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LAVORO E SVILUPPO NEL MEZZOGIORNO

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Academic year: 2022

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LAVORO E SVILUPPO NEL MEZZOGIORNO

di MICHELE TIRABOSCHI*

"Il titolo del convegno è molto bello:

LAVORO E SVILUPPO NEL MEZZOGIORNO:

FLESSIBILITA' E PRECARIETA'1 ed è anche un titolo molto difficile per me che non conosco2se non in modo superficiale la realtà della vostra regione. Per questa ragione la prima cosa che ho cercato di fare è stata quella di capire meglio il reale funzionamento del mercato del lavoro in Puglia, per poi cercare di spiegare cosa la legge Biagi può fare o non può fare rispetto a tematiche complesse come quelle del lavoro di qualità e dello sviluppo. Il punto di partenza più autorevole non poteva che essere, per me, il DOCUMENTO STRATEGICO DELLA REGIONE PUGLIA 2007-2013 che penso dia una fotografia che va al di là del dibattito PRECARIETA'-FLESSIBILITA', perché ci dice qualcosa di più e precisamente che qui, in questa Regione, il problema del rapporto flessibilità – precarietà è un falso problema.

Leggendo con attenzione questo

1 Il presente scritto è la trascrizione dell’intervento tenuto dal Prof. Michele Tiraboschi nel convegno dal titolo “Lavoro e sviluppo nel mezzogiorno: occupazione flessibile e garanzie contro la precarietà” tenutosi a Bari il 27 ottobre 2006

2 * Il Prof. Michele Tiraboschi è ordinario di Diritto del Lavoro presso l’Università di Modena e Reggio Emilia facoltà di Economia e Direttore del centro studi internazionali e comparati

“Marco Biagi”.

documento strategico mi sono infatti chiesto: MA FACCIAMO BENE NOI OGGI QUI, IN PUGLIA, A CONFRONTARCI SULLA ALTERNATIVA FLESSIBILITA'-PRECARIETA'

? I dati parlano chiaro. Il tasso di occupazione in Puglia è del 45%, quindi meno di 1 persona su 2 ha un lavoro. La situazione diventa ancora più preoccupante se si guarda alla occupazione delle donne; dalle statistiche del documento strategico si rileva che ben il 70% delle donne non ha un lavoro o almeno un lavoro regolare.

Tassi di disoccupazione: sono al 15%, ma a livello nazionale il tasso di disoccupazione è sceso al 7% e se poi si parla dei giovani, cioè coloro che hanno meno di 25 anni, tale tasso è addirittura del 35%. Infine, il lavoro nero è stimato in Puglia intorno al 21%.

La cosa che più mi ha colpito di tale documento strategico è, in ogni caso, una tabella molto sintetica la quale dice che da qui al 2013 non cambierà nulla in Puglia, ci sarà sì un piccolo incremento dei tassi di occupazione, e cioè un modestissimo passo in avanti rispetto alla situazione presente, ma tutto questo significa che la Puglia farà grandissimi passi indietro se noi parliamo dei tassi di crescita, sviluppo e occupazione rispetto al resto dell'Europa, ma anche nord Italia.

La Legge Biagi risente un po’ di queste difficoltà, che sono difficoltà oggettive forse dovute all’area geografica in cui nasce: un'area

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geografica fortunata, con una economia dinamica e in continua crescita come quella della EMILIA ROMAGNA. Nasce in una Facoltà di Economia. Il diritto del lavoro in tale facoltà non era molto considerato e quindi si è cercato di far capire agli studenti come anche in una facoltà di economia il diritto del lavoro possa avere una funzione. Il diritto del lavoro può anche essere un diritto dell'impresa o meglio uno strumento di competitività per le imprese senza per questo rinnegare la sua matrice più profonda che è quella di essere prima di tutto un diritto al servizio dei valori, certamente, ma delle persone in carne ed ossa ancora di più.

La Legge Biagi vuole superare una visione puramente giuridica e formalistica dei modelli organizzativi d'impresa, perchè tali modelli oggi rischiano di andare per conto loro e spesso non rispecchiano neppure la reale evoluzione dei rapporti economici e sociali. Un eccessivo formalismo rischia di essere pura astrazione e di consentire, dietro la purezza e il carattere assoluto delle norme, una deregolamentazione strisciante dei rapporti di lavoro di cui le prime vittime sono gli stessi lavoratori o spesso anche quanti non riescono neppure a entrare in modo regolare nel mercato del lavoro. I dati richiamati prima sulla economia pugliese mi pare parlino chiaro.

Confrontandoci con le logiche di una facoltà di economia, e riflettendo sul significato della nostra disciplina in questa facoltà, abbiamo cominciato a pensare che il diritto del lavoro non è solo uno strumento di tutela del lavoratore. Non nego l’evidenza e una delle ragioni storiche di un diritto che è sicuramente strumento e tecnica di protezione della persona che lavora.

Però è del pari vero che spesso questa

tecnica di tutela è stata costruita e/o utilizzata in modo abnorme ben oltre cioè le esigenze di tutela del lavoratore, perchè laddove i contratti a termine o quelli a tempo parziale sono molto inferiori al lavoro nero o anche al numero di persone in stato di disoccupazione, allora vuol dire che il diritto del lavoro ha fallito il suo obiettivo ed è una barriera rispetto alla inclusione del lavoratore nel mercato.

Per non parlare poi di quelle norme e di quelle regole che hanno valenza in sé senza alcuna concreta rispondenza a una esigenza di tutela della persona che lavora.

Il diritto del lavoro in questa prospettiva può essere letto e utilizzato anche in modo diverso da quello tradizionale e cioè come strumento di competizione tra le imprese, uno strumento importante per creare sviluppo e crescita.

La Legge Biagi vuole cambiare la visione tradizionale (ma storicamente assai più complessa e meno lineare) del lavoro come mera tecnica unilaterale di tutela del contraente debole ed è per questo che, possa piacere o meno, dice che il diritto del lavoro deve farsi carico anche di altre funzioni e compiti: l’art.

1 del decreto attuativo di questa legge dice che obiettivo prioritario è quello di: INCREMENTARE I TASSI DI OCCUPAZIONE REGOLARE.

La Legge Biagi contiene un articolo che è il primo che dovrebbe essere attuato oggi ed è l’art. 17 del decreto attuativo il quale dice: la cosa più importante è quella di avviare finalmente anche nel nostro Paese un sistema serio, condiviso, autorevole, di monitoraggio del mercato del lavoro.

Peraltro qui la riforma richiamava una serie di indicatori europei, volti ad incrementare i tassi di occupazione

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regolare ispirandosi a delle politiche comunitarie. Alla luce di tutto questo si spiega la natura genuinamente sperimentale di questa legge. Provare nuove soluzioni e idee, sperimentare in modo pragmatico e leale, per poi valutare dopo qualche anno alla luce di un attento monitoraggio.

Sappiamo che oggi in Italia siamo passati da 21 milioni di lavoratori a 23 milioni, quindi l’ occupazione è cresciuta, poco nel Mezzogiorno e molto al Nord e questo è un risultato importante, anche se ancora insoddisfacente, perché tutto questo significa maggiore crescita e sviluppo:

più persone lavorano regolarmente, più persone pagano le tasse, pagano i contributi, c’è più ricchezza da distribuire. Questa era l’anima della Legge Biagi, l’anima buona di questa legge.

L’obiettivo è quello secondo cui occorre costruire dei percorsi di incremento dei tassi di occupazione.

La Legge Biagi nota come la legge sulla flessibilità (e dunque per taluno legge sulla precarietà) ha dei capitoli interi che parlano di tutt’altro e cioè parlano di: servizi per l’impiego, ruolo delle università e delle scuole nella transizione verso il mercato del lavoro;

essa dice che le scuole devono creare uffici di collocamento; peraltro avere uffici di collocamento nelle università è l’art 7 della Legge Biagi ha una valenza importantissima per creare sui territori reti formali di relazione su misura delle singole realtà.

La Legge Biagi non è una legge standardizzata, di rilevanza puramente nazionale, ma ha grandissimi capitoli che rinviano alle regioni per la fase attuativa e se poi qualcuno è attento in questa opera di monitoraggio si rende conto che pochissime regioni hanno

legiferato e attuato questi rinvii.

Si immaginava di creare una rete formale di accompagnamento, di transizione nel mercato del lavoro; la vera precarietà è il fatto che un giovane esce dalle università tardi, mediamente intorno ai 28 anni, e staziona 6 mesi, 1 anno sulla soglia del mercato del lavoro senza trovare qualcuno che gli dica: ti aiuto a trovare una occupazione! Certo qualcuno c’è che ti dice questo, ma in genere chi presidia queste aree ha degli interessi sul giovane di altra natura: gli offre percorsi formativi a pagamento, gli offre l’ennesimo tirocinio, tende a tenerlo il più possibile fuori dal mercato del lavoro. La prima vera risposta al precariato è quella di creare servizi pubblici e privati per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro che aiutino a ottimizzare le fasi dell’ingresso nel mercato del lavoro.

La Legge Biagi ha una norma ed è l’art 50 la quale parla di apprendistato di alta formazione che dice che oggi un ragazzo della laurea triennale, biennale ed anche un dottorando può essere assunto da un’azienda che si fa carico dello studente. Questa è una opportunità che viene data al giovane che si fa entrare presto nel mercato del lavoro, di sviluppare percorsi formativi in alternanza, comunque coerenti con le esigenze delle imprese.

La occupabilità della quale si occupa la Legge Biagi è per me la vera STABILITA’.

Inoltre il giovane in sé non è un soggetto debole, ma anzi è forse la parte migliore del mercato del lavoro, il vero problema è di come avvicinare le imprese ai giovani, come accelerare i percorsi di inserimento nel mercato del lavoro, la transizione nel mercato del lavoro, di come potenziare e rafforzare i percorsi formativi.

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Ragioniamo sulla normativa relativa AL LAVORO A TERMINE, CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO, tale normativa rappresenta un po’

l’anticipazione della Legge Biagi.

Essa dice che il diritto del lavoro deve sapersi fare partecipe dei valori dell’impresa, perché l’impresa non è un disvalore, ma è un valore perché crea occupazione, crea ricchezza e quindi su queste aree tematiche si vuole un diritto del lavoro nuovo che non solo prenda in sé i valori tradizionali di tutela del lavoratore, ma che promuova anche i valori dell’impresa.

Io ritengo che la normativa sul lavoro a termine, l’art 1 del decreto 368|2001 sia una normativa eccezionale, voluta dalle parti sociali non tutte, è eccezionale perché dice una cosa molto importante mi riferisco a: libertà, potere, dignità, essa dice che l’imprenditore ha diritto in azienda di fare tutto quello che vuole, purché risponda ad esigenze tecniche, organizzative, produttive. Traducendo si ha che: l’imprenditore ha diritto di fare l’imprenditore! Chi può e deve sindacare le scelte aziendali sono i sindacati non certo un giudice che ha un altro compito molto più importante:

quello di reprimere e sanzionare le frodi e l’uso illegittimo del potere da parte del datore di lavoro, non certo quello di condizionare i modelli di gestione dell’impresa e di organizzazione del lavoro.

C’è comunque una difficoltà enorme nel governare questi fenomeni e il tema su cui spesso si discute è quello DELLE COLLOBORAZIONI COORDINATE E CONTINUATIVE dove si annuncia un intervento di innalzamento dei contributi, innalzamento significativo dei contributi non solo per i co.co.co.

ma anche per l’apprendistato.

Chiedo a Battafarano: ma siamo sicuri che questa è la prospettiva giusta?

Già noi abbiamo tantissima evasione, tantissimo lavoro nero e abbiamo una forma di lavoro che per il legislatore è lavoro autonomo, la legge dice che: le collaborazioni ancorché coordinate e continuative sono svolte senza vincolo di dipendenza.

Non stiamo forse, innalzando i contributi, costruendo un lavoro dipendente di serie B? Noi stiamo andando a legittimare, come successe nel ’95 con la riforma Dini quest’area grigia, perché più alti sono i contributi più stiamo consentendo alle imprese di non fare ricorso al rapporto di lavoro dipendente e stabile, ma di utilizzare quest’area grigia. Questo è pericoloso come è pericoloso l’intervento sull’apprendistato, perché qui ipotechiamo le sorti di uno strumento che non ha mai funzionato in Italia cioè i contratti per i giovani, quelli formativi. Con questo aggravio del costo del lavoro noi andiamo contro lo sviluppo di questa forma di lavoro.

Neanche le regioni più avanzate e innovative fanno formazione; meno del 30-35% dei giovani in apprendistato ha formazione; non ci sono le condizioni per la occupabilità e ciò significa consegnare ai giovani finti contratti di formazione, dove c’è lavoro a termine e quindi precario. Nel nuovo apprendistato, io leggo, la vecchia vicenda dei gloriosi contratti di formazione-lavoro che si sono trasformati in aiuti di Stato alle imprese, di modo che l’Unione europea, che legge il diritto del lavoro nell’ottica della concorrenza, viene a dire che questi sono aiuti di Stato e non sono misure per la occupabilità.

La Legge Biagi è letta come flessibilità o precarietà a seconda delle simpatie o antipatie, per qualcuno è

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buona perché la flessibilità è un valore, per altri non lo è perché la precarietà è un disvalore, ma la Legge Biagi non parla di questo.

L’istituto più odiato della Legge Biagi si chiama STAFF LEASING. Cos’è lo staff leasing? E’ una tipologia di lavoro per la quale un lavoratore lavora con una impresa e quest’ultima lo manda a lavorare presso un’altra impresa, questa è una forma che non piace perché si dice che è la forma estrema di precarizzazione.

Il lavoratore di staff leasing è normalmente assunto a tempo indeterminato da una multi-nazionale o comunque da un’azienda solida che per lavorare deve dimostrare di avere una cultura finanziaria, organizzativa, deve essere autorizzata; è un lavoratore assunto da una grande impresa e viene pagato come se fosse direttamente assunto dall’utilizzatore, in più ha un 4%

che viene destinato per la sua formazione, per la emersione del lavoro sommerso, come ammortizzatore sociale e viene considerata come una forma estrema di precarizzazione. Come si fa a dire che questo lavoratore è un precario? E’ forse il più stabile e tutelato di tutti e chi non riconosce questo dato di fatto è probabilmente accecato dalla ideologia, perché negare questa e altre forme di lavoro significa incentivare gli appalti di servizi, le esternalizzazioni selvagge, i finti co.co.co.. Ma allora torniamo al punto di partenza del mio discorso e capiamo non solo perché in molte aree del Paese non c’è lavoro ma anche e soprattutto perché questa situazione non è destinata a mutare nei prossimi anni.

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