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CAPITOLO I: IL CONCETTO DI PERICOLOSITÀ SOCIALE POST- DELICTUM E LE MISURE DI SICUREZZA PERSONALI. 1. La nascita del concetto di pericolosità sociale: la Scuola positiva.

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1

CAPITOLO I:

IL CONCETTO DI PERICOLOSITÀ SOCIALE

POST-DELICTUM E LE MISURE DI SICUREZZA

PERSONALI.

1. La nascita del concetto di pericolosità sociale: la

Scuola positiva.

Il concetto di pericolosità sociale trova definitivamente

consacrazione come categoria del diritto penale con la Scuola

positiva.

Infatti, precedentemente, tale concetto era affiorato solo

sporadicamente nel diritto penale. In particolare, durante l’epoca

romana era stata stabilita la distinzione tra sanzioni eliminative e

retributive, fondata sulla distinzione tra prevenzione sociale e

retribuzione ed in cui la custodia presso i parenti dell’infermo di

mente prosciolto aveva come fine la tutela della collettività da detti

individui.

1

Con la Scuola positiva, invece, muta completamente la prospettiva

con la quale si guarda il reato. Esso viene concepito non più come

ente concettuale costruito su principi di ragione, ma come

fenomeno naturale, bio-psicologico e sociale: cioè come azione

reale di un uomo concreto, esposto alla contemporanea influenza di

fattori

fisici,

antropologici

e

sociali.

Questi

eterogenei

condizionamenti sarebbero tali da escludere il libero arbitrio:

1

CALABRIA A., «Pericolosità sociale», in Digesto delle discipline

(2)

2

l’uomo sarebbe portato a delinquere proprio da quei

condizionamenti indipendenti dalla libertà di scelta.

2

La concezione deterministica dunque conduce alla eliminazione del

concetto di colpevolezza, proprio della Scuola classica, ma non fa

venir meno la necessità di giustificare la punizione, essa si ha non

tanto (e non solo) perché è stato commesso un reato, ma perché

l’autore è pericoloso per la società: «si deve punire non il fatto,

bensì l’autore».

3

Subentra quindi il concetto positivistico della pericolosità sociale e

della reazione penale quale strumento di difesa sociale: l’uomo che

delinque è un soggetto socialmente pericoloso perché incline a

commettere azioni che danneggiano la collettività, è necessario

quindi neutralizzare la pericolosità soggettiva del delinquente per

proteggere la società.

4

Per quanto riguarda i rapporti tra pericolosità e reato,

ontologicamente sono entità distinte: il reato è un accadimento che

avviene in una sfera temporale circoscritta, mentre la pericolosità

implica una situazione soggettiva durevole nel tempo (anche se non

necessariamente permanente). La pericolosità inoltre non ha alcun

necessario riferimento al fatto concreto, perché concettualmente

può anche esistere a prescindere dal reato e non esercita alcuna

influenza sul reato, dal momento che la gravità del reato è

indipendente dalla pericolosità sociale del suo autore.

5

Queste sono le premesse di fondo della Scuola Positiva, ma

esistono al suo interno orientamenti differenziati in relazione al

rispettivo peso da attribuire ai fattori fisici, antropologici e sociali

6

,

2 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, parte generale, Bologna, VI edizione,

2009, p. XXV.

3 MUSCO E., La misura di sicurezza detentiva, profili storici e costituzionali,

Milano, 1978, p.58.

4

FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., p. XXV.

5

CALABRIA A., «Pericolosità sociale», cit., p.453.

(3)

3

che hanno portato il soggetto a delinquere e che quindi devono

essere rimossi per poter restituire il soggetto alla società in modo

che esso non torni a delinquere.

7

Cesare Lombroso, iniziatore della Scuola con l’opera L’uomo

delinquente del 1876 e grande sostenitore del determinismo

biologico,

8

riteneva infatti di fondamentale importanza lo studio

della costituzione antropologica del reo, attraverso «l’esame fisico

e morfologico e la classificazione dei suoi tratti fisiognomici, volto

a delineare universalmente le diverse specie di devianti, i tipi

criminali (da cui l’immensa casistica lombrosiana)»

9

, pur

riconoscendo la possibilità, seppur minima, che altri fattori

influissero sulla predisposizione a delinquere.

10

Lombroso stesso sosteneva di aver avuto un’intuizione riguardo

alle cause della criminalità grazie all’autopsia del brigante Vitella

che presentava una fossetta occipitale mediana, un’anomalia della

struttura cranica, tipica degli stadi embrionali, che lo avrebbe

portato dunque a delinquere:

11

non aveva, cioè, compiuto il salto

evolutivo, ma era rimasto ad uno stato di regressione atavica che lo

avrebbe spinto a commettere reati.

12

Garofalo, altro esponente della Scuola positiva, poneva, invece,

maggiore attenzione sui fattori psicologici e psichiatrici, sulla

personalità dell’autore e sulle sue presunte anomalie psichiche, a

prescindere dal fondamento biologico o meno di tali anomalie.

13

Ferri, invece, si concentrava maggiormente sui fattori sociali e sulla

loro possibile influenza sulla delinquenza. I fattori in questo caso

possono essere sociali, economici o ambientali, rimuovendo i quali

7

VENAFRO E., Appunti di criminologia, inedito, p.3.

8 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale,cit., p. XXV.

9 VOLPE G., Storia costituzionale degli italiani, l’Italietta (1861-1915), Torino,

2009, p.117.

10

VENAFRO E., Appunti di criminologia, cit., p.4.

11

FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., p. XXV.

12

VENAFRO E. Appunti di criminologia, cit., p.4.

(4)

4

elimineremmo le forme di delinquenza legate all’organizzazione

sociale classista, ma non altre forme di criminalità.

14

A prescindere dai diversi fattori che secondo gli esponenti della

Scuola positiva portano un soggetto a delinquere, elemento comune

è la negazione del libero arbitrio, per cui il soggetto che delinque

non deve essere sottoposto a un giudizio di colpevolezza

individuale, ma deve essere considerato

«oggettivamente

responsabile nei confronti della società per il semplice fatto di

realizzare comportamenti dannosi che trovano causa in una

condizione soggettiva di pericolosità».

15

Proprio a questi principi positivistici si ispirò il progetto di codice

penale del 1921 elaborato da Ferri, su iniziativa del Guardasigilli

Mortara.

16

Lo scopo della riforma sarebbe stato quello di arginare,

con nuove misure di difesa sociale, la crescente delinquenza del

dopoguerra. Ferri dunque codificò il principio della responsabilità

penale e della pericolosità sociale del delinquente e, inoltre,

introdusse sanzioni penali indeterminate.

17

Tentò di

«consacrare

legislativamente la unificazione dei due mezzi di difesa sociale

contro il reato, pervenendo a un tertium genus, in cui la pena perde

i suoi connotati afflittivi e la misura di sicurezza si ammanta di

attributi sanzionatori».

18

Il Progetto non è stato discusso in sede

parlamentare a causa delle vicende politiche che seguirono.

14 FERRI E., Sociologia criminale, Torino, 1929, p472. 15 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., p. XXVIII. 16

BRESCIANI L., Appunti di diritto penitenziario, inedito, p 102.

17

FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., p. XXIX

18

FERRI E., Relazione ministeriale, in appunti di diritto penitenziario, Bresciani L.

(5)

5

2. Il codice Rocco e il doppio binario.

Il codice del 1930, a differenza del progetto del 1921, si preoccupa

di salvaguardare la tradizionale autonomia della pena. Per poter

sottoporre a pena un soggetto, è necessario che questo abbia la

capacità di intendere e volere, cioè che sia imputabile. La

tradizionale pena però viene affiancata dalla misura di sicurezza,

che ha come presupposto la pericolosità sociale

19

. Quindi pena e

misura di sicurezza sono due istituiti eventualmente concorrenti,

ma distinti nella loro essenza. Rocco introduce un’assoluta novità:

le misure di sicurezza e dunque il sistema del doppio binario.

20

La

misura di sicurezza si applica agli imputabili e semi imputabili in

aggiunta alla pena, ai non imputabili si applica esclusivamente la

misura di sicurezza, ovviamente se ne sussistono i presupposti.

L’introduzione del doppio binario permette un controllo nei

confronti dei soggetti non imputabili, che non sono, in particolare,

sottoponibili a pena

21

, in conformità alle tendenze

politico-criminali dell’epoca, favorevoli al potenziamento della difesa

sociale mediante misure volte a neutralizzare la pericolosità sociale

di determinate categorie di rei.

22

19 BATTAGLINI G., La natura giuridica delle misure di sicurezza, in Rivista di

diritto penitenziario: studi teorici e pratici, volume 2, Roma, 1930, p.1287.

20

MUSCO E., La misura di sicurezza detentiva, cit., pp91-92.

21

BRESCIANI L., Appunti di diritto penitenziario, cit., p 102.

(6)

6

2.1 I presupposti di applicazione della misura di

sicurezza: il fatto previsto dalla legge come reato e

la pericolosità sociale.

L’articolo 202 del c.p. stabilisce che l’applicazione delle misure di

sicurezza è subordinata all’esistenza di due presupposti: la

commissione di un fatto previsto dalla legge come reato

(presupposto oggettivo) e la pericolosità sociale del soggetto

(presupposto soggettivo).

La presenza del presupposto oggettivo potrebbe apparire superflua

perché le misure di sicurezza hanno una funzione

special-preventiva e quindi la loro vera ragion d’essere si basa sul

presupposto soggettivo. Si potrebbe pensare che in un’ottica di

prevenzione sia irrilevante che il soggetto abbia o meno commesso

un reato, potrebbe interessare solo la probabilità che ne commetta

in futuro. Ma la previa commissione di un reato rispecchia esigenze

garantistiche dal momento che la misura di sicurezza incide

pesantemente sulla libertà personale. Inoltre, visto che il concetto

di pericolosità sociale è manipolabile, il presupposto oggettivo

«dovrebbe assolvere la funzione di indice obiettivamente visibile,

di sintomo sufficientemente rivelatore della pericolosità sociale».

23

Il comma 2° dell’articolo 202 c.p. prevede due eccezioni al comma

1°, tassativamente stabilite dalla legge: è possibile l’applicazione di

una misura di sicurezza anche nelle ipotesi di quasi-reato, cioè nel

caso di reato impossibile (art. 49 c.cp.) e nel caso di accordo

criminoso non eseguito o istigazione a commettere un delitto, se

l’istigazione non viene accolta (art. 115 c.p.).

24

Questa eccezione si

23

FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., p. 823.

(7)

7

ha per il fatto che il soggetto, con un comportamento del genere, ha

dimostrato di avere una certa pericolosità.

25

L’altro presupposto per l’applicazione delle misure di sicurezza è la

pericolosità sociale, presupposto di carattere soggettivo.

Tale presupposto è definito dall’art. 203 c.p., dal quale si desume

che la qualità di persona socialmente pericolosa è attribuita ad un

soggetto che ha commesso un reato o un quasi-reato; può essere

dichiarato socialmente pericoloso anche il soggetto incapace di

intendere e di volere o non punibile per ragioni o qualità personali;

tale declaratoria può aver luogo quando il giudice ritenga che il

soggetto abbia la probabilità di commettere nuovi reati; per la

valutazione della pericolosità sociale il giudice deve tener conto di

tutti i parametri dell’articolo 133 c.p.

26

(anche se con la legge

81/2014 è necessario tener conto della parziale modifica della

disciplina per quanto riguarda l’applicazione della misura

dell’ospedale psichiatrico giudiziario e la casa di cura e custodia,

mentre per l’applicazione delle altre misure di sicurezza il giudice

continua a dover valutare tutti gli elementi dell’articolo 133 c.p.)

27

.

È opportuno fare alcune precisazioni.

Il giudizio probabilistico ha come oggetto la futura commissione di

qualsiasi reato e non, come in altri ordinamenti, una categoria

determinata di reati.

28

Inoltre la struttura probabilistica della

pericolosità comporta enormi dubbi sul rispetto del principio di

determinatezza. Non è chiaro infatti quale percentuale di

probabilità sia rilevante per supportare un certo risultato

prognostico. I riferimenti giurisprudenziali e dottrinari infatti

denunciano il carattere inaffidabile del concetto di pericolosità.

29

25 CARACCIOLI I., Manuale di diritto penale,cit., p 804. 26 CARACCIOLI I., Manuale di diritto penale, cit., p 804. 27

V. infra, capitolo IV.

28

FORNARI L., Misure di sicurezza e doppio binario: un declino inarrestabile?, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, Milano, 1993, p.580

(8)

8

Come base del giudizio prognostico il giudice, ex art. 203 c.p., è

tenuto ad utilizzare gli indici dell’articolo 133 c.p.

30

che devono,

dunque, essere utilizzati per la prognosi criminale, mentre in sede

di commisurazione della pena gli elementi ivi indicati devono

essere valutati in funzione del giudizio di responsabilità.

31

«Da un

punto di vista criminologico l’indicazione degli elementi dai quali

va desunta la pericolosità non potrebbe essere più completa e gli

elementi in parola riguardano quei fattori abitualmente impiegati

dall’indagine individuale clinico-criminologica, in cui si procede,

appunto, alle rilevazioni sulla personalità, la strutturazione psichica

ed i fattori motivazionali, all’indagine anamnestica individuale e

comportamentale, all’indagine ambientale».

32

Viene, poi, richiesta

un’indagine che necessita, per i soggetti non imputabili e

semi-imputabili, anche dell’opera coordinata di criminologi, medici,

psicologi, psichiatri, assistenti sociali

33

. Per quanto riguarda i

soggetti imputabili, invece, la legge affida l’indagine

esclusivamente al giudice, richiedendogli spesso indagini

particolarmente tecniche, che esulano dalla sua competenza.

34

L’art. 203 c.p. riguarda la cd pericolosità generica.

Nel codice penale sono presenti alcune forme di pericolosità

sociale specifica: il delinquente abituale, il delinquente

professionale e il delinquente per tendenza.

In origine tali forme di pericolosità erano, a seconda delle ipotesi,

presunte dalla legge o accertabili dal giudice. In seguito

all’abrogazione delle presunzioni di pericolosità (art. 31 l.

n.663/1986), anche tali forme di pericolosità devono sempre essere

accertate dal giudice. Considerati nella loro reale consistenza

30 V. infra, capitolo II.

31 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., pp. 825-826. 32

SICLARI B., Applicazione ed esecuzione delle misure di sicurezza personali, Milano, 1977, p 46.

33

V. infra, capitolo III.

(9)

9

criminologica, questi tre tipi di pericolosità appaiono oggi

anacronistici.

Il delinquente abituale è quel soggetto per cui la ripetizione di un

certo comportamento attenua i freni inibitori e rende più facile la

commissione di altri reati.

L’art. 102 c.p. prevedeva una presunzione assoluta di delinquenza

abituale in presenza dei requisiti indicati dalla norma,

35

ma la legge

Gozzini ha abolito le presunzioni di pericolosità, quindi parte della

dottrina ritiene, per salvare il più possibile la regolamentazione

previgente, che la presunzione da assoluta sia diventata relativa: il

giudice secondo questa interpretazione dovrebbe verificare se nella

realtà sussista quella pericolosità presunta dalla legge. Altri invece

ritengono tale articolo abrogato.

L’art. 103 c.p. prevede l’abitualità al delitto valutata e dichiarata

dal giudice in presenza di alcuni requisiti indicati dalla norma

36

, e

stessa valutazione richiede l’art. 104 c.p.

37

per l’abitualità alle

contravvenzioni

38

.

35

Art. 102, comma 1, c.p.: “è dichiarato delinquente abituale chi, dopo esser stato condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a cinque anni per tre delitti non colposi, della stessa indole, commessi entro dieci anni, e non contestualmente, riporta un’altra condanna per un delitto non colposo, della stessa indole, e commesso nei dieci anni successivi all’ultimo dei delitti precedenti”.

36

Art 103 c.p.: “fuori del caso indicato nell’articolo precedente, la dichiarazione di abitualità nel delitto è pronunciata anche contro chi, dopo esser stato condannato per due delitti non colposi, riporta un’altra condanna per delitto non colposo, se il giudice, tenuto conto della specie e gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del colpevole e delle altre circostanze indicate nel capoverso dell’articolo 133, ritiene che il colpevole sia dedito al delitto”.

37

Art. 104 c.p.: “chi, dopo esser stato condannato alla pena dell’arresto per tre contravvenzioni della stessa indole, riporta condanna per un’altra contravvenzione, anche della stessa indole, è dichiarato contravventore abituale, se il giudice, tenuto conto della specie e gravità dei reati, del tempo entro il quale sono stati commessi, della condotta e del genere di vita del colpevole e delle altre circostanze indicate nel capoverso dell’articolo 133, ritiene che il colpevole sia dedito al reato”.

(10)

10

Il delinquente professionalità, ex art 105 c.p., è un tipo particolare

di delinquente abituale, ma con un elemento in più: il soggetto

vive, anche solo in parte, dei proventi del reato.

Il delinquente per tendenza, a differenza delle altre due figure, può

essere anche colui che viola la legge penale per la prima volta l’art.

108 c.p.

39

indica alcuni requisiti in presenza dei quali sia evidente

una particolare inclinazione al delitto.

La dichiarazione di delinquenza abituale, professionale o per

tendenza comporta l’applicazione di una misura di sicurezza perché

queste sono forme speciali di pericolosità sociale, che è il

presupposto soggettivo per l’applicazione di misure di sicurezza.

40

2.2 L’applicazione delle misure di sicurezza.

La competenza ad applicare le misure di sicurezza è, di regola,

affidata al giudice di cognizione nella stessa sentenza di condanna

o di proscioglimento, ex art. 205 cp. Esiste inoltre la possibilità di

un intervento, di carattere suppletivo, del magistrato di

sorveglianza.

41

L’attribuzione al giudice di cognizione del potere di applicare le

misure di sicurezza si giustifica per il fatto che questi, «conoscendo

e valutando compiutamente il fatto di reato, si trova nella migliore

posizione per giudicare anche dell’esistenza della pericolosità

39

Art. 108 c.p.: “è dichiarato delinquente per tendenza chi, sebbene non recidivo o delinquente abituale o professionale, commette un delitto non colposo, contro la vita o l’incolumità individuale, anche non preveduto dal capo primo del titolo dodicesimo del libro secondo di questo codice, il quale, per sé e unitamente alle circostanze indicate nel capoverso dell’articolo 133 riveli una speciale inclinazione al delitto, che trovi sua causa nell’indole particolarmente malvagia del colpevole”.

40

CARACCIOLI I., Manuale di diritto penale, cit., pp. 600-605.

(11)

11

sociale»,

42

anche se l’art. 220 c.p.p. vieta l’indagine sulla

personalità del reo al giudice di cognizione e questo non facilita il

compito

43

.

In sede di cognizione , l’applicazione di una misura di sicurezza

può avvenire sia con una sentenza di condanna, sia con una

sentenza di proscioglimento. L’applicazione di una misura con

sentenza di proscioglimento è possibile solo nei casi in cui essa

possa applicarsi a soggetti non imputabili

44

(con i limiti risultanti

dalla sent. C. cost. n.41/1993 che ha previsto che non sia più

possibile da parte del g.u.p. l’emanazione di una sentenza di non

luogo a procedere

«quando risulta evidente che l’imputato è

persona non imputabile»)

45

, o in rapporto ai cd quasi reati e

presuppone in ogni caso l’accertamento della sussistenza di un fatto

di reato e la sua commissione da parte di un soggetto.

46

La possibilità di applicare la misura di sicurezza anche con una

sentenza di proscioglimento distingue nettamente la misura di

sicurezza dalla pena, che invece può essere irrogata soltanto con la

sentenza di condanna.

47

L’art. 679 c.p.p. prevede che il magistrato di sorveglianza, prima di

disporre l’esecuzione delle misure ordinate con sentenza, debba

procedere ad un nuovo accertamento della pericolosità sociale. Tale

previsione risolve un problema lasciato aperto dall’art. 31 l.

663/1986,

«relativo al possibile scarto temporale tra il momento

dell’applicazione giudiziale di una misura e quello della sua

esecuzione, e della mancanza in quest’ultimo momento di quella

pericolosità sociale accertata dal giudice di cognizione».

42 DE MARSICO A., Premesse certe alla dogmatica delle misure penali, in

rivista italiana di diritto penitenziario, Milano, 1935, p. 108.

43 V. infra, capitolo III. 44

SICLARI B., Applicazione ed esecuzione, cit., p 180.

45

C. cost. sent. 41/1993, in www.cortecostituzionale.it

46

SICLARI B., Applicazione ed esecuzione delle misure, cit., p 180.

(12)

12

Già la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità di alcune

presunzioni di persistenza della pericolosità, imponendo un nuovo

accertamento della pericolosità al momento dell’esecuzione della

misura di sicurezza.

48

In questo senso si è espressa la Corte con la

sentenza 1102/1988 che ha imposto un nuovo accertamento della

pericolosità al momento dell’esecuzione della misura della casa di

cura e di custodia.

49

In questo quadro si inserisce l’art. 679 c.p.p. che prevede che, nel

caso in cui le misure siano ordinate dal giudice di cognizione, come

avviene di regola, l’accertamento della pericolosità deve avvenire

sia con l’applicazione giudiziale della misura, sia nel momento

dell’esecuzione.

50

Nel caso in cui manchi la sfasatura temporale tra applicazione ed

esecuzione della misura, è comunque necessario un nuovo

accertamento della pericolosità sociale, dal momento che

l’esecuzione definitiva della misura è di competenza del magistrato

di sorveglianza. Inoltre va sottolineato che i poteri del magistrato di

sorveglianza in tema di accertamento della pericolosità sono più

ampi rispetto a quelli del giudice di cognizione, in quanto al

giudice di cognizione non è consentito di procedere a perizie per

stabilire l’abitualità e la professionalità al reato o il carattere e la

personalità del soggetto a cui deve essere applicata la misura,

mentre ciò è permesso al magistrato di sorveglianza ex art. 220

c.p.p.

51

La misura di sicurezza, in alcune ipotesi tassative previste all’art.

205 comma 2° c.p., può essere irrogata anche con un

48 GRASSO G., sub art. 205, in Commentario sistematico, cit., p. 475. 49 C. cost. sent. 1102/1988, in www.cortecostituzionale.it

50

GRASSO G., sub art 205, in Commentario sistematico, cit., p. 476.

51

IOVINO F.P., Sulla competenza ad accertare la pericolosità sociale prima

dell’esecuzione di misure di sicurezza, in Cassazione penale, Milano, 1991, vol.

(13)

13

provvedimento successivo alla sentenza.

52

In questi casi il

magistrato di sorveglianza ha una competenza suppletiva perché è

necessario che la sentenza abbia previamente accertato sia la

commissione

del

fatto-reato,

sia l’attribuibilità di esso

all’imputato.

53

Inoltre il carattere suppletivo della competenza del

magistrato di sorveglianza fa si che questi possa applicare una

misura di sicurezza quando la sentenza di condanna o

proscioglimento sia divenuta irrevocabile ed emergano nuovi

elementi necessari alla valutazione oppure il giudice non provveda,

per trascuratezza, ad applicare la misura di sicurezza.

54

Un riesame della pericolosità da parte del magistrato di

sorveglianza va, invece, escluso nel caso in cui il giudice di

cognizione abbia effettuato un accertamento di tipo negativo della

pericolosità, perché tale riesame non è espressamente previsto nel

c.p., che prevede ipotesi di riesame della pericolosità (articoli 207 e

208 c.p.) sul presupposto che la pericolosità sia stata riconosciuta e

la misura applicata.

55

Se la pericolosità è stata esclusa dal giudice

di cognizione, una nuova pronuncia in tale ambito è esclusa dallo

stesso giudicato che si è formato sull’accertamento negativo del

giudice di cognizione. Il giudicato penale, per quanto riguarda le

misure di sicurezza, ha forme particolari e deve intendersi come

«immutabilità del provvedimento del giudice», che non preclude,

però, il riesame della permanenza della condizioni a causa delle

quali è stato pronunciato.

56

52

CARACCIOLI I., Manuale di diritto penale, cit., p. 807.

53

SICLARI B., Applicazione ed esecuzione delle misure di sicurezza personali, cit., p. 180.

54 SICLARI B., Applicazione ed esecuzione delle misure di sicurezza personali,

cit., pp 177-178.

55

GRASSO G., sub art. 205, in Commentario sistematico , cit., p. 477.

56

NUVOLONE P., L’accertamento della pericolosità nel processo ordinario di

cognizione, in Pene e misure di sicurezza. Modificabilità e suoi limiti, Milano,

(14)

14

Le ipotesi di applicazione delle misure di sicurezza con

provvedimento successivo alla sentenza sono previste dall’art 205

comma 2°.

L’ipotesi del n.1 riguarda un soggetto a cui venga riconosciuta la

pericolosità durante l’esecuzione della pena o durante il tempo in

cui il condannato vi si sottrae volontariamente.

57

Una misura di

sicurezza non può essere ordinata dopo un decreto penale di

condanna, come si desume dall’art 460 c.p.p., né dopo una sentenza

di applicazione della pena su richiesta delle parti, come si desume

dall’art. 445 c.p.p.

58

L’ipotesi n.2 deve ritenersi non più valida dopo l’abrogazione delle

presunzioni di pericolosità sociale, perché fa riferimento al caso in

cui la pericolosità sociale sia presunta.

59

L’ipotesi n. 3 prevede che la misura di sicurezza possa ordinarsi in

ogni tempo nei casi previsti dalla legge. È questo il caso dell’art.

109 comma 2° c.p. che prevede che la dichiarazione di abitualità o

professionalità nel reato possa essere pronunciata in ogni tempo,

tale dichiarazione può essere pronunciata quindi anche dopo

l’esecuzione della pena.

2.3 Applicazione provvisoria delle misure di sicurezza.

Normalmente le misure di sicurezza vengono applicate con il

procedimento ex artt. 679-680 c.p.p. dal magistrato. Vi sono, però,

alcune situazioni in cui è possibile applicare in via provvisoria le

stesse misure ex artt. 206 c.p. e 312 e 312 c.p.p.

60

57

CARACCIOLI I., Manuale di diritto penale, cit., p. 807.

58

GRASSO G., sub art 205, in Commentario sistematico, cit., p. 478.

59

CARACCIOLI I., Manuale di diritto penale, cit., p. 807.

(15)

15

I possibili destinatari della misura sono elencati dall’art. 206 c.p.: il

minore di età, l’infermo di mente, l’ubriaco abituale, la persona

dedita all’uso di sostanze stupefacenti o in stato di cronica

intossicazione prodotta dall’alcool o da sostanza stupefacenti.

61

Per quanto riguarda la condizione di infermità mentale, sia dottrina

che giurisprudenza hanno chiarito che l’art. 206 si riferisce

esclusivamente ai casi di infermità esistente al momento della

commissione del fatto.

62

L’art. 206 sancisce, poi, che è possibile applicare la misura del

riformatorio giudiziario, dell’OPG, e della CCC.

63

La Corte

costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 206 c.p. nella

parte in cui prevede il rigido automatismo di applicazione di una

misura necessariamente detentiva: il giudice deve sempre poter

disporre la misura in concreto più idonea ad assicurare cura e

contenimento alla persona socialmente pericolosa (Corte. cost. sent.

253/2003) e, dunque, a maggior ragione nelle ipotesi di

applicazione provvisoria delle misure di sicurezza (Corte cost. sent

367/2004).

64

Gli artt. 312 e 312 c.p.p. prevedono i presupposti di applicazione

provvisoria delle misure. Innanzitutto è necessaria l’esistenza di

gravi indizi di commissione del fatto; il fatto considerato, però,

deve essere tale da far presupporre al giudice che al termine del

processo venga applicata in via definitiva una delle misure

elencate dall’art. 206 c.p. (Corte cost. sent. 141/1982). Altro

requisito è che non ricorrano le condizioni previste dall’art. 273

comma 2 c.p.p.; che esclude la possibilità di applicare una misura

cautelare se il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di

giustificazione, o di non punibilità o se sussiste una causa di

61

GRASSO G., sub art. 206, in Commentario sistematico, cit., p. 480.

62

PROCACCINO A., «Pericolosità sociale (accertamento della)», cit., p. 1059.

63

GRASSO G., sub art. 206, in Commentario sistematico, cit., p. 480.

(16)

16

estinzione del reato ovvero una causa di estinzione della pena. Tra

le ipotesi di non punibilità è necessario escludere la mancanza di

imputabilità, che non impedisce l’applicazione di una misura di

sicurezza. Infine è necessario un accertamento della pericolosità

dell’indagato-imputato;

secondo

la

giurisprudenza

tale

accertamento deve essere sommario, diverso quindi da quello

necessario per la decisione definitiva.

65

L’applicazione provvisoria può essere disposta in ogni stato e

grado del procedimento. Si ritiene, nonostante la mancanza di

un’espressa previsione legislativa, che il giudice , quando dispone

con sentenza l’applicazione di una misura, possa ordinarne la

provvisoria esecuzione, se sono presenti le condizioni ex art. 206.

Ciò sarebbe sostenuto dal fatto che l’art. 658, comma 2° c.p.p., nel

disciplinare l’esecuzione della misura disposta con sentenza, detta

una disciplina ad hoc per il caso di applicazione del provvedimento

ex art. 312 c.p.p. Inoltre, sempre a sostegno di questa tesi, l’art.

300, comma 2° c.p.p. prevede che, quando con sentenza di

proscioglimento o di non luogo a procedere è ordinata la misura

dell’OPG e l’imputato è in stato di custodia cautelare, il giudice

provvede ex art. 312 c.p.p.

66

L’art. 313, comma 3° c.p.p. stabilisce che la misura

provvisoriamente applicata e disposta durante le indagini o il

giudizio sia equiparata, ai fini dell’impugnazione, alla custodia

cautelare.

Inoltre l’art. 313, comma 1° prevede che se l’indagato non sia stato

interrogato prima del provvedimento di applicazione provvisoria

della misura, vi si proceda entro cinque giorni dall’esecuzione di

essa.

65

GRASSO G., sub art. 206, in Commentario sistematico, cit., pp. 481-482.

(17)

17

La disciplina originaria non poneva un limite massimo di durata

della misura provvisoriamente applicata,

67

ma oggi la l. 81/2014

l’ha previsto ed è corrispondente alla pena detentiva prevista per il

reato commesso, avuto riguardo del limite edittale massimo.

68 69

L’art. 313 c.p.p. sancisce che il riesame della pericolosità sia

effettuato ogni sei mesi: la misura deve essere revocata in ogni caso

in cui venga meno uno dei presupposti per l’applicazione

provvisoria di una misura di sicurezza.

L’art. 206 comma 3° c.p. prevede che il tempo dell’esecuzione

provvisoria della misura di sicurezza è computato nella durata

minima di essa. Tale previsione ha sollevato due questioni in

dottrina e giurisprudenza. La prima riguarda la possibilità di

computare nella durata minima della misura un periodo di custodia

cautelare rivelatosi in seguito senza titolo: la giurisprudenza ha

ritenuto che la differente natura e finalità tra misura di sicurezza e

pena impedirebbe tale computo. La seconda questione riguarda la

possibilità di sottrarre dalla pena da scontare il periodo di

esecuzione provvisoria della misura, nel caso in cui questa non

venga definitivamente applicata: la giurisprudenza ha ammesso tale

possibilità e tale orientamento è stato confermato dall’art. 657

c.p.p.

70

67 GRASSO G., sub art. 206, in Commentario sistematico, cit., pp. 483-484. 68

Decreto legge 31 marzo 2014, (conv. con modifiche dalla l. 81/2014), in www.normattiva.it

69

v. infra.

(18)

18

2.4 La cessazione dello stato di pericolosità: la revoca

anticipata e il riesame della pericolosità.

Alcune cause di cessazione delle misure di sicurezza operano

indipendentemente dal fatto che lo stato di pericolosità sia cessato.

Ne sono esempio la morte della persona sottoposta ad una misura

di sicurezza, ma anche l’estinzione del reato e l’estinzione della

pena nei limiti previsti dall’art. 210 c.p.

In altri casi invece la misura di sicurezza cessa soltanto in

conseguenza ad un accertamento che la pericolosità sia venuta

meno. Questo è il caso della revoca anticipata (art. 207 c.p.) e del

riesame della pericolosità (art. 208 c.p.).

71

L’art. 207 c.p. stabilisce che una misura di sicurezza non possa

essere revocata se le persone ad essa sottoposte non hanno cessato

di essere socialmente pericolose. Tale articolo, dunque, in passato

poneva il problema dell’applicazione delle misure di sicurezza a

tempo indeterminato

72

, problema che è stato almeno parzialmente

risolto

73

con la legge 81/2014.

74

La legge prevede un periodo minimo di applicazione per ogni

misura di sicurezza, prima del decorso del quale, in origine il

codice prevedeva (commi 2° e 3° art. 207 c.p.) che non fosse

possibile revocare la misura di sicurezza, salvo intervento del

Ministro della giustizia.

75

Il Ministro, secondo alcuni, aveva un

potere di indulgenza analogo a quello della grazia, perché poteva

revocare le misure anche senza accertare il venir meno dello stato

di pericolosità e nessuna limitazione era posta dalla norma. Altri,

invece, sostenevano che

«la norma che dispone che le misure di

71 SICLARI B., Applicazione ed esecuzione, cit., pp.233-234.

72 GRASSO G., sub art. 207, in Commentario sistematico, cit., p. 486. 73

DI NICOLA P., Chiusura degli OPG: un’occasione mancata, in www.penalecontemporaneo.it, 2015, p.23.

74

v. infra.

(19)

19

sicurezza non possono essere revocate se le persone ad esse

sottoposte non hanno cessato di essere pericolose, avendo carattere

generale, dovesse valere anche per l’ipotesi di revoca disposta dal

Ministro della giustizia».

76

In ogni caso la disciplina è stata dichiarata illegittima dalla Corte

costituzionale con la sentenza n. 110/1974 che ha dichiarato

illegittimo il potere del Ministro per contrasto con l’art. 13 Cost. e,

in via consequenziale, ha dichiarato anche l’illegittimità della

revoca della misura prima del decorso del periodo minimo di

durata.

77

Il potere di revoca anticipata della misura è ora attribuito

al magistrato di sorveglianza ex art. 21 l. 663/1986

78

e non vi sono

dubbi sul fatto che la revoca possa essere disposta solo nel caso in

cui la persona sottoposta alla misura di sicurezza abbia cessato di

essere pericolosa ed è quindi necessario un accertamento in questo

senso.

79

La revoca anticipata è soltanto quella che può avvenire nel corso

del primo periodo minimo, perché per i periodi successivi

«la

possibilità di revocare le misure di sicurezza prima che essi siano

decorsi è già prevista come facoltà normale, e non eccezionale,

dall’art. 208 comma 2° c.p.».

80

Allo scadere del periodo minimo di esecuzione della misura

(stabilito dalla legge per ogni misura), il magistrato di sorveglianza

riprende in esame le condizioni della persona che vi è sottoposta,

per stabilire se essa è ancora socialmente pericolosa (art. 208 c.p.).

Il magistrato di sorveglianza deve tener presenti gli indici dell’art.

133 c.p. per effettuare il riesame della pericolosità, l’art 203 c.p.,

infatti, fa riferimento a quei criteri per stabilire in generale la

76 SICLARI B., Applicazione ed esecuzione, cit., pp.235-236. 77 C. cost. sent. 110/1974, in www.cortecostituzionale.it 78

PROCACCINO A., «Pericolosità sociale (accertamento della)», in Digesto

delle discipline penalistiche, aggiornamento n. 3, Torino, 2005, p 1060.

79

SICLARI B., Applicazione ed esecuzione, cit., pp.235-236.

(20)

20

pericolosità sociale e, dunque, sembra logico far riferimento a quei

criteri anche in sede di riesame della pericolosità.

Tale conclusione non è condivisa da parte della dottrina, che ritiene

che l’art 203 c.p. si riferisca esclusivamente alla fase iniziale del

processo, mentre gli artt. 207 e 208 richiederebbero una diversa

valutazione e, cioè, se la persona sia ancora socialmente pericolosa,

guardando, dunque, non più al fatto di reato con i suoi elementi

costitutivi, ma solo alla persona.

La debolezza di quest’ultima conclusione sta nel fatto che la

valutazione delle condizioni attuali della persona non può

prescindere dalla valutazione delle azioni criminose del soggetto

stesso.

81

Sembra quindi più opportuno un giudizio complessivo

della personalità del soggetto, che valuti anche i risultati

dell’osservazione scientifica della personalità.

Il riesame della pericolosità può concludersi con la revoca della

misura, se si accerta il venir meno della pericolosità, oppure, se la

pericolosità sussiste, con la fissazione di un nuovo termine alla

scadenza del quale procedere ad un riesame.

82

Il termine prorogato

può essere anche inferiore al termine minimo originario, ma non

superiore a quello originario, perché ciò non avrebbe alcuna

giustificazione dato che il termine originario è, per presunzione, il

termine di norma necessario per effettuare una nuova valutazione, a

prescindere dal grado di pericolosità del soggetto.

83

L’art. 208 c.p.

prevede poi che durante il periodo di proroga, in ogni tempo, è

possibile procedere a nuovi accertamenti quando vi sia ragione di

ritenere che il pericolo sia cessato.

84

«Il potere di revocare le

misure di sicurezza, anche prima che sia decorso un periodo

corrispondente alla durata minima per ciascuna di esse stabilita

81

SICLARI B., Applicazione ed esecuzione, cit., pp.239-240.

82

GRASSO G., sub art. 208, in Commentario sistematico, cit., p. 489.

83

SICLARI B., Applicazione ed esecuzione, cit., pp.239-238.

(21)

21

dalla legge, comprende anche il potere di sostituire o trasformare la

misura detentiva con altra non detentiva».

85

In realtà la legge non

dice niente a riguardo, ma il potere di revoca comprende in sé

quello di sostituzione della misura.

86

L’art. 69 comma 4° ord. penit. prevede una correlazione tra

dichiarazione di delinquenza qualificata e sussistenza della

pericolosità sociale, infatti la revoca della misura di sicurezza

comporta anche la revoca di un’eventuale dichiarazione di

delinquenza qualificata. Questo a differenza del sistema

precedente, in cui invece era possibile che alla revoca della misura

non seguisse la revoca della dichiarazione di delinquenza

qualificata.

Le decisioni relative al riesame della pericolosità e alla revoca,

anche anticipata, della misura, sono assunte a richiesta del p.m., o

d’ufficio (come per l’accertamento della pericolosità dopo una

sentenza di condanna o proscioglimento, o per eseguire una misura

applicata dal giudice di cognizione), ma anche su richiesta

dell’interessato o del suo difensore.

L’art. 680 c.p.p prevede che contro i provvedimenti in materia di

misure di sicurezza e la dichiarazione di abitualità o

professionalità nel reato o di tendenza a delinquere, possono

proporre appello al tribunale di sorveglianza il pubblico ministero,

l’interessato e il difensore.

87

85

SICLARI B., Applicazione ed esecuzione, cit., pp.239-237.

86

SICLARI B., Applicazione ed esecuzione, cit., pp.239-237.

(22)

22

3. Le presunzioni di pericolosità.

3.1 La disciplina originaria del codice Rocco.

In origine il codice Rocco prevedeva due forme di pericolosità.

Era (ed è) prevista la pericolosità accertata di volta in volta dal

giudice per cui era (ed è) necessario accertare le qualità indizianti

da cui dedurre la probabilità di commissione di nuovi reati e la

prognosi criminale, basata su tali qualità. Per tale accertamento è

necessario riferirsi ai parametri indicati dall’art. 133 c.p.

88

La seconda forma di pericolosità era quella presunta dalla legge in

una serie di ipotesi.

89

Tale tipo di pericolosità serviva a garantire la

difesa della collettività nei confronti di soggetti in particolari

condizioni patologiche o d’immaturità intellettiva (infermità di

mente o minori ai quali si applicano misure di sicurezza detentive)

oppure nei confronti di soggetti particolarmente corrotti

moralmente.

90

Nella prassi le presunzioni di pericolosità erano

quelle che in concreto permettevano una maggiore applicazione

delle misure di sicurezza, anche a causa delle difficoltà di

accertamento della pericolosità da parte del giudice.

91

L’art. 204 comma 2° c.p., oggi abrogato, prevedeva che nei casi

espressamente determinati, la qualità di persona socialmente

pericolosa è presunta dalla legge. Il codice, dunque, prevedeva una

serie di casi in cui la misura di sicurezza si applicava

automaticamente, poiché la pericolosità era presunta, in presenza di

alcuni requisiti. Ad esempio, l’art. 222 c.p. prevedeva che in caso

di commissione di un delitto doloso per cui era prevista una pena

superiore ai due anni, se il soggetto era prosciolto per infermità

88

V. infra, capitolo IV.

89

CALABRIA A., «Pericolosità sociale», cit., p.455.

90

MUSCO E., La misura di sicurezza detentiva, cit., p. 112.

(23)

23

psichica, cronica intossicazione da alcool o sostanze stupefacenti, o

per sordomutismo, fosse sempre ordinato il ricovero in ospedale

psichiatrico giudiziario.

92

La presunzione riguardava sia l’esistenza

della pericolosità al momento della commissione del fatto (e del

giudizio di cognizione), sia la sua persistenza nel momento in cui la

misura veniva eseguita.

Nei casi di presunzione legale di pericolosità l’art. 204 comma 2°

stabiliva che era comunque necessario procedere ad un

accertamento di tale qualità dopo dieci anni dal giorno in cui è

stato commesso il fatto, qualora si tratti di infermi di mente, nei

casi previsti dal primo capoverso dell’articolo 219 e dell’articolo

222; dopo cinque anni dal giorno in cui è stato commesso il fatto,

in ogni altro caso.

Le presunzioni di pericolosità sono state ampiamente criticate per

la divergenza che creavano tra pericolosità legale e naturale: erano

infatti previsti casi di pericolosità presunta a cui non corrispondeva

spesso una pericolosità naturale (es. art 219 e 221 c.p.) e casi in cui

la pericolosità naturale non integrava anche una pericolosità

legal-penale.

93

A causa delle criticità delle presunzioni legali, si sono susseguiti

una serie di interventi della Corte costituzionale e del legislatore.

3.2 Le pronunce della Corte costituzionale.

In un primo momento la Corte ha salvato le presunzioni di

pericolosità «ritenendo legittima l’applicazione di una misura di

92

GRASSO G., sub art. 222, in Commentario sistematico, cit., pp. 529-530.

(24)

24

sicurezza non preceduta dall’accertamento in concreto della

pericolosità sociale».

94

La sentenza della Corte costituzionale n. 19/1966 ha sancito che la

restrizione della libertà personale prevista dall’art. 204 comma 2°

c.p. «è disposta con atto dell’autorità giudiziaria, giustificato dalla

sussistenza di condizioni stabilite dalla legge; e ciò soddisfa il

precetto dell’art. 13 della Costituzione». Ed aggiunge «nella specie

la legge non esclude la necessità di un concreto accertamento della

pericolosità nelle ipotesi che, data la varietà dei caratteri soggettivi,

sfuggono ad una tipizzazione, com’è per gli articoli 204, primo e

terzo comma, 224, primo comma, e 225, primo comma, del codice

penale; ma, in confronto di condizioni che non esigono particolari

accertamenti del giudice […], è ragionevole che la legge, anche per

garantire un’eguaglianza di trattamento, detti una regola di giudizio

vincolante, in un significativo e proporzionato rapporto logico con

il dato da apprezzare».

95

La Corte, poi, con la sent. 68/1967 ha dichiarato legittima la

previsione di una durata minima delle misure di sicurezza, nel caso

di specie quella prevista dall’art. 222 c.p. per l’ospedale

psichiatrico giudiziario perché «la possibilità di una revoca è presa

in considerazione dalla legge con l’opportuna cautela di un tempo

minimo di osservazione medica del prosciolto […]; il minimo

stabilito dalla legge si risolve cioè in un minimo di osservazione

sullo stato sanitario del soggetto; quella osservazione che il giudice

dovrebbe disporre prima di escludere la pericolosità, se,

nell’ipotesi, egli avesse una discrezionalità […]».

96

94

CALABRIA A., <<Pericolosità sociale>>, cit., p. 456.

95

C. cost. sent. 19/1966, in www.cortecostituzionale.it

(25)

25

In merito a tale atteggiamento

97

parte della dottrina ha rilevato che

la Corte, salvando da un giudizio di costituzionalità le presunzioni

legali di pericolosità, ha indotto il legislatore ad essere conservativo

e questo è evidente nel progetto di riforma del Libro I del c.p. del

1971 in cui erano state mantenute numerose forme di presunzioni

legali.

98

In un secondo momento la Corte ha cominciato ad accogliere le

questioni di legittimità riguardanti le presunzioni,

99

perché le

«anomalie già note vengono ad essere motivate in modo nuovo» ed

inoltre vengono indicati parametri costituzionali che possono

portare a interpretazioni diverse da quelle del codice.

100

In seguito

la Corte ha dichiarato incostituzionali moltissime ipotesi di

pericolosità presunta.

101

In questo senso si è espressa la Corte con la sent. 1/1971,

dichiarando incostituzionale l’art. 224 comma 2° che prevedeva

l’obbligatorio e automatico ricovero in riformatorio giudiziario del

minore di anni quattordici. «La presunzione di pericolosità, che

negli altri casi previsti dal codice si basa sull’id quod plerumque

accidit, non ha fondamento allorchè si tratti della non imputabilità

del minore di quattordici anni: chè, al contrario, può ben dirsi che

qui, data la giovanissima età del soggetto, la pericolosità

rappresenti l’eccezione, per cui l’obbligatorietà ed automaticità del

ricovero in riformatorio giudiziario non ha giustificazione

alcuna».

102

Per quanto riguarda, invece, la pericolosità degli infermi di mente,

la Corte ha avuto inizialmente un atteggiamento diverso, più cauto.

97 Su tale orientamento si veda anche la sentenza n. 106/1972 della Corte

costituzionale.

98 CALABRIA A., «Pericolosità sociale», cit., p.455. 99

CALABRIA A., «Pericolosità sociale», cit., p.456.

100

MUSCO E., La misura di sicurezza detentiva, cit., p.150.

101

CALABRIA A., «Pericolosità sociale», cit., p.456.

(26)

26

Infatti inizialmente non ha messo in discussione la presunzione

riguardante il binomio malattia mentale-pericolosità, ma si è

limitata a censurare la presunzione sul perdurare dell’infermità

mentale.

103

Questo è quanto emerge dalla sent. C. cost. n.

139/1982. «La struttura presuntiva della fattispecie si rivela

contenere […] una presunzione duplice: innanzitutto quella che

ricollega infermità e pericolosità, e che è quella che la Corte, in

precedenti pronunce, ha già ritenuto non in contrasto con i criteri di

comune esperienza. Ma la applicazione della misura a distanza di

tempo dal fatto […] poggia su una presunzione ulteriore,

concernente il perdurare (non della sola pericolosità, ma) della

stessa infermità psichica, senza mutamenti significativi dal

momento del delitto al momento del giudizio». In questo caso,

invece, è necessario un accertamento da parte del giudice della

cognizione o dell’esecuzione sulla persistenza della pericolosità nel

momento dell’applicazione della misura. In questo senso sono stati

dichiarati incostituzionali gli artt. 222, comma 1 c.p., 204 c.p. e

205, n. 2 c.p.

104

Per gli stessi motivi la sent. C. cost. 249/1983 ha censurato l’art.

219 comma 1° nella parte in cui disponeva l’obbligatoria misura

della casa di cura e di custodia per il condannato, per delitto non

colposo, a una pena diminuita per infermità psichica senza

accertare «la persistente pericolosità derivante dall’infermità

medesima al tempo dell’applicazione della misura di sicurezza».

105

La Corte con queste sentenze non aveva in realtà eliminato le

presunzioni di pericolosità, ma solo la presunzione di persistenza

dell’infermità al momento dell’applicazione della misura; ad ogni

modo parte della dottrina ha ritenuto che queste due sentenze

103

GRASSO G., sub pre-art. 199, in Commentario sistematico, cit., p. 434.

104

C. cost. sent. 139/1982, in www.cortecostituzionale.it

(27)

27

segnassero la scomparsa della pericolosità presunta dell’infermo di

mente.

106

La legge dunque continuava a prevedere soglie di gravità del reato

in presenza delle quali potevano applicarsi le misure di sicurezza,

ma il presupposto della pericolosità sociale veniva lasciato alla

valutazione concreta da parte del giudice e non più ad una

tipizzazione legale della pericolosità sociale.

107

3.3 L’articolo 31 della legge Gozzini.

La questione della pericolosità presunta è stata definitivamente

risolta con l’art. 31 l. 663/1986 che prevede che l’art. 204 c.p. è

abrogato. Tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate

previo accertamento che colui che ha commesso il fatto è persona

socialmente pericolosa.

Tale articolo ha lasciato aperti alcuni problemi.

Innanzitutto ha eliminato le presunzioni senza però dotare il

giudice di strumenti per accertare in concreto la pericolosità.

108

Inoltre la disposizione ha dato luogo a problemi interpretativi

riguardanti la sua sfera di applicazione.

Una prima interpretazione sosteneva che la disposizione in

questione comportasse un’abrogazione integrale delle ipotesi

presuntive, sia di esistenza che di persistenza della pericolosità,

senza chiarire la sorte delle singole fattispecie presuntive.

109

Una seconda interpretazione riteneva abrogate le sole presunzioni

di esistenza della pericolosità per il fatto che l’art. 31 non

esplicitava l’obbligo di accertare la pericolosità del soggetto al

momento dell’esecuzione della misura. Tale interpretazione è stata

106 GRASSO G., sub pre-art. 199, in Commentario sistematico, cit., p. 435. 107

PELISSERO M., Pericolosità sociale e doppio binario, vecchi e nuovi

modelli di incapacitazione, Torino, 2008, pag. 35.

108

GRASSO G., sub pre-art. 199, in Commentario sistematico, cit., p. 435.

(28)

28

criticata perché, se accolta, avrebbe comportato un arretramento sia

rispetto all’originaria impostazione codicistica (che prevedeva

l’obbligo di accertare in concreto la persistenza della pericolosità ,

art 204 comma 2° e parte 2° c.p.) sia rispetto alle sentenze di

illegittimità costituzionale; inoltre l’art. 31 era collocato all’interno

della legge di ordinamento penitenziario e questo sembrava in linea

con l’accertamento concreto della pericolosità nella fase

esecutiva.

110

La ratio della riforma era poi quella di ottenere un

accertamento

indiscriminato

della

pericolosità.

Inoltre

l’abrogazione anche della 2° parte dell’art. 204 comma 2° c.p., che

prevedeva ipotesi di cessazione della persistenza della pericolosità

presunta «è stata la logica conseguenza del fatto che tale 2° comma

si riferiva esclusivamente alle ipotesi di pericolosità presunta, onde

una volta abolite queste viene meno la ragione di conservare la

suddetta previsione».

111

La terza interpretazione, invece, riteneva che fossero state abrogate

soltanto le presunzioni di persistenza della pericolosità, dunque

l’obbligo di accertamento in concreto vi sarebbe stato solo al

momento dell’esecuzione, e non al momento della cognizione in

cui la presunzione continua ad operare.

112

In realtà però

l’abrogazione anche del comma 2° art. 204 c.p. sembra manifestare

la volontà del legislatore di abolire completamente le presunzioni

di pericolosità. Inoltre il dato letterale dell’art. 31 fa riferimento

alle misure “ordinate” previo accertamento della pericolosità e

quindi sembra far riferimento al momento della cognizione.

La quarta interpretazione riguardante l’art. 31 riteneva che vi fosse

stata un’abrogazione di tutte le presunzioni di esistenza e

persistenza della pericolosità e riteneva che le singole fattispecie

presuntive fossero state trasformate da fattispecie presuntive a

110

PROCACCINO A., «Pericolosità sociale», cit., p 1054.

111

CALABRIA A., «Pericolosità sociale», cit., p. 458.

(29)

29

fattispecie indizianti di pericolosità. Cioè esse «descrivono le

situazioni nelle quali appare maggiormente probabile la futura

recidiva, lasciando però al giudice la valutazione sulla effettiva

pericolosità del singolo autore». Un indiscriminato accertamento

sembra imposto dall’art 679 c.p.p., che prevede che il magistrato di

sorveglianza debba accertare nuovamente se la persona è

socialmente pericolosa anche all’inizio dell’esecuzione della

misura. Per quanto riguarda poi la trasformazione da fattispecie

presuntive a fattispecie indizianti di pericolosità, l’art. 679, nel

prevedere che il magistrato di sorveglianza debba procedere alla

dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o alla revoca

di tale dichiarazione, costituisce, almeno per quanto riguarda

l’abitualità presunta, «la prova della sopravvivenza, ma altresì del

mutamento di detta figura».

113

Tale interpretazione poi è stata

confermata dalla Corte costituzionale nella sentenza 4/1989 ha

affermato che «essendo venuta meno l’incivile regola della

pericolosità presunta, occorre procedere all’accertamento in

concreto della pericolosità attraverso il riesame in sede di

applicazione,

esecuzione,

trasformazione

e

revoca

della

dichiarazione di abitualità».

114

113

CALABRIA A., «Pericolosità sociale», cit., p. 459.

(30)

30

CAPITOLO II:

ASPETTI PROBLEMATICI DELLA PERICOLOSITÀ

SOCIALE

1. La

rottura

del

binomio

malattia

mentale-pericolosità sociale.

Fino a pochi decenni fa, in presenza di un reato di una certa gravità,

la malattia mentale era sempre considerata «sintomo di una

pericolosità soggettiva, per sé o per gli altri».

115

La commissione di

un reato, inoltre, era considerato spesso il risultato di un disturbo

mentale e la malattia mentale era considerata la premessa di un

qualsiasi reato, soprattutto di tipo violento. Questa concezione

aveva origine essenzialmente dalla Scuola Positiva

116

, che non

riteneva l’uomo colpevole, ma malato, di conseguenza aveva creato

una nuova dicotomia, quella tra l’uomo deviante ( e malato) e

l’uomo sano (o normale).

117

In realtà, diversi studi hanno dimostrato che la malattia mentale è

scarsamente correlata con la commissione di un reato, inoltre è

stato messo in evidenza che i malati mentali, quando delinquono,

molto spesso commettono i cd delitti minori contro la proprietà o

contravvenzioni e che i malati di mente che commettono reati

violenti non ne commettono, in termini percentuali, in numero

superiore rispetto al resto della popolazione.

118

115 PELISSERO M.,Pericolosità sociale e doppio binario, cit.,p. 94. 116 V. supra, capitolo I.

117 DONINI G., Concetto di norma e di malattia psichiatrica, in DONINI G.,

MERLI S., MARASCO M., Lineamenti di Psichiatria forense, Roma, I edizione, 1989, pp. 7-8.

118

TRAVERSO G., Il giudizio di pericolosità ed il suo accertamento, in Rivista

(31)

31

In particolare sono stati effettuati diversi studi sulla possibile

correlazione tra omicidio (o comunque reati violenti) e malattia

mentale.

Il primo problema riguarda la definizione di malattia mentale

perché, mentre l’omicidio (ma anche gli altri reati, in termini più

generali) ha una definizione sufficientemente oggettivabile, la

definizione di malattia mentale non ha una corrispondente realtà

precisa ed un comportamento oggettivabile. La malattia mentale,

infatti, può essere definita in base a sei diversi modelli di teorie che

comportano a loro volta diversi atteggiamenti nei confronti del

malato.

119

Il modello medico ritiene che la malattia mentale sia riconducibile

alle tradizionali malattie somatiche.

Il modello morale ritiene fondamentale, ai fini della definizione di

malattia mentale, il comportamento del soggetto che viola le regole

morali della collettività.

Il modello psicanalitico tende ad una descrizione ed interpretazione

dei problemi del paziente (e non effettua un inquadramento

diagnostico dei sintomi).

Il modello dell’interazione familiare ritiene che i disturbi psichici

di un individuo siano «l’espressione di una alterata dinamica

familiare al quale l’individuo appartiene, per cui il vero malato non

è il soggetto, ma l’intera famiglia».

Il modello sociale ritiene che il disturbo psichico denoti un disagio

sociale causato dalle contraddizioni e disuguaglianze della società

stessa.

Il modello cospirativo ritiene che «la malattia mentale consista in

un’etichetta che viene attribuita ad alcuni soggetti scomodi e

119

GATTI U., TRAVERSO B., Malattia mentale e omicidio. Realtà e pregiudizi

sulla pericolosità del malato di mente, in Rassegna di criminologia, Roma,

Riferimenti

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