1.
INTRODUZIONE
1.1 I succhi di frutta
La definizione di “succo di frutta” viene data dalla Direttiva 2001/112/CE (recepita con D. Lgs. 151/2004) concernente i succhi di frutta e altri prodotti analoghi destinati all’alimentazione umana. La direttiva ha come oggetto le cinque tipologie principali di bevande a base di frutta: i succhi di frutta, i succhi di frutta concentrati, i succhi ottenuti da concentrato, i succhi disidratati e i nettari di frutta. Con il termine succo di frutta si intende il prodotto fermentescibile ma non fermentato, ottenuto da frutta sana e matura, fresca o conservata al freddo, appartenente ad una o più specie e avente il colore, l’aroma e il gusto caratteristici della frutta da cui proviene.
La legislazione italiana prevede la commercializzazione di cinque tipologie di bevande che rientrano nella categoria dei succhi di frutta:
- i succhi di frutta propriamente detti, ottenuti soltanto mediante processi meccanici di spremitura ed eventuale filtrazione;
- i succhi concentrati in cui una parte dell'acqua presente viene eliminata per prolungare la shelf-life (se sono destinati al consumo diretto la percentuale minima di acqua che deve essere eliminata è pari al 50%);
- i succhi ottenuti a partire da concentrato, che si producono reinserendo nel succo di frutta concentrato l’acqua tolta al momento della concentrazione, ripristinando gli aromi e, se opportuno, la polpa persi dal succo (aromi e polpa devono essere recuperati al momento del processo produttivo del succo di frutta in questione o di succhi di frutta della stessa specie). In etichetta dovrà essere specificato che il succo è stato prodotto a partire da succo concentrato; - i succhi disidratati, in cui l’acqua è completamente eliminata e il prodotto
ottenuto si presenta come una polvere;
- i nettari di frutta, ove al succo e alla polpa del frutto viene aggiunto lo zucchero diluito in acqua. La percentuale finale di zucchero, espressa come percentuale in peso sul totale del prodotto, non può essere superiore al 20%. La percentuale di frutta minima è stabilita dalla legge ed è variabile, a seconda
della tipologia di frutti, tra il 30% ed il 50%. Deve essere chiaramente indicata sull’etichetta del prodotto.
È prevista la possibilità di aggiungere zucchero anche a tutte le altre tipologie di succhi (ad eccezione dei succhi di uva e di pera), ma in questo caso il limite massimo consentito è di 150 grammi per litro di succo. La percentuale di zucchero deve essere chiaramente riportata in etichetta e l’aggettivo “zuccherato” o la dicitura “con aggiunta di zuccheri” devono essere contenuti nella denominazione di vendita. È possibile, inoltre, aggiungere anidride carbonica come ingrediente.
All’interno del processo di produzione è ammesso l’impiego di enzimi (pectinolitici, proteolitici, amiolitici), di gelatina alimentare e di tannino.
Si possono aggiungere anche bentonite, gel di silice, carboni attivi e coadiuvanti tecnologici chimicamente inerti (diatomee, cellulosa, perlite, ecc...) durante le fasi di estrazione e filtrazione.
Per quanto riguarda invece gli additivi chimici è vietata l’aggiunta di coloranti a tutti i tipi di succhi di frutta. È ammesso e regolamentato, invece, l’impiego di altri additivi come acido malico (fino a 3 g/l), lattico e citrico (fino a 5 g/l) per correggere l’acidità del prodotto. Per lo stesso scopo è possibile impiegare anche carbonato di calcio (quanto basta). L’acido ascorbico può essere aggiunto ai succhi per limitare o impedire l’instaurarsi di fenomeni ossidativi, mentre i tartrati di potassio e di sodio si possono utilizzare come stabilizzanti.
Non sono considerati ingredienti e quindi non devono essere riportati in etichetta:
• le sostanze utilizzate per la ricostituzione di un succo di frutta (coadiuvanti
tecnologici) ottenuto da succo di frutta concentrato o disidratato;
• gli aromi aggiunti al succo di frutta concentrato e al succo di frutta
disidratato, purché siano stati recuperati durante la produzione del succo di frutta in questione o di succhi di frutta della stessa specie;
• l'anidride solforosa (E 220) qualora la sua concentrazione non superi i 10
milligrammi per litro di succo;
1.2 La produzione dei succhi di frutta
La produzione di succhi di frutta nasce dall’esigenza di ovviare ai problemi legati alla conservazione della frutta fresca. Poiché la disponibilità sul mercato è soggetta alla stagionalità dell’offerta e all’andamento annuale della produzione, l’esigenza di conservare i prodotti frutticoli mediante l’impiego di tecnologie conservative e trasformative ha dato e continua a dare un forte impulso ai progressi scientifici nei campi della fisiologia post-raccolta e delle tecnologie alimentari. In generale la frutta raccolta può essere destinata direttamente al consumo (filiera del fresco o filiera corta) oppure conservata per un lasso di tempo più o meno lungo (filiera lunga) facendo ricorso alla frigoconservazione e/o all’atmosfera controllata e modificata per cercare di preservarne al meglio le caratteristiche qualitative. Le tecniche di conservazione presentano però diverse limitazioni dovute non solo agli importanti costi energetici, ma anche all’elevata deperibilità di alcune tipologie di frutti che ne limita l’impiego.
Le tecnologie trasformative, invece, permettono di modificare le caratteristiche del prodotto in modo tale da ridurne la deperibilità e preservarne più a lungo le caratteristiche qualitative e nutrizionali. I prodotti trasformati a base di frutta sono classificabili essenzialmente in cinque tipologie, che differiscono per la tecnologia impiegata: le marmellate e le composte di frutta, la frutta sciroppata, la frutta secca, le bevande fermentate ed i succhi di frutta (Woodroof & Luh, 1986).
La produzione di marmellate e composte di frutta prevede l’aggiunta di elevate quantità di zucchero, con funzione conservante, associata alla cottura ed all’omogeneizzazione della frutta. Anche nel caso della frutta sciroppata la conservazione è resa possibile grazie all’aggiunta di una soluzione zuccherina concentrata, ma il prodotto non viene omogeneizzato nè trattato termicamente. Nella frutta secca, invece, la conservabilità del prodotto si ottiene riducendo il suo tenore idrico fino a livelli tali da impedire lo sviluppo dei microrganismi. Mediante la fermentazione alcolica della frutta, operata da lieviti e batteri, si possono invece ottenere bevande fermentate (come ad esempio il vino ed il sidro) in cui la stabilità è garantita dalla presenza di alcool e dall’abbattimento della concentrazione zuccherina. Per i succhi di frutta, infine, la conservazione è resa possibile mediante l’omogeneizzazione dei frutti seguita da un trattamento
termico che permette di eliminare i microrganismi patogeni e alteranti (pastorizzazione) dal succo ottenuto. I processi tecnologici applicati alla produzione di succhi e nettari di frutta hanno lo scopo di ottenere un prodotto finito che conservi al meglio gli elementi più qualificanti dei prodotti freschi, quali le caratteristiche organolettiche e le proprietà nutrizionali.
1.3 Il mercato dei succhi di frutta
Frutta e verdura rappresentano la fonte maggiore di polifenoli all’interno dell’alimentazione umana e per questo sono stati definiti anche alimenti funzionali. Accanto ad un buon apporto di nutrienti essenziali il consumo di questi alimenti garantisce l’assunzione di molecole che esplicano un’azione benefica sulla salute umana (composti nutraceutcici).
Da questo punto di vista i succhi di frutta rappresentano una valida alternativa al consumo di frutta e verdura poiché contengono una buona dose di polifenoli. Inoltre vanno incontro alle esigenze dei consumatori che desiderano pasti e spuntini nutrienti e salutari, ma allo stesso tempo veloci da consumare.
Queste caratteristiche hanno contribuito ad un marcato aumento dei consumi di succhi di frutta negli ultimi anni. A determinarlo sono state soprattutto le bevande di nuova generazione, arricchite con vitamine, fibre o altri ingredienti. Da questo punto di vista, il mercato dei succhi di frutta sta attraversando una trasformazione complessiva che si realizza puntando sulla naturalità del prodotto, sul gusto e soprattutto su specifici apporti nutrizionali, come, ad esempio, gli antiossidanti e le vitamine (Fig. 1).
La crescita sul mercato di prodotti più elaborati rispetto al tradizionale succo di frutta 100% ha esteso i confini della categoria in un processo tipico di evoluzione del mercato di massa in cui le categorie merceologiche si sono ampiamente differenziate grazie all’innovazione di prodotto. Oltre ad una vasta e crescente gamma di gusti e combinazioni di gusti è possibile trovare sul mercato un’amplissima varietà di bevande a base di frutta che, al di là del semplice succo, contengono latte, yogurt, cioccolato, microrganismi con azione probiotica, estratti vegetali e diversi micronutrienti aggiunti (ferro, vitamine e sali minerali). Si tratta quindi di prodotti che si collocano a metà strada fra bevande dissetanti e alimenti salutistici. Proprio per questa ragione l’attenzione che il consumatore dedica al ruolo salutistico dei succhi di frutta è tra gli elementi che maggiormente influiscono sulla sua scelta all’atto dell’acquisto (Fig. 2).
Fig. 2 – Fattori che influenzano la scelta del consumatore nell’acquisto di un succo di frutta.
Ad oggi circa l’80% delle famiglie consuma succhi di frutta. La tendenza generale a livello mondiale è quella di un incremento progressivo dei consumi.
Per quanto riguarda l’Italia il consumo nel 2000 ammontava a circa 631 milioni di litri (circa 10,5 litri pro-capite), il 15,6 per cento in più rispetto all'anno
Nel 2003 il consumo è salito a 930 milioni di litri (15 litri pro-capite) con un tasso di crescita del 10% circa rispetto all’anno precedente (BeverFood, 2004).
In Europa l’Italia si colloca agli ultimi posti per quanto riguarda il consumo di succhi, mentre la Germania svetta con i suoi 42 litri pro-capite (Tabella 1). Il consumo nel nostro Paese è comunque cresciuto negli ultimi anni, come si evince dal grafico riportato in Figura 3.
Tab. 1 – Consumo pro-capite di succhi e nettari di frutta in Europa (BeverFood, 2004).
In Tabella 2 è riportata la distribuzione dei consumi di bevande a base di frutta, suddivise rispetto al contenuto di frutta.
Tab. 2 – Consumo (milioni di litri) di bevande a base di frutta in Italia, riferita all’anno 2003 (BeverFood, 2004).
I succhi di frutta 100% rappresentano sul mercato italiano soltanto il 15% delle bevande a base di frutta consumate. Nettari e bevande con più del 30% di frutta, invece, coprono quasi il 73% dei consumi del settore.
I gusti più affermati nel comparto dei succhi interi sono l’arancia, l’ananas, il mix tropicale ed il pompelmo. Nel comparto dei nettari polposi svettano invece i frutti tipici delle nostre coltivazioni (pera, pesca, albicocca e mela), mentre tra le altre bevande a base di frutta si sono affermati i gusti arricchiti di vitamine (A, C, E), l’arancia rossa e i mix di gusti diversi, tra cui quelli esotici.
Infine, per quanto riguarda la produzione, la Tabella 3 riporta le quote di mercato delle quattro principali aziende italiane nel settore.
Tab. 3 – Quote di mercato riferite al comparto delle bevande a base di frutta in Italia, relative all’anno 2003 (BeverFood, 2004).
1.4 I succhi di frutta nell’alimentazione umana
Per avere un’alimentazione bilanciata, con un adeguato apporto di vitamine e sali minerali, gli esperti consigliano la regola del five a day, ovvero il consumo di cinque porzioni di frutta e verdura al giorno. Non sempre, però, questa indicazione è semplice da mettere in pratica. Un buon metodo per ovviare alle difficoltà di consumare frutta e verdura cinque volte al giorno è quello di utilizzare i succhi di frutta, perfetti sia come spuntino che come completamento dei pasti principali dalla colazione alla cena (Ruxton et al., 2006).
I succhi di frutta costituiscono non solo una buona fonte di zuccheri, vitamine, sali minerali e fibre solubili (specialmente nei succhi non filtrati), ma, a seconda della tipologia di frutto, possono essere piuttosto ricchi di molecole con azione antiossidante come i carotenoidi ed i polifenoli (Lugasi & Hovari, 2003).
È difficile fornire accuratamente la composizione nutrizionale di un generico succo di frutta, poiché essa dipende da numerose variabili quali, ad esempio, le caratteristiche della frutta da cui è stato ottenuto, la tecnologia mediante la quale è stato prodotto, le sostanze eventualmente aggiunte, ecc....
Dal punto di vista nutrizionale i succhi di frutta sono essenzialmente bevande zuccherine; allo zucchero della frutta si somma quello aggiunto in fase di lavorazione, mentre la percentuale di proteine è limitata e i grassi sono praticamente assenti. Per i succhi di frutta senza zuccheri aggiunti il contenuto di zuccheri può variare dai 5-6 grammi/litro, nel succo di limone, agli oltre 20 grammi/litro dei succhi di pera.
Il contenuto di vitamine è piuttosto ridotto poiché buona parte di queste sostanze viene degradata dai processi di lavorazione (in particolare durante la pastorizzazione). La presenza di sali minerali è buona e legata alla tipologia di frutta utilizzata. I succhi di frutta (in particolare quelli non filtrati) contengono anche le fibre della frutta di partenza, elementi che non danno apporto energetico, ma hanno importanza dal punto di vista fisiologico e salutistico perché aiutano la mobilità intestinale (Lugasi & Hovari, 2003).
Le caratteristiche organolettiche (colore, odore e sapore) sono strettamente correlate alla frutta utilizzata per la produzione del succo, ma possono essere
influenzate anche dalla tecnologia produttiva. L’acidità è molto variabile da un prodotto all’altro, così come il livello di “dolcezza” del succo (Morris et al., 1989).
In ultimo non bisogna trascurare l’apporto di molecole antiossidanti come i carotenoidi ed i polifenoli, che pur non avendo alcun valore nutrizionale hanno effetti benefici sulla salute poiché agiscono da terminatori di radicali liberi, contrastando lo stress ossidativo che causa l’invecchiamento delle cellule.
1.4.1 I polifenoli
I polifenoli costituiscono un gruppo molto ampio ed eterogeneo di sostanze naturali, particolarmente note per la loro azione positiva sulla salute umana.
In natura queste sostanze vengono prodotti dal metabolismo secondario delle piante, e svolgono funzioni differenti in relazione alla loro struttura chimica.
Alcuni hanno un’azione deterrente verso gli animali erbivori (tannini, che impartiscono un sapore sgradevole) ed i patogeni (azione antifungina e antimicrobica), altri fungono da supporto meccanico (lignine); altri ancora attirano gli insetti per favorire la dispersione del frutto e del polline (antocianine dai colori vivaci). Inoltre possono agire come inibitori di crescita nei confronti delle piante in competizione, oppure proteggono la pianta dai raggi ultravioletti (flavonoli).
Con il termine polifenoli si indica una classe molto vasta di molecole (oltre 5000 scoperte fino ad oggi) prodotte dal metabolismo secondario delle piante e presenti in tutti gli alimenti di origine vegetale. Non hanno alcun valore nutrizionale, ma i loro effetti benefici sull’organismo umano sono molteplici e scientificamente dimostrati. Le prime evidenze scientifiche dei loro effetti salutistici risalgono alla fine degli anni ’70. Alcuni epidemiologi (Leger et al., 1979), studiando l’incidenza delle malattie cardiovascolari in Francia, notarono che il tasso di mortalità era inferiore rispetto ad altri Paesi dieteticamente comparabili, soprattutto in relazione al consumo di acidi grassi saturi. Per descrivere questo strano fenomeno venne coniata l’espressione di “paradosso francese” (Richard et al., 1981). A questi primi studi ne seguirono moltissimi altri per individuare quali abitudini alimentari dei francesi contribuissero a spiegare il paradosso.
La riduzione nell’incidenza delle malattie cardiovascolari all’interno della popolazione francese è stata poi ricondotta ed attribuita al consumo di vino rosso (Renaud & de Lorgeril, 1992).
Negli anni seguenti gli sforzi della ricerca scientifica si sono orientati verso la ricerca delle molecole, contenute nel vino, responsabili del paradosso francese. In un primo momento la riduzione dell’incidenza di malattie cardiovascolari venne associata all’alcool, soprattutto per il suo effetto vasodilatatore ed emofluidificante. Successivamente, nella seconda metà degli anni ’90, è stato dimostrato che l’azione cardioprotettiva del vino rosso dipende in misura maggiore dal suo elevato contenuto di antiossidanti (Truelson et al., 1998).
Numerosi studi di tipo epidemiologico hanno infatti osservato che l’assunzione di polifenoli, con particolare riferimento a quelli contenuti nel vino rosso, è associata ad una riduzione nell’incidenza di malattie cardiovascolari (Cordova et al., 2004; Bradamante et al., 2005), cancro intestinale (Gronbaek et al., 1998), infarto ischemico (Wang et al., 2002), ipertensione (Thadhani et al., 2002), malattie renali (Rodrigo & Bosco, 2006) e degenerazione maculare (Obisesan et al., 1998). Ulteriori studi hanno evidenziato anche un effetto antivirale e antibatterico (Docherty et al., 2005; Docherty et al., 2006) ed un’azione antiosteoporotica dovuta all’aumentata ritenzione di calcio nelle ossa (Hoidrup et al., 1999).
Dal punto di vista chimico, i polifenoli sono molecole composte da più cicli fenolici condensati (composti organici che hanno uno o più gruppi ossidrilici legati ad un anello aromatico). In realtà, da un punto di vista biologico è più corretto parlare di composti fenolici, molecole che hanno almeno un anello aromatico in cui è presente un sostituente ossidrilico. Una caratteristica importante di questi composti è la loro acidità, dovuta alla facilità di rottura del legame tra l’ossigeno e l’idrogeno che forma il corrispondente ione negativo detto fenossido.
Le più importanti proprietà chimiche dei fenoli comprendono:
- la capacità dello ione fenossido di delocalizzare la carica negativa e di formare anioni in cui la carica risulta sul carbonio anziché sull’ossigeno;
- la possibilità dello ione di perdere un altro elettrone e di formare il radicale corrispondente;
- l’abilità dei fenoli nel formare ponti idrogeno con altre molecole.
La biosintesi di questi composti all’interno della pianta è frutto di numerose reazioni catalizzate da enzimi, che sono finemente regolati da moltissimi fattori esogeni (luce, temperatura, disponibilità idrica, patogeni) ed endogeni (ormoni).
Si parte da due metaboliti primari che derivano dalla via dei pentosi fosfati e dalla glicolisi e che sono rispettivamente l’eritrosio-4-fosfato ed il fosfoenol-piruvato. Mediante la via dell’acido shikimico (Fig. 4) questi composti vanno a formare l’acido corismico che è il precursore della sintesi degli amminoacidi aromatici fenilalanina, triptofano e tirosina.
La fenilalanina rappresenta il precursore di tutti i composti fenolici sintetizzati dalle piante. Attraverso la via dei fenil-propanoidi, infatti, questo amminoacido viene convertito prima ad acido cinnamico e successivamente ad acido cumarico, da cui parte la sintesi della lignina e dei flavonoidi (Fig. 5).
Fig. 5 – Schematizzazione della via biosintetica dei fenil-propanoidi (Conde et al., 2007).
Dall’acido trans-cinnamico si formano gli acidi benzoici ed i tannini semplici (o idrolizzabili). Gli acidi benzoici sono caratterizzati dalla presenza di un anello aromatico legato ad un gruppo carbossilico, eventualmente esterificato con degli zuccheri e sostituito con gruppi idrossilici (Fig. 6). I tannini semplici sono essenzialmente l’acido gallico, l’acido ellagico (formato a partire da due molecole di acido gallico) e gli ellagitannini, formati dalla combinazione di acido gallico ed ellagico (Fig. 7).
Fig. 6 – Principali acidi benzoici sintetizzati a partire dall’acido cinnamico.
Fig. 7 – Formule di struttura dei tannini semplici.
L’acido cumarico, invece, può essere convertito negli acidi idrossicinnamici, ovvero l’acido caffeico, l’acido ferulico e l’acido sinapico. A loro volta questi acidi possono formare i rispettivi alcoli, che grazie all’azione delle perossidasi e delle laccasi vanno a formare la lignina che contenuta nelle pareti (Fig. 8).
L’acido cumarico ottenuto a partire dalla fenilalanina può proseguire lungo la via biosintetica senza essere trasformato in acidi cinnamici. Mediante l’intervento di una Cumaroil-CoA sintasi si può legare ad una molecola di acetil-CoA per formare una molecola di para-cumaroil-CoA. Questa molecola reagisce a sua volta con tre molecole di malonil-CoA attraverso l’azione di due diversi enzimi: la stilbene sintasi (SS) e la calcone sintasi (CHS).
L’azione della stilbene sintasi porta alla formazione del resveratrolo (Fig. 9), che rappresenta il precursore degli stilbeni, molecole formate da uno scheletro composto da due anelli aromatici collegati da un ponte a tre atomi di carbonio.
Fig. 9 – Formula di struttura del resveratrolo, prodotto dalla stilbene sintasi.
L’intervento della calcone sintasi, invece, porta alla sintesi della naringenina, il primo composto della via biosintetica con la struttura flavonoidica (Fig. 10), in cui un atomo d’ossigeno chiude l’anello centrale della molecola.
Fig. 10 – Struttura di base dei flavonoidi, con numerazione degli atomi di carbonio.
A partire da questa molecola si formano tutte le classi di flavonoidi, che conservano all’interno delle loro strutture lo scheletro flavonoidico.
I flavonoidi sono suddivisi in sette classi a seconda della loro struttura molecolare: i flavoni, i flavononi, gli isoflavoni, i flavan-3-oli, i flavonoli, le procianidine (o tannini condensati) e le antocianine. Le strutture di base di questi composti sono riportate in Figura 11.
La figura 12, invece, riporta i vari stadi della via biosintetica che portano alla sintesi delle varie classi di flavonoidi.
Fig. 12 – Biosintesi delle diverse classi di flavonoidi. In corsivo, accanto ad ogni gruppo, sono riportati i processi in cui partecipano le molecole all’interno della pianta. I rettangoli indicano le
I flavonoli sono la classe di flavonoidi che si trova più facilmente negli alimenti. Quercitina e canferolo sono i più diffusi. La concentrazione di flavonoli è piuttosto bassa rispetto agli altri flavonoidi e solitamente si trovano in forma glicosilata, legati al glucosio o al ramnosio (o talvolta anche a galattosio, arabinosio o xilosio). Si trovano generalmente nelle parti più esterne della pianta (appena al di sotto dell’epidermide) e la loro biosintesi è strettamente dipendente dall’esposizione alla luce (Price et al., 1995).
I flavoni si trovano solo in alcuni alimenti vegetali. Generalmente si tratta di luteolina ed apigenina glicosilate.
I flavanoni si trovano soprattutto negli agrumi ed in particolare la naringenina viene ritrovata nel pompelmo, l’esperitina nell’arancio e l’eriodictiolo nel limone.
Gli isoflavonoidi ed in particolare gli isoflavoni si trovano in piccole quantità soltanto in alcuni legumi. La soia ed prodotti che ne derivano rappresentano l’unica fonte di questi composti ai fini dell’alimentazione umana.
I flavanoli, a differenza degli altri flavonoidi, non si trovano in forma glicosilata. Si trovano nei frutti e nelle foglie come monomeri (flavan-3-oli) oppure come polimeri (in questo caso si parla di proantocianidine). Catechina, epicatechina ed epicatechina gallato sono gli unici membri di questa classe.
Dalla polimerizzazione dei flavan-3-oli si formano le procianidine, o tannini condensati. Il loro grado di polimerizzazione è molto variabile e si può arrivare ad avere fino ad una trentina di subunità di flavan-3-oli. Questi composti sono responsabili della sensazione di astringenza, poichè formano dei complessi insolubili con le proteine contenute nella saliva. La loro concentrazione è particolarmente elevata nel cioccolato, nel tè e nel vino (Santos-Buelga & Scalbert, 2000).
Le antocianine sono le molecole responsabili della pigmentazione dei fiori e dei frutti. Si trovano all’interno dei vacuoli delle cellule che compongono l’epidermide. A seconda della loro struttura chimica e del pH a cui si trovano la loro colorazione varia dal celeste al rosso. Le forme non glicosilate (antocianidine) sono poco stabili e tendono velocemente ad ossidarsi. Possono formare complessi stabili con altri composti fenolici (copigmentazione). La frutta rappresenta la fonte principale di antocianine nell’alimentazione.
1.5 Il succo d’uva
La vite (Vitis spp.) è la pianta da frutto che riveste maggiore importanza dal punto di vista economico a livello mondiale.
Nel 2005 la superficie coltivata a vite in tutto il mondo ammontava a circa 7,5 milioni di ettari, mentre la produzione di uva raggiungeva quasi le 67 milioni di tonnellate (FAO, 2007). L’uva prodotta può essere destinata alla trasformazione (prevalentemente in vino, ma anche in succo d’uva), fresca (uva da tavola) oppure destinata alla produzione di uva passa (Fig. 13).
Fig. 13 – Destinazioni produttive dell’uva raccolta nell’annata 2005 (FAO, 2007).
Soltanto il 7% circa della quota di uva destinata alla trasformazione non viene utilizzata per la produzione di vino, bensì per produrre succo di uva non fermentato. Il genere Vitis comprende più di 50 diverse specie, ma quasi tutta la produzione mondiale di vino deriva dalla Vitis vinifera L., una specie nativa della zona compresa tra l’altopiano del Caucaso ed il Mar Caspio (Kunkee & Goswell, 1996).
Diversa è la situazione per quanto concerne i succhi di uva i quali, soprattutto in America, vengono ottenuti da diverse cultivar di Vitis labrusca L. e di Vitis rotundifolia Michx. (Muscadine).
TRASFORMAZIONE 71% CONSUMO FRESCO 27% ESSICCAMENTO 2%
Destinazione dell'uva prodotta
1.5.1 Nascita del succo d’uva
Sembra che il primo succo di uva commerciale sia stato prodotto nel 1869 da un dentista di nome Thomas B. Welch, nel New Jersey. Il dottor Welch provò ad applicare la neonata tecnica della pastorizzazione al succo ottenuto da pochi chilogrammi di uva. La tecnica si rivelò molto efficace per arrestare la fermentazione del mosto, ma anche per produrre un succo d’uva non alcolico e dal sapore gradevole. Inaspettatamente il succo prodotto incontrò il favore della Chiesa Metodista, che decise subito di utilizzarlo al posto del vino nel sacramento dell’eucaristia. Gli anni seguenti le richieste di succo d’uva alla famiglia Welch, non solo da parte delle chiese metodiste, aumentarono progressivamente. La produzione di succo d’uva divenne l’attività principale della famiglia. Nel 1896 Charles, il figlio del Dottor Welch, si trasferì nello stato di New York, zona in cui la viticoltura era maggiormente sviluppata. Nello stesso anno costruì a Westfield la prima fabbrica di succo di uva, in grado di lavorare più di 300 tonnellate di frutta. Ancora oggi la Welch’s Company è uno dei principali produttori di succo d’uva a livello mondiale (Morris, 1989).
1.5.2 Tecnologia di produzione
La tecnologia di produzione del succo di uva ha subito una serie di cambiamenti e di innovazioni nel corso degli anni. Oggi l’estrazione del succo viene effettuata mediante un processo continuo, assicurando una produttività più alta ed un livello di igiene superiore rispetto alla tradizionale lavorazione in discontinuo. Inoltre sono stati sviluppati preparati enzimatici e sostanze che facilitano l’estrazione migliorando la resa del processo e la qualità del prodotto ottenuto.
La produzione comincia con la raccolta delle uve, che devono aver raggiunto il punto di maturazione ottimale.
Per controllare lo sviluppo delle muffe nella fasi di trasporto e di stoccaggio che precedono la lavorazione i grappoli possono essere trattate con anidride solforosa.
Una volta giunti all’impianto vengono lavati con acqua e successivamente asciugati; a questo punto vengono trasportati ad una pigiatrice-deraspatrice che separa gli acini dai raspi e, contemporaneamente, produce una prima rottura dei chicchi.
In questo modo si ottiene una polpa abbastanza fluida costituita da succo, bucce e vinaccioli, mentre i raspi vengono subito scartati. Il prodotto in uscita viene preriscaldato in uno scambiatore fino a temperature prossime ai 60°C, prima di essere inviato ad un serbatoio termostatato. La temperatura può essere variata opportunamente, a seconda della materia prima di partenza, in modo da assicurare una buona estrazione dei tannini e dei pigmenti. In generale si cerca di evitare temperature superiori a 65°C per preservare gli aromi e non degradare eccessivamente i composti più termolabili. Il riscaldamento della polpa permette inoltre di eliminare buona parte dell’anidride solforosa aggiunta in precedenza.
In questa fase possono essere aggiunti dei preparati enzimatici con attività pectinasica, in grado di attaccare le pareti cellulari in modo da facilitare la rottura delle cellule. Inoltre vengono aggiunte fibre di cellulosa, con lo scopo di facilitare la rottura delle bucce durante la successiva fase di pressatura. Dopo un periodo variabile da 30 minuti ad un’ora, in cui il prodotto viene agitato e mantenuto al caldo, è possibile passare alla fase di pressatura.
Prima, però, si separa dal 30 al 35% del succo libero facendo scorrere il prodotto all’interno di un tubo forato, rivestito di una fibra a maglie larghe (circa 400 µm). La parte restante viene inviata alla pressatura, che viene effettuata mediante l’impiego di presse idrauliche che sfruttano una vite senza fine per riuscire a lavorare in continuo (Fig. 14).
Il succo che si ottiene viene aggiunto al succo separato in precedenza e successivamente inviato ad una centrifuga oppure ad un sistema filtrante in grado di eliminare le sostanze in sospensione e le fibre di cellulosa. Al termine di questa fase la resa totale del processo estrattivo si aggira intorno ai 730-750 litri di succo chiarificato per tonnellata di uva (Morris et al., 1989).
Prima del confezionamento e della commercializzazione il succo deve essere stabilizzato da un punto di vista microbiologico, per eliminare i microrganismi patogeni ed alteranti. L’eliminazione di questi microrganismi viene solitamente effettuata per via termica, applicando un trattamento di pastorizzazione che prevede il riscaldamento del succo a 85°C per 3 minuti. Questo trattamento può essere effettuato prima del confezionamento (che dovrà perciò avvenire in condizioni di sterilità), oppure dopo che il succo è stato imbottigliato in contenitori di vetro (in questo caso è più corretto parlare di appertizzazione).
Recentemente sono state sviluppate nuove tecniche di sanificazione che non sfruttano il calore, in modo da preservare i composti termolabili e le componenti aromatiche. Ultrafiltrazione, trattamenti con radiazioni ionizzanti, applicazione di campi elettrici e di alte pressioni rappresentano, ad esempio, un’alternativa al trattamento di pastorizzazione, ma fino ad ora la loro applicazione in campo industriale resta ancora piuttosto limitata.
1.5.3 Parametri qualitativi
È difficile fornire accuratamente la composizione nutrizionale di un generico succo d’uva, in quanto essa dipende da molti elementi difficilmente controllabili. Il grado di maturazione delle bacche influisce sulla concentrazione zuccherina, ma si può avere anche moltissima variabilità intraspecifica a seconda della cultivar, del clima, del tipo di suolo, della forma di allevamento e degli stress biotici.
In generale nel succo d’uva, come in tutte le altre tipologie di succhi di frutta, i macronutrienti maggiormente presenti sono i carboidrati. I lipidi e le proteine sono presenti solo in tracce (Tab. 4).
La dotazione di vitamine è abbastanza buona, non tanto per le loro quantità, ma piuttosto per le diverse classi presenti. È stata infatti evidenziata la presenza di biotina, niacina, acido folico, inositolo, acido pantotenico, piridossina, acido ascorbico, colina e piccole quantità di riboflavina e di cianocobalamina. Inoltre la presenza di buone concentrazioni di elementi minerali come sodio, potassio, calcio, fosforo, ferro, rame e manganese rende il succo di frutta un ottimo alimento da inserire nella dieta (Tab. 5). In ultimo non bisogna trascurare l’apporto di molecole antiossidanti come i carotenoidi ed i polifenoli.
Tab. 5 – Micronutrienti contenuti in 100 grammi di succo d’uva (fonte: INRAN).
Parlando di qualità bisogna considerare, oltre alle caratteristiche nutrizionali, anche le proprietà organolettiche del succo di uva: sapore, aroma e colore.
Per quanto riguarda il sapore è essenzialmente determinato da tre tipologie di composti chimici: gli zuccheri, gli acidi organici ed i composti aromatici.
Lo zucchero maggiormente rappresentato è il glucosio, ma è presente anche il saccarosio, in quantità minori. Tra gli acidi organici, invece, il più abbondante è senz’altro l’acido tartarico (tal quale o salificato con diversi cationi), accanto a ridotte quantità di acidi malico e citrico. Per evitare che il gusto del prodotto sia eccessivamente acido la concentrazione di acido tartarico in un succo di uva non dovrebbe superare lo 0,85% in peso.
In realtà il sapore del succo non dipende dal contenuto di zuccheri e di acidi, bensì dal loro bilanciamento. Subito dopo l’ottenimento del succo il produttore può aggiungere acidi organici (malico, tartarico e citrico) oppure zuccheri (fruttosio, glucosio, saccarosio) in modo da ottenere un rapporto ottimale.
Affinché il succo abbia un sapore bilanciato la concentrazione degli zuccheri dovrà essere dalle 20 alle 30 volte superiore a quella degli acidi organici (Sims & Morris, 1989). I composti aromatici principali sono alcoli, aldeidi ed esteri. Anche il contenuto di composti fenolici influenza le caratteristiche organolettiche del succo d’uva. I tannini condensati determinano l’astringenza, mentre la concentrazione e la tipologia di antocianine presenti sono i principali responsabili del colore dei succhi di uva rossa. Gli acidi idrossicinnamici, invece, impartiscono la colorazione al succo di uva bianca.
1.5.4 Composti fenolici nel succo di uva
La concentrazione dei composti fenolici all’interno del succo d’uva è estremamente variabile e dipende da numerosi fattori, non sempre controllabili.
La cultivar utilizzata ed il suo grado di maturazione contribuiscono per la maggior parte alla dotazione di polifenoli, ma anche altri fattori esogeni ed endogeni possono determinare delle variazioni piuttosto marcate; l’esposizione delle bacche alla luce, lo stato fitosanitario delle piante, il tipo di suolo, il clima, le pratiche agronomiche adottate nella gestione del vigneto sono tra i principali.
I composti fenolici dell’uva sono stati e continuano ad essere oggetto di numerose ricerche scientifiche volte a comprenderne la struttura, la biosintesi, il loro accumulo all’interno della bacca ed il loro destino durante la produzione e l’affinamento del vino (Downey et al., 2006).
Le classi di composti fenolici presenti all’interno della bacca dell’uva sono soprattutto flavonoidi (tannini, antocianine, flavan-3-oli, flavonoli), ma si trovano anche stilbeni ed acidi idrossicinnamici.
La bacca dell’uva è formata da tessuti che da un punto di vista morfologico e fisiologico sono molto diversi tra loro (Fig. 15). Questo comporta una distribuzione molto eterogenea dei metaboliti all’interno del frutto; la tipologia di polifenoli presenti e la loro concentrazione può essere abbastanza variabile non soltanto nei diversi tessuti, ma anche all’interno dello tessuto stesso.
Fig. 15 – Schematizzazione della struttura di una bacca di uva (Conde et al., 2007).
I tannini sono la classe di composti fenolici più rappresentata. Si trovano nello strato ipodermico adeso alla parte inferiore dell’epidermide e nei vinaccioli, all’interno delle cellule parenchimatiche racchiuse tra la cuticola e la parte lignificata. Le subunità di flavan-3-oli che vanno a formare i tannini condensati nell’uva sono essenzialmente di quattro tipi: catechina, epicatechina, epigallocatechina ed epicatechina gallato (Fig. 16). Catechina ed epicatechina sono le molecole responsabili dell’estensione del polimero di proantocianidina. La loro biosintesi avviene probabilmente nei vacuoli, dove vengono poi accumulati. Il loro peso molecolare è molto variabile ed in genere il numero di subunità che li compongono varia da due ad oltre 30. È stato osservato che il grado di polimerizzazione medio di questi composti è maggiore nei tannini dell’ipoderma rispetto a quelli localizzati nei semi. Questi ultimi, inoltre, hanno un contenuto maggiore di epicatechina gallato, che è pressoché assente nei tannini presenti nell’ipoderma (Cheynier, 2005). La concentrazione di questa classe di composti è superiore nell’uva rossa rispetto all’uva bianca.
Fig. 16 – Struttura di un tannino condensato in cui sono presenti le quattro diverse tipologie di flavan-3-oli che vanno a formare le procianidine (Adams, 2006).
Le antocianine sono la seconda classe di composti polifenolici dell’uva rossa per quanto riguarda la loro concentrazione nel frutto. Si trovano soltanto nell’uva rossa poiché le varietà a bacca bianca hanno perso la capacità di sintetizzarle nel corso dell’evoluzione. Sono localizzate, come i tannini, nello strato ipodermico adeso alla buccia, all’interno dei vacuoli. Nell’uva si trovano legate in maniera covalente ad uno zucchero in posizione 3 mediante un legame O-glicosidico. Lo zucchero legato è generalmente il glucosio, che può essere esterificato con diversi acidi organici. Sulla struttura flavonoidica, inoltre, si possono legare diversi sostituenti (Fig. 17) che cambiano l’interazione della molecola con la luce, modificandone il colore (Kennedy et al., 2003).
Gli acidi idrossicinnamici sono la classe di composti non flavonoidici maggiormente presente nell’uva. Sono particolarmente importanti nell’uva bianca, poiché la loro ossidazione dà origine al colore dorato del succo e del vino bianco. Si trovano come isomeri trans degli acidi ferulico, caffeico e cumarico, esterificati con acido tartarico (Fig. 18). Sono localizzati nelle cellule del mesocarpo e dell’ipoderma (Conde et al., 2007).
Fig. 17 – Antocianine che si trovano nell’uva (Adams, 2006).
I flavan-3-oli presenti nell’uva sono essenzialmente la catechina e l’epicatechina, due stereoisomeri della stessa molecola (Fig. 19). Si trovano soprattutto nei vinaccioli, ma la loro presenza in piccole quantità è stata evidenziata anche nelle cellule dell’ipoderma. La loro estraibilità nel succo e nel vino non è molto elevata.
Fig. 19 – Strutture dei flavan-3-oli monomerici isolati nell’uva (Adams, 2006).
I flavonoli sono la classe di flavonoidi meno rappresentata all’interno della bacca dell’uva. Nel succo e nel vino si trovano in forma libera, ma all’interno del frutto sono presenti soltanto come glucosidi, galattosidi o glucuronidi (Fig. 20). Si trovano a ridosso della buccia e la loro concentrazione è molto variabile nei diversi acini, per azione della luce solare, che ne regola la biosintesi (Downey et al., 2004). Sono i polifenoli con la più elevata attività antiossidante.
Fig. 20 – Strutture dei flavonoli isolati dall’uva. All’interno del frutto in posizione R3 troviamo il glucosio, il galattosio o l’acido glucuronico (Adams, 2006).
Infine gli stilbeni sono i composti fenolici meno presenti nell’uva. Sono molto importanti per la pianta poiché agiscono come fitoalessine, contrastando gli attacchi fungini. Inoltre la loro biosintesi è indotta anche da un’eccessiva intensità di raggi ultravioletti. Gli stilbeni che si trovano nella buccia dell’uva sono il resveratrolo e la viniferina, derivante da questa molecola (Fig. 21). Nonostante la loro ridotta concentrazione questi composti hanno diversi effetti benefici sulla salute umana (Baur & Sinclair, 2006).
1.4.5 Il succo d’uva come alimento nutraceutico
Nell’ultimo decennio l’interesse della ricerca medico-farmacologica sui succhi d’uva è cresciuto progressivamente. L’interesse degli scienziati per questa bevanda è nato dalla necessità di studiare separatamente gli effetti degli antiossidanti e quelli dell’alcool contenuti nel vino rosso (Stein et al., 1999).
I primi studi volti a spiegare il paradosso francese, infatti, fornirono risultati contrastanti e difficilmente interpretabili. Alcuni ricercatori evidenziarono un effetto benefico del consumo regolare e moderato di bevande alcoliche, in particolare per quanto riguarda la riduzione dell’incidenza di infarti e patologie cardiovascolari (Klatsky et al., 1981; Rimm et al., 1991). Ulteriori studi hanno poi dimostrato che il consumo di alcool aumenta il livello del colesterolo HDL (Gaziano et al., 1993) e riduce l’aggregazione piastrinica, che provoca la formazione di trombi (Renaud et al., 1992). Studi successivi (Truelson et al., 1998) hanno però evidenziato un maggior effetto cardioprotettivo del vino rosso rispetto alle altre bevande alcoliche, spostando l’attenzione della ricerca verso i composti fenolici ed i flavonoidi in particolare.
I succhi d’uva, specialmente quelli ottenuti da uva rossa, sono stati perciò oggetto di una serie di studi volti a valutarne l’assorbimento, l’azione all’interno dell’organismo e l’incidenza nello sviluppo di alcune patologie.
È stato osservato che il consumo di succhi di uva rossa aumenta l’elasticità delle pareti dei vasi sanguigni e riduce significativamente l’ossidazione del colesterolo LDL, che provoca la formazione di ateromi e l’insorgenza di ictus ed infarti (Stein et al., 1999). La riduzione dell’aggregazione piastrinica si osserva in seguito al consumo di succhi d’uva, ma non nel caso di succhi di arancia o pompelmo (Keevil et al., 2000).
Gli acidi fenolici che si trovano nel succo d’uva (caffeico, gallico, ellagico e ferulico) hanno mostrato in vivo ed in vitro di possedere proprietà antimutageniche ed anticarcinogeniche (Shahrzad & Bitsch, 1996).
Il succo di uva rossa, inoltre, aumenta il rilascio di ossido nitrico dall’NO-GMP ciclico, un inibitore biologico dei processi di vasodilatazione che coinvolgono il sistema circolatorio (Freedman et al., 2001).
Uno studio clinico (Park et al., 2003) ha evidenziato come il consumo giornaliero di succo d’uva riduca la concentrazione di specie radicaliche nel plasma ed il tasso di mutazione del DNA osservato sui linfociti.
Rhodes et al. (2005), invece, hanno osservato l’attività antimicrobica esercitata da un succo d’uva ottenuto dalla varietà Ribier nei confronti di Listeria monocytogenes.
È stato osservato in vitro anche un aumento dei recettori LDL (che legano e metabolizzano il colesterolo) in colture cellulari trattate con un estratto di polifenoli ottenuto da un succo di uva rossa (Davalos et al., 2006).
Alcuni studi di tipo epidemiologico hanno evidenziato un effetto anticarcinogenico legato al consumo di succhi di frutta e verdura, ma i dati in questo senso sono ancora contrastanti e la riduzione osservata non è molto significativa (Ruxton et al., 2006).
Dagli studi più recenti, infine, sembra che il consumo di frutti rossi e di uva, come tali oppure ridotti in succhi, abbia un effetto marcato sulla riduzione dello stress ossidativo e delle infiammazioni a livello cerebrale. Nel ratto si è osservato che questi effetti sono inversamente correlati all’instaurarsi dei processi neurodegenerativi tipici dell’invecchiamento (Shukitt-Hale et al., 2008).