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ANNO ACCADEMICO 2013-2014 UNIVERSITÀ DI PISA Corso di Laurea Magistrale in Sociologia e politiche sociali (Cl. 87) Curriculum Politiche sociali TESI:

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UNIVERSITÀ DI PISA

Corso di Laurea Magistrale in Sociologia e politiche sociali (Cl. 87)

Curriculum Politiche sociali

TESI:

“Saper essere assistente sociale: nuovi percorsi formativi”

“L’assistente sociale resiste: la formazione operativa come empowerment e resilienza”

di Giovanni Bertanza

Relatore: prof. Roberto Mazza Metodologia dei Servizi Sociali.

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Ringrazio i miei figli Gilda e Nicola che mi fanno sentire cosi giovane

da studiare ancora!

Ringrazio la mia compagna Silvia per l’aiuto, i grafici, il riordino e … la tenacia

che mi ha trasmesso.

Fatica dedicata al ricordo di mia mamma,

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Insegnami e io ricorderò,

fammi partecipare e imparerò

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PREFAZIONE

E’ possibile insegnare l’operatività professionale dell’Assistente sociale? In quale modo?

La domanda alla base di questo lavoro ci spinge necessariamente oltre lo “storico” dibattito, ancora aperto, intorno al riconoscimento dell’autonomia epistemologica del Servizio Sociale, che, tuttavia, terremo presente come ancoraggio concettuale

L’ipotesi postula la necessità che il sapere oggettivamente sedimentato nell’operatività dell’assistente sociale diventi esso stesso oggetto e fonte di ricerca, e dia stimolo, al contempo, a nuove riflessioni teoriche ed a sperimentazioni operative, innescando un circolo virtuoso che apra finalmente un percorso di circolarità tra teoria e prassi e di sistematizzazione delle conoscenze; e con esso, il rinnovamento della formazione, spingendola oltre le sue radici multidisciplinari.

Riceviamo in merito molteplici input: dagli stessi Assistenti Sociali, che, sedimentando autonomamente sapere operativo, resistono di fronte agli storici paradossi organizzativi dei servizi e delle politiche sociali, troppo spesso in contrasto con l’attenzione verso la qualità professionale: criticità “antiche” cui si aggiungono le carenze formative davanti ai nuovi scenari sociali -a iniziare dalla multiculturalità- ed alla mutata composizione della domanda; dall’osservazione degli studenti universitari impegnati nel tirocinio presso i servizi; dalla difformità dei nostri attuali modelli formativi dalla realtà Europea; da normative e regolamenti emergenti a livello nazionale; infine, localmente, dai nuovi progetti integrati -in materia- dell’Ordine degli Assistenti Sociali e delle Università Toscane.

Tutto questo ci racconta la necessità di superare lo scollamento tra insegnamento accademico e sapere professionale, e ci induce a pensare ad ulteriori percorsi formativi che abbiano la capacità di coniugare, con efficacia, l’identità teoretica con la competenza professionale, spingendosi oltre gli strumenti già consolidati. Percorsi nuovi che rivisitino i bisogni formativi derivanti dalla peculiarità del lavoro sociale e dalla multidimensionalità del ruolo: a iniziare dal rapporto con la sofferenza sociale che, per la sua specifica connotazione, non può essere ricondotta all’oggettività della “patologia”, esponendo -da sempre- l’Assistente sociale all’assalto di risonanze emotive, giudizi etici, disagio personale e professionale; fino ad arrivare alle nuove contraddizioni –talvolta laceranti- che tale rapporto assume di fronte agli attuali processi della globalizzazione e della multiculturalità ed alla pressione dei bisogni emergenti.

E’ forse arrivato il momento di rivedere, ai fini della formazione dell’assistente sociale, il consolidato concetto di approccio “trifocale”, aggiungendo ai tre poli “storici” (cittadino, società, servizi) ulteriori fuochi d’attenzione: sia verso i nuovi dati di contesto (riconoscendo, come variabile indipendente, la cultura d’origine del cittadino e l’impatto, anche emotivo, delle diversità culturali sulla relazione d’aiuto); sia verso dimensioni già note ma probabilmente troppo trascurate (relative allo spazio intrapsichico dell’operatore stesso).

Tutto questo ci impone di approfondire la riflessione sulla formazione.

L’obiettivo è liberare la ricerca di soluzioni adeguate, dalla palude del “praticantato” dell’assistente sociale al lavoro, così come, -parallelamente- dall’autoreferenzialità dell’astrazione teorica nelle sedi formative.

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Si pone la necessità, acuita dalla crescente complessità del ruolo, di cercare gli strumenti per articolare con precisione la definizione di competenze, conoscenze, abilità, comportamenti ed aree di apprendimenti.

Si rende utile, a questo scopo, attraversare una ricognizione sistematica dei livelli essenziali di competenza per vivere l’esperienza professionale, scendendo in dettaglio sulla scelta degli argomenti su cui siano non soltanto possibili, ma anche preferibili, modalità nuove ed esperienziali di apprendimento attivo: a questi argomenti ho abbinato, sulla base di criteri di congruità, alcune proposte pratiche di esercitazione formativa.

Nell’ambito di questo lavoro, pertanto, viene dato uno spazio di approfondimento ai recenti sviluppi della didattica, in particolare della formazione laboratoriale ed alle opportunità di esercitazione pratica: una speciale attenzione, in coerenza con le caratteristiche del ruolo, è data alle metodologie basate sull’espressione di sé e sull’esperienza, come il socio-dramma, la simulazione (della quale vengono trattate anche le fondamenta neuro-scientifiche), ed altre tecniche.

Concluderemo, sulla base di tutte queste premesse, con alcune ipotesi operative, mirate a individuare percorsi di studio (per la formazione degli studenti, ma anche per l’aggiornamento degli operatori), che poggino su modalità maggiormente strutturate di integrazione tra Università e Servizi, (con particolare riferimento al territorio della Toscana). Percorsi che, coerentemente con la necessità di stringere sinergie tra studio ed esperienza, offrano agibilità all'utilizzo di metodologie e strumenti didattici alternativi, di tipo “laboratoriale”:

“spazi/tempi formativi intermedi” che concorrano -accanto alla formazione accademica ed alle esperienze di tirocinio- ad offrire opportunità di circolarità tra ricerca e prassi, ed a garantire all’assistente sociale l’identità professionale e, contemporaneamente, ulteriori strumenti di empowerment e di resilienza a fronte delle vecchie e delle nuove difficoltà.

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INTRODUZIONE ALLA TESI.

L’ipotesi

Può esistere un progetto unitario di trasmissione del sapere del Servizio Sociale, che integri conoscenze teoriche e competenze professionali ?

E’ inevitabile che la domanda, alla base di questo lavoro, ci connetta con lo “storico” dibattito intorno al riconoscimento dell’autonomia epistemologica del Servizio Sociale, su cui rifletteremo, per tenerlo presente come ancoraggio concettuale.

Ma ci spinge necessariamente oltre.

La nostra ipotesi prende le mosse dall'evidenza empirica che mostra come l’assistente sociale, nel suo stesso fare, utilizzi un sapere professionale non soltanto autonomo e specifico, ma anche relazionato a quello che chiameremo un “pensiero forte”.

Un sapere che, nel vivo del circuito analisiazioneverifica, ha strutturato una propria autonomia, -non esclusivamente operativa- dalle sue stesse origini multidisciplinari.

Postuliamo, pertanto, la necessità che il sapere sedimentato nella storia del servizio sociale diventi esso stesso oggetto e fonte di ricerca, e dia stimolo nel contempo a nuove riflessioni teoriche, innescando un circolo virtuoso che apra finalmente un percorso integrato di sistematizzazione delle conoscenze teoriche e sperimentali, e con esso, il rinnovamento della formazione.

Il bisogno di circolarità teoria-prassi e il tirocinio

Coerentemente con queste premesse di concretezza, risulta utile iniziare ad affrontare il tema con una domanda che apra subito potenzialità operative, al riguardo dell'insegnamento del servizio sociale:

"Quali indicazioni riceviamo, in merito, dall’esperienza professionale degli assistenti sociali inseriti nel mondo del lavoro, soprattutto in relazione alla loro attività di osservazione e supervisione degli studenti universitari impegnati nel tirocinio presso i servizi?

Ne emerge un quadro nel quale la voce dell’operatore chiamato a supervisionare i singoli percorsi di tirocini è scarsamente raccolta, in carenza di protocolli consolidati e specifiche prassi mirate ad intercettare e rielaborare i feedback.

E’ un primo sintomo dello scollamento reale tra insegnamento accademico e sapere professionale, che ci induce a ipotizzare raccordi interistituzionali e strumenti formativi che abbiano la capacità di coniugare con efficacia il livello teorico con le competenze professionali e costruire nuove sinergie formative ed organizzative; partendo da una maggiore attenzione al tirocinio, da considerasi uno strumento imprescindibile per apprendere dall’esperienza, ma spingendosi oltre.

Scendendo sul territorio della Toscana, rileviamo che queste stesse esigenze sono sentite sia dal mondo della formazione universitaria, sia da quello dell’esercizio della professione:

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recentissimamente l’Ordine degli Assistenti Sociali e le Università dove sono presenti i corsi di laurea –triennale e specialistica- inerenti il Servizio Sociale (Firenze, Pisa e Siena), hanno stipulato l’Accordo di collaborazione su “ Coordinamento Interistituzionale Servizio Sociale della Toscana”, mirato a rivisitare la formazione, con particolare attenzione ad una miglior gestione ed a un monitoraggio integrato delle attività di tirocinio (percorso al quale l’Ordine mi ha invitato a collaborare).

Criticità “antiche” e nuove multifocalità del ruolo: i bisogni formativi integrati

L’ambizione della tesi, però, è andare oltre al tema del tirocini, ad ha l’obiettivo di aprire una riflessione su due emergenze:

- da una parte, sui tentativi di trovare risposte alla difficoltà nel validare empiricamente, -nello unitarietà professionale- un sapere complesso nella sua derivazione multidisciplinare.

- dall’altra sulla necessità formative imposte dalla crescente complessità stessa del lavoro sociale, che si pone al centro di una multifocalità nella quali le tre dimensioni cui tradizionalmente fa riferimento la nostra letteratura scientifica sembrano assumere confini sempre più instabili e magmatici: fino a dover ipotizzare, come vedremo, ulteriori dimensioni necessarie ad inquadrare la professionalità dell’assistente sociale.

Complessità, quindi, sia nell’identità teoretica che nella prassi professionale: che rischia di trasformarsi in complicatezza, di fronte al disagio derivante dalle storiche carenze e dalle nuove criticità organizzative/funzionali dei Servizi, distratte dalla loro mission originale e strette nel difficile connubio tra ritorno del protagonismo della politica, ristrettezze economiche e gestioni di tipo manageriale.

Al centro di questa complessità, il rapporto con la sofferenza sociale che, per la sua peculiare connotazione, non può essere ricondotta all’oggettività della “patologia”, ed espone da sempre l’assistente sociale all’assalto di risonanze emotive, giudizi etici, disagio personale e professionale. E che negli ultimi anni produce all’operatore nuove –e talvolta laceranti- incertezze, di fronte ai nuovi processi, a iniziare dalla globalizzazione e dalla multiculturalità. Processi che premono verso nuovi livelli di formazione, da una parte al riguardo di normative e procedure complesse, -talvolta contraddittorie nelle fonti e nelle applicazioni- in continuo e vorticoso mutamento, sia a livello internazionale che interno; dall’altra sotto il profilo del “saper essere assistenti sociali” di fronte a culture diverse dalla nostra. Non sono soltanto i nuovi scenari, tuttavia, a segnalare la necessita di riflettere sui bisogni formativi: lo scollamento stesso tra elaborazione teorica e bisogni professionali, forse, ci impone di studiare nuovi modi per non trascurare competenze diverse dalla “conoscenza”, come quelle meta-cognitive, socio-comunicative e soprattutto relazionali.

Di fronte a tutto questo, l’assistente sociale resiste, sia come ruolo che coopta nuove leve, che come professionalità già sedimentata, attraverso il continuo sforzo di inventare nuove soluzioni: percorso, tuttavia, sostanzialmente abbandonato al volontarismo individuale nella quotidianità del lavoro e troppo distante dalle opportunità di rielaborazione teorica. Emerge la necessità di integrazione.

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Sono quindi da considerarsi adeguati gli attuali modelli formativi, per quanto riguarda le nuove leve, e –analogamente- le tipologie di aggiornamento professionale, per gli assistenti sociali già in servizio?

Nuove indicazioni formative

I dati relativi alle Università della comunità Europea mostrano il nostro paese in condizioni di forte difformità, in merito all’organizzazione di piani di studio, fornendo una prima indicazione esplicativa sulle possibili concause dal disorientamento di chi si affaccia alla prassi professionale, (ma anche, in realtà, del disagio dell’assistente sociale in servizio). Allo stesso modo le indicazioni Internazionali (International Global Standards for Social Work Education and Training) dettano, da tempo, linee guide in merito, che invitano alla valorizzazione dell’apprendimento dall’esperienza, cui il nostro modello formativo non si è adeguato.

Inoltre, In Italia la normativa e le regolamentazioni che stanno prendendo corpo, a iniziare dal DdL 660 del 15/05/2013 “Disciplina della professione di assistente sociale” (che mira a riformare radicalmente anche la formazione universitaria dell’assistente sociale) fino al recentissimo Regolamento Formazione Continua pubblicato sul Bollettino ufficiale del Ministero della Giustizia il 30 aprile 2014, mostrano che, anche a livello nazionale, le esigenze formative in argomento stanno spingendo verso nuove direzioni.

Scendendo, infine, sul territorio della Toscana, abbiamo già fatto cenno, parlando di tirocinio, a quanto le nuove esigenze formative siano all’attenzione sia del mondo universitario, sia di quello professionale, ed hanno trovato l’incontro nell’ambito dell’ “Accordo di collaborazione su Coordinamento Interistituzionale Servizio Sociale della Toscana”, sopra citato.

Sulla base di tutto, la tesi ipotizza la necessità di affrontare storiche criticità, ed al contempo adeguarsi ai nuovi scenari, attraverso percorsi formativi che possano garantire l’integrazione tra il livello accademico e quello professionale, superando lo scollamento tra conoscenze teoriche multidisciplinari e competenze metodologiche/operative monoprofessionali; tra lezioni d’aula, da una parte, ed il tirocinio, dall’altra, per quanto riguarda gli studenti; e tra lavoro ed aggiornamento permanente, per gli operatori.

Tenteremo di ipotizzare proposte organizzative volte a costruire momenti formativi intermedi mirati a colmare questo scollamento, ma anche di scendere il più possibile nel dettaglio tecnico, in merito ai contenuti ed alla loro trasmissione.

Ripensare i percorsi

Percorsi nuovi che, passando attraverso una ricognizione sistematica dei livelli essenziali di competenza per affacciarsi al mondo del lavoro e circoscrivendo gli argomenti su cui è possibile “imparare esercitandosi”, tengano conto della peculiarità del lavoro sociale, e utilizzino metodologie didattiche alternative - sia nuove che già collaudate- perseguendo più obiettivi:

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- garantiscano di liberare la ricerca di soluzioni adeguate al nuovo panorama sociale dalla palude del “praticantato”, che si sviluppa in seno agli sforzi volontaristici, nella direzione di colmare lo scollamento tra teoria e prassi del quale stiamo parlando.

- garantiscano, parimenti, lo sviluppo della disciplina dai limiti dell’autoreferenzialità delle sedi di elaborazione teorica

- siano in grado di fornire elementi professionali per gestire la necessaria sintesi tra competenze tecniche/cognitive e competenze relazionali/metacognitive, tra coinvolgimento emotivo e lucidità professionale;

- considerino, infine, i nuovi nodi focali (a iniziare dall’elemento MultiCultura) che, in ragione del mutato scenario mondiale, si vanno aggiungendo alla multidimensionalità dell’approccio, con una forza tale da indurci –forse- alla necessità di una rivisitazione teorica del concetto di “trifocalità”, alla base della definizione del ruolo stesso.

Prenderemo in esame, giusto come esempio e fatte le dovute differenzazioni, anche gli spunti che ci offre il modello adottato dalla Regione Toscana per la formazione degli Operatori Socio-Sanitari, (la cui efficacia, sperimentata con successo e verificata attraverso feedback sugli esiti formativi, ho potuto apprezzare anche direttamente, essendovi impegnata da molti anni come docente). Modello interessante perché tenta e riesce, senza cadere in schematismi, a suddividere gli obiettivi formativi in:

- competenze essenziali - le capacità propedeutiche che si devono possedere come fondamenta per lo sviluppo delle successive-;

- competenze trasversali - le capacità comunicative e relazionali che ogni professionista deve possedere in qualunque settore professionale della relazione di aiuto;

- competenze tecnico-professionali - le capacità distintive della figura professionale di riferimento.

La proposta

Sulla scorta di tutto questo, e con gli strumenti derivanti da alcuni nuovi orientamenti pedagogici (che osserveremo, in particolare per quanto riguarda la didattica rivolta agli adulti), potremo articolare con precisione la definizione di competenze, conoscenze, abilità, comportamenti ed aree di apprendimenti (laboratorio esperienziale, stage, tirocinio)

Su questa base, presenteremo una ricognizione delle principali competenze essenziali per affacciarsi al Servizio Sociale, abbinate, ognuna di esse, a proposte di esercitazioni esperienziali e di altra tecniche di studio complementari.

Perverremo, in conclusione, ad alcune proposte concrete, mirate a costruire raccordi e percorsi di apprendimento (per la formazione degli studenti, ma anche per l’aggiornamento degli operatori), che poggino su modalità maggiormente strutturate di integrazione tra Università e Servizi, (con

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particolare riferimento al territorio della Toscana), che non si limitino all’area del tirocinio, bensì vadano ad articolarsi in nuovi “laboratori” di sapere.

La proposta è creare “spazi/tempi intermedi” che concorrano alla formazione -insieme alla studio teorico, da una parte, ed alle esperienze di tirocinio, dal lato opposto- con l'utilizzo di metodologie e strumenti didattici alternativi, di tipo “laboratoriale”:

La finalità è fornire alla ricerca ed all’elaborazione teorica validi feedback e -contemporaneamente- garantire all’assistente sociale l’agibilità professionale ed anche strumenti di empowerment e resilienza a fronte delle vecchie e delle nuove difficoltà.

Riferimenti

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