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Buòòha DRAHMA IM CINQUE ATTI

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(1)

A. DE GUBERNATIS

* #

Buòòha

DRAHMA IM CINQUE ATTI

IN VERSI

ROMA

TIPOGRAFIA COOPERATIVA SOCIALE 1902

(2)
(3)

Al >

EDOARDO SCHURÉ

AUTORI-: OKI UN.4XDS IXÌTU-S.

INIZIATORI-: OKI.

THEATRE DE LAME

E AI)

EMMANUELE SÉNART

NARRATORE SAPIENTE OEI.I.A I.EOOENOA DI HUODHA

I )EI )1CA AFFETTUOSA MENTE

ANGELO DE GUBERXATIS

(4)
(5)

PERSONAGGI

* »■

Il I<c Sl’DDHODANA MAVA, sua moglie

SIDDHARTHA (,'AKYAMUNI, loro figlio (Il Buddha) GOPA, sua moglie

MARA PAI’IYANS, il genio del male ASITA, vecchio maestro di Siddhartha KAUNDINYA

VASPA BHADRIKA

MAHANAMAN V ASVAGIT ]

ANANDA, il discepolo prediletto del Buddha

SARIPUTRA }

MANDI IALVAVANA ( TRAPUSHA i .

BHALLUKA ( «,0Vam mercanti MUCALINDA, genio dei Nnga

DEVADATTA / SONA i Il Re BI.MBASARA

anacoreti discepoli del Buddha

giovani brahmini

discepoli infedeli

KRISHNA GAUTAM1, giovine madre popolana IRE VOCI DI DONNA.

Corteo nuziale di giovinetti e fanciulle t Juanlie

Anacoreti e pellegrini Popolo e donne devote al Buddha.

La scena è tic' primi tre atti nella reggia t/i Kapilavastu, nel quarto nell'eremo iti L'rnve/li, ne! quinto nell'eremo t/i Mrigat/ava.

1 La stessa attrice che rappresenta nel primo atto il personaggio di Màyà può negli atti seguenti, sostenere la parte di Gopà.

I

(6)
(7)

ATTO PRIMO

1

Ampia terrazza nel palazzo reale di Kapilavastu, con parecchi in¬

gressi. Nello sfondo di mezzo, a settentrione, si scorge la catena del- l'Himàlaya. Dalla parte di mezzogiorno si domina l’ampia valle del Gange. E la sera.

(// Re Suddhodana [f«j cinquantanni] sta in piedi ac¬

canto alla Regina Maya |poco più che trentenne]. La Regina è alquanto pallida e tiene, mestamente pen¬

sosa, gli occhi al cielo; il suo atteggiamento è di per¬

sona molto stanca').

Maya.

Sia così. - Mio Signor, vedi, a l’estremo Confine Occidental, come una nuvola, Iridata dal Sol che ci saluta,

Dissipa l’altra e si trasforma? Tale Il fulgor nostro di bellezza vana.

Come una brezza spira o vibra un raggio Di nova luce, oscurasi la prima

Parvenza che un dì piacque; altro fantasma Sale, e a sò tira, con più dolci fremiti, Ogni desìo. - Tu, gi;\ vagheggi, al fianco

‘ I passi virgolati, alla rappresentazione si potranno omettere, perchè, se possono dare un'idea più piena della dottrina huddhica, forsé ritarderebbero l'azione e diminuirebbero l’interesse per la scena.

(8)

8 —-

Del nostro giovincel, sposa ridente, Che il mio sembiante giovami rinnovi Nel tuo cospetto, e a te faccia perenne D’eterna aurora e primavera il sogno.

SUDDHODANA.

Di che ti turbi, o mia gentil? Di Gopà, (Del Re Danda la figlia avventurosa), Non me gli occhi soavi adescheranno;

Sol desterànsi di Siddhartha nostro Dolci tumulti in cor. Tu, prima, al riso Del figlio nostro, avrai contento.

Maya.

Il giorno In cui s’accenderà sul caro volto

Quel, da gran tempo, desiato riso, Ombra pallida e mesta, io tua compagna Ahimè, nel buio vanirò. Prescritta Fu tal vicenda a noi. Sol da la morte Esce la vita e da l’ombra la luce.

Suddhodana.

Ma il crepuscolo è mite, in cui si mesce L’uno e l’altro color, dove si fonde L’una vita con l’altra. A noi concede,

Benigno, il Nume di mirar concordi, Ne le nozze del figlio, il nesso eterno Che al futuro ci lega.

Maya.

A te il pensiero Animator che Dio t’accese in mente Desta il desìo di nuove forme elette.

Io, forma vaga, per amar brev’ora, T’apparvi e consumai la mia freschezza,

(9)

9

Ne le tue braccia. Or che, consunto, langue In me il fior di bellezza: or che, dai baci

^ . . 7 “ p

Tuoi stessi esausta, la fragranza viva,

□l’ebbro ti fèa, l’acredine sua prima Perde-, secreti già rivolgi in core Altri amorosi rapimenti. Forse,

Tu stesso, stanco, non potrai le antiche Tue fiere lotte rinnovar; ma i sensi.

Placati dall’età, s’appagheranno, Ne la vista di due giovani ardenti

Che, a la giostra d’amor, s’addestreranno, Sotto il tuo tetto, auspice te. Non io, Che amai te solo e delirai, fremente, Per te, vedrò, tranquilla, altra tenzone D’amore in questa reggia.

§UDDHODANA.

Ove n’andrai?

Maya.

Chiedi, a l’aura che spira, ove si perda;

A la nube che vola, ove si dissipi;

A la luce del di, dove s’asconda.

Ape d’oro, il mio mèle delibai

Su le tue labbra, non ancor mendaci;

E, da quel mèle, il tuo regai fanciullo Nacque, splendido, un dì. Crebbe, gagliardo E bello, al dolce foco de l’amore,

De l’amor nostro. Ed ecco, ora mel togli, Per darlo a donna che te stesso, prima Ch’ei la vedesse, innamorò, col fascino D’una bellezza che trionfa. Addio, Mio signor.

Maya (si leva lentamente per avviarsi).

(10)

StJDDHODANA.

No, t’arresta, sposa amata.

Maya.

Amata, forse, un dì; non più, in quest’ora, In che sogni e vagheggi altri fantasmi.

SUDDHODANA.

Resta. Come t’amai, t’amo. M’accende, Al tuo stesso languor pallido, un novo Desìo di te.

Maya.

Fugace. Estremo anelito Manda un baglior di lampa clic s’estingue.

Con trepido desìo, così tu aneli Al fioco lume de la mia pupilla.

Prendi dunque di me l’estremo palpito, L’ultimo riso, il bacio de la morte.

Suddiiodana (abbracciandola).

No, Màyà, no; ma il bacio de la vita Immortai che c’incalza e si rinnova;

Strana dolcezza dal tuo riso mesto Già mi penetra al cor.

Maya.

Suggi, fon l’anima, Dunque l’ultimo fremito di vita

Che corre in me. T’appaga. La mia sera È giunta. La libellula, al tramonto Del dì, l’ali ripiega, e la sua danza Cessa nel turbo d’un amplesso estremo.

Ma il mister di mia morte il giovinetto Siddhartha ignori. Andiam, Signor.

(11)

SUDDHODANA.

No, questa L’ultima sera non sarà, concessa

Al nostro grande amor. Te giù più bella Fa quest’ora solenne; e il tuo sorriso, Che accompagna e ravviva il guardo mesto, E il moto stesso de le stanche membra Che m’invita, m’attizzano la mente A più lieto furor. Màyà, t’adoro.

Maya.

Folle amatori Prima che il giorno albeggi, Quell’idol che or prosegui e che sull’ara.

Con le tue braccia, acceso il cor, sollevi Ed adorni, a’ tuoi pie’, negletto, esanime, Per sempre, giacerà!

SUDDHODANA.

Natura è questa D’Amor, soggetto a mille morti, a mille Risorgimenti; ora esso preme ed urge, E si scatena come fiamma ardente.

Maya.

In questa fiamma, or dunque, mi consuma.

(Entrano, strettamente abbracciati, nel Gineceo Reale).

(La scena rimane per brevi istanti deserta. Alcuni accordi elegiaci precedono l’arrivo del giovine principeSiddhar- tha |poco più che ventenne

|,

che, lento, s’avanga in tutto lo splendore della sua gioventù e bellegga, nelle sue più ricche vesti regali, ma col volto atteg¬

gialo a profonda malinconia).

(12)

2

SlDDHARTHA.

Mi cliiaman Fortunato. Un di, nel Ciclo, Forse lo fui, se il ver mi disse Asita, Il santo Precettor, che de’ misteri

Ha il secreto. - Nel Ciel, già vissi un tempo, Ira i Insiliti, i Contenti. Ma, una sede Brahma assegna più in alto a’ suoi Beati.

Quella a me pur forse destina un giorno, Se, in questo novo nascimento, io trovi La Via de la Salute. - Or, perchè mai M’è cosi grave il peso de la vita?

h, dove, volto il piè, tal Via s’incontra? - M’han detto: Màyà, madre tua, ti vide, In quella notte, in cui fosti concetto, In sogno. Dall’un fianco le parca Che balzasse bianchissimo elefante, Vittorioso simbolo divino

Di purità, di somma sapienza.

Di Lumbini il Giardino deliziano M’accolse il primo dì. Narrali le donne Che, ai primi passi mici, fiorian le rose Sotto i miei piè sopra la terra, e il cielo, Coni’io levava in su l’occhio sereno, Subitamente si tìoria di stelle;

Gli alberi, al mio passar, le dondolanti Chiome chinavan reverenti; in coro, Miriadi d’-augelli variopinti

Cantavano. Una gran pace diffusa Parea ne l’universo. Ad ogni fonte Stillava ambrosia. Da ogni labbro umano Partian parole dolci. Il primo letto Ove giacqui eran morbide ninfee;

E, da quel letto, i primi sogni miei, Vagheggiando l’azzurro alto e lucente,

(13)

Cogliean, per Paure, le armonie del mondo.

Illuso allor, fatto mio caro speglio, Di Miyà madre mia l’a(fascinante, Buono, tranquillo, vigile sorriso,

Io non vidi alcun’ombra entro il Creato.

Suddhodana mio padre, Re Felice, Regge un popol tranquillo; ed ogni casa, Lieta di beni e florida di figli

Sembra gioconda. In me, dunque, che avviene Quale strano presagio mi conturba?

« Di che temo? - Son tutti veramente

« Gli uomini qui felici? Sono tutti

« Gli uomini buoni su la terra? E, dove

« F alcun perverso, come Dio permise

« Ch’egli nascesse, a danno nostro? Il male

« Esisterebbe presso il bene? Anch’io

« Ne farò forse duro esperimento?

« Assai si loda, assai si raccomanda

« Prima virtù la carità; ma in quali

« Creature fa uopo esercitarla,

« Se intorno a noi regna il contento? Dove

« S’asconde la miseria? L’elemosina

« A chi si dee recar? Non tutti forse

« I creati da Dio trovano cibo?

« O il cibo alcuno con fatica acquista?

« Ma il cibo è cosa vii che ha suo germoglio

« Da semente corrotta. Per qual legge,

« Vii cosa questi spiriti divini

« Nostri dee sostentar? Chi mi risolve,

« Chi mi disnebbia questi dubbi amari?

« Asita e gli altri sapienti molte

« Cose vane m’han detto; a che le grandi

« Supreme verità tengono occulte?

« Io che, fanciullo impavido, sessanta

(14)

« Quattro arcane scritture interpretai;

« Che, divinando, nel mio gioviti tempo,

« I anti dottor confusi, or mi confondo,

« E pavento un error de la mia mente ».

La mia madre finor, con le sue grazie, Mi nascose e velò le tristi insegne De la vita mortai. Pur, ne l’estremo Colloquio nostro, tremolar sul ciglio Io le scorsi una lacrima secreta;

E quella stilla, nel rigarle il volto, Mi scoperse una ruga ancor non vista.

Come sfiori tanta bellezza? Come, Cià si fresco e sì fulgido, quel volto, Moscio, s’oscura? Qual velen, qual morbo L’insidia? Io pur, cui liore di bellezza Predica il mondo, appassirò? Che vale Di forma leggiadria, se poca vita

La strugge? A che tanto splendor di sole, Nel ridente mattin, se a fargli velo Basta una nube? Or chi mi toglie il peso Di tanti miei pensieri gravi?

(Dalle stante del vicino Gineceo escono voci lamentose di donne).

Una voce.

O Mritiu, 1 Noi t’invochiamo; gelida, a le belle Membra, non anco la tua man si stenda.

Siddhàrtha (turbato).

La morte si scongiura, ne la reggia Del Re Felice. Quale ne fu tocca Eletta creatura?

1 II Dio della Morte.

(15)

>5

Un’altra voce.

Agni, ' riscalda . • Col tuo fuoco gentil, queste sue vene;

Vàyii,1 2 gli aliti tuoi spira su queste Aride labbra. Raccendete, o Dei, Il respiro, lo sguardo, la favella De la nostra diletta.

SlDDHARTIIA (agitato).

Là, si prega Per una donna!

Una terza voce.

Tra le braccia Stretta del tuo Signor, come non odi Il suo profondo gemito dolente?

Da le braccia d’Amor, come volasti In braccio de la Morte?

SlDDHARTHA.

Chi i costei Che, amando, è morta?

La prima voce.

Màvà, non t’ascolta.

Signore; invan la stringi; invan la chiami;

Invano aspetti che riapra gli occhi.

Più non t’ode colei che fu tua sposa;

Lasciaci sole ai nostri mesti riti.

Siddhartha (con grido desolato).

Màyi sparì, la prima luce bella De’ giorni miei, la dolce madre mia!

(Si leva dal Gineceo ima nenia funebre di donne).

1 II Dio del Kuoco.

2 11 Dio del Vento.

V

(16)

Nel regale giardino Fioria la dolce sposa, Qual bianco gelsomino Incarnato di rosa.

Splendea nitido il giorno, Dove Màvà apparia;

E, ad ogni suo ritorno, Mossa, l’auretta olia;

E quando, tra il susurro De le ninfee del lago, Duplice speglio azzurro Ne ricevea l’imago;

E, ai baci de l’aurora Quando, su l’erto monte, Che il primo sole indora, Màyà porgea la fronte;

De la sua luce bella, De la sua fiamma viva, Del suo riso di stella La terra rivestiva;

E, di sua voce al suono, Al suo gentil saluto, D’Indra 1 taceva il tuono;

E il kókila 3 era muto.

Or che le copre il viso Morte del suo squallore, E spento è il suo sorriso, Ogni bellezza muore.

1 II Giove tonante del mito indiano.

9 Una specie di cuculo canoro, celebrato, nella poesia indiana, come nella poesia araba e persiana, il bulbul, nella poesia occiden¬

tale, l'usignuolo.

(17)

Romba il vento di Yama '

Che il desolato mondo . A Al suo banchetto chiama

Nel baratro profondo.

Su, fanciulle, ululate, E queste aride spoglie Che il Dio crudel ci toglie, Con lacrime, irrorate.

(Cessato il compianto, appare il Re Suddhodana, atterrito dalla vista del figlio').

Suddhodana.

Tu ascoltavi? e tu sai?

Siddhartha (con profondo dolore).

So a quale porto Naviga Tuoni che nasce.

Suddhodana (con ansia).

E ben?

Siddhartha.

Quel porto É il mio solo desìo. Dove riposo

Trovò la bella de le belle, dove La perla, che mi die vita, si cala, Anch’io discender vo. Di lei più vaga Forma al mondo non era. Ella scomparve, E il deserto s’affaccia agli occhi miei.

Suddhodana.

Per te, Luce di Dio, fiori il deserto Educherà. - Tal fior vi nacque e tale Vi coglierai, che a te Miyà destina...

1 II Dio tic' morii e dell'Inferno.

(18)

— 18 —

Siddhartha (con desiderio).

Di Miyà un don?...

Suddhodana (assentendo).

Che, se tu il cogli, invidia Indra stesso ne avrà. 1

Siddhartha (ripreso dallo sua /risieda).

Se fior mortale, Appassirà.

Suddhodana.

Divino fior. - Se Màvà Amasti...

Siddhartha (con passione).

S’io 1’aniail?..

• Suddhodana.

Di quel profumo Ebbro, in breve, sarai.

Siddhartha.

Màyà soltanto A me torni. Per grazia degli Dei, Puoi ridonarla a me?

Suddhodana.

Forse...

1 Sc\Vfnt/ra/oi’a, il paradiso indiano, Indra, il Giove indiano, si finge circondalo dalle più belle ninfe od apsare del cielo.

I

(19)

19

»

Siddhartha (con le braccia tese all’ immagine di sua madre, rapito in quella visione).

Che torni, Aspetto...

SlIDDHODANA.

In breve, tornerà più bella.

CALA I.A TELA.

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(21)

ATTO SECONDO

La stessa scuna dell' atto primo, innanzi clic il giorno albeggi.

Mara Papiyans, il genio del Male, come un’ ombra, si affaccia e s’insinua da una porta laterale della terrazza.

Papiyans.

Una voce secreta avviso diémrni La scorsa not e: « Rralima, teco inizia Nova pugna dal Ciel per i suoi figli,

lì, al tuo genio clic strugge, un novo suscita , Impedimento in giovine possente,

Che romper.! le tue malte sovrane. » A sfidarlo son giunto, pria che l’opra Abbia principio. Al nuovo Illuminato Tanto falso baglior vo’ che si mostri, In cui s’acciechi - Arcana possa spinge Ora a Bralnna, ora a me la dissennata Famiglia de’ mortali: il dharmct o Legge, Che, per diritta via, ma dura e stretta, I giusti al Cielo scorta; il Kàma o il folle Piacer, ch’errante, per diverse vie

E tortuose, ma leggiadre, adduce, Ove il desio trasporta, ove de’ sensi Ogni ardore si placa. Io farò dunque, Io farò ben che questo giovinetto,

2

(22)

Buddha vaticinato, si sommerga Nel diletto cosi, che vi consumi Ogni fibra vita!. Solo, a tal patto.

Può farsi imbelle il Lottator che surge, Liberator Promesso. - Albeggia il giorno, Il cielo si rischiara e si riscalda;

Il mondo si ridesta; i pigri umori Sciolti, agilmente scorrono, vivaci,

1 urgidi, a fiotti a fiotti; ecco il momento Propizio nuzial. S’infochi al cuore

Ogni desio ; de’ sensi esagitati I! tripudio incominci. Ecco una lieta Balda canzon s’intona. Ecco una danza Voluttuosa che il corteo rallegra;

D’acri profumi l’aere s’impregna.

(Si ode un’allegra fanfara, con suon di pifferi, nacchere e tamburelli, che accompagna il canto di questa strofa bacchica, in onore di Krishna Govinda, il Dio ero¬

tico del popolo).

Govinda, dolce Iddio, Tu che il fuoco d’amore, Accendi in ogni cuore Placa il nostro desio;

Le Gopi 1 ti stan presso;

Scegli la prediletta;

Ogni donzella aspetta Il tuo furente amplesso.

' Come Apollo danza in coro con le Nove Muse, cosi Krishna, Dio d'amore pastorale indiano, vien figurato con nove Clopis o pa¬

storelle, ciascuna delle quali, al suo contatto e alla sua vista, è invasa da una specie di furore voluttuoso. - Il lìrahmanesimo e il Buddhismo tentarono ugualmente di rialzare questo cullo erotico alla dignità di un culto spirituale.

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- 23

Papiyans.

Buono, e a me caro, di cotesto nume ' * Krishna-Govinda il culto. Amor mi giova, Decantato cosi. Ma, i Sapienti

Novi, gl’illuminati, questo culto Pervertiranno, il nudo amor di veli Mistici ricoprendo, onde si levi Nel regno de lo Spirito. Di Krislina, De l’ardente Amator, che, ad una ad una.

Le nove vaghe pastorelle appaga.

Già fanno un Dio del Santo Amor, già un lume D’universale carità. Pavento

In questo Buddha giovincel s’incarni Novo spiritual Krishna che atterri

Di Kàma il tempio o lo rinnovi in forma Tal che, nel mondo, ogni piacer s’attuti.

Ma, in questo di, tale furor di sensi, Ne le vergini membra del leggiadro Adolescente accenderò, che, perso Nel delirio de’ fremiti amorosi, Vi si consumi e preda mia diventi.

(Aggiorna. Papiyans sì nasconde. Il Re Suddhodana si mostra su la ferrala, per attendervi il corteo nu¬

ziale, che s’avanga verso la porta centrale, e di cui s’osserva il lento progresso).

Suddhodana (ammirando').

Come due soli, candidi! Oh divine Virginee forme! Oh, la gioconda vista!

Brahma in Ciel li congiunse. - Quanto acceso Il guardo de lo sposo! Come dolce

De la sposa il sorriso! Incatenate Stan le due mani già, quali s’intrecciano

(24)

24

Due liane fiorenti a la foresta.

J:1’ maestas'°> ne la sua bellezza fiero '«««e, avanza. Ella si muove Agne, svelta, flessuosa, come Gazzella. Nasce sopra Torme loro

desiderio. Il vento del mattino Keca vivo il profumo de’ boschetti,

:°' P°!Iu11 de’ fior vaganti in traccia D, nuove nozze. Ma de’fiori il fiore n. ;l *posa che b’d'nge. Le sue labbra Di rubino, fragrante mèle stillano;

P Un3pc,’ ln;erca> e™> tentando i petali, Come velluto, morbidi e soavi,

D> quel fior porporino. Ecco, si para I-a giovinetta, con la mano candida Al par d, neve, e fa cenno leggiadro

cr che cessi I inganno; ma, ritorna p a"lmaIe«o, con più vivo assalto.

h Gopà, tinta di pallor, si volge Al mio Siddhartha e, timida, gli chiede CiA pm col guardo che col labbro aita.

,’T n a'norosa Passi™‘, fingendo cacciar , J *Hgg*re 11 veleno d"> Mio di Gopa che teme sposa) mlrand°’ bacio diente e lungo alla

Suddhodana (sorridendo).

Oli, Siddhartha, che fai? Ne’ Gril¬

lai rito non sta scritto. asùtri,

1 I Grihyasutri

nuziali c funebri. sono rituali

vedici, elie prescrivono i riti natalizi.

(25)

25

Siddhartha (staccando con pena le sue labbra amorose

da quelle di Gopa). .

Il primo bacio Spetta a lo sposo. Il primo mél del fiore Che m’hai detto per me nato al deserto, Nessun’ape dovea cogliere al volo;

Questo nettare è' mio.

(Ribacia Gopa).

Di questo fiore L’ape son io, la sola ape amorosa, E cupida.

(Bacia Gopa per la terrei volta).

Suddhodana (con dolce rimprovero).

Del di spunta la prima Ora soltanto: a sera avrai consunta, Co’ tuoi baci, costei. -

(Gii sposi sorridono).

Concedi almeno, Concedi pria che, ne la reggia, io renda Il saluto degli ospiti a la figlia

Del Re Danda, a la nuora desiata.

Per voi, figli, creai, ne la mia reggia, Tre splendide dimore; estiva l’una, L’altra invernai, la terza ove riparo Avrete da le piogge, al primo autunno.

Quivi si aduneranno le più belle Danzatrici de l’Asia; e d’ogni suono E d’ogni canto più soave avrete Allegrato l’orecchio. Dai boschetti, Vaghi augellini da le aiucce d’oro Faran bordone ai vostri inni di festa.

Ed un grato tepor, sempre agitato

(26)

r n r i ,r‘ "e’ " tui P“' molle

v P d°lce 11 r'P°»- Alcun dissidio Non turberii la pace vostra. I cibi

' saranno co1 nettare conditi j C°n ‘’^osh le bevande. Soffici

guanciali di piume; i vostri letti Jaran lucenti e morbidi velluti:

Seriche coltri trapuntate d’oro

” COprirann°i ^ a le vostre braccia D' )°Stn P'L‘’ per °Snì moto, odiassi’

le per,e agiate il tintinnio, tene dunque al nido che l’Amore

1 impose. Fian mille e mille paggi N .™ ed ancelle ai vostri cenni p^j.

Mie Sumeri miei di vostre staLe Custodirai, le ben chiodate porte 0„ '' V,cM“ Astra, Mantenne)

Non un pensier molesto vi travagli

^on una cura vi disturbi. In terni ’

yn

°nda. deI piacer> come in un sogno Vogate dolcemente. , Ai M „„.ei ^

yn IndraIoka> un Nàndana • celeste

«Amoroso apprestai. V’abbiano lungo

« Infinito diletto. « e ’ Gopa.

n . . e. 0nore al Padre IJel mio Signor.

Astra i, sommessamente al Re Suddhoda»*

Così del figlio la r“lCMt°' ***

<;iardin° e b“«he«o di piacere,

paradiso deliziano.

(27)

Suddhodana (turbandosi, piano ad Asita), Come?

Asita.

Pria che dia segno di vigor, lo stempri.

Suddhodana (con amarena e risentimento, piano ad Asita).

Forse ti duol che il figlio ijiio concesso A’ tuoi prieghi io non abbia. Ammaestrarlo Volevi tu, per toglierlo al mio regno.

Per farne un santo pari a te. Per questo, Noi generai.

Asita (piano al Re).

L’aspetto de la vita Mal tu gli celi; il perderai piu presto.

(Intanto che Asita e il Re Suddhodana parlano fra loro sommesso, Siddiiartha, che si è accorto del loro col¬

loquio, si distrae, per la prima volta, dal guardare Gopa, quasi conscio di quello che il Re ed il Mae¬

stro stanno dicendo fra loro. Gopa si turba lieve¬

mente).

Gopa.

Che hai? che guardi? perchè volgi il viso Dunque da me? perchè la mano allenti Che mi stringea? Cosi tu m’abbandoni?

Siddhartha (riscuotendosi).

No; mia tu sei; son tuo. Vedi, ritorna A sorriderci il padre. Nuvoletta Cosi passa nel ciel, fatto più limpido Dopo quel solco di una nebbia lieve.

Ridi dunque anche tu del tuo più vago

(28)

2S —

\

Kiso. I urte le perle mi discopri Come in cofano, chiuse e suggellate,

Ira due rubin, ne la tua bocca amata.

Apriti, fior di loto, al mio desìo Cui fatto ardente. Vieni a me bramosa:

ncontro al sole de l’amor che scalda, oliam concordi impetuosamente-

Fiamma, è- quest’occhio vivo che ri guarda;

lamina 1 orecchio che t’ascolta; fiamma lm^a mia che ti favella; fiamma Odora lana dove tu respiri;

Fiamma è il sangue, lo spirito che m’arde.

„ SuddK°dana (commessamente ad Asita).

Cosi, nel di de le mie nozze, a Màyd, Un giorno, anch’io parlai.

Asita (piano al Re).

R, , ' Non avea messo rama, al tuo nascimento, il pensier grave fi pensier malinconico e veggente,

Che turba di Siddhartha ogni diletto.

(// volto del Re si oscura nuovamente. Perla seconda volta

22 ™) « »«*. J U2*

et "«sr**1"' ***-**»»«

Copa (con mesto rimprovero).

Tanta fiamma così dunque s’estingue?

Qual nuova cura già ti stringe?

Siddhartha.

n , Alcuna Cura non ho. Ma, pur, non vedi come, Novellamente, s’oscurò la fronte

Del padre mio?

(29)

29

(// Re Suddhodana che si <' accorto del velo di tristegga che è venuto a ricoprire il volto del figlio, si sforiti^

a sorridergli).

Gopa (sorridendo).

Dicevi tu pur dianzi:

Lieve nebbia...

SUDDHODANA.

Su, date ne’ timballi li ne le balde nacchere, o leggiadre Suonatrici, gli sposi accompagnando Al recesso ove Amor lieto li attende.

Tutta la reggia mia s’empia di risa, Di suoni, canti e giuochi.

(Si riaffaccia, in veste e atteggiamento grottesco e ridicolo di buffone, zoppicando, Mara Papiyans).

SlDDHARTIlA (COU disgusto).

Chi è costui?

Papivans.

Vuole il Re che si rida in questa Corte;

E però, zoppo ballerin, m’affaccio Al suo cospetto.

SUDDHODANA.

Il nome che tu porti Non so.

Papivans.

Non io porto alcun nome.

SUDDHODANA.

Tu pure avrai.

Un nome

(30)

3°

Papiyans.

No'n ho di mio, non porto So non quel che Natura, al nascimento Mi diè. Nascendo, io nome non avea.

Suddhodana (tediato').

Come il volgo ti chiama?

Papiyans.

P volgo, hai detto none, ni impose un doppio nome allegro;

I-’uno Mira mi dice e vuol dir Morie ; E Papiyanso, che vuol dir Cattivo, Anzi fygior, mi chiaman gli altri stolti.

Suddhodana.

Di gherminelle sei forse maestro?

Papiyans.

Son maestro del Riso e del Diletto, Dottor ne 1 Arte del Piacer; ministro Di Voluttà.

Suddhodana.

Mi giovi. A la mia reggia, Con un patto, restar puoi.

Papiyans.

Sentiamo il patto.

Suddhodana.

Se jn queste stanze, dentro un anno, versi Tanto piacer, tanto de’ mali oblio.

Che non s’oda un sospir, nè una querela, Che non si levi un gemito o una doglia Ci faccia tristi, avrai cento prebende E del mio regno ti farò barone.

(31)

3' — Papiyans.

Del patto mi convien la prima parte L’altra ascoltiam. Se tanto non potessi...

SUDDHODANA.

Ad ogni grido che non sia di gioia, E per ogni dolor che ci conturbi, Cento torture subirai.

Papiyans.

Consento, Se una picciola doglia escluderai, Se due piccioli gridi...

Suddhodana (aggrottando le ciglia).

Quali dunque?

(Papiyans guarda, con molta malizia, Siddhartha e Gopa strettamente abbracciati).

Papiyans.

11 grido... d’una vergine che passa, Di giovin sposa la materna doglia, Ed il vagito d’un leggiadro Infante.

(Siddharta e Gopa, sorridendo, si baciano).

Suddhodana (gioiosamente).

Poi che gli sposi t’hanno latto grazia, Tanto vo bene che ti sia concesso.

Or coprite, garzoni e giovinette, Di vostre allegre strida rumorose Quest’ora nuz'ial. Mormori il mondo, Che sì desta col sol la sua preghiera.

Come sul balzo d’Oriente gitta Nel sen fecondo, a la rosata aurora,

(32)

32-

Sùrya 1 il calor de la sua fiamma viva, Cosi s’adempia il primo de’ Misteri,

In questa reggia, e un nuovo Ciel si schiuda;

Così nel bacio di due calde luci, S accenda il riso d’una nuova stella.

SlDDHARTHA.

La mia Aurora sei tu.

Gopa.

Tu il mio gran Sole.

1 II Sole, il Dio del Sole.

CALA LA TKLA.

\

(33)

atto terzo

La stessa scena del primo e del secondo atto, ma in pieno giorno.

StUDUARTUA, dimagrato e pallido, si mostra immerso in «na profonda malinconia.

SlDDHARTHA.

Perche il tedio del dì cresce, e la luce Stessa che amai mi diventò molesta?

Perchè, d’ogni piacer sazio, ogni cosa Manifesta m’appar nauseabonda?

Perchè GopA, la candida mia gemma, Men pura splende? Qual maligno spirito Soffiò su quel mio nitido cristallo Per oscurarlo? Papiyanso disse,

Che, per suo patto, una doglia soltanto E due gridi celar non mi potea.

Or quella doglia tormentosa io vidi, E que’ due gridi, per mio danno, intesi.

Quando la sposa giovinetta mise, Al primo amplesso nudai, piangendo, Quel forte strido che parea vendetta Chiedere al Cielo di un nefando oltraggio, Io mi dolsi di me che avea ferita

Tanta innocenza e quel candor polluto.

Impuro io mi credetti e mi levai,

(34)

34

Come atterrito di quel reo misfatto,

Quando il brahmino, che a le nozze intende E veglia al rito del connubio santo,

Con le sue preci, di mondar promise Ogni nostra sozzura. E pur pensai, Mentre il brahmin sue preci mormorava : Tu non puoi far che nostra sorte sia Men triste di cosi. Più assai felici Però di noi l’ape, l’augello, il fiore,

Che, senza macchia e senza duol, si baciano A la luce del di che li commuove.

« Ma, in brev’ora, scordai la prima pugna

« Cruenta ; il sangue giovami si mosse

« Più rapido ; a la foga degli amplessi

« Frequenti e folli, amor mi trasse ; e tutta,

« Come cosa divina, assaporai

« La voluttà di quel delirio breve.

« Dopo alcun giorno, estenuato e stanco,

« Increscioso a me stesso, mi levai

« Da le braccia di Gopà ; era la fonte

« Rea del Piacere esausta; e, corrucciato,

« Dal talamo, vilmente, mi ritrassi.

« Gemebonda, ella, in van, le ben tornite

« Braccia amorose, mi tendea, per farmi,

« A la giostra d’amor più molle invito ;

« E, in van, col guardo suo più dolce, in vano,

« Con la sua voce più sottil, col fascino

« Del suo soave incantator sorriso,

« Mi iacea blando e timido richiamo.

« Ogni virtù nes sensi miei spossata,

« Sazio e stanco, più ottuso l’intelletto,

« Più torpidi gli alletti, nel secreto

« Del pensiero, accusai miseramente

« Quella mia sposa candida e amorosa

(35)

35

« D’esser men casta, io vile. Inorridii

« Di me caduto, e m’appartai selvaggio,

« Più che in dispregio d’una cosa eletta

« Divenuta volgar, per fier disgusto

« Di mia fralezza nel mutar d’affetti.

« Dopo alcun tempo, ahimè, scorsi, un mattino,

« Di Gopà che dormia, di sua ruina

« Inconscia, il volto flaccido e pallente,

« La bocca aperta, madida di grave

« Sudor la fronte. Le scomposte membra,

« Quasi contorte, mi rendean sembianza

« Di cosa sfatta e informe. Urlai, chiedendo

« Soccorso, in van, d’un medico, che Gopà

« Mi rendesse quel fiore di bellezza

« Già così dolce lume agli occhi miei.

Ma, un altro giorno, altra pietà mi strinse.

Ella giacea, tra spasimi crudeli,

Chiedendo aita a me, da Lei, per cura Del Re mio padre e Papìyan, distolto.

Intesi il grido, e accorsi. Orrenda vista ! Ella, ululando, dava luce infesta

A cosa viva, che mandò un vagito, Era nato Rahul, 1 da le mie viscere, Nel suo fianco agitato. lìllà era madre, Ed io reo mi chiamai di quel delitto, Che un’anima del Ciel costretta avea Nel carcere tremendo de la vita, Per dolorar. Lurido il campo apparve Agli occhi miei del nascimento umano, E mi contesi da quel dì 1 amplesso Di donna.

(Entra Papiyans).

1 A'alitila, era il nome dell'unico figlio nato a Siddhartha £akya.

muni, secondo la leggenda.

(36)

Papiyans.

Di te privo, il Gineceo Muto e dolente sta. Tra le formose Cento ancelle che un di facean sì lieta Corona a Gopà e le accrescenn splendore, Or derelitte e meste, è un sol sospiro ; Quel sospiro è per te, gentil Siddhartha.

Siddhartha (indifferente).

Quando, col verno, caleran le nevi, Le giovinette muteran sembiante.

Papiyans.

Ma il tuo splendor, pieno di fiamme ardenti, Ed ogni moto de la tua persona,

Penetra ancor, per la memoria, il cuore De le bramose ancelle ; una tra l’altre...

Siddhartha (con tedio).

Tutte le vidi e non ne scorsi alcuna.

Papiyans.

L’ima più langue e spasima. La fresca Età di Rati 1 urge il suo sangue, come L’umor che spinge, sul recente ramo, La gèmmula a scoppiar. Come presaga D’ogni più arcana voluttà, già freme

L’occhio, il labbro ed il fianco agile, e invito Ti fa, non già figli a crear, che attristino A te il grave pensier di questa vita.

Ma si, a far pago, al soffio de la brezza Che spira e vola senza'Tracce, il moto Che rapido si desta e si rinfiamma, Di vena in vena nel tuo giovin sangue.

1 Nome dato spesso alle belle indinne, e significa volutili.

(37)

37

SlDDHARTHA (penSOSO).

Di gaudio un’ora un lungo lutto appresta.

Papiyans.

Quella pietà che, nel tuo petto, alberghi Per ogni creatura, in te fia muta Sol per la cosa più gentil creata ? Or di te stesso abbi pietà. Non vedi, Se mai dell’onda limpida del lago

Tuo speglio hai fatto in questi dì, la grande Ruina che trasforma il tuo sembiante ? Se d’alcun segno di mortai difetto,

D’alcuna umana infermità sei triste, Come non vieti che in te stesso il male Prenda ricetto? Al giovili tempo Amore Sua legge impòn ; cògli 1 ora che vola, Pria che il tuo giorno ti conduca a sera, Vien meco, giovili prence, e ti rallegra Nel più giocondo aspetto de le cose.

Siddhartha (alquanto scosso

).

Sazio son io. Non mi tentar. Più tosto, Toglimi al guardo, toglimi a la mente Ogni vago fantasma in cui mi piacqui.

Al mio orecchio non giunga alcuna voce Di pargoletta più. Nessun sorriso

Più m’alletti. Cosi sarai soltanto A me tu pio.

Papiyans.

Te stesso inganni. Al fascino De la bellezza invan resisti. Adorno

Il Ciel ti volle d’ogni pregio e pose Te, fior di grazia, in un Giardin d’Amore.

Còglivi un frutto, pria che il tempo edace Via lo porti.

3

(38)

- 3» -

Siddhartha (turbalo).

Che vai, se un’ora breve Lo corrompe ?

Papiyans.

Ma dura, nel ricordo, Del suo sapore grata la memoria ; E il ricordo è- cagion dolce e frequente

Di desideri e rapimenti novi.

Mira.

(Papiyans solleva una cortina. Dietro un velo quasi tra¬

sparente, Siddhartha scorge in una stanca del Gineceo una giovine donna sdraiata e quasi ignuda).

Di Rati la pupilla cenila Erra e ti cerca languida. Del giorno Questa è l’ora più calda, in cui riposa Il Gineceo. Ma Rati veglia e s’agita;

Desiosa di te, gitta l’estremo

Suo velo, il capo scuote e su le candide Spalle scioglie le chiome ; il seno turgido, Che sente germogliar tenta e comprime, E torce il fianco smaniosamente.

Sii pietoso, Siddhartha.

Siddhartha (come fuori di sé).

.Ahimè-, qual filtro, Qual filtro è questo che mi rende insano?

Tu mi farai morir.

(Entra furiosamente nel Gineceo).

Papiyans (gridandogli dietro).

Di dolce morte.

(39)

39

Papiyans (trionfante).

Ora il puro, il perfetto è in poter mio. • * Ei pecca ; ei cade. Or, disceso nel brago Il divino splendor che mi feria,

Noi temo più ; la mia vittoria è piena.

(Entra Asita, il vecchio maestro, in abito d’asceta men¬

dicante, trascinandosi a fatica, infermo e già quasi moribondo, sulla terragna.)

Papiyans (respingendolo).

Via di qua, vii carcassa.

Asita.

Errai gran tempo.

Corsi di terra in terra. Ora il piè stanco Ogni altro passo a me ricusa. Grande h la Etnia ospitai di questa Reggia.

Me infermo, triste, moribondo accolga.

Papiyans (brutalmente).

Via di qua, dico. Il cimiter soltanto È loco tuo. Non profanar le soglie Di questa Corte, ove, per mio consiglio, È sovrano il Piacer.

Asita.

Buono ha Siddhartha Il cuor. Mi lascia qui posar. Ch’ei torni, Aspetto ; io so che non vorrà cacciarmi.

Papiyans.

Io ti caccio però ! Non dee Siddhartha Offesa aver de la tua vista immonda.

Arbitro de la Gioia, in questa Reggia Ho stabilito un ordine di vita;

E tu, importuno, rechi a’ miei disegni Impedimento.

(40)

— 40

Asita.

A’ tuoi disegni forse, Non al voler del Principe che regna Qui buono e saggio.

Papiyans.

È suo voler eli’io tolga A lo sguardo del figlio ogni parvenza

Di cosa triste.

Asita.

Non però t’indice, Contro la legge che da Brahma emana, Di cacciare un brahmin da queste soglie, Un ospite cadente, un vecchio infermo.

\ Papiyans.

Or basta, va.

(Papiyans dà al vecchio Asita tuia spinta violenta che lo fa stramazzare al suolo. Rientra Siddhartha pal¬

lido,vergognoso e come disfatto.Papiyans dà una nuova spinta col piede ad Asita).

Papiyans.

Rialzati, poltrone, E cammina, di qua, lunge.

Siddhartha (con isdegno

).

Che fili?

Quest’uomo è quasi morto; e noi soccorri?

E non ricerchi un medico?

Papiyans.

Qui manca Sol più il becchino che lo porti via;

E il manderò, tosto, che levi il puzzo Onde, quasi cadavere, già ammorba Le tue nari c la reggia.

(Papiyans s'allontana).

(41)

41

Siddhartha (

[

chino

,

con affettuosa reverenda

).

Venerando, Ti leva; a me porgi la mano. Fosse Hai fame, o sete; o pure, di riposo, Esausto, hai uopo. Troverai qua dentro Quanto bisogna a darti ogni sollievo.

Asita

(

rialzandosi

).

Non per me sono, buon Signor, qua giunto.

A me Brahma segnò come suprema Quest’ora, per che leghi un mio ricordo All’età tua non bene esperta. Male Qui ti consumi.

Siddhartha

(

colpito

).

Ahimè, tu in cor mi leggi.

Un veggente sei tu?

Asita.

Sono; e sorprendo Il tuo vivo dolor. Nessun tormento Ad un rimorso è pari.

Siddhartha.

Dunque, sai?

Asita.

So.

Siddhartha.

Nè mi porti i fulmini di Dio?

Eccomi, a’ piedi tuoi, messo del Cielo Provvido; fammi noto il mio castigo.

De’ sensi miei non domi ancor, non vinti, Un reo tumulto a vaneggiar mi spinse.

Errai; peccai; perversa fiamma accolsi Nel mio cor, ne la mente false immagini,

(42)

42 -

Nel mio sangue il velen. L’anima mia.

Ne’ voli ardenti del pensier più puro, A la Psiche immortai fatta sorella, Già si credea quasi divina. Un punto Le tarpò l’ali; ed io, giù ne la polve, Come verme strisciai. Forse mia sorte Sarà rinascer verme, in altra vita.

Asita.

Altro il nume da te chiede ed aspetta.

Morir non dèi, nè a nuovi nascimenti Il Ciel ti danna, se de’ giorni tuoi Buon governo farai. Brahma permise Che, in te stesso, facessi esperimento Di quel peccato onde saran, tra poco, Redenti i vivi, per la sua Parola, Sul tuo labbro gentil purificato, Resa vibrante del dolor del mondo.

SlDDHAllTHA.

Che far deggio, Signor? Son pronto ad ogni Cenno e ad ogni castigo. Per cent’anni Forse dovrei vincere il sonno, errando

Di terra in terra? O pur, sovra un sol punto.

Guardar nel Cielo, con un piè sospeso?

Viver nel ghiaccio? o pur nel fuoco? Il cibo.

Famelico, negarmi, a piè d’un mango Carco di frutti? O, per sete, le fauci Aride, non toccar l’acqua del fonte Che, a la mia vista, limpido zampilla?

Tutto farò che Brahma mi comandi.

Asita.

Senza profitto di virtù, già fecero Tali prove, feroci penitenti

A Brahma stesso più che ad altri invisi.

(43)

4.5

Disciplina darai tale a’ tuoi sensi Che tu li possa governar col senno.

Distruggerli non giova e nostra cura Esser non dee. Ma, se li reggi e guidi, Se tu dorai il Piacer, se a la ragione 11 talento sammetti, a poco a poco Gran signor ne sarai. Donno sicuro Di te stesso, la norma insegnerai D’ogni retto sentir, quale maestro D’ogni salute. In tanto, i primi lacci Spezza. Ogni cosa a te qui più diletta Lascia. T’accogli in loco solitario.

Meditando, a pregar, fin che la luce Vera di Dio discenda in te. Di scarso Cibo t^uppaga; veglia assai; ti basti Breve sonno; di vesti umili copri

Le membra, e tieni mondo il corpo come L’anima e il tuo pensier fisso ad un alto Segno diritto e luminoso, sempre.

« Pur che non trista, poca compagnia,

« Se sia concorde, ti può far contento.

« Se al tuo convento, una parola ascolti

« Che il tuo puro pensier turbi od offenda,

« Non disputar, non contradir, ma scuoti

« I sandali e cammina; nè di santo

« Maggior tra santi aver nel mondo voce

« O apparire ti punga invida cura,

« Ma d’esser teco in pace, e aver certezza

« D’esser fatto miglior, si che ogni giorno,

« Ogni tuo detto, ogni tuo fatto segni

«Altra impronta di Dio su la tua fronte».

(A mano a mano che Asita parla

,

il suo corposiàrÌTga

,

la sua vocesifa più chiara

,

ilsuo volto si rasserena

,

il suo sguardo s

illumina).

(44)

44

SiDDHARTHA.

O tu che, puro ed alto, a me favelli, Come, in brev’ora, ti trasformi! Oh dolce Rapimento de l’anima! Deh, pria

Che ti riprenda il Ciel, dimmi chi sei?

Asita.

II tuo vecchio gttrtì 1 non pur ravvisi?

Asita parla a te. Messo del Cielo, Vengo a salvarti per salvare il mondo.

Su, fanciullo, ti desta. I tuoi più belli, I tuoi più /forti spiriti richiama.

A te lascio il mio mònito infocato Ne la Luce di Dio; fanne gran guardia.

Addio, Siddhartha. Io, con serena fronte.

Salgo al seno di Brahma. Oh, quanta luce Gi;\ m’inonda e m’investe! oh quanta pace In quella Luce che da sò si muove.

(Rapito in estasi, Asita cade e muore).

Siddhartha.

Questa, morte non è, ma dolce passo, Dolce ritorno da la terra al Cielo.

Maestro, io vengo a te, dietro i tuoi cenni.

Già mi passano in cuor tutti i tuoi fremiti, là gli spiriti tuoi ne la mia mente;

Già veggio chiaro il mio sentier su Torme Tue luminose; e non più temo adesso, (Smarrito in questa orrida selva oscura Che ha nome vita), la viltà de’ sensi Ingannatrice. Al mio viaggio, hai messo Un lume interno che mi scorti, un fuoco

1 Maestro spirituale.

(45)

45 I

Che fuor lampeggia e più non si consuma.

Or, con tal lume, or con tal fuoco ardente.

Sicuro e forte v'iator, cammino.

(Esce Gopa dille stante ilei Gineceo, bel In ancora della sua suprema bellesga di giovine sposa e di giovine madre che ama).

Gopa.

Vieni. Raluil sorride. Come hai còlto, Su le mie labbra, il primo bacio, cògli, Su le labbra del tìglio, il primo riso, Che a te spetta.

SlDDHARTHA.

"" A te, madre; a te che in seno.

Per tanti mesi lo nudristi. Io sono Un vii seminator.

Gopa.

Non dir. Mei desti;

Tal pegno è sacro a me. I.o benedici Con la più dolce de le tue parole, Col tuo sorriso più soave. Ancora Sul picciol capo la tua mano imposta Non hai. Proteggi l’innocente. Ancora Come sia bello, tu non sai. Le stesse Tue dilette sembianze in lui ravviso.

È tuo. L’amor nostro (quasi correggendosi)- d'un [giorno - accese Quell’ammetta candida, e quel viso

Fiori di rose. Una carezza almeno.

Concedigli, Signor.

SlDDHARTHA.

Non giova, o cara, Ch’io m’indugi in amar quanto abbandono.

Me lontano di qui tal voce appella.

(46)

t

— 46 —

Che mi sospinge fuori de la reggia.

Funge dal padre mio, da te, dal figlio, Ad altr’opra, altra cura. Il mio distacco Da ogni cosa diletta è necessario.

Gopa.

Tu più non m’ami; il so.

Siddhartha

{

turbandosi

).

Tu il sai?

N. Gopa.

Perdona.

Non t’aicuso, Signor. Forse mi rese Di te indegna alcun fallo, o pure alcuna Macchia scoperta nel mio fral, già privo D’ogni vaghezza, poi che i doni miei, La mia bellezza e gioventù trasmisi Al figlio nostro; i baci miei perduto Han l’antico sapor; talor tu sembri Guardarmi con terror, quasi cadavere Che si dissolve. Il suon d’ogni parola Ti giunge ingrato ne la mia favella;

E de l’alito mio, quasi pestifero, Forse il soffio paventi.

Siddhartha.

Bella ancora Più d’ogui donna, e pura, agli ocelli miei, Nel mio pensier, risplendi. Te non Rati Vincer potria, nè de le cento ancelle Alcuna ti pareggia. Il tuo candore Non t’accusi, o gentil; me solo accusa, Nato a tristi pensier, facile al tedio, Inetto quindi a saziar la lunga Sete d’amor che te, fida, consuma.

(47)

47

Gopa.

Non più chiedo per me. Pel figlio nostro, Resta al mio fianco. Io poserò tranquilla.

Docile schiava a’ cenni tuoi; contenta Ne lo splendor de la tua vista ; paga Se la carezza d’una tua parola

Mi faccia lieto il cor; che t’amo ancora:

E, come t’amo, io t’amerò più sempre.

SlDDHARTHA.

Cosi favella, al sacrificio pronto, Il vero amor; ma, se tu m’ami tanto, Non voler, Gop;ì, non voler ch’io fermi, Su la via del dover, vilmente, il passo.

Me altrove, il Nume che destommi, invita;

Altro amor mi sospinge.

Gopa.

Altro? - Più grande Del mio non v’ha. -

(Con armilo disperalo). Perchè a Rahùl non posso Dar le mie braccia tenere e tenaci

Che ti tengano avvinto? - O quale donna Ti tiene in suo poter, tanto amorosa, Che ti baci piii fervida ?

SlDDHARTHA.

Per donna

Non è più l’amor mio. Giungono agli occhi Miei bramosi di pianto, ad onde ad onde, Le lacrime dei vivi. Per gli orecchi, Cupo mi scende in cor l’alto lamento Che contrista la terra. Ogn’uom che nasce.

Ogni uomo che muor lancia nel mondo Un grido di dolor. L’anima mia

Vibra di questo dolorar di tutti.

(48)

- 48 - Gopa.

Che puoi far tu, perchè muti la sorte De’ miseri viventi?

Siddhartha {indicandoAsita che giace morto).

A me costui, Che qui giace, prescrisse un’alta via Di salvezza comune.

Gopa.

Un morto?

SlDDHARTHA.

Un santo.

Gopa.

Non per me santo, se di te mi priva.

{Entra il Re Suddhodana).

O padre, o Re, deh, salvami. Siddhartha Che m’hai concesso, e a cui tutta mi diedi, Che me la più felice tra le donne

Gii volle un di, me, misera fra tutte, Ora, per sempre, in lacrime abbandona.

Suddhodana.

1 u, dolce figlio? Quando il regno prospera?

Quando è nato Ralnil, che il nostro regno Lungamente assicura?

Siddhartha.

Il nostro regno Ci conviene allargare oltre i confini Che assegnati gli hai tu, padre.

Suddhodana.

D’impero Più vasto esser signor dunque vorresti?

E ben, tìgli non ha Danda, amoroso

(49)

49

Suocero tuo. De’ due stupendi regni

Nostri, un di, sarai tu solo monarca, . Ed al solo tuo aspetto tremeranno

Tutti i nemici.

SlDDHARTHA.

Aver non voglio e deggio Nemici io mai.

SUDDHODANA.

Vuoi tu, dunque, ch’io tolga Da me il serto regai, per farne adorno, Tosto, il tuo giovili capo? ecco, a te cedo La mia corona.

(Il Re Suddhodana sì toglie dal capo la corona e la offre a Siddhartha che la respinge con dolcegga.

Rientra Papiyans seguito da un becchino).

Suddhodana.

Dove l’occhio gira, E, al di là, corre la mia terra piena D’un popol ricco che ti fia soggetto.

Papiyans.

Ed io seminerò tanta discordia Ne’ finitimi regni e tante guerre Susciterò che l’un l’altro distrugga;

Onde tu, sino al mar, sovra ogni terra, Senza contrasto, senza alcun periglio, Sicuramente, stenderai l’impero.

Quanto il sol scalda e bacia il mar, tua facile Preda, in breve, sarà; non ha si vasto

Indra dominio in Ciel, nè più giocondo.

Tutto l’oro celato entro le viscere De’ monti, con le gemme di Golconda, Con le perle di Lankà, il tuo tesoro

(50)

— So —

Adunerà. Di frutti prelibati

Vedrai colme le mense; e, de’ più rari Fiori, liete ed adorne, a le tue labbra, A le tue nari in copia verseranno Soavi ambrosie e nettari divini.

Nè tante accoglie il Ciel ninfe leggiadre Quante vaghe donzelle sorridenti, A’ piedi tuoi, col vellicar di lievi E fragranti flabelli, agiteranno Aure sottili e penetranti. Ingrato, Per tanti doni che ti fa la sorte,

Esser non puoi. Non senti or quanto è dolce Viver cosi, sovrano su la terra,

Come un Indra dei Re?

SlDDHARTHA.

Va via, funesto Mio seduttor, per la seconda volta

Non puoi tentarmi. Il mio disegno è certo;

E, pria che albeggi, io sarò già ben lungi Da questa Reggia, ove mi lega un fàscino Che romper vo\

SlTDDHODANA (SCOìlSolatO).

Chiedi, Siddhartha, cosa Che per te possa il padre tuo; ma, resta.

Siddhartha.

Quattro cose, o Signor, che non puoi darmi Domandar ti dovrei. Tali prebende

Non sono in tuo poter, nè d’alcun altro Signor possente : « Giovinezza eterna

Ed eterna bellezza; privilegio

Che d’ogni infermità mi faccia esente;

Felicità senza dolor». Sospiri?

(51)

5' —

Dunque tu non potrai pur ridestare Dal sonno de la morte il mio diletto.

Che qui giace per me, maestro Asita?

Papiyans.

A che venne?

SlDDHARTHA.

A morir. Non hai tu detto Che il cimitero l’attendea?

Papiyans.

Ma quali Velenose al tuo cor versò parole, Pria che morisse?

SlDDHARTHA.

È un secreto con Dio.

Suddhodana (con impero).

Olà, guardie! (alle guardie che etti rimo).

Serrate del palazzo Ogni porta ed armatevi. Non dorma Alcuno in questa notte.

SlDDHARTHA.

Invan le porte Serri, ove si apre il cielo, ampio e sereno, Il solo Regno che non ha confini. -

Dolce Gopà, non piangere, e consola Il presente dolor che il cor ti schianta, Rimirando Ralnil. Non io lo posso, Senza periglio, riguardar. Perdona.

Un di, forse, verrà, che udrai novella Di un altro Buddha, un novo Illuminato.

Se di tal grazia io sarò tatto degno, Ritornerò. Tu al mio fanciullo chiedi Que’ più teneri baci che lo sposo Or ti sottrae.

(52)

52

Got’a.

Se impura la mia bocca Appare al tuo pensier, come concedi Che la baci Rahiil nostro innocente?

SlDDHARTHA.

Deh, donna mia, non chieder più. Non degno Io di posar su la tua bocca pura

Questo mio labbro immondo.

(Fa atto di tergersi la bocca, guardando con disdegno

Papiyans).

Papiyans (velenosamente').

Avrò ben cura 10 di tentarti ancor, perchè ti lavi

Sovr’altre labbra del gentil peccato Onde t’accusi. Rati non è sola Pargoletta nel mondo.

Gopa (spaventata, rivolta a Siddhartha).

Che vuol dire Costui?

Siddhartha (gemendo).

Vuole che, in me, nel tuo tormento, Per questo suo velen, cresca e s’affini 11 mio grave dolor, che mi costringe Ad espiar, lunge da te, l’orrendo

Mio fallo. Or dunque, ha suo crudel principio Il castigo del Ciel.

Gopa (commossa).

Non tormentarti.

Io stessa monderò d’ogni sozzura, Coi baci miei le labbra profanate.

(53)

- 53 - (SlDDHARTHA s’awill).

Non gemere; t’arresta; torna; voltati, . ^ Siddhartha; t’amo, t’amo più che mai.

(SlDDHARTHA s’allontana ; Gora con estremo dolore, impre cando a Papiyans).

Maledetto sii tu, che me l’hai tolto!

CALA I.A TEI.A.

(54)

I

(55)

ATTO QUARTO

In unti selva di penitenza, presso una grotta, ad Uruvelà. Cinque ANACORETI (KAUNDINYA, VaSI'A, BHAIJRIKA, MaIIANAMAN, ASVACIT), rasi i capelli c la barba, quasi ignudi, discorrono con Ananda, il discepolo prediletto dell' Illuminato.

Kaundinya.

Da dieci giorni, non bevo, non mangio.

Vaspa.

Da dieci giorni, non dormo.

Bhadrika.

Da dieci Giorni, mi reggo sovra un piè.

Mahanaman.

Da dieci Giorni, trattengo il respiro.

Asyagit.

Da dieci Giorni, sollevo un braccio in alto.

Kaundinya.

E ancóra Non scende a me la luce.

Vaspa.

Onniscienza.

A me l’ambita

(56)

56 Bhadrika.

A me il dono supremo Di virtù taumaturgica.

Mahànaman.

Non veggio Il di li de le cose.

Asvagit.

La gran pace Non mi penetra ancor. Meno di noi Fece Siddhartha, e mostrasi tranquillo.

Mahanaman.

E vede lunge.

Bhadrika.

Ed opera prodigi.

Vaspa.

E mostra di saper cose secrete.

Kaundinya.

Come se dentro l’anima gli fosse Entrato un sol...

Amanda.

Qual meraviglia? Intenta È la sua mente ad un sol punto chiaro Ed alto. Nello spirito, s’aduna

Ogni forza vital del Sahicununi.

Dal suo yoga 2 con Brahraa, alcun pensiero

. H nome dinastica di Siddhartha, che apparteneva alla famigl.a dei è propriamente, il congiungimento, quindi la devo¬

zione; perciò il devoto si chiama yogin.

(57)

57

Mortai non lo disturba, hi si castiga, Si che fa i sensi al suo voler soggetti, Ogni sua possa da secreta fonte Intima gli deriva.

Kaundinya.

A noi trasmessa Perchè non ha tanta virtù ?

Ananda.

Non giunta Per anco è l’ora. Un di verrà...

Kaundinya.

Fra tanto, Col suo strano costume, ei rende vane Le nostre austerità. Compagni, andiamo Ad altra sede, ove non sia coperta L’opra nostra.

Vaspa.

Ove sia meglio palese Il nostro duro sacrificio.

Bhadrika.

Dove Di si lungo patir si colga il frutto.

Mahanaman.

Dove il nostro Convento abbia dal popolo La reverenza.

Asvagit.

Ed ove un re munifico Lo faccia ricco de le sue prebende.

Tutti cinque.

Andiam.

(/ cinque anacoreti s

allontanano

).

(58)

- 58 -

Ananda.

Non degni, certamente, ancora, Voi, di seguir tanto Maestro. Gli occhi Vostri a la Luce stanno sempre chiusi;

Sordi gli orecchi a le solenni voci Che la suprema verità vi grida ; Tempo verrà..

(Entra Siddhartha).

SlDDHARTHA.

Quel giorno che vagheggi, Diletto Ananda, non è più lontano.

L’ultima prova che m’aspetta, a pena Avrò vinta, col Verbo de la Luce, Tra gli uomini verrò. Per poco ancora, Il genio de l’errore e de la tenebra Mi darà guerra.

(Appare di nuovo, come un’ombra sinistra, in un angolo della foresta, Papiyans).

Papiyans.

S’altro più non cura, Senta il furor degli elementi, e tremi.

Te, Vritra, 1 adunator di tenebrosi Nembi, invoco. Solleva le tempeste ; De’ scatenati mostri arma le schiere ; Copri di nera tabe il ciel sereno In cui Siddhartha intensamente mira ; Con l’acqua inonda, ardi col fuoco, squarcia Co’ tuoi denti di ferro, il sen capace

Di questa terra che sostien Siddhartha;

1 II mostro Vellico della tenebra e della tempesta, nemico del Dio luminoso e tonante lndra, che squarcia co’ suoi fulmini la nuvola.

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Fa tumido ogni fiume ed ogni mare;

Sanguigne fiamme vomita dai monti, . Svelli da le radici la foresta

Ove s’adunan questi anacoreti

Imbelli; e, col terror, ferma ogni rito.

Rompi, abbatti, distruggi; ogni vivente Nel turbine travolgi; e questo primo, A me odioso, che m’insidia il regno.

(AppenaPapiyans scompare, scoppia un tremendo uragano).

Ananda.

Maestro, la tempesta rumoreggia.

Nella tua grotta entriam.

SlDDHARTHA.

Non mia. Finora Qual ospite m’accolse. - In questo punto, Molte, fuor di lor tetto, spaurite

Creature di Dio, dal turbo còlte, Ricercheranno, pavide, un rifugio, Fntro la grotta. Il loco lor non puossi Usurparsi da noi. Dio lor concesse Queste misere tane, e a noi compose, Per nostra man, più splendide dimore - Vedi or tu quale gii, serpente immane, Leva, a la soglia de la grotta, il capo?

(5/ vede, sulla soglia della caverna, una testa enorme di serpente colossale che sembra uscire dalle viscere della terra e ingombra quasi tutto l’ingresso della grotta).

Forse egli è Mucalinda, il Re de’Naga1, Signor del loco, die ci nega ospizio.

' I Serpenti.

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— 6o —

(Dalle spoglie del serpente, che scompare, vieti fuori un candido giovinetto, regalmente e luminosamente ve¬

stito a squame d'argento).

Mucalinda.

Siddhartha, non temer; le tue parole Raccolsi e il senso di pietà cortese Che le mosse; le mie spoglie or deposi.

Con le mie spire, occultamente avvolte, Fin che duri il furor de la tempesta, Te, con Ananda, avvolgerò.

(Corrono lampi e scoppiano tuoni fragorosi).

SlDDHARTHA.

Se tanta Possanza hai tu, deh, la mia prece ascolta.

Mentre il fulmine guizza e romba il tuono, Volan per l’aria, a mille a mille, insetti F augelli esposti al turbine che gira.

I lor nidi proteggi ed ogni pianta, Che un nido accoglie, salvi la bufera.

Possa la madre trepida, che reca II primo cibo ai nati piccioletti, Compier suo volo incolume; l’industre Formica che viaggia, la farfalla Volitante tra i fior, sotto una fronda O un petalo, trovar, dall’uragano Che strepita, - per te, tetto e difesa. - Or, sul mio capo, intieramente, aduna Tutte le furie che, dal Ciel minace, Piombata lungo le vie che l’uom percorre, Su inermi viandanti esterrefatti;

E primi que’ fuggiaschi anacoreti, Cari fratelli miei, da lo sgomento Di quest’ora internai, libera, o pio Mucalinda gentil.

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— 6i

Mucalikda (solennemente).

Te il Ciel protegga, Che, pur uè l’ora del periglio, immemore D’ogni tuo ben, per la salute preghi De l’altre creature. - In Te, che fermo Stai nel proposto tuo, cui la bufera

Stessa non scrolla; in Te, che fermi in core Ogni desio, che non conosci inganno, Che al Ver soltanto, rettamente, agogni;

In Te, Siddhartha, or penetra la Luce Vera di Dio. L’Illuminato or sei, Ed il Beato sapiente. Vedi

Come la Grazia, a’ prieghi tuoi, discende;

(Cessa la tempesta).

Si disarma il furor degli elementi;

Tace il vento ed il tuono s’allontana;

Si squarciano le nubi; il ciel s’infiora Ne’colori de l’iride; la terra

Ritorna a verdeggiar. Godi, Siddhartha, Quest’ora.

Siddhartha.

A me conteso è il godimento, Fin che non cessi il mal sopra la terra.

Mugalinda.

Godi quest’ora; a ricrearti, invia Vayù dal Ciel quest’aure animatrici ; Nel largo petto accoglile e ritempra A nuove lotte ogni vigor depresso.

(Mucalinda scompare, Siddhartha respira largamente la fresca bregma che spira dopo il temporale; riappare

Papivans).

(62)

I

— 62 —

Papiyaxs.

Questo assalto final dunque si tenti.

L’ora i propizia. Come stei si drizza.

Quando il turbo cessò, cosi, ridesto Ogni spirto in costui, senta i vivaci Raggi che vibra un nuovo sol. Sovente, Disarmati, gli eroi, dopo la pugna, Rendonsi vinti al fascino di donna.

Questo invitto sfidò fulmini e tuoni;

Non vincerà lo sguardo saettante De la bella Vesalyà. Lccola.

{Appare, ornata ili splendide vesti, la cortigiana Amrapali

di Vaifdli e si butta ai piedi di Siddhartha, ba¬

ciandoli).

Amrapali.

Alfine, Ti ritrovo, Signor.

SlDDIIARTHA.

Dove m’hai visto, O donna ? Come sai ? - Lévati. Soli Si baciano cosi gl’idoli.

Amrapali.

Io caddi, Signor, nel fango; d’ogni mia sozzura Puoi mondarmi tu sol.

SlDDHARTHA.

Levati, dico, E narrami. Chi sei? donde a me vieni?

E, a te ignoto, di me, come cercasti?

Amrapali (rialzandosi lentamente).

Odimi dunque. - l'ior selvaggio io nacqui, Che il sol flagella, inondano le piogge

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- 63 —

H percuotono i venti. Ignoro il nome 9 Di chi gittò, sovr’arsa landa, il seme,

Ond’io scoppiai con queste forme vive. (Pausa).

Nessuna mano m’educò; nessuna Prese cura di me, madre o sorella Maggior. Crebbi cosi, libera; e diedi

All’aure aperte i fremiti miei primi. (Pausa).

Passò sul mio sentiero un giovinetto Che mi guardò. Non mi difesi, ignara.

Nessun detto m’avea ch’era peccato, Senza pudore, senza sacri riti,

Senz’amor, di sò strazio, al primo incontro, Fare cosi. (Pausa).

Gittato su la via,

Triste fior di ventura, appena còlto, Io passai, da quel dì, miseramente,

D’uno in altro amator. Ciascun mi fece D’ori e di gemme adorna. (Pausa).

Ma ogni novo Segno di baci mi lasciò sul fronte Impresso il disonor. Trassi, più volte, Lo speglio a interrogar, cercando come Quel segno cancellar che mi iacea Tanto diversa da le caste spose.

Ma, sempre, in vano. Inorridii. Mi parve Che il sorriso di Dio negato fosse A me soltanto; che le spoglie stesse Mie belle, di piacer fatte strumento, Fossero vili. (Pausa).

Allor volli d’amore

Amare anch’io, negandomi agli amplessi Del volgo. A tal, che mi parea gentile E più dolce garzon ne’ vezzi suoi, Dissi il secreto mio pensier. Derise

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