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SENTENZA Cassazione civile sez. I, 21/12/2012, n Intestazione SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

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SENTENZA

Cassazione civile sez. I, 21/12/2012, n. 23713 Intestazione

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado - Presidente - Dott. DI AMATO Sergio - Consigliere - Dott. DOGLIOTTI Massimo - rel. Consigliere - Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere - Dott. LAMORGESE Antonio - Consigliere - ha pronunciato la seguente:

sentenza sul ricorso 8718/2008 proposto da:

P.M. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 71, presso l'avvocato LETTIERI MARTA, rappresentata e difesa dall'avvocato SCHEGGIA VANDO, giusta procura in calce al ricorso;

- ricorrente - contro

O.L.;

- intimato - avverso la sentenza n. 104/2007 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 14/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/11/2012 dal Consigliere Dott. MASSIMO DOGLIOTTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FIMIANI Pasquale, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 14 dicembre 2005 il Tribunale di Macerata dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra P.M. e O.L.; affidava alla madre i figli minori, ponendo a carico del padre un contributo periodico al loro mantenimento; rigettava altresì la domanda riconvenzionale dell' O., volta ad ottenere sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., per la esecuzione in forma specifica dell'impegno assunto, con scrittura privata, dalla P., prima del matrimonio, di trasferire all' O. stesso la proprietà di immobile, in caso di "fallimento" del matrimonio stesso.

Avverso tale sentenza proponeva appello l' O., limitando il gravame alla questione della validità ed eseguibilità del predetto impegno, assunto dalla moglie. Costituitasi, la P. chiedeva rigettarsi l'appello. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza in data 28/02/2007 - 14/03/2007, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Macerata, dichiarava valido ed efficace, nei confronti dell' O., il predetto impegno negoziale della P., omettendo peraltro pronuncia ex art. 2932 c.c., ed invitando la parte interessata ad attivarsi, al riguardo, in separata sede. Ricorre per cassazione la P..

Non svolge attività difensiva l' O..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente sostiene che la scrittura privata in questione trarrebbe il proprio titolo genetico dal matrimonio e integrerebbe violazione dell'art. 160 c.c., ove si precisa che i coniugi non possono derogare ai doveri e diritti nascenti dal matrimonio.

(2)

Con il secondo lamenta la ricorrente insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata all'interpretazione della predetta scrittura. La scrittura privata. sottoscritta dai nubendi il giorno prima della celebrazione del matrimonio, prevede che, in caso di suo fallimento (separazione o divorzio), la P. cederà al marito un immobile di sua proprietà, quale indennizzo delle spese sostenute dallo stesso per la ristrutturazione di altro immobile, pure di sua proprietà, da adibirsi a casa coniugale; a saldo, comunque, l' O. trasferirà alla moglie un titolo BOT di L. 20.000.000.

E' evidente che la ricorrente inquadra la predetta scrittura tra gli accordi prematrimoniali in vista del divorzio, molto frequenti in altri Stati, segnatamente quelli di cultura anglosassone, dove essi svolgono una proficua funzione di deflazione delle controversie familiari e divorzili.

Come è noto, la giurisprudenza è orientata a ritenere tali accordi, assunti prima del matrimonio o magari in sede di separazione consensuale, e in vista del futuro divorzio, nulli per illiceità della causa, perchè in contrasto con ì principi di indisponibilità degli status e dello stesso assegno di divorzio (per tutte, Cass. N. 6857 del 1992). Tale orientamento è criticato da parte della dottrina, in quanto trascurerebbe di considerare adeguatamente non solo i principi del diritto di famiglia, ma la stessa evoluzione del sistema normativo, ormai orientato a riconoscere sempre più ampi spazi di autonomìa ai coniugi nel determinare i propri rapporti economici, anche successivi alla crisi coniugale. (E' assai singolare che invece siano stati ritenuti validi accordi in vista di una dichiarazione di nullità del matrimonio, perchè sarebbero correlati ad un procedimento dalle forti connotazioni inquisitorie, volto ad accertare l'esistenza o meno di una causa di invalidità del matrimonio, fuori da ogni potere negoziale di disposizione degli status: tra le altre, Cass. N. 348 del 1993).

Giurisprudenza più recente di questa Corte ha invece sostenuto che tali accordi non sarebbero di per sè contrari all'ordine pubblico:

più specificamente il principio dell'indisponibilità preventiva dell'assegno di divorzio dovrebbe rinvenirsi nella tutela del coniuge economicamente più debole, e l'azione di nullità (relativa) sarebbe proponibile soltanto da questo (al riguardo, tra le altre, Cass. N. 8109 del 2000; n. 2492 del 2001; n.

5302/2006).

Va peraltro precisato che la sentenza impugnata, sorretta da motivazione ampia, articolata e non illogica, ha fornito un preciso inquadramento della scrittura privata in esame. Si tratta, all'evidenza, di valutazione di merito, insuscettibile di controllo in questa sede, ove immune da errori di diritto.

L'impegno negoziale della P., una sorta di datio in solutum, viene collegato alle spese affrontate dall' O. per la sistemazione di altro immobile adibito a casa coniugale, e il fallimento del matrimonio non viene considerato come causa genetica dell'accordo, ma è degradato a mero "evento condizionale".

Prosegue la Corte di merito precisando che, ove causa genetica fosse il matrimonio (e il suo fallimento), l'impegno predetto, una sorta di sanzione dissuasiva volta a condizionare la libertà decisionale degli sposi anche in ordine all'assunzione di iniziative tendenti allo scioglimento del vincolo coniugale, sarebbe sicuramente nullo.

Ma indice di tale ipotesi potrebbe essere soltanto una notevole sproporzione delle prestazioni, al contrario non provata.

L'argomentazione è censurata dalla ricorrente, ma, al contrario, la Corte territoriale ha fatto buon uso delle regole di ermeneutica contrattuale, in particolare con riferimento all'art. 1363 c.c., per cui le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell'atto.

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Si tratterebbe in definitiva - si può aggiungere - di un accordo tra le parti, libera espressione della loro autonomia negoziale, estraneo peraltro alla categoria degli accordi prematrimoniali (ovvero effettuati in sede di separazione consensuale) in vista del divorzio, che intendono regolare l'intero assetto economico tra i coniugi o un profilo rilevante (come la corresponsione di assegno), con possibili arricchimenti e impoverimenti. Nella specie, dunque un accorcio (rectius: un vero e proprio contratto) caratterizzato da prestazioni e controprestazioni tra loro proporzionali, secondo l'inquadramento effettuato dal giudice a quo.

Come si è detto, una motivazione adeguata e non illogica, e immune da errori di diritto.

Come è noto, ai sensi dell'art. 1197 c.c., il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, salvo che il creditore vi consenta; l'obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita. Nella specie, il trasferimento di immobile può sicuramente costituire adempimento, con l'accordo del creditore, rispetto all'obbligo di restituzione delle somme spese per la sistemazione di altro immobile, adibito a casa coniugale.

La condizione, nella specie sospensiva (il "fallimento" del matrimonio) non può essere meramente potestativa ai sensi dell'art. 1355 c.c., e cioè dipendere dalla mera volontà di uno dei contraenti (ciò che, nella specie, non potrebbe verificarsi, considerando, evidentemente, le parti tale "fallimento", come fattore oggettivo, indipendentemente da eventuali responsabilità addebitabili all'uno o all'altro coniuge).

La condizione neppure può porsi in contrasto con norme imperative, l'ordine pubblico, il buon costume (in tal caso renderebbe nullo il contratto, ai sensi dell'art. 1354 c.c.). Dunque nulla sarebbe una condizione contraria all'art. 160 c.c., sopra indicato. E tuttavia, nella specie, essa appare pienamente conforme a tale disposizione.

ove si consideri che in costanza di matrimonio (e prima della crisi familiare) opera tra i coniugi il dovere reciproco di contribuzione di cui all'art. 143 c.c.: il linguaggio comune spiega il significato ad esso attribuito dal legislatore, è la parte che ciascuno conferisce, con cui si concorre, si coopera ad una spesa, al raggiungimento di un fine. Con la contribuzione si realizza dunque il soddisfacimento reciproco dei bisogni materiali e spirituali di ciascun coniuge, con i mezzi derivati dalle sostanze e dalle capacità di ognuno di essi.

Può sicuramente ipotizzarsi che, nell'ambito di una stretta solidarietà tra i coniugi, i rapporti di dare ed avere patrimoniale subiscano, sul loro accordo, una sorta di quiescenza, una "sospensione"

appunto, che cesserà con il "fallimento" del matrimonio, e con il venir meno, provvisoriamente con la separazione, e definitivamente con il divorzio, dei doveri e diritti coniugali.

Condizione lecita dunque nella specie di un contratto atipico, espressione dell'autonomia negoziale dei coniugi, sicuramente diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell'art. 1322 c.c., comma 2.

Vanno pertanto rigettati i due motivi, in quanto infondati e, conclusivamente, il ricorso stesso.

Non è ravvisabile alcun provvedimento sulle spese non avendo l'intimato svolto alcuna attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

(4)

La Corte rigetta il ricorso.

A norma del D.L. n. 196 del 2003, art. 52, in caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri atti identificativi delle parti, dei minori e dei parenti, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2012

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Cassazione civile sez. III, 21/08/2013, n. 19304 Intestazione

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista - Presidente - Dott. UCCELLA Fulvio - Consigliere - Dott. LANZILLO Raffaella - Consigliere - Dott. CARLUCCIO Giuseppa - Consigliere - Dott. CIRILLO Francesco Maria - rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente:

sentenza sul ricorso 26742-2007 proposto da:

D.G.M.C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTTAVIANO 66, presso lo studio dell'avvocato BARILE ANTONIO (STUDIO CARRIERO), rappresentato e difeso dall'avvocato GUARINO LUIGI giusta delega in atti;

- ricorrente - contro

L.A.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANASTASIO II 130, presso lo studio dell'avvocato BARLETTA LAURA, rappresentata e difesa dall'avvocato FRANZESE NICOLA giusta delega in atti;

- controricorrente - avverso la sentenza n. 2657/2006 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 01/09/2006 R.G.N. 162/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/05/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito l'Avvocato LUIGI GUARINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con decreto del 14 ottobre 1999 il Tribunale di Benevento, Sezione distaccata di Guardia Sanframondi, ingiungeva a D.G.M. C. il pagamento della somma di L. 20.000.000, oltre interessi, in

(5)

favore di L.A.L.. Il provvedimento trovava il proprio fondamento nella scrittura privata del 30 settembre 1994 nella quale il D.G. - premesso di aver ricevuto dal proprio coniuge L. A.L. la predetta somma - si era impegnato a restituirla in caso di eventuale separazione. Successivamente alla omologazione della separazione consensuale tra i due, avvenuta con provvedimento del Tribunale di Benevento in data 29 giugno 1999, il D.G. si era invece rifiutato di procedere al pagamento della somma indicata.

Avverso il decreto ingiuntivo proponeva opposizione il D.G. e il Tribunale, con sentenza del 2 dicembre 2002, rigettava l'opposizione, confermava il decreto e condannava il D.G. al pagamento delle spese di lite.

2. La sentenza di primo grado veniva confermata dalla Corte d'appello di Napoli la quale, con pronuncia del 1 settembre 2006, rigettava l'appello proposto dal soccombente, che veniva condannato al pagamento delle ulteriori spese del grado.

Osservava la Corte territoriale che il D.G. aveva chiesto soltanto in sede di conclusioni, nel giudizio di primo grado, di dichiararsi la nullità della scrittura privata del 30 settembre 1994, sicchè la relativa domanda era da ritenere tardiva; in ogni caso tale nullità, asseritamente da ricondurre a contrarietà della pattuizione rispetto all'ordine pubblico, era infondata, perchè dalla scrittura privata emergeva che il D.G. si era impegnato a restituire la somma di L. 20.000.000 alla moglie in caso di separazione, ma non era stato in alcun modo dimostrato che tale accordo avesse costituito per l'appellante un vincolo idoneo a limitare la sfera della sua libertà personale in ordine alla separazione. E, d'altra parte, non èera dubbio sul fatto che la somma in questione fosse di proprietà esclusiva della L..

Quanto, infine, all'attestazione bancaria dalla quale risultava che la L. aveva incassato, in data 22 settembre 1995, tre buoni postali a termine, per un valore complessivo di L. 21.000.000, la Corte osservava che si trattava di titoli emessi in epoca antecedente rispetto al matrimonio e, comunque, intestati alla L. e ad altra persona diversa dal D.G.; sicchè la decisione del Tribunale era da ritenere anche sotto questo profilo del tutto condivisibile.

3. Avverso la sentenza della Corte d'appello di Napoli propone ricorso il D.G., con atto affidato a tre motivi.

Resiste L.A.L. con controricorso.

Il ricorrente ha presentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 1421 cod. civ., rilevando che erroneamente la Corte d'appello ha considerato tardiva l'eccezione di nullità relativa alla scrittura privata intercorsa tra le parti in data 30 settembre 1994; la nullità assoluta, infatti, è circostanza rilevabile anche d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo, sicchè la questione ben poteva essere proposta anche in sede di comparsa conclusionale.

2. Col secondo motivo di ricorso si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Osserva il ricorrente che la sentenza avrebbe omesso di pronunciarsi in ordine alla natura ed alla liceità della condizione apposta alla citata scrittura privata. In considerazione della natura del rapporto

(6)

coniugale, infatti, condizionare la restituzione di una somma di denaro all'ipotesi della separazione coniugale è evidentemente contrario all'ordine pubblico ed al buon costume, perchè equivale a porre delle limitazioni alle altrui fondamentali libertà. Il diritto a separarsi dal coniuge, infatti, è diritto

"personalissimo" che non tollera alcuna forma di limitazione.

3. I primi due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente e sono entrambi privi di fondamento.

3.1. Occorre innanzitutto rilevare che la Corte d'appello di Napoli, pur dichiarando tardiva la domanda di nullità della scrittura privata avanzata dal D.G. solo nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado, l'ha poi sostanzialmente scrutinata nel merito, escludendo che vi fosse la prospettata ragione di nullità.

Ne consegue che il ricorrente non ha un effettivo interesse, in questa sede, all'esame del primo motivo di ricorso, in quanto ogni questione circa la correttezza o meno del rilievo processuale compiuto dalla Corte di merito è superato dal fatto che alla presunta tardività della domanda non ha fatto poi seguito alcun effettivo pregiudizio a carico del D.G..

3.2. Ci si deve soffermare, invece, sul secondo motivo di ricorso nel quale si censura, sia pure in termini di vizio di motivazione, il fatto che la Corte napoletana non abbia considerato nulla la scrittura privata con la quale il ricorrente, dichiarando di aver ricevuto dalla moglie la somma di L. 20 milioni, si impegnava a restituirla in caso di separazione. Tale nullità sarebbe da ricondurre nell'oscillante prospettazione di cui al ricorso - alla violazione di norme imperative, nella specie costituite dall'impossibilità di "negoziare" i diritti e i doveri che scaturiscono dal matrimonio e dal carattere di diritto "personalissimo" alla separazione coniugale, ovvero alla contrarietà all'ordine pubblico e al buon costume del menzionato accordo, in relazione al quale si arriva a richiamare anche l'art. 2035 cod. civ. ed il noto principio romanistico secondo cui in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis.

In verità la sentenza impugnata, con una valutazione di merito correttamente argomentata e priva di vizi logici, è pervenuta alla conclusione per cui la prospettiva di dover restituire alla L., in caso di separazione, la somma menzionata non ha comportato per il D.G. "una coercizione e limitazione della sua sfera di libertà". Partendo da tale ricostruzione - che non può più essere posta in discussione nell'odierna sede di legittimità - risulta evidente che il patto di cui si discute contiene da un lato un esplicito riconoscimento dell'esistenza di un debito conseguente ad un mutuo ("il D.G. dichiara di aver ricevuto la somma di L. 20 milioni a titolo di prestito"); e, dall'altro, sottopone a condizione sospensiva l'obbligo di restituzione. Il ricorso, inoltre, non contiene alcuna contestazione in ordine all'esistenza del debito, ma solo prospetta le censure di nullità sopra riportate.

Com'è noto, a norma dell'art. 1354 c.c., comma 1, è nullo il contratto al quale è apposta una condizione, sospensiva o risolutiva, contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume. A giudizio di questa Corte, però, tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, nel quale la condizione sospensiva è lecita. Pur essendo pacifico che "la consegna o un prestito di denaro tra coniugi avviene generalmente nella riservatezza della vita familiare" (sentenza 28 maggio 2009, n.

12551), non c'è nessuna norma imperativa che impedisca ai coniugi, prima o durante il matrimonio, di riconoscere l'esistenza di un debito verso l'altro e di subordinarne la restituzione all'evento, futuro ed incerto, della separazione coniugale (v., sia pure in relazione ad una diversa fattispecie, la sentenza 21 dicembre 2012, n. 23713). Non si tratta neppure, nel caso in esame, di un contratto atipico - rispetto al quale sorgerebbe l'obbligo di verificare la sussistenza di un interesse meritevole di tutela ai sensi dell'art. 1322 c.c., comma 2, - perchè la condizione è stata apposta, come si è detto, ad un contratto di mutuo.

(7)

Appare fuor di luogo, pertanto, sia il richiamo all'art. 2035 cod. civ., del tutto estraneo alla presente fattispecie, sia quello agli artt. 143 e 160 cod. civ. riguardanti l'inderogabilità dei diritti e dei doveri che scaturiscono dal matrimonio, perchè l'inderogabilità non viene meno per il fatto che uno dei coniugi, avendo ricevuto un prestito dall'altro, si impegni a restituirlo per il caso della separazione.

Che poi l'esistenza di un simile accordo si possa tradurre in una pressione psicologica sul coniuge debitore al fine di scoraggiarne la libertà di scelta per la separazione è questione che nel caso specifico non ha trovato alcun riscontro probatorio; e che comunque, ove pure sussistesse, non si tradurrebbe di per sè nella nullità di un contratto come quello in esame.

Ne consegue che il primo e il secondo motivo devono essere respinti.

4.1. Col terzo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione delle norme che disciplinano la comunione legale tra coniugi.

Secondo il ricorrente, infatti, la somma di L. 21.000.000 riscossa dalla L. era da ritenere, in via presuntiva, come appartenente alla medesima nella sola misura della metà, perchè la presunzione legale tra coniugi non può essere in alcun modo superata. La Corte d'appello, quindi, avrebbe errato nel ritenere che la medesima appartenesse in via esclusiva ed integrale alla L..

4.2. Il motivo è infondato.

Anche volendo prescindere dall'assoluta inidoneità del quesito di diritto formulato a sostegno del motivo - del tutto generico e privo di riferimenti concreti alla fattispecie - è decisivo il fatto che con tale censura si tenta di sollecitare questa Corte, attraverso il richiamo ai documenti attestanti presunti passaggi di denaro tra i due ex coniugi, ad un nuovo esame del merito, al fine di ottenere un esito processuale diverso e più favorevole.

5. Il ricorso, quindi, è rigettato.

A tale esito segue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.700, di cui Euro 200 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 24 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2013

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