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CAPITOLO PRIMO I SERVIZI DI PUBBLICA UTILITÀ 1.Il servizio pubblico nello Stato liberale La nozione di servizio pubblico viene solitamente utilizzata in ambiti estremamente differenti tra loro

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CAPITOLO PRIMO

I SERVIZI DI PUBBLICA UTILITÀ

1.Il servizio pubblico nello Stato liberale

La nozione di servizio pubblico viene solitamente utilizzata in ambiti estremamente differenti tra loro1. Analizzando le norme non

si riscontrano casi in cui ne sia stato chiarito l'esatto significato e proprio la mancanza di un riferimento legislativo ha particolarmente favorito lo sviluppo di numerose interpretazione teoriche, ognuna delle quali ha assegnato un diverso contenuto al concetto.

In ogni ordinamento giuridico una serie di funzioni sono state assegnate alle strutture amministrative: si tratta di molte prestazioni, eseguite attraverso lo svolgimento di differenti attività, anche organizzate e disciplinate in modo diverso tra loro, ma comunque riconducibili alla categoria dei servizi pubblici. Nell'ordinamento 1 «Il tema dei servizi pubblici si caratterizza come un vero e proprio crocevia

di problematiche amministrative». E. Casetta, Manuale di Diritto

Amministrativo, Milano, 2000, p. 618; F. Bassi, Lezioni di diritto amministrativo, Milano, 1995, p. 33, ad avviso del quale la nozione di

servizio pubblico «è quella dai più incerti confini nell'ambito della disciplina del diritto amministrativo». Segnala la necessità di pervenire ad una chiarificazione dei vari concetti utilizzati, sia nell'ambito comunitario che in diritto interno, D. Sorace, Servizi pubblici e servizi (economici) di

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italiano, già allo Stato borghese dell'800 venivano assegnate attività di natura economico-imprenditoriale. Gli sviluppi successivi hanno poi portato ad assumere attività commerciali, ma considerate di interesse generale e nelle quali si registrava la carenza dell'iniziativa privata2.

La nozione di servizio pubblico inizia ad affermarsi nello Stato liberale del diritto, nei primi anni del '900. Secondo l'ideologia liberale i pubblici poteri dovevano sostanzialmente astenersi dallo svolgimento di attività considerate estranee alle funzioni degli ordinamenti giuridici. Era compito del mercato erogare quelle prestazioni nelle quali venivano identificati i servizi pubblici.

Alla fine della prima guerra mondiale, la concezione liberale di Stato comincia a mostrare i suoi limiti3.

I tradizionali presupposti del liberalismo iniziano ad essere

2 M.S. Giannini, Diritto pubblico dell'economia, Bologna, 3 ed., 1989; G. Quadri, Diritto pubblico dell'economia, 2 ed., Padova 1980.

3 La società liberale si trovava a dover fronteggiare movimenti ed organizzazioni di massa, dove gli interessi comuni di vasti ceti sociali stimolavano azioni collettive. In molti Paesi europei le amministrazioni pubbliche cominciano ad occuparsi di settori, come la disciplina del territorio, la protezione della famiglia, l'assistenza e la previdenza, i servizi sociali e così via, in cui l'intervento pubblico diviene essenziale a causa dell'assenza dell'iniziativa privata, in D. Sorace, Gli interessi di servizio

pubblico tra obblighi e poteri delle amministrazioni, in Foro it., 1988,V, 208

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messi in discussione: in Francia comincia ad affermarsi l'impostazione di Duguit, secondo cui il servizio pubblico è espressione delle aspirazioni, delle rivendicazioni e dei bisogni della collettività manifestate attraverso i suoi rappresentanti. L'elemento della prevalenza dell'interesse generale sugli interessi privati, rappresenta solo un sistema di espressione della volontà collettiva e giustifica la circostanza che i servizi pubblici siano posti sotto il controllo dei poteri pubblici4.

Per il giurista dell'epoca il servizio pubblico diviene un settore dove l'intervento pubblico si rende necessario, sia per sopperire alla mancanza dell'iniziativa privata, sia per erogare delle prestazioni ad un livello di qualità e quantità adeguato alla collettività.

La dottrina, in ogni paese, individua come elemento centrale delle teorie sul servizio pubblico, l'interesse generale che assume diverse connotazioni, a seconda dell'ideologia dominante in un determinato contesto storico o area geografica. L'ordinamento italiano talvolta ha posto l'attenzione sulla rilevanza soggettiva, salvo poi cercare soluzioni che facessero emergere elementi oggettivi. Infatti questa impostazione corrispondeva all'ideologia

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liberale, secondo cui tutti i servizi pubblici rappresentavano attività estranee alle tipiche funzioni delle organizzazioni pubbliche5.

2. Il dibattito degli anni '60

I servizi pubblici si collocano in una zona di confine tra il pubblico e il privato, ossia tra ciò che tradizionalmente è proprio ed esclusivo del pubblico potere e ciò che rientra nella sfera del privato e del sociale6.

La dottrina che agli inizi del secolo scorso si è occupata della questione, ha individuato due aspetti distintivi del servizio pubblico. Secondo una prima teoria, detta soggettiva, una determinata prestazione è considerata come servizio pubblico, a seconda della sua imputabilità ad un soggetto pubblico7. Assume rilievo il fatto

5 L'assunzione dei servizi doveva essere circoscritta nell'ambito delle attività industriali e commerciali che, nel contesto liberale, non potevano essere incluse tra i compiti dell'intervento pubblico, salvo che il loro esercizio non fosse giustificato da rilevanti ragioni di interessi generale, M.A. Stefanelli,

La tutela dell'utente di pubblici servizi, Padova, 1994, 61.

6 Secondo E. Presutti, Diritto amministrativo italiano, vol. I, Roma, 1917, p. 3, è «propria ed esclusiva dello Stato l'attività che ha per fine ultimo quello di assicurare le condizioni per la coesistenza dei singoli. A questa attività si contrappone la c.d. attività sociale con cui lo Stato si propone di promuovere la civiltà e il progresso; si tratta però, di un'attività non esclusiva dello Stato, poiché ad altri si ricorre o si può ricorrere per raggiungere tali scopi di progresso».

7 Tra i sostenitori della teoria soggettiva A. De Valles, I servizi pubblici, in

Primo trattato completo del diritto amministrativo italiano, vol. IV, I,

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che tale prestazione sia posta in essere da un soggetto non privato ma pubblico. Il servizio pubblico diviene quell'attività che il soggetto pubblico, esercitando i poteri di cui dispone, inquadra nei suoi compiti istituzionali, dal momento che è finalizzata a soddisfare le esigenze di benessere e di sviluppo socio-economico delle comunità rappresentate.

A livello teorico si poneva il problema di giustificare la presenza dei privati nella gestione dei servizi, resa possibile attraverso l'istituto della concessione. Sotto questo aspetto, la teoria soggettiva appariva assai debole; per questo i suoi sostenitori sottolinearono che l'elemento centrale di questa impostazione fosse da ricercare nella titolarità del servizio, e non nella sua gestione, in modo che l'erogazione della prestazione potesse essere eseguita anche da privati, vincolati però all'amministrazione pubblica. La teoria soggettiva identifica, come elemento caratterizzante il servizio pubblico, la titolarità: solo un soggetto pubblico può stabilire che quella determinata prestazione debba essere offerta alla

assuma l'attività e non la riconosca come pubblica, si tratta sempre di una attività privata e come tale esclusa dalla nozione di servizio pubblico; F. Merusi, Servizio pubblico, in Nuov. D.I., XVII, 1970, p. 218, ritiene che i servizi pubblici costituiscano attività materiali svolte dall'amministrazione senza l'utilizzo di poteri pubblicistici.

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collettività, nelle condizioni da esso stabilite.

Il requisito della titolarità non appare oggi essenziale a configurare la soggettività. L'elemento soggettivo è invece ravvisabile nella necessità di garantire determinati servizi, ritenuti indispensabili per tutelare un interesse pubblico.

L'altra teoria, detta oggettiva, prescinde dal soggetto al quale la prestazione è imputabile perché sostiene che il servizio debba essere ritenuto pubblico, qualora abbia come connotato fondamentale l'essere rivolto alla collettività. Si tenta di far assumere un'autonoma rilevanza giuridica all'attività che è alla base del servizio ma in modo indipendente dall'adozione di un atto d'assunzione da parte di un organismo pubblico8.

In questo modo il servizio pubblico può essere imputato anche ad un soggetto privato9.

Il confronto tra le teorie soggettiva ed oggettiva del servizio

8 M. A. Cabiddu, Pubblicità come attributo del servizio e non del soggetto

gestore: i sevizi essenziali ex art. 43 Costituzione e i diritti corrispondenti ai servizi sociali, in Jus, 1999, p. 919, ritiene che la natura pubblica del

servizio si sarebbe manifestata in sé a prescindere dal collegamento con il soggetto pubblico.

9 M. Nigro, L'edilizia popolare come servizio pubblico, in Riv. trim. dir.

Pubbl. 1957, p. 118, secondo cui può essere qualificata come servizio

pubblico, l'attività svolta da una società cooperativa edilizia a contributo erariale, investita del compito di soddisfare il bisogno abitativo di soggetti in possesso dei requisiti per godere dei benefici dell'edilizia economica e popolare.

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pubblico continua dopo l'entrata in vigore della Costituzione, fino agli anni '60, quando le due impostazioni tendono a convergere, in particolar modo ad opera della teoria oggettiva che individua il carattere oggettivo del servizio pubblico come la valutazione discrezionale del legislatore, nell'esercizio delle funzioni di direzione dell'economia, riconosciute al legislatore e al governo secondo un'interpretazione degli artt. 41 e seguenti della Costituzione.

Dal dibattito dottrinale emerge come la definizione di servizio pubblico sia «fra quelle dai confini più incerti e fluidi dell'intero diritto pubblico»10.

1. 2. I presupposti del servizio pubblico nella legge 103 del 1903.

Il primo disegno di legge in materia di servizi pubblici locali, presentato dal Ministro dell'Interno Giovanni Giolitti, fu approvato con la legge 103 del 29 marzo del 1903 che costituì la prima normativa sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei

10 C. Gallucci, Servizi pubblici locali, in Enciclopedia Giuridica Traccani, 1999, p.1.

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Comuni11. Questa legge nasceva, da un lato, da pressioni

sociali derivanti dalla necessità di perseguire, attraverso la municipalizzazione dei pubblici servizi, una risposta efficace alla crescente intensificazione della vita urbana, dall'altro desiderava frenare la tendenza dei comuni a concedere indiscriminatamente gli impianti e l'esercizio dei servizi municipali ad imprenditori privati.

In particolare aveva l'obiettivo politico di realizzare un controllo statuale del fenomeno della municipalizzazione, anche perché molte amministrazioni comunali, applicando disposizioni legislative, che in settori espressamente indicati, consentivano l'assunzione diretta del servizio, avevano attuato un sistema occulto di municipalizzazione.

La legge 103 si basava su tre presupposti fondamentali.

Innanzitutto l'interesse pubblico era concepito come necessariamente generale, ossia era suscettibile di essere qualificata come di interesse pubblico solo quell'attività economica (di produzione di beni e servizi) destinata alla fruizione collettiva. Solo di fronte ad un'attività economica che presenti tali requisiti è

11 La legge 103/1903 è rimasta formalmente in vigore fino a tempi recentissimi, venendo abrogata dall'articolo 24 del D.L. 25 giugno 2008 n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008 n. 133.

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possibile pensare alla riserva di attività a favore delle collettività locali. È necessario, quindi, che la municipalizzazione si risolva a vantaggio dell'intera collettività: non è possibile considerare il soddisfacimento di interessi di gruppi o di categorie ristrette come presupposto per lo svolgimento in esclusiva, dell'attività economica da parte del Comune, solo a vantaggio di una parte della collettività locale.

Il secondo presupposto è rappresentato dal fallimento del mercato, ovvero dalla constatazione dell'impossibilità dell'impresa privata di assolvere, in regime concorrenziale di efficienza economica, il suo compito di migliore veicolo di allocazione delle risorse.

L'ultimo presupposto consiste nell'equilibrio finanziario. Era prevista l'obbligatorietà del pareggio di bilancio: gli Enti erano autonomamente responsabili del reperimento delle risorse con cui finanziare i servizi prestati; i ricavi derivanti dall'esercizio dei servizi pubblici municipalizzati dovevano essere in grado di assicurare la copertura dei costi i gestione.

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definizione di servizio pubblico, né ha indicato i connotati essenziali per individuarlo, ma ha fissato le condizioni e i presupposti necessari per procedere alla loro assunzione da parte dei Comuni, stabilendo una serie di regole amministrative ed organizzative per la gestione diretta dei servizi di primaria necessità in alternativa alla concessione ai privati.

L'art. 1 enumerava, in modo non tassativo, la maggior parte dei servizi pubblici che i Comuni potevano gestire direttamente tramite la costituzione di un'azienda speciale, distinta dall'amministrazione comunale. L'elenco era meramente dimostrativo e anche questo contribuirà a determinare ulteriori difficoltà nel fornire una definizione esatta di servizio pubblico. I bilanci e i conti dell'azienda dovevano essere separati. Per gli aspetti gestionali, le municipalizzate erano rette da una commissione amministrativa e presiedute da un direttore. Il Legislatore sottopose le aziende speciali al controllo prefettizio e in caso di persistenti e gravi irregolarità poteva essere disposto il decreto di revoca.

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potevano essere riuniti e svolti da un'unica azienda e consentiva che più comuni si consorziassero per gestire i servizi pubblici dei loro territori.

In definitiva, questa legge qualificava pubblico il servizio nel momento in cui questo fosse stato municipalizzato, con la conseguenza che l'elenco dell'art. 1 finì per assumere valore tassativo, limitando per il futuro la possibilità di espandere l'oggetto della municipalizzazione.

Alla legge 103 del 1903 fece seguito il r.d. 30 dicembre 1923, n.3047, che conteneva due importanti misure: con la prima si consentiva anche alle province l'assunzione di alcuni pubblici servizi; con la seconda si autorizzava il Governo a riunire e coordinare in un testo unico l'intera disciplina della materia. Fu quindi emanato il r.d. n. 2578 del 15 ottobre del 1925, contenente il testo unico sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte di comuni e province. La disciplina contenuta nella legge 103 veniva così estesa anche a livello provinciale.

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2. Il servizio pubblico nella Costituzione repubblicana

L'intervento pubblico nell'economia, mediante imprese pubbliche organizzate nelle diverse forme previste dall'ordinamento (aziende speciali, enti pubblici economici, società per azioni a partecipazione pubblica) è stato particolarmente presente nella nostra esperienza positiva, investendo le attività di pubblico servizio spesso in posizione monopolistica ed operando anche al di fuori di queste attività, in settori di mercato in concorrenza con operatori privati.

Il nostro ordinamento, tuttavia, negli ultimi anni, ha subito molte trasformazioni, dovute ai fenomeni di privatizzazione e liberalizzazione (che hanno investito i principali servizi aprendo alla concorrenza le relative attività economiche e in alcuni casi eliminando la presenza pubblica da esse)12. Inoltre, un diverso

assetto del sistema costituzionale, si è venuto a delineare per effetto del diritto comunitario, dato che i principi scritti nei Trattati sono divenuti operativi, attraverso la normazione europea secondaria e soprattutto grazie alla giurisprudenza della Corte di giustizia.

12 Sul fenomeno delle privatizzazioni, F. Bonelli, La privatizzazione delle

imprese pubbliche, Milano, 1996; M. Sanino, Le privatizzazioni. Stato attuale e problematiche emergenti, Roma, 1997.

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La Costituzione italiana non contiene una disciplina dei servizi pubblici, ma vi sono norme che si riconducono ad essi. Innanzitutto l'art. 41 della Costituzione, al primo comma, statuisce che l'iniziativa economica privata è libera, e che questa non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Prosegue poi il terzo comma prevedendo che l'attività economica, sia pubblica che privata, possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali, mediante la determinazione per legge di programmi e controlli opportuni.

Questa norma, situata in un contesto che costituisce il fondamento costituzionale dell'autonomia privata, equipara le imprese pubbliche e le imprese private consentendo al Legislatore di predisporre regimi derogatori rispetto al comune statuto dell'attività d'impresa, al fine di realizzare finalità sociali.

Occorre anche aver riguardo all'art. 42 della Costituzione che, al primo comma, stabilisce che i beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati, affermando in tal modo il principio che l'attività economica possa essere svolta indifferentemente da soggetti pubblici e privati. L'antico principio sancito dal Codice di

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commercio, che fissava il divieto per gli enti pubblici di esercitare attività di impresa, viene così definitivamente accantonato: infatti al citato terzo comma dell'art. 41 compare il riferimento all'attività economica pubblica e dunque alle imprese pubbliche che, al pari di quelle private, possono essere assoggettate a programmi e controlli affinché la relativa attività assuma finalità sociali. La norma è importante anche perché rappresenta la base costituzionale della programmazione economica, fondando il concetto dei servizi pubblici in senso oggettivo.

Come dimostra l'esperienza storica del nostro Paese13, la gran

parte delle imprese pubbliche sono nate per far fronte a determinate esigenze di natura sociale e in particolare per la gestione dei servizi pubblici. Ciò non toglie che l'ordinamento consenta l'istituzione di imprese pubbliche anche laddove ciò non sia richiesto da ragioni di interesse pubblico e anche laddove l'iniziativa economica privata sia già presente. Infatti, l'art. 42, al primo comma, contempla la presenza pubblica nell'economia, a prescindere da ragioni sociali14.

13 Per una completa ricostruzione, S. Cassese, La nuova costituzione

economica, Roma, IV ed.,2004.

14 Sul punto, V. Cerulli-Irelli, L'impresa pubblica nella Costituzione

economica italiana, in www.astrid-online.it, 12 maggio 2009.

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Un'altra norma costituzionalmente rilevante è l'art. 43, dove il primo comma, stabilisce che, al fine dell'utilità generale, la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale. Si possono ricavar alcuni principi: innanzitutto, il fatto che i servizi pubblici possono essere realizzati nella forma dell'impresa anche pubblica; in secondo luogo, il servizio pubblico può essere prodotto anche da un soggetto privato, portando i sostenitori del servizio pubblico in senso oggettivo ad affermare che il servizio è pubblico anche quando è erogato da un soggetto privato.

Viene ridefinito il ruolo dei pubblici poteri nel senso che, se il mercato non fornisce il servizio o cessa di fornirlo, essi devono intervenire, provvedendo affinché il servizio sia erogato (intervenendo come garante) o producendolo in prima persona (come produttore) tramite l'impresa pubblica15. Secondo parte della

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dottrina16, è possibile distinguere le diverse modalità di intervento

in due grandi categorie: l'intervento conformativo, con cui lo Stato detta le regole per l'esercizio dell'attività d'impresa, e l'intervento dello Stato nell'economia, che può essere diretto, mediante impresa pubblica, o indiretto, acquisendo partecipazioni in aziende private.

L'art. 43 è importante anche perché tratta dei servizi pubblici a carattere economico, per i quali il costituente assegna al Legislatore la possibilità di scegliere per essi un regime di riserva in favore di soggetti pubblici, che assumono la forma di imprese pubbliche. La norma infatti ammette la possibilità di un monopolio nell'esercizio di queste attività , purché si tratti di monopolio affidato ad un soggetto pubblico17.

Bisogna anche considerare le norme costituzionali che riguardano il riparto di competenze in materia di servizi pubblici locali, in particolare dopo la riforma del Titolo V della Costituzione18. In seguito a tale riforma l'art. 117 della Costituzione

16 S. Cassese, La nuova costituzione economica, op. cit.

17 V. Cerulli-Irelli, L'impresa pubblica nella Costituzione economica italiana,

cit, dove il monopolio viene riconosciuto a patto che non sia avvenuta

l'esternalizzazione; in caso contrario la relativa attività dovrà sottostare alle ordinarie regole della concorrenza.

18 Sul punto, M. Olivetti, (a cura di), La Repubblica delle autonomie. Regioni

ed enti locali nel nuovo Titolo V, Torino, 2002, L. Torchia, La potestà legislativa regionale delle Regioni, in Le Regioni, 2002, n.2, p. 343-363, F.

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elenca le materie di competenza esclusiva dello Stato (primo comma) e concorrente (secondo comma), per cui ogni materia non prevista è da considerarsi di competenza residuale, esclusiva delle Regioni. Poiché i servizi pubblici locali non sono espressamente menzionati nell'art. 117, verrebbe da collocarli nella competenza residuale esclusiva delle Regioni, escludendo l'intervento statale in materia. Però, già agli inizi della nuova disciplina, la Corte Costituzionale ha dichiarato che esistono molte interferenze, tra le competenze statali e regionali, definendo il fenomeno come “concorrenza di competenze”19.

In particolare, la Corte ha indicato come le competenze enumerate nell'art. 117 esprimono più che altro esigenze da soddisfare e finalità da perseguire, sottolineando tra di esse la materia della concorrenza, la tutela dell'ambiente e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che devono

n.131 di attuazione del Titolo V della Costituzione, Rimini, 2003.

19 C. Cost. 28 gennaio 2005, n.50, in Giur. Cost.,2005, p.3375, dove la corte afferma che, “le questioni di legittimità costituzionali possono insorgere per le interferenze tra norme rientranti in materie di competenza esclusiva, spettanti alcune allo Stato ed altre alle Regioni. In tali ipotesi può parlarsi di concorrenza di competenze. La Costituzione non prevede espressamente un criterio ed è necessaria l'adozione di principi diversi: quello di leale collaborazione, che per la sua elasticità consente di avere riguardo alle peculiarità delle singole situazioni, ma anche quello della prevalenza, qualora appaia evidente l'appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre”.

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essere garantite su tutto il territorio nazionale. Queste materie determinano interferenze con il settore dei servizi pubblici locali e sottraggono in tali ambiti la competenza legislativa delle Regioni.

In precedenza la Corte, nella sentenze n. 272 del 2004 pronunciata in seguito ad un ricorso con cui la Regione Toscana censurava l'invasione di competenza da parte della normativa statale, che aveva modificato il testo dell'art. 113 del d.lgs 267/2000 (T.U.E.L.), aveva distinto tra servizi a rilevanza economica e servizi privi di tale rilevanza. Solo per quest'ultimi si prevedeva la competenza esclusiva regionale, mentre per quelli a rilevanza economica la Corte prevedeva ampi spazi di intervento statale, giustificati dall'art. 117, secondo comma, che assegna allo stato la materia della tutela della concorrenza.

La Corte20 ha però precisato che l'intervento dello Stato deve

essere esercitato nel rispetto dei principi di proporzionalità ed adeguatezza, in modo da non incidere sulle competenze regionali in misura eccessiva rispetto a quella effettivamente necessaria.

La Consulta ha anche richiamato l'orientamento espresso dalla Corte di giustizia dell'Unione europea21, secondo cui la distinzione

20 C. Cost., 13 luglio 2004, n.272.

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tra attività economiche e prive di rilevanza economica ha carattere aperto e dinamico, non essendo possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse generale di natura non economica, e quindi la distinzione dipende dalle condizioni in cui il servizio viene concretamente prestato.

3. Il servizio pubblico nel diritto comunitario.

L'Unione europea, sin dall'originaria veste di Comunità economica europea, ha perseguito i fini di armonizzazione e liberalizzazione per la creazione di un mercato unico, dove hanno assunto particolare rilevanza le politiche in tema di eliminazione dei monopoli pubblici e promozione e tutela della concorrenza. Infatti l'ex art. 2 Trattato delle comunità europee (TCE) dichiarava che la Comunità ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato comune ed un graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell'insieme della Comunità, un'espansione

“al fine di determinare se tale bisogno sia privo di carattere industriale o commerciale, spetta al giudice nazionale valutare le circostanze nelle quali tale società è stata costituita e le condizioni in cui essa esercita la propria attività, tra cui, l'assenza dello scopo principalmente lucrativo, la mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività, nonché l'eventuale finanziamento pubblico dell'attività in esame”.

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continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore della vita e più strette relazioni fra gli Stati europei.

Gli interventi delle istituzioni europee in tema di servizi pubblici si sono concretizzate su due fenomeni: da un lato, l'adozione da parte della Commissione, sulla base dell'art. 106 (ex art. 86 TCE) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di direttive mediante cui si è imposta la liberalizzazione di interi settori, prima caratterizzati da un regime di riserva legale; dall'altro, la promozione di principi generali, elaborati anche dalla Corte di giustizia, fra i quali assumono particolare rilievo i principi dettati in materia di diritti esclusivi e di in house providing.

L'importanza della materia viene poi confermata anche all'adozione del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, avvenuta a Lisbona il 13 dicembre del 2007 (entrato poi in vigore il 1° dicembre del 2009)22. Uno degli obiettivi principali rimane

quello di rafforzare l'unità delle economie e di assicurare lo sviluppo armonioso, riducendo la disparità tra le differenti regioni

22 R. Baratta, Le principali novità del trattato di Lisbona, in Dir. Un. Eur., 2008, I, p. 21, S. Mangiameli, Il disegno istituzionale dell'Unione europea

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ed il ritardo di quelle meno favorite.

L'Unione riconosce la fondamentale funzione dei servizi pubblici, in particolare locali, come il tratto caratterizzante il modello di società comune agli Stati europei23.

Il Trattato riconosce la funzione svolta dai servizi pubblici per l'attuazione dei valori comuni dell'UE ed infatti l'art. 14 TFUE (ex art. 16 TCE) dispone che “fatti salvi l'art. 4 del trattato sull'Unione europea e gli artt. 93, 106 e 107 del presente trattato, in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l'Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito di applicazione dei trattati, provvedono affinché tali

23 Nella premessa al Libro Verde vengono fatte alcune considerazioni: “I servizi di interesse generale svolgono un ruolo sempre più rilevante: sono parte dei valori condivisi da tutte le società europee e costituiscono un tratto essenziale del modello europeo di società. Il loro ruolo è fondamentale per migliorare la qualità di vita di tutti i cittadini e per superare l'emarginazione e l'isolamento sociali. Considerandone l'incidenza sull'economia e l'importanza per la produzione di altri beni e servizi, l'efficienza e la qualità di questi servizi stimolano la competitività ed una maggiore coesione, in particolare favorendo gli investimenti nelle regioni più sfavorite. La fornitura efficiente e non discriminatoria di servizi di interesse generale è un prerequisito per il buon funzionamento del mercato unico e per l'ulteriore integrazione economica dell'Unione europea. Inoltre, i servizi di interesse generale sono un elemento portante della cittadinanza europea e rappresentano una parte dei diritti goduti dai cittadini europei ed un' opportunità di dialogo con le autorità pubbliche nel contesto di una corretta governance”.

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servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberano mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria,stabiliscono tali principi e fissano tali condizioni, fatta salva la competenza degli Stati membri, nel rispetto dei trattati, di fornire, far eseguire e finanziare tali servizi”. Inoltre il diritto europeo riconosce una piena autonomia agli Stati membri e alle relative comunità locali in merito all'organizzazione ed erogazione dei servizi pubblici locali. Il Protocollo n. 26 allegato al Trattato di Lisbona specifica che “i valori comuni dell'Unione, con riguardo al settore dei servizi di interesse economico generale ai sensi dell'art. 14 TFUE, comprendono in particolare: il ruolo essenziale e l'ampio potere discrezionale delle autorità nazionali, regionali e locali di fornire, commissionare e organizzare servizi di interesse economico generale il più vicino possibile alle esigenze degli utenti.. un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti dell'utente”.

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3.1.L'articolo 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Per ricostruire l'approccio comunitario ai servizi pubblici24 la

disposizione più generale è l'art. 106 TFUE (ex art. 86 TCE) dove, al primo comma, dispone che, “gli Stati non emanano né mantengono nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali ed esclusivi, alcuna misura contraria al presente Trattato, specialmente quelle contemplate dagli articoli 18, 101 e 109”. Ad avere però particolare rilevanza è il secondo comma, dove si afferma che “ le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto o di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi della comunità”. Innanzitutto l'attività d'impresa è intesa in senso funzionale: in essa è ricompresa qualsiasi attività di

24 I principi comunitari sono illustrati da G. Corso, I servizi pubblici nel

diritto comunitario, in Riv. giur. quadr. pubbl. serv., 1999, I, p. 7 ss, G. M.

Racca, I servizi pubblici nell'ordinamento comunitario, in Dir. Amm., 1994, p. 201 ss.

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produzione di un bene o servizio che sia in astratto suscettibile di essere prodotto per il mercato, senza che rilevi la circostanza che essa sia svolta dall'amministrazione di un pubblico potere25.

Dall'art. 106, secondo comma, risulta che un regime giuridico particolare che comporti l'esenzione dalle regole della concorrenza è possibile soltanto per l'attività di imprese, alle quali il compito di gestire un servizio di interesse economico generale sia attribuito dai pubblici poteri. La norma in esame richiede che le eccezioni alla sottoposizione delle imprese alle regole del mercato concorrenziale siano correlate e proporzionate alla loro effettiva necessità per l'adempimento, da parte delle imprese interessate, del compito ricevuto dai pubblici poteri. La Giurisprudenza comunitaria26 ha

25 D. Sorace, Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, cit., dove si specifica che, secondo l'art. 106 TFUE non possono essere esentate dalla sottoposizione alle regole del mercato concorrenziale, attività che costituiscono dei servizi pubblici soltanto perchè tali, ma le eccezioni devono essere necessariamente correlate e proporzionate alla loro effettiva necessità, per l'adempimento del compito ricevuto dai pubblici poteri. 26 Corte giust., Almelo, C-393/92, 27 aprile 1994, afferma che “restrizioni

della concorrenza da parte di altri operatori economici devono essere ammesse se risultano necessarie per consentire lo svolgimento del servizio di interesse generale da parte dell'impresa incaricata. A questo proposito, si deve tener conto delle condizioni economiche nelle quali si trova l'impresa, ed in particolare dei costi che essa deve sopportare”; ma anche Corte giust., Corbeau, C-320/91, 19 maggio 1993, dove dichiara che “l'obbligo del titolare del diritto esclusivo di garantire i suoi servizi in condizioni di equilibrio economico presuppone la possibilità di una compensazione tra i settori di attività redditizi e di quelli meno redditizi, e giustifica quindi una limitazione della concorrenza da parte di imprenditori privati nei settori economicamente redditizi”.

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fissato tre requisiti affinché le deroghe siano consentite. Innanzitutto deve trattarsi di misure strettamente necessarie: la necessarietà deve essere riferita all'esigenza di copertura dei costi del mantenimento del servizio come servizio pubblico. In secondo luogo bisogna considerare le condizioni economiche nelle quali si trova l'impresa incaricata del servizio. Infine, come espressamente disposto dalla norma, devono essere misure che, anche se derogatorie, non devono compromettere lo sviluppo degli scambi in misura contraria agli interessi della Comunità27.

Le attività riconducibili a quelle di interesse economico generale si esercitano in forma di impresa (pubblica o privata) e in quanto soggette ad obblighi di servizio (poiché sono attività che altrimenti non verrebbero poste in essere secondo la logica imprenditoriale) imposti dalla legge o dalla pubblica autorità, possono usufruire di regimi particolari o privilegiati nell'esercizio dell'impresa che altrimenti sarebbero vietati dal principio fondamentale del Trattato che assicura la soggezione di tutte le

27 Corte giust., 23 ottobre 2007, C-159/94, Commisione contro Francia, afferma che “la concessione ad un'impresa incaricata della gestione di servizi di interesse economico generale di diritti esclusivi è ammessa qualora l'adempimento della specifica missione possa essere garantito unicamente grazie a tali diritti e purché lo sviluppo degli scambi non risulti compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità”.

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imprese alle regole di mercato. Risulta quindi superato lo schema del servizio pubblico in senso soggettivo, in base al quale le attività di servizio pubblico dovevano essere gestite solo da pubblici poteri e che trovava fondamento, nel nostro ordinamento, nell'art. 43 della Costituzione.

3.2. Servizio di interesse generale e servizio di interesse economico generale

I servizi pubblici locali possono essere ricondotti alla nozione di servizi di interesse generale28, la cui caratteristica è il riferimento

ad attività a cui gli Stati membri attribuiscono, con valutazione discrezionale, una missione di interesse generale dal momento che soddisfano primarie istanze sociali. È un concetto elaborato a livello comunitario, all'interno del quale occorre fare una distinzione tra servizi di interesse generale e servizi di interesse economico generale. I primi sono definiti come quei servizi, forniti dietro retribuzione o meno, considerati di interesse generale dalle autorità

28 A partire dalla seconda metà degli anni '90, grande attenzione al tema dei servizi di interesse economico generale, viene dedicata dalla Commissione europea: comunicazione Commissione su “i servizi di interesse generale in Europa, 11 settembre 1996; Libro Verde su “I servizi di interesse generale”; Libro Bianco su “ I servizi di interesse generale”, 12 maggio 2004.

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pubbliche e soggetti a specifici obblighi inerenti al servizio pubblico; ad essi si applicano i soli principi generali del diritto comunitario, quali il principio di non discriminazione e di libera circolazione delle persone.

Semplificando invece, servizi di interesse economico generale, corrispondono ad un sotto insieme del servizio di interesse generale e precisamente sono servizi forniti dietro retribuzione, che assolvono missioni di interesse economico generale e quindi assoggettati dagli Stati membri a specifici obblighi di servizio pubblico29; sono sottoposti ai principi applicabili alle attività

economiche , in particolare ai principi di libertà di stabilimento (art. 4 TFUE), libera prestazione dei servizi (art. 56 TFUE), tutela della concorrenza (art. 106 TFUE).

Questa distinzione è stata recepita dagli artt. 113 e 113bis del T.U.E.L. come modificato dall'art. 4 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modifica dalla L. 24 novembre 2003, n. 326,

29 V. Cerulli- Irelli, L'impresa pubblica nella Costituzione economica italiana, cit., dove i servizi di interesse economico generale vengono definiti come attività a carattere economico, le cui prestazioni rivestono carattere di necessità, con riferimento ad una generalità di utenti indifferenziata, in qualche caso all'intera generalità dei cittadini di uno Stato membro, in favore dei quali esse devono essere erogate, a prescindere dalle condizioni geografiche, sociali, logistiche, nonché economiche, nelle quali esse si trovino.

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che ha introdotto la distinzione tra servizi di rilevanza economica e servizi privi di tale rilevanza30.

Sia la Commissione sia la Corte di giustizia si sono particolarmente concentrate sui servizi di interesse economico generale, con lo scopo di trovare un equilibrio tra l'applicazione del principio di concorrenza e le esigenze di ciascuno Stato membro di realizzare la propria idea di intervento pubblico e di perseguire la coesione sociale e territoriale delle comunità locali.

Dato che la nozione di servizi di interesse economico generale31 rientrano nell'ambito della concorrenza, il Trattato

attribuisce alla Commissione la potestà di rivolgere agli Stati membri, se necessario, opportune direttive e decisioni, nonché il compito di vigilare sull'applicazione della relativa disciplina (art. 106 TFUE comma 3).

Per i servizi di interesse economico generale sono previsti obblighi di servizio che possono essere imposti a livello nazionale, comunitario e regionale, ossia obblighi che l'impresa, qualora

30 Prima della modifica apportata dal d.l. 269 del 2003, sul TUEL era già intervenuta la legge 448 del 2001 che aveva introdotto la distinzione tra servizi aventi rilevanza industriale e servizi privi di tale rilevanza.

31 Per la nozione di interesse economico generale, F. Armenante, I servizi

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considerasse il proprio interesse commerciale, non assumerebbe, o non assumerebbe nelle stesse condizioni, tale attività.

Anche il Trattato di Lisbona si occupa dell'importanza di questi servizi: nell'art. 14 TFUE viene fatta salva la competenza degli Stati membri di fornire, far eseguire e finanziare tali servizi e nel Protocollo allegato n. 26 viene riconosciuto, nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, il ruolo fondamentale delle autorità nazionali, regionali e locali, nel fornire servizi di interesse economico generale, il più vicino possibile alle esigenze degli utenti.

Pur non essendoci una definizione in ambito comunitario, è possibile individuare i tratti fondamentali della nozione di servizi di interesse economico generale, analizzando l'art. 106, comma 2, TFUE. In primo luogo per servizi si intende la fornitura di prestazioni, ovvero attività di carattere industriale, commerciale, artigianale e libere professioni, normalmente dietro retribuzione (art. 57 TFUE). In merito alla generalità dell'interesse, si richiede allo Stato di indicare le ragioni per le quali il servizio considerato venga ascritto in tale categoria e distinto quindi dalle altre attività

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economiche. Infine rileva la missione affidata all'impresa che eroga il servizio: viene infatti identificata con gli obblighi di servizio che possono essere imposti agli Stati membri o avere fonte in un contratto di servizio.

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CAPITOLO SECONDO

L'EROGAZIONE DEI SERVIZI ATTRAVERSO SOCIETÀ PARTECIPATE

1. Le società partecipate da regioni ed enti locali

Nell'Indagine sul fenomeno delle partecipazioni in società ed

altri organismi di Comuni e Province la Sezione delle Autonomie

della Corte dei Conti ha registrato nel triennio 2007-2009 la presenza di 3787 società partecipate1. Tale dato sembra confermare

quello riscontrabile nella ricerca pubblicata da Unioncamere nel 2007, nella quale nel 2005 si sono censite 4784 società partecipate da enti locali2. Sempre secondo Unioncamere, lo stato patrimoniale

delle 2154 società dislocate al Centro-Nord nel 2007 ammontava a circa 14 miliardi di euro. Anche l'Osservatorio economico sui servizi pubblici locali di Nomisma3, analizzando il peso economico

delle ex municipalizzate che fanno capo a Confservizi, ha evidenziato un mercato di oltre 36 miliardi di fatturato annuo, 115

1 Corte dei Conti, Sez. Autonomie, 22 giugno 2010 n.14/AUT/2010/FRG, in

www.cortedeiconti.it.

2 Unioncamere, Le società partecipate dagli enti locali (rapporto 2007), in

www.unioncamere.gov.it.

3 Nomisma- Osservatorio economico sui servizi pubblici locali, Rapporto “L'andamento della gestione delle local utilities in Italia”, Bologna, 2010.

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miliardi di investimenti programmati, 186.000 dipendenti nei soli settori di trasporto locale, rifiuti, acqua ed energia. Un mercato in crescita anche nel periodo della crisi economica, che, sempre secondo Nomisma, ha segnato un aumento del fatturato dell'1,7% (a fronte di una caduta del PIL nazionale del 5%) e una crescita degli investimenti del 4% rispetto ai dati riferiti nel 2009. Questi dati mostrano come le società partecipate siano un fenomeno rilevante e risalente nel tempo.

Le società locali nel nostro paese hanno caratterizzato l'intervento pubblico nell'economia, dalle leggi sulla municipalizzazione sino ad oggi4. Infatti, la prima società pubblica

locale è datata 19075, ma solo nel secondo dopoguerra si è assistito

4 La letteratura sul tema delle società per la gestione dei servizi pubblici locali è particolarmente copiosa: tra i contributi più significativi M.Mazzarelli,

Società per azioni con partecipazione comunale, Milano, 1987; P. Piras, Servizi pubblici e società per azioni a partecipazione comunale, Milano,

1994; F. Luciani, La gestione dei servizi pubblici locali mediante società

per azioni,in Dir. Amm., 1995, p. 275; G. M. Racca, Questioni sulla partecipazione degli enti territoriali a società di capitali, in Dir. econ.,

1998, p. 378 ss; M. Dugato, Le società per la gestione dei servizi pubblici

locali, Milano, 2001; G. Piperata, Le società a partecipazione pubblica nella gestione dei servizi pubblici locali, in M. Cammelli, M.Dugato (a cura

di), Studi in tema di società a partecipazione pubblica, Torino, 2008, p. 291 ss.

5 La società con partecipazione pubblica locale di più antica costituzione è l'Autoservizi Perugia s.p.a. partecipata dalla Provincia di Perugia, la quale è stata costituita il 23 maggio del 1907, F. Merusi, Cent'anni di

municipalizzazione: dal monopolio alla ricerca della concorrenza, in Dir. Amm., 2004, p. 37 ss.

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ad un incremento del ricorso allo strumento societario da parte delle amministrazioni comunali e provinciali per superare le forme gestionali imposte dalle leggi sulle municipalizzazioni.

La proliferazione del fenomeno si è però avuta nel 1990, con la riforma delle autonomie locali ed in particolare delle modalità di gestione dei servizi pubblici: la legge 142 del 1990 ha permesso lo sviluppo di modelli organizzativi che muovevano verso il sistema privatistico. In ambito locale, il processo di privatizzazione si è concentrato sulle attività destinate a soddisfare, in modo diretto o indiretto, i bisogni della collettività. Gli enti locali hanno adottato il modello societario per la gestione dei servizi pubblici, per l'esternalizzazione di funzioni amministrative, per la produzione di attività e beni strumentali6.

Dalla prestazione di servizi mediante le forme organizzative del diritto pubblico si è passati alla gestione di attività secondo le

6 Le partecipate locali sono attive in diversi settori. Il 37,6% degli organismi partecipati si occupa di servizi pubblici locali. All'intero delle public

utilities,il 10,26% si occupa, in particolare, di ambiente-rifiuti, il 9,46% di

servizio idrico, l'8,24% di trasporti, il 6,71% di energia e gas. Il restante 62,4% degli organismi partecipati svolge attività riconducibili ad altri servizi: possiamo trovare società che si occupano di infrastrutture, edilizia e servizi alle imprese, oltre a società partecipate che svolgono compiti anomali, come la gestione di un casinò (la Casinò Municipale di Venezia s.p.a.) o quella di un campeggio (la Jesolo Turismo s.p.a.), IRPA, Il

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forme del diritto privato, ma conservando delle prime l'utilizzo delle risorse provenienti dalla collettività e valorizzando delle seconde la libertà gestionale7. Al fine della decisione di

esternalizzare mediante la partecipazione o costituzione di nuovi organismi societari, non assume rilievo per l'ente territoriale la conduzione efficiente, ma la possibilità di trasferire all'esterno funzioni e servizi che, in questo modo, non gravano più sul proprio bilancio8. Quando il sistema non ha più tollerato un processo di

privatizzazione che andava dall'ente pubblico all'ente pubblico in veste privata, il diritto comunitario prima e il legislatore dopo, sono intervenuti secondo le medesime direttive che avevano innescato il processo, ossia la tutela della concorrenza da una parte, e la necessaria riduzione dell'inefficienza nell'utilizzo delle risorse pubbliche, dall'altra. Infatti la Corte dei Conti nella Relazione del 20109 sottolineò che gli Enti locali, nel regolare i servizi pubblici,

7 S. Cassese, La nuova Costituzione economica, II ed., Bari, 2000, p. 168, secondo il quale le privatizzazioni più che espressione della ritirata dello Stato e della crisi del diritto pubblico, costituiscono manifestazione di un ampio fenomeno di riorganizzazione del potere pubblico e di modifica dei rapporti tra diritto pubblico e diritto privato.

8 G. Farneti, Le società partecipate: problemi di attualità, in Azienditalia, 2008, p. 690, rileva che gli enti hanno sprecato, esternalizzando i servizi e utilizzando lo strumento della società nei processi di privatizzazione, l'opportunità di dare un'effettiva attuazione ai principi di buon andamento e sana gestione.

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non devono limitarsi a verificare l'economicità nella resa del servizio, ma devono accertare la compatibilità del sistema locale con un quadro normativo di riferimento articolato e stringente. Se all'Ente locale, da un lato, la collettività chiede servizi svolti secondo i parametri di efficacia ed efficienza, dall'altro, il Legislatore chiede il rispetto di vincoli ben precisi, che riguardano sia l'attività dell'ente locale sia la sfera d'azione e di funzionamento dell'organismo societario.

I vincoli imposti all'impresa pubblica condizionano l'uso dello strumento societario, non tanto per la partecipazione dell'ente pubblico in quanto tale, ma in relazione agli interessi coinvolti nella gestione dell'impresa. La corporate governance10 nel settore

pubblico deve tener conto soprattutto degli aspetti legati alla presenza di diversi interessi coinvolti nella gestione aziendale, divenendo cruciale il riferimento al principale stakeholder, che è la collettività; in particolare deve: tutelare l'azionista pubblico e il

10 Corporate governance è un'espressione nata negli Stati Uniti alla fine degli anni '70 del secolo scorso per indicare quell'insieme di norme di legge e di meccanismi della prassi con cui le società venivano amministrate e su cui si avvertì l'esigenza di intervenire quando, a causa di pericolose operazioni finanziarie, divenne necessario tutelare maggiormente gli azionisti nei confronti dei managers, R. Ursi, Società ad evidenza pubblica, Napoli, 2012, p. 98.

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capitale pubblico da esso impiegato, assicurare la trasparenza della gestione, garantire una ripartizione dei poteri all'interno delle strutture societarie in modo tale da equilibrare i poteri dei diversi organi o soggetti ed agevolare lo svolgimento delle funzioni che l'ente pubblico è chiamato a svolgere.

L'OCSE nel 2005 ha elaborato le linee guida per la corretta

corporate governance delle società a partecipazione pubblica dove

si individuano gli elementi essenziali per il corretto svolgimento della funzione di indirizzo sull'assetto organizzativo e sull'attività che l'ente pubblico è chiamato a svolgere nelle società di cui è azionista di controllo11.

Innanzitutto la regola di buon governo che impone alla legge di trattare le società partecipate dagli enti pubblici in modo tale che, nei settori in cui esse competono, non debbano beneficiare di posizioni di vantaggio distorsive della concorrenza. Bisogna evitare di creare per le società pubbliche schemi giuridici speciali, a meno che questo non sia necessario per raggiungere determinati obiettivi istituzionali. Secondo gli autori del documento, occorre separare le funzioni di regolazione da quelle di gestione che l'ente locale svolge

11 OECD, Guidelines on Corporate Governance of State-owned Enterprises, 2005, in www.oecd.org.

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attraverso la società, poiché la prima non può in nessun modo essere condizionata dalla seconda.

In secondo luogo l'amministrazione, titolare esclusiva o maggioritaria del capitale di una società, deve comportarsi come socio attivo nella definizione delle strategie imprenditoriali lasciando un ambito operativo all'autonomia gestionale.

Nel documento OCSE viene poi citato il Libro Verde sul governo societario del 5 aprile 2011, dove la Commissione Europea ha posto in luce come quello della tutela degli azionisti di minoranza sia un tema rilevante in relazione al ruolo degli azionisti nel governo societario. In un'ottica di partnership istituzionalizzata, al socio privato deve, quindi, essere garantita la parità di trattamento in merito all'accesso ai dati informativi, anche al fine di esplicare la funzione gestionale ad esso riservata.

Viene poi sottolineata la circostanza che, dal momento che il socio pubblico apporta capitali al patrimonio della società, destinati a soddisfare finalità pubblicistiche, in quanto derivanti dalla fiscalità, è necessaria l'applicazione di norme speciali che, nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento

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comportano un utilizzo del patrimonio coerente con gli scopi pubblici della società, ma soprattutto un dovere di trasparenza nella gestione, al fine di verificare la correttezza e la coerenza delle scelte imprenditoriali.

Infine, il documento richiede un quadro chiaro delle responsabilità gestionali in capo al consiglio di amministrazione evitando che gli amministratori di nomina pubblica godano di particolari esoneri di responsabilità in ragione dell'attività di indirizzo dell'ente pubblico. Infatti il consiglio di amministrazione di una società pubblica deve essere coinvolto nella formulazione, nel monitoraggio e nel riesame delle strategie di impresa, deve essere consultato nell'identificazione dei principali rischi e deve avere un ruolo centrale nello sviluppo del processo di informazione e controllo esterno dei dati societari da parte dell'ente pubblico.

L'attività di indirizzo e controllo dell'ente sulle società partecipate presuppone, non solo un'omogenea strutturazione dei processi decisionali interni mediante la precisa individuazione delle linee di responsabilità, ma soprattutto la costruzione di un sistema informativo orientato al controllo.

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2. Classificazioni: società di gestione dei servizi v. società strumentali

Quando parliamo di società partecipate non possiamo non fare riferimento anche alle società strumentali, potendo notare la profonda differenza con le società dedite alla gestione dei servizi pubblici. Infatti possono essere definiti strumentali tutti quei servizi erogati da società a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica di cui resta titolare l'ente di riferimento, e quindi le relative società vengono riconosciute come strutture costituite per svolgere attività strumentali rivolte essenzialmente alla pubblica amministrazione e non al pubblico, come, invece quelle costituite per la gestione dei servizi pubblici locali12.

Il 30 luglio 2008 la Corte costituzionale13 è stata chiamata a

pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'art 13 del Decreto Bersani (d.l. 223 del 2006, convertito dalla legge 248 del 2006). La Corte ebbe modo di sottolineare che l'ambito di applicazione dell'art 13 è definito non secondo il titolo giuridico in base al quale le società operano, ma in relazione all'oggetto sociale di queste ultime. Infatti, il nostro ordinamento con l'art 13 del c.d. Decreto

12 A. Bartolini, in Urbanistica e appalti, n.6, 2009. 13 Corte cost., sent. 30 luglio 2008, n. 326.

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Bersani (d.l. 223 del 2006), che “al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori, le società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza, devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti”.

In merito all'art. 13 dobbiamo considerare due aspetti relativi alla sua applicazione14: l'ambito soggettivo e quello oggettivo.

In merito all'ambito soggettivo, si deve trattare di società a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali o locali, per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti, nonché, nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento esternalizzato di funzioni

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amministrative di loro competenza (art. 13, comma 1).

In particolare il riferimento alle amministrazioni pubbliche, contenuto nell'art. 13, ricomprende anche le attività poste in essere dalla generalità delle amministrazioni pubbliche che perseguono il soddisfacimento di interessi pubblici locali entro un dato ambito territoriale, comprese le camere di commercio15.

Dall'applicazione del divieto sono espressamente escluse le società finalizzate ai servizi pubblici locali: infatti la materia disciplinata dall'art. 13 attiene all'attività espletata da società miste-pubbliche che svolgono in outsourcing attività di pertinenza delle amministrazioni locali.

Al contrario sono sottoposte al divieto anche le società c.d. di terzo grado (ossia quelle società che non sono state costituite da amministrazioni pubbliche o per soddisfare esigenze strumentali alle amministrazioni pubbliche medesime) dal momento che l'assunzione del rischio avviene con una quota di capitale pubblico, ponendo quindi in essere meccanismi potenzialmente in contrasto con il principio della par condicio dei concorrenti.

Infatti il Consiglio di Stato16 ha affermato che il divieto di cui

15 Cons. St., sez. III, 25 settembre 2007, n. 322, in Foro It., 2008, III, 69. 16 Cons. Stato, sez. V, sent. 10 settembre 2010, n. 6527.

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all'art. 13 si estende anche alle società partecipate al 100% dalle società strumentali: i giudici hanno sottolineato come “situazioni di privilegio, per un'impresa nel libero mercato, si possono verificare ogniqualvolta questa usufruisca di una provvidenza economica pubblica atta a diminuirne o a coprirne i costi”. Infatti il privilegio economico non necessariamente si traduce nel contributo diretto o nell'agevolazione fiscale o contributiva, in quanto può anche concretizzarsi nella garanzia di una posizione di mercato avvantaggiata rispetto a quella di altre imprese.

Sulla questione inerente alle società di terzo grado si è pronunciata anche l'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici17, la

quale ha sostenuto che l'esclusione di queste società dall'applicazione dell'art. 13 comporterebbe “inevitabilmente l'elusione della sostanza della disposizione”.

Anche parte della dottrina18 ha ritenuto che nel caso di società

non direttamente partecipate dagli enti pubblici ma da loro società strumentali, l'assunzione del rischio d'impresa avviene, in concreto,

17 Autorità di vigilanza dei contratti pubblici, parere n. 128 del 5 novembre del 2009.

18 In tal senso, G. Bassi, Società strumentali di Regioni ed Enti locali (art. 13

decreto legge 223 del 2006): operatività indiretta del rapporto partecipativo pubblico ed estensione dell'obbligo di esclusività, in www.appaltiecontratti.it, 2007.

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con una quota di capitale pubblico e ciò non può che pregiudicare la parità di trattamento con gli operatori privati concorrenti.

Secondo, invece, una diversa corrente di pensiero19, alle

società partecipate da società strumentali, che non siano state costituite allo scopo specifico di svolgere attività finalizzate in senso pubblicistico, non devono essere applicate le limitazioni di cui all'art. 13.

Per quanto riguarda invece l'ambito oggettivo, la norma si riferisce a società che devono operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto, né con gara, e non possono partecipare ad altre società o enti. Infatti il 2° comma dell'art. 13 stabilisce che le società a totale partecipazione pubblica o miste, costituite per i fini indicati, sono ad oggetto sociale esclusivo e non possono agire in violazione delle regole esposte.

Come ha indicato la Corte costituzionale nella sentenza 326 del 2008, l'art. 13 si fonda sulla distinzione tra attività

19 S. Rostagno, Verso la discriminazione delle società a partecipazione

pubblica ovverodella deriva dell'interpretazione dell'art. 13 del d.l. 2 luglio 2006, n. 223, in www.giustamm.it, 2008.

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amministrativa in forma privatistica e attività d'impresa di enti pubblici, prevedendo che entrambe possono essere svolte mediante società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione. La disposizione mira a separare le due sfere di attività per evitare che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti al tempo stesso attività d'impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può godere in quanto pubblica amministrazione: “non è negata né limitata la libertà di iniziativa economica degli enti territoriali, ma è imposto loro di esercitarla distintamente dalle proprie funzioni amministrative”.

Ai fini della dichiarazione di illegittimità costituzionale la Corte ha rilevato che la disposizione, riguardante le società partecipate da Regioni ed Enti locali, non rientra nella materia dell'organizzazione amministrativa, di competenza legislativa regionale, ma nella materia dell'ordinamento civile, perché mira a definire il regime giuridico di soggetti di diritto privato e a tracciare il confine tra attività amministrativa e attività di persone giuridiche private.

(45)

3. I modelli di gestione. La società mista

Tra i modelli di gestione concepiti dal Legislatore negli anni '90, è stato particolarmente controverso l'affidamento a società mista20, sollevando problematiche legate alla compatibilità con il

diritto comunitario.

Le società miste rappresentano una novità introdotta nell'ordinamento dall'art. 22 della l. 8 giugno 1990, n. 142, nell'ambito delle modalità di gestione dei servizi pubblici locali, su cui è poi intervenuto l'art.12 della l. 23 dicembre 1992, n. 448 ampliando i possibili modelli societari con l'istituto della società per azioni mista senza il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria. Mediante tale modulo gestionale (maggioritaria, minoritaria; s.p.a. ovvero s.r.l. ecc.) si intendeva promuovere una gestione imprenditoriale più efficiente, e secondo criteri di economicità, di servizi pubblici locali, mediante l'apertura al capitale di rischio privato, in un'ottica di privatizzazione sostanziale del settore21.

20 F. Luciani, La gestione dei servizi pubblici locali mediante società per

azioni, in Dir. Amm., 1995, 02, p. 275.

21 A. Maffei Alberti, Le società con partecipazione degli enti locali, in G. Caia (a cura di), I servizi pubblici locali, Rimini, 1995, p.80, secondo il quale un'apertura a soci privati comporta necessariamente la scelta di un metodo gestionale idoneo a consentire la produzione di utili, posto che l'opzione per il modello societario comporta la scelta di una conduzione dell'impresa sociale che consenta all'azionista privato di minoranza di perseguire lo stesso fine di lucro che potrebbe realizzare in una società in mano privata.

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La società di capitali risultava essere un efficace strumento per operare il compito di conciliare le esigenze di bilancio degli enti locali con la funzione sociale del servizio22.

È poi intervenuto l'art. 17, comma 58, della l. 15 maggio 1997, n. 127, prevedendo le società miste anche in forma di s.r.l. e senza il vincolo del capitale pubblico maggioritario. Infatti il regime giuridico della società a responsabilità limitata, caratterizzato da ampia flessibilità, offre gli strumenti per ovviare ai vincoli stabiliti per le società a capitale misto. Viene riconosciuta rilevanza all'interesse del socio direttamente volto alla gestione ed è possibile che egli, proprio in quanto socio e non necessariamente sulla base di un titolo ulteriore, assuma un ruolo attivo nel suo svolgimento. Nella s.r.l. si può avere una distribuzione delle competenze gestorie tra amministratori e soci in modo da superare la ripartizione di competenze che caratterizza la classica organizzazione corporativa. In seguito alla Riforma societaria del 2003, nella s.r.l. la

22 P. Piras, Servizi pubblici e società per azioni a partecipazione comunale, Milano, 1994, p. 34, secondo il quale il modello societario è più idoneo alla gestione dell'attività d'impresa, nonché più adatto a superare i difetti della conduzione secondo criteri di economicità garantendo al contempo la trasparenza dei sistemi di gestione. Attraverso il ricorso al modello della società di capitali, l'ente locale è posto nelle migliori condizioni per gestire il proprio intervento nei diversi settori di rilevanza pubblica.

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funzione gestoria si è spostata dall'organo amministrativo a favore dei soci in virtù dell'attribuzione normativa della capacità di amministrare dei soci, della non esclusività della funzione gestoria degli amministratori, del superamento del principio di collegialità, dell'attribuzione in sede statutaria di speciali diritti di organizzazione, del regime di responsabilità degli amministratori che vede un coinvolgimento dei soci per i fatti di gestione da essi autorizzati o decisi.

Nella s.r.l. risulta più agevole, rispetto alla s.p.a., adattare la disciplina dei rapporti endo-societari tra il socio pubblico ed il privato, al quale si riservano compiti gestionali. La flessibilità dei margini riservati all'autonomia statutaria consentono di includere all'interno dello statuto l'insieme di regole che, da un lato, attribuiscono alla parte pubblica poteri di indirizzo e di controllo interno in ragione delle risorse impiegate dalla società; dall'altro, tutelano il ruolo gestorio attribuito al partner privato contro le potenziali invasioni del soggetto pubblico23.

23 R. Ursi, Le società ad evidenza pubblica, op. cit., p. 282 ss, F. Guerrera, Lo

statuto delle nuove società “a partecipazione mista” pubblico privata,in F.

Guerrera (a cura di), Le società a partecipazione pubblica, Torino, 2010, p. 107, che ravvisa comunque l'utilità di ricorrere a patti parasociali anche nelle s.r.l. laddove si intenda circoscrivere determinati poteri o doveri alla

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