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Responsabilità delle persone giuridiche e tutela penale dell ambiente

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Progetto Sicurezza – Maggioli Editore numero 4/2009 - Focus

I diversi sistemi normativi nazionali ed internazionali hanno posto in evidenza l’esigenza comune di creare strumenti normativi che possano “responsabilizzare” le persone giuridiche, affinché queste effettuino controlli e predispongano i presidi necessari al fine di evitare che al proprio interno vengano commesse pratiche illecite e pertanto si attivino per impedire il verificarsi di eventi dannosi (in particolare ci si riferisce all’illecito penale).

L’ordinamento giuridico italiano ha introdotto, per la prima volta con il d.lgs. n.231/2001, il principio secondo il quale, in caso di commissione di alcune tipologie di illeciti tassativamente elencati dallo stesso decreto, viene estesa la responsabilità penale alle persone giuridiche.

In tal caso infatti, oltre a “pagare”, l’autore materiale del fatto, è chiamato a rispondere anche l’ente (persona giuridica) a cui lo stesso appartiene, se l’illecito è stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

La persona giuridica è ritenuta responsabile qualora l’autore dell’illecito legato all’organizzazione tanto in posizione apicale quanto subordinata (articolo 5, d.lgs. n.231/2001), abbia commesso l’illecito al fine di avvantaggiare l’ente stesso o nell’interesse di quest’ultimo.

Si precisa sin da ora che la natura della responsabilità attribuita all’ente è discussa. Questa viene accertata nel corso di un procedimento penale, sebbene le sanzioni che vengono irrogate nei confronti dell’ente siano di carattere amministrativo. La responsabilità delle persone giuridiche è subordinata alla colpevolezza di una persona fisica. Infatti, affinché possa essere attribuito un qualsiasi rimprovero ad un ente è necessario che l’autore, inteso come individuo operante all’interno dello stesso ente, sia condannato.

La persona giuridica è imputabile salvo non dimostri, nel corso del procedimento penale aperto a suo carico (parallelamente al procedimento esperito nei confronti della persona fisica), di aver adottato efficacemente ed attuato all’interno dell’ente modelli di gestione e controllo idonei a prevenire la realizzazione degli illeciti.

Pertanto il d.lgs. n.231/2001 introduce un meccanismo giuridico del tutto nuovo stravolgendo il principio tradizionale “Societas delinquere non potest”, che per secoli ha caratterizzato gli ordinamenti giuridici di derivazione “romanistica”. In questo caso la responsabilità amministrativa degli enti rende punibili le persone giuridiche, con sanzioni amministrative. Infatti essendo le sanzioni penali più tipiche, restrittive della libertà personale, queste non possono essere applicate agli enti.

Il d.lgs. n.231/2001 è stato emanato in forza di una legge delega n.300/2000, la quale recepisce la Convenzione Ocse, conclusa a Parigi nel dicembre 1997, in materia di “Lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali”; con la quale, mediante approccio tipicamente

“anglosassone”, si è chiesto agli Stati aderenti di introdurre degli strumenti sanzionatori nei confronti delle persone giuridiche, all’interno delle quali sono state compiute condotte illecite.

Dunque dal 2001 per alcune tipologie di reati commessi all’interno degli enti, ed in genere nel vantaggio o nell’interesse di quest’ultimi, oltre a pagare materialmente l’autore materiale del fatto, “risponde” anche l’ente a cui appartiene l’autore materiale dell’illecito. Secondo tale modello le sanzioni nei confronti dell’ente sono comminate a seguito di un procedimento penale “parallelo” rispetto a quello che si celebra nei confronti dell’autore. Il sistema sanzionatorio introdotto con il d.lgs. n.231/2001 è caratterizzato infatti (oltre che dalle sanzioni interdittive, confisca e la pubblicazione della sentenza), dalla possibilità di irrogare sanzioni pecuniarie nel caso di condanna dell’ente (articolo 9). A tal proposito si evidenzia che la sanzione comminata viene calcolata mediante un sistema di “quote” definito nello stesso d.lgs.n.231/2001, “in numero non inferiore a cento né superiore a mille, per un importo minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni” (articolo 10).

Nella sezione III del decreto sono indicate le quote per i singoli reati.

I reati 231 “a catalogo”

I reati entrati a “catalogo” nella disciplina della responsabilità amministrativa degli enti, sono di natura eterogenea. A seguito delle diverse modifiche apportate al d.lgs. n.231/2001 l’elenco degli illeciti ivi previsti è stato più volte novellato, sicché lo strumento della responsabilità amministrativa degli enti è divenuto in

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meritevoli di tutela, al fine di “responsabilizzare maggiormente gli enti”. Oggi pertanto il modello “231” è divenuto il canone e lo strumento fondamentale disciplinante la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche rispetto alle diverse ipotesi di illecito in esso indicate. A tal fine gli enti devono dotarsi di modelli di gestione e controllo.

La mancata adozione dei modelli non è soggetta a sanzione (sic et sempliciter), il modello di organizzazione e di controllo è facoltativo e non obbligatorio, ma facilita in termini probatori, la volontà dell’ente di aver fatto il possibile per aver voluto evitare l’evento dannoso. Se non adottato il modello, si espone la persona giuridica alla responsabilità per gli illeciti verificati, e conseguentemente chi doveva adottarlo (gli amministratori), è sottoposto a pretese risarcitorie da chi è stato danneggiato (soci, stakeholder, ecc.).

L’elenco dei reati compresi nel decreto n.231/2001 continua ad evolversi e, nonostante le “previsioni”

contenute nella legge delega 300/2000, volte a far confluire anche i reati in materia di “salute e sicurezza” ed

“ambiente” (articolo 11,I), si è dovuto aspettare diversi anni per vedere il legislatore estendere la responsabilità amministrativa alle persone giuridiche anche a queste tipologie di illeciti.

Il clamore mediatico suscitato dalla “piaga” che ha visto il nostro Paese essere oggetto delle c.d. “morti bianche”, ha fatto sorgere l’esigenza di estendere il sistema sanzionatorio di responsabilità ai casi di lesioni colpose (gravi o gravissime) ed omicidio colposo, derivanti dalla violazione delle norme in materia di salute e sicurezza. Per i reati ambientali, invece, la questione si è delineata solo a seguito della promulgazione della direttiva europea 99/2008/Ce, che ha scosso i “timidi” tentativi proposti dall’ordinamento giuridico italiano di legiferare in merito. Nonostante siano praticamente passati otto anni dalla data di emanazione (2001), la responsabilità amministrativa degli enti non ha ricevuto particolare considerazione da parte dei destinatari dello stesso. Questo almeno fi no all’anno 2007, a partire dal quale, come sopra indicato, con la legge n.123/2007 le sanzioni nei confronti delle persone giuridiche, vengono altresì irrogate nei casi di “infortuni”

sui luoghi di lavoro.

La direttiva dell’Unione europea 2008/99

La Comunità europea, preoccupata per l’aumento degli illeciti in materia ambientale e soprattutto per le conseguenze che questi comportano sull’ambiente e sulla salute dell’uomo, ritiene una risposta adeguata chiamare gli Stati membri al rispetto della direttiva europea 2008/99/Ce, imponendo agli stessi di recepire nelle legislazioni nazionali, l’obbligo di applicare i principi della responsabilità amministrativa degli enti e le relative sanzioni, a seguito di gravi violazioni delle disposizioni del diritto comunitario in materia di tutela dell’ambiente.

La 2008/99/Ce introduce misure di natura penalistica allo scopo di tutelare l’ambiente in modo più efficace;

questo avviene in un contesto di strumenti internazionali tra i quali va ricordata la Convenzione di Basilea sul movimento transfrontaliero di rifiuti. Inoltre i crimini ambientali risultano già inclusi sia tutela penale dell’ambiente nella lista dei reati per i quali può essere emesso il mandato di arresto europeo (decisione quadro del Consiglio 13 giugno 2002, n.2002/584/GAI), sia in quella relativa all’esecuzione nell’Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio (decisione quadro del Consiglio 22 luglio 2003, n.2003/577/GAI). Secondo quanto previsto dall’articolo 174, II, del Trattato istitutivo della Comunità europea (Trattato di Roma del 25 marzo 1957) la materia ambientale deve mirare ad un “elevato livello di tutela”. Non a caso nella direttiva 2008/99/Ce vengono testualmente trascritte le “preoccupazioni”

espresse da parte della Comunità (di seguito indicate), per l’aumento dei reati ambientali e per le loro conseguenze che si estendono al di là delle frontiere degli Stati in cui i reati vengono commessi. Questi illeciti infatti rappresentano una minaccia per l’ambiente ed esigono pertanto una risposta “adeguata”. In particolare la Comunità europea ha evidenziato che:

“ L’esperienza dimostra che i sistemi sanzionatori vigenti non sono sufficienti per garantire la piena osservanza della normativa in materia di tutela dell’ambiente. Tale osservanza può e dovrebbe essere rafforzata mediante la disponibilità di sanzioni penali, che sono indice di una riprovazione sociale di natura qualitativamente diversa rispetto alle sanzioni amministrative o ai meccanismi risarcitori di diritto civile.

L’introduzione di regole comuni sui reati consente di usare efficaci metodi d’indagine e di assistenza, all’interno di uno Stato membro o tra diversi Stati membri.

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Un’efficace tutela dell’ambiente esige, in particolare, sanzioni maggiormente dissuasive per le attività che danneggiano l’ambiente, le quali generalmente provocano o possono provocare un deterioramento significativo della qualità dell’aria, compresa la stratosfera, del suolo, dell’acqua, della fauna e della flora, compresa la conservazione delle specie.

L’inosservanza di un obbligo di agire può avere gli stessi effetti del comportamento attivo e dovrebbe quindi essere parimenti passibile di sanzioni adeguate. Pertanto, tali condotte dovrebbero essere perseguibili penalmente in tutto il territorio della Comunità qualora siano state poste in essere intenzionalmente o per grave negligenza. La legislazione elencata negli allegati della presente direttiva contiene disposizioni che dovrebbero essere soggette a misure di diritto penale per garantire che le norme sulla tutela dell’ambiente siano pienamente efficaci.

Gli obblighi imposti dalla presente direttiva riguardano unicamente le disposizioni della legislazione elencata negli allegati della presente direttiva che obbligano gli Stati membri, in sede di attuazione della legislazione, a prevedere misure di divieto. La presente direttiva obbliga gli Stati membri a prevedere nella loro legislazione nazionale sanzioni penali in relazione a gravi violazioni delle disposizioni del diritto comunitario in materia di tutela dell’ambiente. La presente direttiva non crea obblighi per quanto riguarda l’applicazione di tali sanzioni, o di altri sistemi di applicazione della legge disponibili, in casi specifici.

La presente direttiva lascia impregiudicati gli altri sistemi relativi alla responsabilità per danno ambientale previsti dal diritto comunitario o dal diritto nazionale.

Poiché la presente direttiva detta soltanto norme minime, gli Stati membri hanno facoltà di mantenere in vigore o adottare misure più stringenti finalizzate ad un’efficace tutela penale dell’ambiente. Tali misure devono essere compatibili con il trattato. Gli Stati membri dovrebbero fornire informazioni alla Commissione sull’attuazione della presente direttiva per consentirle di valutare gli effetti della direttiva stessa.

Poiché l’obiettivo della presente direttiva, vale a dire una più efficace tutela dell’ambiente, non può essere realizzato in misura sufficiente dagli Stati membri e può dunque a causa delle dimensioni e degli effetti della presente direttiva, essere realizzato meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.

Ogni qual volta vengano adottati nuovi atti legislativi in materia di ambiente, essi dovrebbero specificare, ove opportuno, che la presente direttiva è di applicazione. Ove necessario, l’articolo 3 dovrebbe essere modificato. La presente direttiva rispetta i diritti ed osserva i principi fondamentali riconosciuti, in particolare, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”.

La direttiva 2008/99/Ce propone un nuovo approccio al sistema delle fonti normative ambientali europee.

Essa infatti si propone, da una parte, il fi ne di armonizzare ed integrare gli ordinamenti giuridici degli Stati membri affinché gli stessi prevedano al loro interno un sistema di responsabilità penale omogeneo; dall’altra, si prefigge lo scopo di facilitare la cooperazione tra i medesimi, in tutti i casi in cui il reato ambientale abbia conseguenze fuori dai confini dei singoli Stati aderenti.

In particolare la direttiva prevede (ai sensi degli articoli 6 e 7) che si adottino le misure necessarie affinché le persone giuridiche siano dichiarate responsabili di un reato e che siano applicate sanzioni “efficaci, proporzionate e dissuasive”.

Le sanzioni per le persone giuridiche introducono su specifica richiesta del legislatore europeo la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (Corporate Liability) quale strumento che i diversi sistemi giuridici (dei singoli Paesi aderenti al Trattato) devono adottare per attuare una efficace protezione dell’ambiente. In tale ottica si evidenzia che, su richiesta del legislatore europeo, al fine di perseguire una efficace protezione ambientale, i diversi Paesi aderenti al Trattato debbono introdurre un sistema di responsabilità amministrativa per le persone giuridiche.

In particolare occorre sottolineare che l’effettività della tutela in sede penale è stata resa possibile anche a seguito di due importanti e innovative sentenze emesse dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, che hanno esplicitamente riconosciuto la competenza degli Organi comunitari ad adottare disposizioni per gli Stati membri, contenenti l’obbligo di “incriminare” determinate condotte, in tutti i casi in cui sia necessario

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assicurare il rispetto delle disposizioni adottate nell’ambito delle politiche europee (compresa quella ambientale).

Infatti nonostante resti ancora in vigore il proverbiale principio “europeo” riguardante la competenza dei singoli Paesi membri a legiferare in materia penale, il quale afferma che: «la legislazione penale e le regole di procedura penale non rientrano tra le competenze comunitarie», la Corte di giustizia delle Comunità europee ha affermato in due sentenze (Corte di giustizia delle Comunità europee, Grande Sezione, 13 settembre 2005, causa C-176/03 e Corte di giustizia delle Comunità europee, Grande Sezione, 23 ottobre 2007, causa C-440/05 (1)) che questo tradizionale principio non “potrebbe” precludere l’emanazione della legislazione comunitaria quando l’applicazione di sanzioni penali “effettive, proporzionate e dissuasive”, costituiscano una misura “indispensabile” per lottare contro i comportamenti gravemente dannosi per l’ambiente.

Pertanto mediante i principi affermati nelle predette sentenze il giudice europeo, ha introdotto la possibilità per gli Organi comunitari di legiferare in materia penale, influendo così sugli ordinamenti dei singoli Paesi, laddove l’applicazione di sanzioni penali: “effettive, proporzionate e dissuasive”, costituisca una misura

“indispensabile”, per lottare contro i comportamenti gravemente dannosi per l’ambiente.

La Corte di giustizia delle Comunità europee prevede altresì la possibilità di obbligare l’applicazione delle misure collegate al diritto penale particolare dei singoli Stati membri e che le stesse misure siano considerate «necessarie» per garantirne la piena efficacia. Pertanto, è ormai imminente l’introduzione nel nostro ordinamento di un sistema sanzionatorio per le persone giuridiche collegato alla responsabilità penale degli individui che detengono una posizione “almeno preminente” al loro interno, ovvero ai soggetti che hanno un potere di vigilanza e quando questo sia “carente”.

Responsabilità giuridica nel t.u. ambientale

Nella legge delega n.300/2000, all’articolo 11,I, è stata prevista l’inclusione dei reati ambientali nel sistema di responsabilità amministrativa degli enti. In data 24 aprile 2007, è stato approvato lo schema di disegno di legge recante: “Disposizioni concernenti i delitti contro l’ambiente”, il quale prevede l’inserimento nel codice penale di un Titolo VI-bis dedicato ai “delitti contro l’ambiente”.

Ma il precedente Governo italiano approvò in sede di Consiglio di Ministri il disegno di legge, e lo stesso non fu approvato dal Parlamento a causa della caduta del Governo. Sebbene con il t.u. ambientale (d.lgs.

n.152/2006) sia stata prevista esplicitamente la possibilità di applicare la responsabilità amministrativa degli enti (articolo 192,IV), occorre sottolineare che da più parti (dottrina e giurisprudenza) si è discussa l’effettiva

“applicabilità” della stessa disciplina.

In particolare con sentenza della Corte di Cassazione n.41329/2008, la Suprema Corte ha ribadito che, allo stato attuale, non è possibile da parte del giudice allargare la lista delle fattispecie ai reati ambientali, perché non sono previsti nell’ampia elencazione tassonomica del d.lgs. n.231/2001.

Quindi la responsabilità amministrativa degli enti non è estendibile ai reati ambientali. In realtà c’è stato un

“timido” tentativo di applicare la responsabilità amministrativa degli enti anche in materia ambientale, sulla base della previsione dell’articolo 192, commi III e IV del t.u. ambientale (d.lgs. n.152/2006), in materia di divieto, abbandono e deposito incontrollati di rifiuti nel suolo (articoli 255-256 t.u. ambientale).

Nella fattispecie l’articolo 255 (Abbandono di rifiuti) punisce, “fatto salvo quanto disposto dall’articolo 256, comma II”, “chiunque, in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 192, I e II … abbandona o deposita rifi uti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee” con una sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra 105 euro e 620 euro (o tra 25 euro e 155 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi e non ingombranti). Il successivo articolo 256,II (Attività di gestione di rifiuti non autorizzata), commina le pene di cui al comma I “ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi I e II”.

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Il collegamento tra gli articoli 255-256 e la responsabilità amministrativa degli enti, è contenuto nel comma IV dell’articolo 192: “Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma III, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni”. Anche se non si è in presenza di una perfetta coincidenza tra i soggetti attivi del reato, di cui all’articolo 256,II (“titolari di imprese e responsabili di enti”) e i soggetti considerati nell’articolo 192,IV (“amministratori o rappresentanti”), la normativa in tal senso è molto chiara. La commissione dell’illecito considerato dall’articolo 192,IV, dà origine ad un illecito amministrativo secondo l’articolo 255,I, se naturalmente commesso da “chiunque”; oppure ad un reato contravvenzionale, secondo l’articolo 256, II, se commesso da “titolari o responsabili di imprese”. Non ci sono particolari dubbi nell’affermare che esista una

“responsabilità solidale della persona giuridica”, se il fatto illecito è imputabile ai soggetti di cui sopra, secondo le disposizioni del d.lgs. n.231/2001, anche se una ricostruzione sistematica del regime dell’obbligazione solidale, introdotta dall’articolo 192,IV risulta “articolata” nei casi limite.

Infatti occorre segnalare la natura “anomala” della inclusione (nei reati presupposti) perché l’obbligo

“solidale” riguarderebbe solo ed esclusivamente l’illecito contravvenzionale (articolo 192,IV), il quale andrebbe poi ad aggiungersi ai reati “231”. Il rinvio a queste disposizioni fa intendere l’applicabilità dei principi di procedimento, accertamento, responsabilità e sanzioni tipiche del d.lgs. n.231/2001.

Qui appare evidente un problema di “procedimento”. In tal caso infatti occorre stabilire fi no a che punto si applicano le disposizioni procedurali del d.lgs. n.231/2001. In particolare ci si chiede se il pubblico ministero che proceda a carico di un “amministratore” per il reato di cui all’articolo 256,II, debba altresì procedere ad iscrivere la persona giuridica nel registro degli indagati, così come previsto dall’articolo 55 del d.lgs.

n.231/2001 (Annotazione dell’illecito amministrativo) che rimanda all’articolo 335 del codice di procedura penale. Sulla base di quanto appena esposto, non sembrerebbe inesatta l’interpretazione secondo cui l’obbligo “solidale” (di fare) nasce indipendentemente dalla commissione di un illecito penale, ma anche nel caso in cui siano commessi illeciti di altra natura. Tuttavia la natura solidale dell’obbligazione è da ricongiungersi alla commissione di un illecito da parte di soggetto, collegato alla persona giuridica.

Il d.lgs. n.231/2001 introduce, come è noto, una responsabilità punitiva da un punto di vista procedurale diretta ed autonoma dell’ente collettivo, correlata a specifiche sanzioni, seppur connessa a quella penale della persona fi sica. L’articolo 192, IV sancisce invece un obbligo solidale a carico della persona giuridica per il pagamento dell’ammenda irrogata alla persona fi sica, secondo uno schema analogo a quello introdotto dall’articolo 6,III della legge n.689/1981.

Dunque nel caso in cui manchi l’imputazione soggettiva, l’ente non risponde (non è tenuto a “fare” alla rimozione/avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti/ripristino dei luoghi) se dimostra di aver adottato ed efficacemente attuato un modello organizzativo idoneo a prevenire l’evento dannoso.

In questo caso se la persona giuridica vuole dimostrare l’adozione e l’attuazione dei modelli preventivi dovrà intervenire formalmente nel procedimento penale.

Per chiarire e apportare argomentazioni sul piano “sistematico” ai modelli dottrinali sopra esposti, può essere proposta una analogia riscontrabile nell’articolo 187-quinquies T.u.f.; analogia che risponde alla domanda riguardante l’applicabilità o meno della responsabilità amministrativa per la persona giuridica.

Ai sensi dell’articolo 187-quinques la persona giuridica: “è responsabile del pagamento di una somma pari all’importo della sanzione amministrativa irrogata per gli illeciti di cui al presente capo (articolo 187-bis – Abuso di informazioni privilegiate e articolo 187-ter – Manipolazione del mercato) commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:

a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria o funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;

b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lett. a)”. La fattispecie

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giuridica, infatti, non è tenuta al pagamento della sanzione amministrativa, ma di una “somma pari all’importo” di quest’ultima. A questo punto è evidente come nell’articolo 192,IV, la sanzione pecuniaria sia connessa ad una contravvenzione e non a un mero illecito amministrativo; non si è ritenuto opportuno in questo caso specifico introdurre una “solidarietà” che potrebbe essere tra l’altro incostituzionale (ai sensi dell’articolo 27, III Costituzione).

Quale recente interpretazione, si riporta la sentenza della Corte di Cassazione (Sezione III) del 2008 numero 41329 (sopra citata), che nelle motivazioni riassume il perché la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ha avuto scarsa applicabilità in genere ed è applicata nelle ipotesi di illecita gestione di rifiuti, nel solo caso di “obbligo di rimozione dei rifiuti in caso di abbandono incontrollato”. “Sembra da escludere, allo stato, la possibilità di estendere la responsabilità amministrativa degli enti al reato di illecita gestione di rifiuti.

Ed invero nonostante l’art. 11, comma 1, lett. d) della l. 29 settembre 2000, n. 300 abbia delegato al Governo la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica anche in relazione alla commissione dei reati in materia di tutela dell’ambiente e del territorio, che siano punibili con pena detentiva non inferiore nel massimo ad un anno anche se alternativa alla pena pecuniaria, previsti, tra le altre, dal decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni (oggi sostituito dal d.lgs. n.152/2006), il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, attuativo della delega, non disciplinava originariamente la materia né risulta che con riferimento a quest’ultima vi siano state successive integrazioni così come accaduto per altri settori. Allo stato l’unico richiamo alla responsabilità amministrativa dell’ente sul tema dei rifiuti sembra essere quello contenuto al comma 4 dell’art. 192 del d.lgs. n.152/2006 che tuttavia, oltre a limitare il riferimento agli amministratori o rappresentanti delle persone giuridiche, espressamente sembrerebbe fare riferimento unicamente alla previsione del comma 3 dell’art. 192 citato che ha per oggetto gli obblighi di rimozione dei rifiuti nel caso di abbandono incontrollato.

Per quanto concerne la responsabilità degli enti, difetta dunque attualmente sia la tipizzazione degli illeciti e sia la indicazione delle sanzioni: il che indiscutibilmente contrasta con i principi di tassatività e tipicità che devono essere connaturati alla regolamentazione degli illeciti”.

I reati ambientali e la responsabilità amministrativa degli enti

La direttiva 2008/99/Ce interviene in modo definitivo e risoluto, dove lo Stato italiano, a partire dal 2000, nonostante la previsione della legge delega 300/2000 (di normare gli illeciti ambientali nella responsabilità amministrativa delle persone giuridiche), non ha ancora in modo completo affrontato la tematica. L’articolo 6 della direttiva prevede infatti per gli Stati aderenti l’introduzione della Corporate Liability, vincolando gli stessi Stati membri a prevedere sanzioni “effi caci, proporzionate e dissuasive” (articolo 7).

La responsabilità amministrativa sarà estesa alle persone giuridiche nei casi in cui gli illeciti commessi siano stati effettuati a vantaggio delle stesse (anche nei casi di agevolazione o istigazione), da parte di qualsiasi soggetto, che agisca individualmente o in quanto parte di un organo dell’ente, il quale detenga una posizione preminente in seno alla stessa basata “sul potere di rappresentanza della persona giuridica o

sul potere di prendere decisioni per conto della persona giuridica, o sul potere di esercizio del controllo in seno a tale persona giuridica” (il tutto per i reati indicati agli articoli 3 e 4 della stessa direttiva).

Reati presupposti nella nuova disciplina normativa

La direttiva 2008/99/Ce all’articolo 3, elenca nove tipologie di fattispecie che dovranno essere considerati, reati presupposti per l’applicabilità della responsabilità amministrativa degli enti, nei casi di dolo (intenzionalità, coscienza e volontà) o con grave negligenza, comprendendo altresì i casi di favoreggiamento e istigazione ad un reato (articolo 4); questi sono:

1) lo scarico, l’emissione o l’immissione illeciti nell’aria, nel suolo o nelle acque, di un quantitativo di sostanze o radiazioni ionizzanti che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, del suolo, delle acque, della flora, della fauna;

2) la raccolta, il trasporto, il recupero o lo smaltimento di rifiuti, comprese la sorveglianza di queste operazioni e il controllo dei siti di smaltimento successivo alla loro chiusura, nonché l’attività di gestione di rifiuti effettuata dal commerciante o intermediario che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, del suolo, delle acque, della flora, della fauna;

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3) la spedizione di rifiuti transfrontalieri effettuata in quantità non trascurabile in un’unica operazione o in più operazioni che risultino fra di loro connesse;

4) l’esercizio di un impianto in cui sono svolte attività pericolose o nelle quali siano depositate sostanze o preparati pericolosi che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, del suolo, delle acque, della flora, della fauna;

5) la fabbricazione, il trattamento, il deposito l’uso, il trasporto, l’esportazione o l’importazione di materiali nucleari o di altre sostanze radioattive pericolose che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, del suolo, delle acque, della fl ora, della fauna;

6) l’uccisione, la distruzione, il possesso o il prelievo di quantità non trascurabili di specie animali o vegetali selvatiche protette;

7) il commercio di quantità non trascurabili di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette o di parti di esse o di prodotti derivati;

8) il significativo deterioramento di un habitat all’interno di un sito protetto;

9) la produzione, l’importazione, l’esportazione, l’immissione sul mercato o l’uso di sostanze che riducano lo strato di ozono. Oltre a quelle che sono le sanzioni penali strettamente intese, la direttiva 2008/99/Ce propone altresì l’introduzione nel d.lgs. n.231/2001 di uno specifico articolo riguardante le sanzioni pecuniarie ed interdittive (per alcuni delitti previsti dal Titolo VI-bis del codice penale), secondo lo schema sotto riportato.

A) sanzioni pecuniarie per i delitti di:

– inquinamento ambientale (articolo 452-bis codice penale);

– danno ambientale (articolo 452-ter codice penale);

– alterazione del patrimonio naturale, della flora e della fauna (articolo 452-quinquies codice penale);

– traffico illecito di rifiuti (articolo 452-septies, I e II codice penale);

– traffico di materiale radioattivo o nucleare (articolo 452-octies I, codice penale);

B) sanzioni pecuniarie e sanzioni interdittive per i delitti di:

– disastro ambientale (articolo 452-quater codice penale):

- traffico illecito di rifiuti quando la condotta ha ad oggetto rifi uti pericolosi o radioattivi o quando dal suddetto traffico ne derivi il pericolo concreto di una compromissione durevole o rilevante per l’ambiente o quando dal predetto traffico ne derivi il pericolo concreto per la vita o l’incolumità delle persone (articolo 452- septies, III, IV e V, codice penale);

– traffico di materiale radioattivo o nucleare quando da detto traffico ne derivi il pericolo concreto di una compromissione durevole o rilevante dell’ambiente o quando dal predetto fatto ne derivi il pericolo concreto per la vita o l’incolumità delle persone (articolo 452-octies codice penale II e III codice penale); C) sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività se l’ente o una sua unità organizzativa vengono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di traffico illecito di rifiuti (articolo 452-septies codice penale) e di traffico di materiale radioattivo o nucleare (articolo 452-octies codice penale).

La direttiva 2008/99/Ce specifica che per persona giuridica ai sensi della stessa debba intendersi: “qualsiasi soggetto giuridico che possieda tale status in forza del diritto nazionale applicabile, ad eccezione degli Stati o delle istituzioni pubbliche che esercitano i pubblici poteri e delle organizzazioni ìnternazionali pubbliche”

(articolo 2).

Tale disposizione dovrà essere letta in combinato disposto con l’articolo 1 del d.lgs. n.231/2001 il quale diversamente statuisce che la disciplina si applica agli “enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica. Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale”.

Le persone giuridiche possono essere dichiarate responsabili quando si è in presenza di “carenza di sorveglianza o controllo da parte di un soggetto di cui al paragrafo 1 abbia reso possibile la commissione di un reato di cui agli articoli 3 e 4 a vantaggio della persona giuridica da parte di una persona soggetta alla sua autorità”. La responsabilità delle persone giuridiche ai sensi dei paragrafi 1 e 2 non esclude l’azione penale nei confronti delle persone fi siche che siano autori, incitatori o complici dei reati di cui agli articoli 3 e 4.

Per ciò che concerne la tempistica di attuazione la direttiva obbliga gli Stati a mettere in vigore: “le

(8)

anteriormente al 26 dicembre 2010”. Gli Stati membri dovranno comunicare alla Commissione il testo delle disposizioni essenziali di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva, e fornire altresì una tavola di concordanza tra tali disposizioni e la presente direttiva.

Note

(1) Corte di giustizia delle Comunità europee, grande sezione, 13 settembre 2005, causa C-176/03, con la quale è stata annullata la decisione quadro relativa alla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale (2003/80/GAI), affermando che la Comunità, anche se non dispone si una competenza normativa “generale” in materia penale, può adottare provvedimenti finalizzati al riavvicinamento delle legislazioni penali nazionali in materia di ambiente, ove ciò risulti necessario a garantire piena efficienza al diritto comunitario. Corte di giustizia delle Comunità europee, grande sezione, 23 ottobre 2007, causa C-440/05, per l’annullamento della decisione quadro 2005/667/GAI intesa a rafforzare la cornice penale per la repressione dell’inquinamento provocato dalle navi.

In violazione:

(A) di una delle 69 direttive comunitarie emanate a protezione dell’ambiente e adottate in base al Trattato Ce, dettagliatamente elencate nell’Allegato A;

(B) delle attivita previste nel Trattato Euratom e delle 3 direttive adottate in base al trattato Euratom ed elencate nell’Allegato B;

(C) di un atto legislativo, un regolamento o una decisione adottata da una autorità competente di uno Stato membro che dia attuazione alla legislazione comunitaria indicata ai punti (1) e (2).

Si tratta, altresì, di crimini per i quali Europol ed Eurojust possono attivare le proprie competenze nei casi in cui le investigazioni coinvolgano più paesi dell’Unione europea.

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