesi negatività si aggiunge il sospetto lavorio, del tutto incontrollabile, di una moltitudine di ONG svolto in tutta la superficie del territorio greco, ma con maggior incisività (of course!) nelle zone di frontiera più critiche e pericolose come il confine con l’ Albania, il confine con la FYROM(ex repubblica federativa popolare di Macedonia della Jugoslavia), nelle isole orientali dell’Egeo (Mitilini, Chios, Samos, Kos, Rodi, ecc.).

Si tratta di organizzazioni di dubbia origine e attività, ma di sostanzioso sostenimento (per lo più proveniente dall’impulso sovvertitore del miliardario finanziere George Soros, a quanto sembrerebbe), intrufolate in tutti i settori della pubblica economia e politica greca e agenti in piena libertà, nella totale inesistenza ispettiva da parte di organi statali, regionali o comunali.

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In un simile contesto e clima non poche pseudo-irridentistiche rivendicazioni sono sorte, e vengono nutrite dalle predette ONG, in Albania e nella FYROM, rivendicazioni del tutto antistoriche e provocatorie il cui unico scopo è quello di creare e mantenere tensioni e inimicizie tra i Paesi interessati.

Infine, nel nord-est greco, nella regione della Tracia occidentale confinante con la Tracia orientale turca, il consolato turco a Komotinì svolge da anni, liberamente, senza incontrare la minima reazione ostativa ellenica e grandemente eccedendo nelle sue prerogative fissate dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, una corrosiva azione di destabilizzazione razziale e confessionale nell’ambito delle due società locali dei Pomaki e dei Romà, di religione musulmana, ma giuridicamente di nazionalità greca.

Pertanto, dato quanto precede, non v’è chi non intenda l’enorme pericolo e rischio che la Grecia sta attualmente correndo di un totale disfacimento non solo economico e politico, ma anche etnico e culturale, oltre che di conflitto confessionale i cui sviluppi non possono oggi preventivarsi appieno.

In tale frangente, appunto, si pongono le coordinate del citato “esperimento greco”

nel quale coincidono tragicamente l’estromissione e soppressione dell’entità nazionale e la parallela creazione di una pura e semplice entità mercantile gestita da terzi, europei o no, e a precipuo uso, consumo e interesse degli stessi.

Sembra un progetto diabolico, e lo è davvero in quanto per la prima volta si prevede che uno Stato, per così dire sovrano e indipendente(!) conceda ad altri – e in questo caso, a private entità economico-commerciali “guidate” però ai fini di una data comunità di stati esteri – una parte più o meno ampia della propria sovranità non solo territoriale, ma altresì di conduzione economica, amministrativa, giurisdizionale e politica.

Non dimentichiamo peraltro che è già comunque in atto in Grecia una cesssione territoriale del genere (di cui naturalmente il popolo greco è all’oscuro), là dove il tracciato del gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline) che porterà il gas naturale dall’Azerbaigian ai Balcani e all’Italia attraverso l’Adriatico, prevede che l’intera

“fascia” in territorio greco, dal confine con la Turchia fino al confine con l’Albania, per una larghezza di sette chilometri da destra a sinistra della “linea” del gasdotto, cessi di essere territorio greco e appartenga alle società di gestione del gasdotto, con divieto assoluto di intervento a carico dello stato greco!

Si tratterà quindi di una striscia di territorio lunga 543 chilometri, larga sette chilometri per un totale di circa 4.000 chilometri quadrati sottratti alla giurisdizione e sovranità elleniche dentro lo stesso territorio greco!

3. Gia nel 2015 Martin Schulz, allora Presidente del gruppo europarlamentare socialista ed oggi candidato alla Cancelleria tedesca, aveva detto: “Lo Stato greco dovrebbe accettare che istituzioni europee (leggi: comunitarie) applichino delle riforme in territorio greco. Non si tratta di forza di occupazione straniera, ma di uno strumento di aiuto”.

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Sinora gli interventi della U.E. (Commissione) in Grecia hanno avuto per lo più attinenza a questioni politiche con proiezioni economiche o l’inverso. Adesso, nella nuova escalation, con la “prematura” affermazione di Schulz la “gestione greca dell’U.E.” si specializza e di gran lunga diventa più “globale”: le imposizioni politico- economiche acquisiscono un ben definito “piedistallo” territoriale ed una precisa limitazione ”geografica” della sovranità greca, sia come diritto che come spazio.

Così, il “preventivo” di Schulz di due anni fa altro non sembra configurare che la premessa per la realizzazione in una Grecia-cavia anche delle finalità previste dal progetto del sistema delle ZES, Zone Economiche Speciali. E sarà la prima volta che tali Aree verranno istituite in uno Stato appartenente alla zona dell’euro! Sempre che la “primizia” non venga “conquistata” dalla precedente approvazione comunitaria della proposta italiana di una ZES in Campania(aree retroportuali di Napoli e Salerno e area di Bagnoli, innanzi tutto, oltre a molte altre aree sparse) e a Gioia Tauro(gli eufemistici “progetti pilota” per il Mezzogiorno!).

Nel contempo, sotto la spinta dell’eurosistema economico-finanziario e industriale, viene elaborato il quadro d’azione del passaggio alla fase dell’”esperimento greco” nella è ugualmente previsto il sistema monetario che sosterrà la ZES: la doppia moneta o moneta parallela, pratica estrinsecazione di un appartheid stretto parente, questa volta addirittura in territorio europeo, dei famigerati Bantustan sudafricani, apposite regioni dove, e solo lì, potevano circolare i cittadini neri del paese, esclusi da tutte le altre regioni.

Grecia = Bantustan dunque, con buona pace di tutti i “tifosi” della “democrazia”

nel mondo e delle secolari lotte di liberazione (certo, anche nella “democratica” Atene antica – e non solo – esistevano gli schiavi e gli iloti, potrebbero obbiettare alcuni!).

Lo stesso Schulz comunque, e forse per fugare eventuali sospetti e accuse di schiavismo contemporaneo, completa il suo “pensiero” sulle ZES in Grecia dichiarando con superlativa noncuranza che queste sono necessarie affinchè il paese possa ritornare allo sviluppo economico e uscire dalla crisi.

Ovviamente i programmi d’investimento che saranno effettuati nelle ZES sotto il diretto controllo dell’Unione Europea costituiscono – dicono – la necessaria strategia per porre la Grecia “nel cammino dello sviluppo” Dice Schulz: “Ci sarà controllo ma anche clima di reciproca fiducia; se lo Stato greco acconsentirà naturalmente acchè esponenti comunitari applichino riforme in territorio greco”. Una maniera neanche cammuffata di diretto e profondo intervento della UE nell’economia e nella sovranità ellenica.

In altre parole, la Grecia deve rimanere fedele all’euro e altresì soddisfare pienamente le esigenze di riforma e di investimenti in Grecia dei trust prescelti dalla UE. In sostanza una politica di servaggio della gleba nella quale la perdita della sovranità territoriale viene “coniugata” con l’accettazione incondizionata di tutte le pretese politiche, economiche, commerciali, giuridiche e sociali delle multinazionali che vi si installeranno tramite il veicolo comunitario, e tutto ciò nel nome dello

“sviluppo” (ipotetico) della Grecia stessa.

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Ma queste Zone Economiche Speciali (ZES) cosa sono in realtà? Come si configurano?

Concretamente rappresentano uno Stato nello Stato: in parole povere, lo Stato

“ricevente” diviene una “colonia” cedendo una parte – che può anche essere di notevoli dimensioni – della propria superficie allo “Stato mandante” che, naturalmente, non è uno Stato nazionale, ma un cospicuo e potente gruppo di investitori privati raccolti in multinazionali o meno.

Le tre principali regole che distinguono le ZES sono: 1) lo speciale regime lavorativo; 2) lo speciale regime giuridico-amministrativo; 3) lo speciale regime fiscale.

Ciò significa che: 1) tutto il personale lavorativo (manovalanza) impegnato non è locale ma straniero, che speciali “agenzie di collocamento” assumono, introducono e

“manovrano” nelle ZES per durate semestrali in modo che vi sia una continua turnazione coatta. In linea generale, titolo preferenziale è l’essere “profugo” o

“immigrante”, possibilmente illegale, sottomesso, ricattabile e interscambiabile; 2) il funzionamento della ZES non obbedisce a nessuna normativa dello “Stato ricevente”, ma a tutta una “speciale” legislazione, ad hoc, apprestata da un segreto “Consiglio imprenditoriale” internazionale; 3) le “imprese” che agiscono nelle ZES non sono soggette al pagamento di nessuna tassa o imposta allo “Stato ricevente”, non pagano nessuna IVA e utilizzano una moneta diversa da quella in circolazione in tale Stato, secondo un protocollo di cambio assolutamente favorevole a tale moneta, ciò che incoraggia certamente l’arrivo di sempre nuovi investitori!

Attualmente nel mondo vi sono circa 3.500 Zone Economiche Speciali. La loro caratteristica comune consiste nel fatto che si trovano in paesi in forti disagi economici o sul ciglio del fallimento o “destinate” alla bancarotta o in vero e proprio stato fallimentare. La Polonia è uno di questi: già vi esistono 14 ZES. Un’altra ZES

”occupa” la Tracia orientale, territorio turco ad est del confine greco-turco sul fiume Evros.

Bisogna dire che l’”invenzione” della ZES appartiene al sistema bancario britannico. La sua prima “applicazione” ha avuto luogo in Cina, con grande successo, a considerar il proverbiale “salario cinese” e le relative “sottosviluppate” condizioni di lavoro.

In Grecia, in particolare, “paese-guida-cavia” preferita della “zona euro”(in attesa di ulteriori “estensioni” in altri paesi economicamente fragili o infidi, favorevoli alla istituzione della ZES sono sicuramente quasi tutti i partiti dell’opposizione governativa, specie la “Nuova Democrazia”, senza però escludere, per quanto strano ciò possa apparire, una solida preferenza anche in alcune componenti del partito al potere (Syriza).

D’altronde, e se è vera la notizia data il 29.2.18 dal Wall Street Journal con il titolo “EU to allocate $ 765 Million for Refugees Stuck in Greece”, e nulla vieta che non sia vera per un giornale di prestigio come quello di New York, la predestinazione della Grecia (ma non dimentichiamo anche il sud dell’Italia) a “parcheggio di anime”

(già sono circa 70.000 più le prossime che stanno di continuo affluendo) non può che

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preannunciare la futura (se tutto va bene per l’UE e tutto va male per la Grecia) costituzione di varie ZES in territorio ellenico.

Gia il predecessore del Primo Ministro Tsipras fino al 2014, Andonis Samaràs, aveva segretamente (non ne ha mai informato la popolazione) concordato le regioni destinate a diventare ZES, ossia una parte di Creta, il sud del Peloponneso, la Tracia occidentale(greca), la Macedonia Occidentale, una zona della città e porto del Pireo, dove i beni prodotti sarebbero destinati unicamente al mercato europeo (comunitario) con tassativa esclusione di quello locale!

Si tratta di circa 15.000 complessivi chilometri quadrati di territorio sottratto alla sovranità dello Stato greco (circa 1/10 della totale superficie greca) e gestito con le modalità di uno Stato nello Stato, dove l’installazione di migliaia di profughi/emigranti per lo più africani e arabi musulmani non lascerà che pochissime alternative di permanenza alle locali popolazioni greche ortodosse, con molta probabilità costrette a emigrare nel proprio paese!

Da notare infine che si tratta di zone eminentemente fertili in produzioni ortofrutticole, uno splendido mercato di genuini prodotti a buon mercato per i mandatari paesi nordici privi di simili risorse naturali.

4. Tragiche conseguenze, quindi, si preannunciano e inaffrontabile crisi demografica provocate dalla collusione Germania-Commissione europea con il tacito assenso del Consiglio d’Europa, finanziarmente “sostenute” dai 500 milioni di euro (756 mil. di dollari) con i quali sembrerebbe che sia stato “comprato” lo Stato greco per acconsentire a questa modernissima forma di sfruttamento coloniale.

Viene automaticamente da pensare che la chiusura dei confini con la Grecia dei Paesi finitimi ordinata ed imposta da UE-Germania e l’impossibilità materiale di uscita dalla Grecia di decine di migliaia di africani, asiatici e perfino sudamericani(!) altro scopo non aveva se non quello di bloccare in territorio ellenico tutta questa ciurma eterogenea e “multicolore” quale manovalanza delle future ZES ad assoluto buon prezzo e divieto di spostamento! Una prigione a costante riciclaggio.

Entro tale “ragione filosofica” si trova anche l’assurda, arrogante e prepotente proibizione imposta al governo greco di spostare le migliaia di profughi/emigranti illegali dalle isole greche dell’Egeo orientale (Mitilini, Chios, Samos, Kos, Rodos, ecc.), dove ora “sostano” in sempre più precarie condizioni, verso più ampie e libere zone della Grecia continentale.

Non v’è chi non si renda conto dell’enorme danno inferto al turismo in queste isole, particolarmente turistiche, dalla incombente ed esplosiva presenza di tutti questi allodossi e allogeni “fuggiaschi”! La piena indifferenza comunitaria, ricattatoria e delinquenziale, vige in ogni senso. Sempre la legge spietata dei creditori su imbelli debitori.

Viene in mente quello che Nietsche nella sua opera “La nascita della tragedia”(1872), al capitolo 15 scrive riferendosi alla nazione greca:

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“Dimostratamente, in tutti i periodi del suo sviluppo la civiltà occidentale ha cercato di affrancare se stessa dalla presenza dei Greci. È un tentativo imbevuto di profondissimo sgradimento per il fatto che, qualsiasi sua creazione, apparentemente originale e degna di ammirazione, perdeva i propri colori e vita a confronto con il modello ellenico, si rimpiccioliva, si riduceva ad essere una povera copia, una caricatura.

Così ancora e ancora una collera imbevuta di odio scoppia contro i Greci, questa piccola arrogante nazione che ebbe la forza di definire barbaro ciò che non era stato creato sul suo territorio”.

Entro questo contesto, chiaramente, le “proiezioni genetico-psicologiche”

adombrate dallo scrittore e filosofo tedesco e le possibili subcoscienti rimuginazioni in prospettive “europee” nulla esclude e vieta che continuino sempre a provocare inestinguibili sentimenti punitivi verso ogni presenza greca considerata invadente, visto che ad ogni piè sospinto nel linguaggio, nei riferimenti a mille applicazioni pratiche, nella cultura in tutti i suoi aspetti, ecc. la componente ellenica pone il proprio sigillo che nulla può eliminare.

E questo sopra tutto in aree linguistiche di educazione anglosassone/germanica dove la terminologia greca, anche attraverso la sua latinizzazione, ha creato tutto un mondo ermeneutico che, se viene a mancare o se si volesse estrapolare, provocherebbe impensabili e, direi, disastrosi, vuoti di comunicazione.

Sembrerebbe una “teoria” irragionevole e azzardata. Gli è però che nella realtà dell’umanità non esiste solo una “coscienza personale” o “individuale”, ma certamente anche una “coscienza nazionale” e “razziale”, appunto “derivata” da un

“subcosciente nazionale” o/e “subcosciente razziale” propagato nel tempo e nelle generazioni, sì che, a ben pensarci, e sopra tutto in ambito tedesco, anche senza volerlo o appositamente predisporlo, può far capolino e indirizzare, a livello di gestioni politiche ed economiche, già di per se stesse antropofaghe, non poche reazioni comportamentali tese all’umiliazione sia pure dell’”erede” di coloro che assillano oscuramente il germanico orgoglio e presunzione.

Poniamo mente altresì al fatto che nella seconda guerra mondiale la sola nazione europea che oppose la più strenua resistenza ai nazisti della Wehrmacht e della Luftwaffe e a queste inflisse pesanti perdite umane e materiali (non per nulla Churchill ebbe ad esclamare la sua ammirazione con la frase: “Gli Eroi combattono come i Greci!”) fu la Grecia. Un ricordo non si sa con quali conseguenze nella memoria di un popolo e sopra tutto dei suoi governanti.

In nessun altro paese europeo l’occupazione nazista, cioè tedesca, dal 1941 al 1945, è stata più aspra e crudele di quella in Grecia dove, alla totale sottrazione (e trasferimento in Germania) delle ricchezze bancarie e dei depositi aurei e al cogente

“prestito” finanziario di elevatissimo importo a favore della Germania, al sistematico furto di beni culturali greci si accompagnò una politica di assoluto impoverimento ed eliminazione del popolo i cui effetti furono, tra l’altro, i circa 300.000 greci morti per fame (i cui cadaveri ogni giorno venivano raccolti per strada e nelle case) e l’estrema miseria per i rimanenti 8.000.000 di cittadini.

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Per non ricordare le centinaia di paesi e villaggi in tutta la Grecia distrutti dalle truppe tedesche e gli abitanti massacrati, bruciati vivi e gettati nelle forre.

Altrimenti non potrebbe giustificarsi la “mania” con la quale la dirigenza governativa germanica “tratta” la Grecia pur sapendo benissimo che, dopo 6 anni di terribile depressione economica, le resistenze sono ormai pericolosamente affievolite.

È una “mania” tale da pensare che risponda e soddisfi un insopprimibile atavico rancore per i troppi smacchi subìti, gli unici da parte di ex stati nemici (tranne l’URSS) negli anni dell’ultima guerra.

Il fatto sta dunque che, dopo tutto quanto precede, la Grecia permane un failed state sottoposto ad una politica straniera di devastazione, disconoscimento ed esautoramento alla quale, non si può non ammettere, hanno pesantemente contribuito, come se non bastasse tutto il resto, corrotti con milioni di euro dal capitanato economico tedesco, anche molti politici locali mentitori e ruffiani, bancari frodatori, giornalisti impostori, imprenditori farisaici e contrabbandieri, inutili accademici e, dulcis in fundo, una giustizia inesistente, venale e sottomessa a osceni clientelismi.

Valga per tutti un esempio caratteristico. Il primo, quando nel 2009 l’allora Primo Ministro Jorgos Papandreu decise, di comune accordo con la BCE, di far trasferire proporzionalmente agli Stati della Comunità il debito per un 80% privato sino allora dello Stato greco, obbligato verso banche sopra tutto tedesche, inglesi e francesi, trasformandolo in pubblico e ponendo, da un giorno all’altro, la Grecia in posizione di debitrice non più delle banche, rimborsate dalla BCE, ma di Stati divenuti creditori senza aver sino allora mai versato nulla alla Grecia stessa!

Nell’attuale situazione, due appaiono le direzioni percorribili (non osiamo dire:

vie d’uscita!): o la permanenza nella zona dell’euro e della Comunità nella quale, salvo improbabili o comunque problematici ripensamenti dei creditori, si conoscono i distruttivi parametri di conduzione da osservare oppure l’ abbandono di tale indirizzo e la nuova avventura del ritorno ad una moneta nazionale (dracma o altra con altro nome) con tutte le incognite dei nuovi adeguamenti, ripristini, rapporti economici, relazioni internazionali e nuovi traumi nel tessuto socio-economico interno.

Ardua la scelta, degna di un governante di grosso spessore politico e umano, che però non pare si possa riscontrare nell’odierno orizzonte ellenico.

Esistono ancora i miracoli? Vedremo.

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