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CAPITOLO 5 ACCERTAMENTO DELLA RESPONSABILITÀ DELL’ENTE E LE SANZIONI

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CAPITOLO 5

ACCERTAMENTO DELLA RESPONSABILITÀ DELL’ENTE E LE

SANZIONI

5.1 BREVE RIEPILOGO

Il D. Lgs. 81/08 e s.m.i. ha arricchito la legislazione italiana in materia di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, focalizzando l’attenzione sull’importanza degli aspetti organizzativi e gestionali per il perseguimento ed il mantenimento degli obiettivi di salute e sicurezza sul lavoro.

Il legislatore ha introdotto, quindi, un ulteriore elemento di crescita nel processo culturale e normativo iniziato negli ultimi decenni, indirizzando la riflessione dei datori di lavoro sul fatto che un incidente o un infortunio molto spesso rappresenta solo l’ultimo anello di una catena di carenze di tipo organizzativo, decisionale e culturale. Dotarsi di un sistema che consenta di gestire efficacemente gli aspetti di salute e sicurezza sul lavoro è divenuto, quindi, un obiettivo primario delle aziende che, con i modelli di organizzazione e gestione, integrano i propri obiettivi di lavoro e di produzione di beni e servizi con gli obiettivi per la salute e la sicurezza.

In particolare, il legislatore ha affidato ai “Sistemi di Gestione della Sicurezza sul lavoro” (SGSL) il compito di contribuire alla realizzazione di una politica aziendale per la salute e la sicurezza, chiedendone in particolare l’integrazione nei “Modelli di Organizzazione e di Gestione” (MOG) di cui al D. Lgs. 231/01, attraverso la disciplina contenuta nell’art. 30 del D. Lgs. 81/08 e s.m.i..

L’obiettivo è quello di assicurare il pieno rispetto di tutti gli obblighi di sicurezza nei luoghi di lavoro - incluso quello di vigilanza del datore di lavoro - e di consentire, laddove il modello sia adottato ed efficacemente attuato, di prevenire i reati di omicidio colposo e di lesioni colpose gravi o gravissime commessi in violazione delle norme antinfortunistiche.

Con l’adozione di un “Modello di Organizzazione e di Gestione” (MOG) i responsabili aziendali, nel presupposto che ricorrano tutte le condizioni previste dagli artt. 5, 6 e 7 del D. Lgs. n. 231/01, si avvalgono dell’efficacia esimente della responsabilità amministrativa della persona giuridica, altrimenti sanzionata dall’art. 25-septies del D. Lgs. n. 231/01. Ciò a seguito dell’estensione della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche anche in caso di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, di cui all’art. 25-septies del D. Lgs. n. 231/01, operata dall’art. 9, c. 1, della L. 123/07, poi sostituito dall’art. 300 del D. Lgs. n. 81/08 e s.m.i.

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L’art. 30 del D. Lgs. 81/08 e s.m.i. definisce le caratteristiche dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza idonei per avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa prevista dal D. Lgs. 231/01, ovvero le imprese costituite in forma societaria devono dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, un modello di organizzazione che deve:

- prevedere l’implementazione di un sistema di gestione aziendale per l’effettuazione di tutte le attività relative all’adempimento degli obblighi di legge in materia di SSL;

- prevedere l’effettuazione dell’idonea registrazione di tali attività;

- prevedere che la verifica, la valutazione, la gestione ed il controllo del rischio siano assicurate tramite idonee competenze tecniche e i poteri necessari;

- prevedere un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle disposizioni del modello;

- prevedere un idoneo sistema di vigilanza interno che vigili sull’attuazione del modello e sul mantenimento nel tempo dei requisiti.

Il D. Lgs. 81/08 e s.m.i. ha chiarito anche che, in attesa che la Commissione Consultiva Permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, istituita ai sensi dell’art. 6 comma 8 lett. n, dello stesso D. Lgs. 81/08 e s.m.i., definisca ulteriori modelli organizzativi, lo standard BS OHSAS 18001 e le Linee Guida UNI INAIL 2001 si presumono conformi ai requisiti nelle parti corrispondenti.

5.2 L’INTERESSE E IL VANTAGGIO NEI REATI COLPOSI IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LAVORO

Il concetto di “interesse” dell’ente, che deve caratterizzare finalisticamente la condotta dell’autore del reato, potrebbe apparire non compatibile con l’agire colposo, stante l’assenza di coscienza e volontà che lo contraddistinguono, mentre sarebbe configurabile, e rilevante ai fini della sussistenza della responsabilità amministrativa, il solo “vantaggio” dell’ente, valutabile ex post, in funzione della commissione che intercorre tra il reato e la vita dell’impresa e non attraverso l’accertamento dello scopo che ha ispirato l’autore del reato presupposto1.

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Nelle ipotesi di commissione dei reati contemplati dall’articolo 25 septies, la responsabilità prevista del D. Lgs. n. 231/01 è configurabile solo se dal fatto illecito ne sia derivato un vantaggio per l’ente2.

La giurisprudenza, permettendo che i reati presupposto di cui all’art. 25 septies sono reati di evento e scaturiscono da una condotta colposa connotata da negligenza, imprudenza, imperizia oppure inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, ha sottolineato che da un lato la morte o le lesioni rappresentano l’evento, dall’altro proprio la condotta è il fatto colposo che sta alla base della produzione dell’evento. Conseguentemente è stato affermato che,

allorquando nel realizzare la condotta il soggetto agisca nell’interesse dell’ente, la responsabilità di quest’ultimo risulta sicuramente integrata, così come, analogamente, nell’ipotesi in cui, realizzata la condotta, l’ente abbia tratto comunque vantaggio dalla stessa, ad esempio nella forma di un risparmio dei costi, salva la previsione del secondo comma dell’art. 53.

Dunque il giudice, di volta in volta, dovrà accertare:

- se la condotta che ha determinato l’evento (morte o lesioni personali) sia stata o meno determinata da scelte rientranti “oggettivamente” nella sfera d’interesse dell’ente, evitando in tal modo un approfondimento sull’elemento finalistico della condotta, non richiesto per la stessa natura dei reati in esame;

- oppure, se la condotta medesima abbia comportato almeno un beneficio a quest’ultimo senza apparenti interessi esclusivi di altri, dovendosi in tal modo leggere la disposizione dell’art. 54, nella parte in cui richiede che i reati siano “commessi” nell’interesse o a vantaggio dell’ente5.

2 Linee Guida Confindustria 8 aprile 2008. 3

R. DUBINI, G. CAROZZI, I modelli organizzativi 231 e la sicurezza sul lavoro, EPC editore, 2013.

4 Articolo 5 - Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle

attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro

1. Presso il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali è istituito il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro10. Il Comitato è presieduto dal Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali ed è composto da:

a) tre rappresentanti del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali; b) un rappresentante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

c) un rappresentante del Ministero dell’interno;

d) cinque rappresentanti delle Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano.

2. Al Comitato partecipano, con funzione consultiva, un rappresentante dell’INAIL, uno dell’ISPESL e uno dell’Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA).

3. Il Comitato di cui al comma 1, al fine di garantire la più completa attuazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, ha il compito di:

a) stabilire le linee comuni delle politiche nazionali in materia di salute e sicurezza sul lavoro;

b) individuare obiettivi e programmi dell’azione pubblica di miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori;

c) definire la programmazione annuale in ordine ai settori prioritari di intervento dell’azione di vigilanza, i piani di attività e i progetti operativi a livello nazionale, tenendo conto delle indicazioni provenienti dai comitati regionali di coordinamento e dai programmi di azione individuati in sede comunitaria;

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L’obbligo di sicurezza riguarda tutto l’ambiente di lavoro, non solo sull’attività lavorativa, quindi riguarda qualunque luogo cui possa accedere un lavoratore, anche non per ragioni collegate alla sua mansione (principio della sicurezza in sé dell’ambiente di lavoro)6.

In materia di sicurezza, la mentalità del “non compete a me” e comunque “ci sta pensando qualcun altro” è contraria a ciò che il legislatore pretende ponendo anche specifici precetti normativi7. In questo senso, la domanda fondamentale che ogni soggetto della gerarchia aziendale deve

porsi in ogni momento della sua attività lavorativa è quali siano tutti i compiti prevenzionistici e di protezione della salute e sicurezza dei lavoratori riferibili in modo intrinseco alla sua mansione lavorativa, a prescindere da incarichi formali, che qualora siano presenti contribuiranno ad estendere la responsabilità, ma che non costituiscono il presupposto di una responsabilità connaturata alla funzione, per legge, fin dal 1955.

La Cassazione8 è in tal senso esplicita: consente di ritenere che il legislatore abbia voluto rendere i dirigenti e i presupposti, destinatari delle norme antinfortunistiche iure proprio, prescindendo dalla eventuale delega o incarico.

Si è dirigenti o preposti ai fini della sicurezza, in base all’organigramma aziendale, alla posizione ricoperta ed agli effettivi poteri esercitati sul lavoro degli altri9.

Gli obblighi generali dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti sono dettati, oltre dall’articolo 2 comma 1 lettera b), d), e) e dagli articoli 17, 18, 19 del D. Lgs. n. 81/2008, anche dall’articolo 2087 codice civile.

Il datore di lavoro deve innanzitutto aver cura del lavoratore, come fattore più nobile della produzione, fino al limiti di prevedere e prevenire anche le probabili imprudenze dello stesso. Ove si voglia considerare il lavoro – e pertanto il lavoratore – come uno dei fattori della produzione, questo fattore è indubbiamente il più nobile, nel senso che l’integrità psico-fisica del lavoratore, è, anzitutto, come prevede l’art. 32 della Carta Costituzionale, un fondamentale diritto dell’individuo e e) garantire lo scambio di informazioni tra i soggetti istituzionali al fine di promuovere l’uniformità dell’applicazione della normativa vigente;

f) individuare le priorità della ricerca in tema di prevenzione dei rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori.

4. Ai fini delle definizioni degli obbiettivi di cui al comma 311, lettere a), b), e), f), le parti sociali sono consultate preventivamente. Sull’attuazione delle azioni intraprese è effettuata una verifica con cadenza almeno annuale.

5. Le modalità di funzionamento del comitato sono fissate con Regolamento interno da adottarsi a maggioranza qualificata rispetto al numero dei componenti; le funzioni di segreteria sono svolte da personale del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali appositamente assegnato.

6. Ai componenti del Comitato ed ai soggetti invitati a partecipare ai sensi del comma 1, non spetta alcun compenso, rimborso spese o indennità di missione.

Richiami all’Art. 5:- Art. 6, co. 8, lett. b) - Art. 7, co. 1 - Art. 9, co. 2, lett. g) - Art. 11, co. 1 - Art. 13, co. 2, lett. c) -

Art. 13, co. 4 - Art. 305, co. 1

5 Tribunale di Trani, sentenza in data 28 ottobre 2009.

6 R. DUBINI, G. CAROZZI, I modelli organizzativi 231 e la sicurezza sul lavoro, EPC editore, 2013. 7 Tribunale ordinario di Milano, Sez. IV pen. 13/10/99, sentenza “Galeazzi”.

8

Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 11351 del 13 marzo 2006.

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uno degli interessi della collettività, ciò comporta che il datore di lavoro, nell’organizzare quei fattori, debba avere cura, sopra ogni cosa, di quell’integrità, anche valutando, al di là dell’eventuali certificazioni della rispondenza delle macchine alle previsioni antinfortunistiche, le impossibili se non, addirittura, le probabili imprudenze del lavoratore nell’eseguire i compiti affidatigli10.

La Corte di Cassazione ha costantemente affermato che la mansione fondamentale del datore di lavoro o del dirigente, cui spetta la sicurezza del lavoro, è un compito molteplice, articolato, che va dall’istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori e sulla necessità di adottare e predisporre certe misure di sicurezza, e quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, al mettere queste cose e/o strumenti, a portata di mano del lavoratore e soprattutto, al controllo, continuo e pressante, per imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alle misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle. In altri termini, il

datore di lavoro o il direttore della sicurezza del lavoro, debbono avere la cultura, la “forma mentis” del garante di un bene prezioso qual è certamente l’integrità del lavoratore; ed è da questa doverosa cultura che deve scaturire il dovere di educare il lavoratore a far uso degli strumenti di protezione e il distinto dovere di controllare assiduamente11.

Questa cultura è richiesta dalla Carta Costituzionale, la quale, se nell’articolo 32 vede nella salute, nell’integrità dell’individuo, un bene costituzionalmente rilevante sia del singolo, ma anche della collettività, negli articoli 2 e 3, pone le premesse teoriche e culturali di questa rilevanza assegnata al diritto della salute, all’integrità, dicendo, all’articolo 2, che “la Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo… e richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà sociale, otre che politica ed economica”; l’articolo 3 aggiunge “è compito della Repubblica… assicurare lo sviluppo della persona umana”12.

“È incorso in colpa il datore di lavoro che non ha fatto nulla di tutto ciò, non ha mostrato di avere quella cultura o forma mentis, che tutto il suo adoperarsi non è andato aldilà del mettere tra le mani degli operai un manuale con le istruzioni, che gli operai, per nulla educati e stimolati, hanno distrattamente sfogliato. Se avesse avuto quella cultura o forma mentis, se avesse accuratamente illustrato agli operai i pericoli cui sarebbero andati incontro, se avesse preteso che la superficialità venisse bandita, se avesse educato gli operati a tenere a portata di mano cinture di sicurezza e maschere, se avesse insegnato e ribadito la natura del pericolo cui erano esposti e le necessarie precauzioni, gli operai, avrebbero avuto la sensibilità necessaria per rendersi conto di non potersi

10 Cass. Pen., Sez. IV n. 8676 del 24/09/1996. 11

DUBINI, G. CAROZZI, I modelli organizzativi 231 e la sicurezza sul lavoro, EPC editore, 2013. 12 DUBINI, G. CAROZZI, I modelli organizzativi 231 e la sicurezza sul lavoro, EPC editore, 2013.

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calare nel luogo di lavoro pericoloso, ma vi sarebbero calati dopo essersi posti nelle condizioni (munendosi di cinture e di maschere) di non nuocere a se stessi13”.

“Il datore di lavoro, garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, ha l’obbligo, in caso di assenza temporanea, di predisporre tutte le cautele idonee a svolgere funzione antinfortunistica per tutte quelle lavorazioni che, pur potendo svolgersi in sua assenza, sono da lui conosciute e le cui potenzialità di rischio infortunistico devono, pertanto, essere preventivamente valutate14”.

Però “la posizione di garanzia del datore di lavoro sussiste esclusivamente nell’arco di tempo dell’orario di lavoro in riferimento alle attività poste in essere dal lavoratore che risultino comunque connesse alle mansioni inerenti al rapporto di lavoro15”.

5.3 PROCEDIMENTO DI ACCERTAMENTO DELL'ILLECITO

La responsabilità per illecito amministrativo derivante da reato viene accertata nell’ambito di un procedimento penale.

A tale proposito, l’art. 36 del D. Lgs. 231/2001 prevede “La competenza a conoscere gli illeciti amministrativi dell’ente appartiene al giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi dipendono.

Per il procedimento di accertamento dell’illecito amministrativo dell’ente si osservano le disposizioni sulla composizione del tribunale e le disposizioni processuali collegate relative ai reati dai quali l’illecito amministrativo dipende”.

Altra regola, ispirata a ragioni di effettività, omogeneità ed economia processuale, è quella dell’obbligatoria riunione dei procedimenti: il processo nei confronti dell’ente dovrà rimanere riunito, per quanto possibile, al processo penale instaurato nei confronti della persona fisica autore del reato presupposto della responsabilità dell’ente (art. 38 del D. Lgs. 231/2001).

Tale regola trova un contemperamento nel dettato dell’art. 38, comma 2, del D. Lgs. 231/2001, che, viceversa, disciplina i casi in cui si procede separatamente per l’illecito amministrativo.

L’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo; quando il legale rappresentante non compare, l’ente costituito è rappresentato dal difensore (art. 39, commi 1 e 4, del D. Lgs. 231/2001).

13 Corte di Cassazione Sez. Pen., 3 giugno 1995 n. 6486. 14

Cass. Pen., Sez. 4, sentenza n. 23505 del 14/03/2008. 15 Cass. Pen., Sez. 4 sentenza n. 15241 del 11/04/2008.

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Nel caso, invece, di un reato commesso da soggetti sottoposti all’altrui direzione o vigilanza, la società risponde se la commissione del reato è stata resa possibile dalla violazione degli obblighi di direzione o vigilanza alla cui osservanza la società è tenuta.

In ogni caso, la violazione degli obblighi di direzione o vigilanza è esclusa se la società, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi.

L’art. 7, comma 4, del D. Lgs. 231/2001 definisce, inoltre, i requisiti dell’efficace attuazione dei modelli organizzativi:

- la verifica periodica e l’eventuale modifica del modello quando sono scoperte significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti nell’organizzazione e nell’attività;

- un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. Si assiste qui ad un’inversione dell’onere della prova a carico dell’accusa.

Sarà, infatti, l’autorità giudiziaria che dovrà, nell’ipotesi prevista dal citato art. 7, provare la mancata adozione ed efficace attuazione di un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi.

Il D. Lgs. 231/2001 delinea il contenuto dei modelli di organizzazione e di gestione prevedendo che gli stessi, in relazione all’estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, devono:

- individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati;

- prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni della società in relazione ai reati da prevenire.

5.4 L’ACCERTAMENTO DEL REATO: TRA D. LGS. 231/01 E D. LGS. 81/08

Il D. Lgs. 81/08 ha introdotto la nuova formulazione dell’art. 25 septies indicando quale reato presupposto l’omicidio e le lesioni colpose gravi e gravissime con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro.

Poiché il reato posto a fondamento della responsabilità è colposo, e per definizione contro l’intenzione, e il decreto legislativo 231/01 richiede la finalità, ovvero l’intenzione di conseguire un interesse o un vantaggio, è semplicemente impossibile, usando ordinari parametri logici, correlare l’interesse dell’ente ai reati colposi.

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La conseguenza è stata un atteggiamento costruttivo che mette in relazione diretta il vantaggio o l’interesse, necessario requisito di responsabilità dell’ente, all’evento morte o lesioni attraverso il richiamo alle condotte, queste si volontarie, di violazione della normativa antinfortunistica che determinino la perdita di vite umane o gravi menomazioni fisiche.

L’ambito di applicazione dell’art. 25 septies è ad un tempo troppo vasto e troppo ristretto: troppo ampio perché tra le lesioni gravi rientrano anche gli infortuni con prognosi di incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per oltre quaranta giorni (è sufficiente una banale caduta) e troppo ristretto perché sono escluse ipotesi di reato strutturalmente collegate a norme protettive fondamentali della legalità del rapporto di lavoro o ipotesi delittuose estremamente gravi.

Come in tutte le ipotesi di responsabilità per colpa, contro la persona fisica dovrà essere formulata un’imputazione contenente la specificazione di una condotta modello quale cautela esigibile che, se realizzata, avrebbe evitato l’evento.

L’individuazione della persona fisica alla quale ascrivere l’illecito può presentare qualche difficoltà. I soggetti a rischio imputazione sono il datore di lavoro, i deleganti alla sicurezza e i preposti. Il testo unico ha introdotto anche il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, al quale potrebbe essere ascritta una colpa di tipo complementare a quella del datore di lavoro per informazioni omesse o errate ad datore di lavoro sulle misure preventive da adottare.

Al datore di lavoro fanno capo gli obblighi di sicurezza e soprattutto il dovere di organizzare un sistema di prevenzione e vigilanza sull’adozione effettiva delle misure e sulla repressione di prassi lavorative irregolari e pericolose (come l’uso di attrezzature non a norma), in ragione di dimensioni e caratteristiche dell’impresa.

Né basta per liberarsi dagli obblighi delegare le funzioni in materia antinfortunistica.

La delega di funzioni esclude la corresponsabilità dei vertici, originari titolari della funzione delegata, solo se disposti:

- con indicazione specifica e dettagliata dei compiti delegati;

- in favore di persona idonea, qualità che deve essere mantenuta nel tempo a seguito d’attività di aggiornamento;

- in forma scritta, che fornisca prova rigorosa dell’atto, del suo contenuto e del settore di competenza;

- con poteri effettivi di spesa e ampia autonomia tecnico-decisionale; - senza ingerenze del delegante nell’operato del delegato.

Inoltre rimane ferma e si aggiunge alla responsabilità del delegato, l’inadempimento del dovere di vigilanza sulla complessiva gestione delle attività delegate.

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Per i preposti, il fulcro dell’attribuzione di colpa è rinvenibile nel negligente svolgimento delle funzioni concretamente loro attribuite, ovviamente in stretto rapporto causale con l’evento lesioni o morte.

La responsabilità dei soggetti citati appare esclusa dalla condotta imprudente del lavoratore solo se anomala ed imprevedibile. Cioè tale da non poter essere evitata con un’accurata organizzazione.

E la colpa di organizzazione, ovvero nella strutturazione e divisione dei compiti in materia di sicurezza si trova il primo fondamento dell’attribuzione di responsabilità alle persone fisiche.

Nell’imputazione contro l’ente, prescrivendo il testo unico in tema di salute e sicurezza l’adozione di un modello di prevenzione e protezione, dovrà essere precisata una contestazione che potrà essere puntuale non solo nei casi di colpa nell’adozione di misure protettive ma anche nelle ipotesi, più insidiose e frequenti, di colpa nella vigilanza, quando la norma di protezione è stata violata dai lavoratori e dalla stessa vittima.

Si vuole dire che mentre appare semplice la condotta esigibile non solo da chi ricopre la posizione di garanzia e dunque dall’indagato ma anche dall’ente quando la violazione riguarda una specifica misura di protezione prevista dalla legge, non recepita nel documento di valutazione dei rischi e per tale motivo non realizzata.

È più difficile definire cosa avrebbe dovuto fare in positivo il datore di lavoro e, ancor di più, l’ente per garantire la continuativa sorveglianza sulla concreta adozione delle misure antinfortunistiche da parte di preposti e lavoratori16.

L’adozione del modello, che sia coerente con le linee guida del testo unico, con le conoscenze tecniche e che specifichi nelle sue norme quale sia il processo attraverso il quale deve essere esercitata la vigilanza sul rispetto delle misure antinfortunistiche dovrebbe consentire di distinguere tra imprudenza inescusabile del lavoratore o colpevole negligenza del datore di lavoro in violazione del modello.

In tal modo si può controllare la coerenza e rispondenza tra le condotte effettive e quelle indicate nel modello e, in caso di dissonanza, con ragionevole sicurezza dovrebbe essere elevato un addebito di colpa.

Il limite, appare essere quello dell’impossibilità di un giudizio di idoneità del modello come diretta conseguenza dell’infortunio o come escamotage per arrivare comunque al processo, proprio perché la valutazione deve essere fatta ex ante, con parametri preesistenti, generali e riconosciuti.

16

La Suprema Corte è largamente maggioritaria nel richiedere come criterio di correttezza nell’operato dell’imprenditore la vigilanza continuativa ed efficace: per tutte Cass., Sez. IV, 12/04/2005 n. 20595.

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Tra questi parametri, il combinato disposto degli art. 6 lett. b), c) e d) D. Lgs. 231/01 e art. 30 D. Lgs. 81/08 individua anche la vigilanza come funzione autonoma d’impresa, persino per le piccole imprese sia pure in tal caso come funzione solo concettualmente autonoma, articolata in compiti di “verifica del rispetto delle misure” e di “controllo sull’attuazione del modello a mezzo di un idoneo sistema”.

Certamente vi è una evidente sovrapposizione tra i sistemi di sicurezza delle norme sulla prevenzione infortuni e i protocolli del modello ex 231/01 ma non vi è possibilità di coincidenza integrale per la distinzione tra Organismo di Vigilanza e Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione.

A riguardo, mentre non è possibile per il SPP svolgere, in mancanza dei requisiti di autonomia e competenze, le funzioni dell’OdV, potrebbe essere fattibile il contrario, sempre che, almeno un membro dell’Organismo di Vigilanza possieda le necessarie professionalità.

5.5 I REATI DI CUI ALL’ART. 25 SEPTIES DEL D. LGS. N. 231/2001

La Legge 3 agosto 2007, n. 123, ha introdotto l’art. 25 septies del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (di seguito, anche ‘Decreto’), articolo in seguito sostituito dall’art. 300 del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, che prevede la responsabilità degli enti (ovvero gli enti forniti di personalità giuridica, le società e le associazioni anche prive di personalità giuridica; di seguito, anche collettivamente indicati come ‘Enti’ o singolarmente ‘Ente’; sono esclusi lo Stato, gli enti pubblici non economici e quelli che svolgono funzioni di rilievo costituzionale) per i reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Tale articolo, in seguito sostituito dall’art. 300 del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, stabilisce:

1. In relazione al delitto di cui all'articolo 589 del codice penale, commesso con violazione dell'articolo 55, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura pari a 1.000 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.

2. Salvo quanto previsto dal comma 1, in relazione al delitto di cui all'articolo 589 del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500 quote.

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Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno. 3. In relazione al delitto di cui all'articolo 590, terzo comma, del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a sei mesi.

Si hanno inoltre:

Il reato di omicidio colposo (art. 589 cod. pen.)

Il reato si configura nel caso in cui si cagioni la morte di una persona.

Ai fini della integrazione del reato, non è richiesto l’elemento soggettivo del dolo, ovvero la coscienza e la volontà di cagionare l’evento lesivo, ma la mera negligenza, imprudenza o imperizia del soggetto agente, ovvero l’inosservanza, da parte di quest’ultimo di leggi, regolamenti, ordini o discipline (art. 43 cod. pen.).

Il reato di lesioni colpose gravi o gravissime (art. 590 cod. pen.)

Il reato si configura nel caso in cui si cagionino ad una persona lesioni gravi o gravissime.

Le lesioni si considerano gravi nel caso in cui: a) dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni; b) il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo (art. 583, comma 1, cod. pen.).

Le lesioni si considerano gravissime se dal fatto deriva: a) una malattia certamente o probabilmente insanabile; b) la perdita di un senso;

c) la perdita di un arto o una mutilazione che renda l’arto inservibile, ovvero la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare;

d) la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso (art. 583, comma 2, cod. pen.).

Anche ai fini della configurabilità del reato di lesioni colpose, non è necessario che il soggetto agente abbia agito con coscienza e volontà di cagionare l’evento lesivo, essendo sufficiente la mera negligenza, imprudenza o imperizia dello stesso, ovvero l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (art. 43 cod. pen.).

I casi di cui all'art. 55, comma 2 del TU SSL

1. E' punito con l'arresto da quattro a otto mesi o con l'ammenda da 5.000 a 15.000 euro il datore di lavoro:

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a) che omette la valutazione dei rischi e l'adozione del documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), ovvero che lo adotta in assenza degli elementi di cui alle lettere a), b), d) ed f) dell'articolo 28 e che viola le disposizioni di cui all'articolo 18, comma 1, lettere q) e z), prima parte;

b) che non provvede alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera b), salvo il caso previsto dall'articolo 34;

2. Nei casi previsti al comma 1, lettera a), si applica la pena dell'arresto da sei mesi a un anno e sei mesi se la violazione e' commessa:

a) nelle aziende di cui all'articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d), f);

b) in aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi biologici di cui all'articolo 268, comma 1, lettere c) e d), da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, e da attività di manutenzione, rimozione smaltimento e bonifica di amianto;

c) per le attività disciplinate dal titolo IV caratterizzate dalla compresenza di più imprese e la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a 200 uomini-giorno.

I reati sopra richiamati rilevano, ai fini del Decreto, unicamente nel caso in cui sia ascrivibile al soggetto agente, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, la c.d. “colpa specifica”, consistente nella violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene ed alla salute sul lavoro.

La disposizione di cui all'art. 30 del TU ha costituito il parametro di riferimento con cui gli enti si misurano, sia nell'attività preparatoria sia nella fase redazionale del modello.

Come noto, infatti, l'art. 30 indica con chiarezza quali sono i requisiti e gli obblighi normativi da adempiere e regolamentare nel modello.

5.6 IL SISTEMA SANZIONATORIO

Il sistema sanzionatorio profilato dal T.U in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, come sopra accennato, è stato oggetto di una profonda rivisitazione ad opera del D. Lgs. n. 106/2009. Gli intenti, come si può desumere dalle relazione di accompagnamento al correttivo, sono duplici: da un lato si è voluto agire con maggior fermezza, mantenendo l’applicazione di sanzioni di natura penale, in tutte quelle ipotesi in cui rileva un rischio sostanziale per la salute e sicurezza dei lavoratori, dall’altro si è previsto l’utilizzo di sanzioni di tipo amministrativo nei confronti di violazioni di natura puramente formale.

(13)

La pena del solo arresto, che rappresenta l’apice della gravità, viene prevista in due fattispecie contravvenzionali che sono la mancata ottemperanza all’ordine di sospensione dell’attività imprenditoriale impartito dall’organo di vigilanza e l’omissione della valutazione dei rischi per le aziende soggette a rischi particolari ( ad esempio aziende per la fabbricazione e deposito esplosivi, industrie estrattive con oltre 50 lavoratori, strutture di ricovero pubbliche e private con oltre 50 dipendenti, centrali termoelettriche, aziende che espongono i lavoratori a rischi biologici ecc.). La pena alternativa dell’arresto e dell’ammenda viene applicata alla maggioranza delle contravvenzioni previste dal T.U. sicurezza.

La pena della sola ammenda rileva per le violazioni di cui all’art. 55, commi 3, 4 e 5 lett.e) ed all’art. 159, comma 1 (a titolo esemplificativo ma non esaustivo si tratta di violazioni concernenti la valutazione dei rischi, le visite mediche dei lavoratori, le verifiche sull’applicazione delle misure di sicurezza e protezione della salute, la consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ecc.).

Le violazioni di tipo formale configurano, invece, illeciti di natura amministrativa (sempre a titolo esemplificativo si possono ricomprendere vari comportamenti antigiuridici in materia di comunicazioni inerenti la sorveglianza sanitaria al medico competente, le informazioni sugli infortuni sul lavoro agli enti assicuratori e sui nominativi degli rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, le informazioni ai lavoratori sui risultati della sorveglianza sanitaria, l’esposizione del tesserino di riconoscimento da parte dei lavoratori di aziende che svolgono attività di appalto e subappalto ecc).

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 40070 del 10 ottobre 2012, ha affermato che in caso di violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, la sanzione pecuniaria che può essere comminata all'azienda non può, in ogni caso, superare le 250 quote, ai sensi dell'articolo 25-septies del D. Lgs n. 231/2001.

Nello specifico la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dal legale rappresentante di una società avverso la sentenza che aveva affermato la sussistenza del reato di lesioni personali colpose

gravi aggravate - art. 590, commi 2 e 3 c.p.-, perché, nella qualità di datore di lavoro, quale

presidente del consiglio di amministrazione della società, per colpa generica, segnatamente negligenza, e colpa specifica, per violazione del combinato disposto degli articoli 70, 71 e 87 del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, provocava, per inadeguatezza della macchina utensile, un incidente sul

lavoro a seguito del quale una lavoratrice riportava la amputazione della falange distale del terzo

dito della mano sinistra.

L'art. 25 septies del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, di cui al capo di imputazione - spiegano i giudici di legittimità - precisa che "in relazione al delitto di cui all'art. 590, terzo comma, del codice penale,

(14)

commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote".

Poiché nella fattispecie - si legge nella sentenza - si procedeva proprio in relazione al delitto di cui all'art. 590, terze comma codice penale, non poteva applicarsi come pena base per il calcolo della pena finale, la sanzione pecuniaria in misura di 300 quote, poiché la pena edittale massima prevista per questi casi non può essere superiore a 250 quote.

La pena concordata pertanto non è legale e quindi deve essere pronunziato annullamento della sentenza impugnata senza rinvio limitatamente nella misura della sanzione amministrativa pecuniaria.

Importante novità introdotta dal correttivo del 2009, oltre ad una rimodulazione dell’entità della sanzioni in un’ottica di equità parametrata alla gravità delle infrazioni, è quella concernente “l’indicizzazione” delle ammende e delle sanzioni amministrative per cui il loro ammontare è oggetto di aumento quinquennale automatico collegato all’aumento dei prezzi al consumo (indice ISTAT).

Tale accorgimento consente, dunque, di garantire la dinamicità dell’apparato sanzionatorio nel tempo.

Definizione dei reati contravvenzionali

La sostituzione della pena

L’art. 302 del T.U, come novellato dal D.Lgs. n. 106/2009, prevede una specifica deroga a favore del trasgressore nelle ipotesi di contravvenzioni punite con pena del solo arresto.

Il giudice, in tali casi, può sostituire, su richiesta dell’imputato, la pena irrogata nel limite di dodici mesi con il pagamento di una somma determinata secondo i criteri di ragguaglio di cui all’articolo 135 del codice penale.

La sostituzione può avvenire solo quando siano state eliminate tutte le fonti di rischio e le conseguenze dannose del reato.

La somma non può essere comunque inferiore a euro 2.000.

Detta sostituzione non è consentita quando la violazione ha avuto un contributo causale nel verificarsi di un infortunio sul lavoro da cui sia derivata la morte ovvero una lesione personale che abbia comportato l’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai quaranta giorni.

Decorso un periodo di tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza che ha operato la sostituzione senza che l’imputato abbia commesso ulteriori reati tra quelli previsti dal testo unico, ovvero i reati di cui all’articolo 589, secondo comma, e 590, terzo comma, del codice penale,

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limitatamente all’ipotesi di violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, il reato si estingue.

L’intervento del correttivo si è reso necessario per semplificare il meccanismo operativo previsto dal testo originario dell’articolo in esame che aveva ingenerato problemi interpretativi ed applicativi.

La prescrizione obbligatoria (art. 301)

Il T.U, già nella versione originaria aveva previsto la possibilità di utilizzare l’istituto della prescrizione obbligatoria di cui agli artt. 20 e seguenti del D. Lgs. n. 758/1994 per un’estinzione agevolata delle contravvenzioni in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro limitandolo, però a quelle punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda.

Ciò aveva comportato un evidente distonia in relazione alle contravvenzioni punite con la pena della sola ammenda le quali non potevano beneficiare, seppur connotate da minore gravità, dello speciale regime estintivo.

Il correttivo al T.U. ha, quindi, posto rimedio a questa evidente disparità di trattamento estendendo il campo di applicazione della prescrizione anche alle contravvenzioni punite con la sola ammenda in analogia a quanto previsto, tra l’altro dall’art. 15 del D. Lgs. n. 124/2004 che ha introdotto analogo istituto per l’estinzione delle violazioni di carattere penale punite con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda ovvero con la sola ammenda, previste dalle leggi in materia di lavoro e legislazione sociale la cui applicazione è affidata alla vigilanza della Direzione provinciale del lavoro.

Circa le modalità operative, l’organo di vigilanza che, nell’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, accerta una contravvenzione nelle materie sopra indicate provvede ad impartire al contravventore, allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, una apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo tecnicamente necessario. Contestualmente vi è l’obbligo di riferire al Pubblico Ministero la notizia di reato ai sensi dell’art. 347 c.p.p.

Se, in seguito alla verifica compiuta dall’organo di vigilanza, risulta l’adempimento alla prescrizione, il contravventore viene ammesso al pagamento in via amministrativa, nel termine di trenta giorni, di una somma pari ad un quarto del massimo dell’ammenda con conseguente estinzione del reato.

Ovviamente l’intento perseguito dal legislatore è quello di garantire, oltre alla reazione punitiva, il ripristino delle condizioni di sicurezza e di legalità mediante l’eliminazione dell’illecito e la regolarizzazione della situazione antigiuridica.

(16)

La regolarizzazione (301-bis)

La regolarizzazione introdotta nel T.U ad opera del D. Lgs. n. 106/2009, consente, come recita la rubrica dell’art. 301-bis, l’estinzione agevolata degli illeciti amministrativi puniti con sanzione pecuniaria amministrativa mediante ammissione al pagamento di una somma pari alla misura minima prevista dalla legge nel caso in cui il trasgressore provveda a regolarizzare la propria posizione entro i termini assegnati dall’organo di vigilanza nel verbale di primo accesso ispettivo. Anche tale istituto persegue le medesime finalità sopra indicate per la prescrizione obbligatoria con l’intento di prediligere la regolarizzazione delle situazioni illecite rispetto all’applicazione della sanzione e si affianca alla diffida introdotta dal D.Lgs. n. 124/2004 la quale consente l’ammissione del datore di lavoro al pagamento di una sanzione minima (o ridotta ad ¼ per sanzioni in misura fissa) con efficacia estintiva del procedimento sanzionatorio.

Ci troviamo, dunque, in presenza di una procedura sanzionatoria di tipo premiale che incentiva l’adempimento con l’eliminazione della condotta antigiuridica, con una forte riduzione della sanzione applicabile e con la possibilità di estinzione della procedura sanzionatoria in relazione ad illeciti che rivestono carattere prevalentemente formale.

Il potere di disposizione (art. 302-bis)

L’istituto della disposizione è stato introdotto nel T.U. sicurezza ad opera del D. Lgs. n. 106/2009 al fine di valorizzare questo strumento già previsto da altre norme nell’ambito dei poteri esercitabili dagli organi di vigilanza.

In particolare la disposizione consiste in una indicazione che può essere impartita dagli organi di vigilanza in materia di salute e sicurezza ai fini dell’applicazione delle norme tecniche e delle buone prassi, laddove volontariamente adottate dal datore di lavoro e da questi espressamente richiamate in sede ispettiva, qualora ne riscontrino la non corretta adozione, e salvo che il fatto non costituisca reato.

La definizione di “buone prassi” è contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. v) del T.U. e concerne tutte quelle soluzioni organizzative o procedurali coerenti con la normativa vigente e con le norme di buona tecnica, adottate volontariamente e finalizzate a promuovere la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro attraverso la riduzione dei rischi e il miglioramento delle condizioni di lavoro, elaborate e raccolte dalle regioni, dall'Istituto superiore per la prevenzione e

la sicurezza del lavoro (ISPESL), dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e dagli organismi paritetici, validate dalla Commissione consultiva permanente di cui all'articolo 6, previa istruttoria tecnica dell'ISPESL, che provvede a assicurarne la più ampia diffusione;

(17)

Il fine perseguito dal legislatore, come enunciato nella Relazione di accompagnamento al decreto correttivo, è stato quello di consentire un ripristino dei livelli di tutela privilegiando l’aspetto di

prevenzione rispetto a quella meramente punitivo.

In tal modo si favorisce la scelta dell’imprenditore di utilizzo di norme tecniche e buone prassi che risultano strumenti più dinamici rispetto alle previsioni normative ed idonei a modificare il parametro di riferimento per il soggetto obbligato in relazione alla miglior soluzione tecnica disponibile in un dato momento.

Nei confronti delle disposizioni impartite è possibile proporre ricorso amministrativo, entro trenta giorni, con eventuale richiesta di sospensione dell’esecutività dei provvedimenti, all’autorità gerarchicamente sovraordinata nell’ambito dei rispettivi organi di vigilanza, che decide il ricorso entro quindici giorni.

Decorso inutilmente il termine previsto per la decisione il ricorso si intende respinto.

Con riferimento ai provvedimenti adottati dagli organi di vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l’ autorità gerarchicamente sovraordinata è il dirigente della Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente.

La sospensione dell’attività imprenditoriale

La sospensione dell’attività d’impresa, di cui all’art. 14 del D. Lgs. n. 81/2008, è uno degli istituti di maggior rilievo, ai fini dello svolgimento dell’attività di vigilanza, già presente nel nostro ordinamento e che ha avuto una rivisitazione notevole ad opera del D. Lgs. n. 106/2009.

Come precisato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la circolare n 33/2009, si tratta di una misura finalizzata a far cessare il pericolo per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori, quindi di tipo cautelare ma contestualmente caratterizzata anche da profili di carattere sanzionatorio.

Il provvedimento può essere adottato dagli organi di vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, relativamente alla parte dell’attività imprenditoriale interessata dalle violazioni, in presenza di due presupposti: quando si riscontra l’impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro nonché in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.

La prima ipotesi, di competenza esclusiva degli organi di vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ricomprende tutti i casi in cui vi è impiego di lavoratori “in nero” cioè lavoratori impiegati senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro al Centro per l’Impiego o ad altri Enti come previsto dalla specifica tipologia contrattuale.

(18)

La seconda ipotesi, di competenza anche degli organi di vigilanza delle aziende sanitarie locali, concerne la presenza di gravi e reiterate violazioni in materia di salute e sicurezza che, in attesa dell’adozione di apposito decreto ministeriale, sono quelle individuate nell’allegato I al D. Lgs. n. 81/2008.

Secondo la norma in esame si ha reiterazione quando, nei cinque anni successivi alla

commissione di una violazione oggetto di prescrizione dell’organo di vigilanza ottemperata dal contravventore o di una violazione accertata con sentenza definitiva, lo stesso soggetto commette più violazioni della stessa indole.

Si considerano della stessa indole le violazioni della medesima disposizione.

Il provvedimento di sospensione può essere revocato da parte dell'organo di vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che lo ha adottato a condizione che vi sia :

a) la regolarizzazione dei lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria;

b) l'accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;

c) il pagamento di una somma aggiuntiva rispetto a quelle previste in seguito all’applicazione delle sanzioni civili, penali ed amministrative vigenti, pari a 1.500 euro nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare e a 2.500 euro nelle ipotesi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.

È condizione per la revoca del provvedimento da parte dell'organo di vigilanza delle aziende sanitarie locali:

a) l'accertamento del ripristino delle regolari condizioni di lavoro nelle ipotesi di gravi e reiterate violazioni delle disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro;

DATORE DI LAVORO DIRIGENTE PREPOSTO

ESERCITA DIRIGE SOVRAINTENDE

TITOLARE O RESPONSABILE DELL'IMPRESA ESERCITA AUTONOMIA DECISIONALE E POTERE DISCREZIONALE ESERCITA UNA SUPREMAZIA

(19)

b) il pagamento di una somma aggiuntiva unica pari a Euro 2.500 rispetto quelle previste in seguito all’applicazione delle sanzioni civili, penali ed amministrative vigenti.

Nei confronti del provvedimento di sospensione è ammesso ricorso entro 30 giorni, rispettivamente, alla Direzione regionale del lavoro territorialmente competente e al presidente della Giunta regionale, i quali si pronunciano nel termine di 15 giorni dalla notifica del ricorso.

Decorso inutilmente tale ultimo termine il provvedimento di sospensione perde efficacia.

Come visto in precedenza, l’inottemperanza al provvedimento di sospensione espone il datore di lavoro alla pena dell’arresto fino a sei mesi nelle ipotesi di sospensione per gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e dell’arresto da tre a sei mesi

o dell’ammenda da 2.500 a 6.400 euro nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare.

In linea con quanto già previsto dalla Direttiva Ministeriale del 18/09/2009 in materia di servizi ispettivi e attività di vigilanza, la norma dispone che il provvedimento di sospensione nelle ipotesi di lavoro irregolare non si applica nel caso in cui il lavoratore irregolare risulti l’unico occupato dall’impresa ( c.a microimpresa). Inoltre, sempre in caso di lavoro irregolare gli effetti della

DATORE DI LAVORO garante strutturale della

sicurezza e dell'igiene

PREDISPONE LUOGHI, MEZZI, STRUMENTI. DPI SICURI, MANUTENZIONE

(POTERI "FINALI" DI DECISIONE, DI SPESA E

GESTIONALI). Compiti inderogabili: Valutazione di tutti i rischi lavorativi, nomina

rspp, vigila su tutte le figure che partecipano all'attività

aziendale

DIRIGENTE garante organizzativo della

sicurezza

ATTUA GLI OBBLIGHI E GLI ADEMPIMENTI, ORGANIZZA e consente l'uso sicuro di luoghi ed attrezzature, nomina

e mantiene nel ruolo preposti capaci, a prescindere da

deleghe, incarichi, inquadramento contrattuale e

poteri di spesa; vigila

PREPOSTO garante del controllo della sicurezza

CONTROLLA, VIGILA (i lavoratori sul rispetto di leggi e

norme aziendali e sull'uso dei DPI) E RIFERISCE (ogni

carenza di prevenzione particolari ed impreviste), a prescindere da inquadramento contrattuale, deleghe, incarichi

e poteri di spesa LAVORATORE collaboratore per la sicurezza OSSERVANO LE DISPOSIZIONI E LE ISTRUZIONI IMPARTITE dal datore di lavoro, dai dirigenti e

dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed

(20)

sospensione possono essere differiti dalle ore dodici del giorno lavorativo successivo ovvero dalla cessazione dell’attività lavorativa in corso che non può essere interrotta, salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi.

Il D. Lgs. 81/08 Testo Unico sulla Sicurezza sul lavoro prevede una serie di sanzioni nel caso in cui il datore di lavoro non rispetti le indicazioni fornite dalla normativa stessa sulla medicina del

lavoro, sulla formazione dei lavoratori e sulla salvaguardia della sicurezza sul lavoro.

Sanzioni riguardanti la medicina del lavoro

Nomina del medico competente

Art.18, comma 1 a) D Lgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 1.500 a 6.000 euro

Obbligo di inviare i lavoratori alla visita medica

Art.18, comma 1 g) D Lgs 81/08 e s.m. e i.

Ammenda da 2.000 a 4.000 euro

Obbligo di informare il Medico Competente delle cessazioni dei rapporti di lavoro.

Art. 18, comma 1 g)-bis D Lgs 81/08 e s.m. e i. Sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 1.800 euro

Obbligo di vigilare affinché i lavoratori con obbligo di sorveglianza sanitaria non siano assegnati alla mansione specifica senza aver ricevuti il certificato di idoneità del Medico Competente. Art. 18, comma 1 bb) D Lgs 81/08 e s.m. e i. Sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 4.500 euro

Obbligo di sottoporre i lavoratori che si occupano di movimentazione manuale dei carichi alla sorveglianza sanitaria. Art.168, comma 2 d) D Lgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da 2.500 a 6.400 euro

Obbligo di provvedere affinché i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi di sicurezza siano conformi alla legge. Art. 64, comma 1 D Lgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 1.000 a 4.800 euro

Sanzioni riguardanti la formazione dei lavoratori

Obbligo di formazione per il datore di lavoro che si assume il ruolo di RSPP Art. 34, comma 2 D Lgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da 2.500 a 6.400 euro Obbligo di informare i lavoratori sui rischi per la salute e

sicurezza sul lavoro relativi all’attività svolta dall’azienda, sui nominativi degli addetti alle emergenze, sui nominativi dell’RSPP e del Medico Competente.

Art. 36, comma 1 D Lgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 1.200 a 5.200 euro Obbligo di informare ciascun lavoratore sui rischi specifici

relativi all’attività che svolge, sui pericoli connessi all’uso delle sostanze chimiche, sulle misure di prevenzione e protezione adottate. Art. 36, comma 2 D Lgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 1.200 a 5.200 euro Obbligo di formare in maniera adeguata ogni lavoratore in

materia di sicurezza e salute.

Art. 37, comma 1 D Lgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 1.200 a 5.200 euro Obbligo di lavoro di fornire una formazione adeguata e

specifica ai dirigenti e ai preposti aziendali.

Art. 37, comma 7 Dlgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 1.200 a 5.200 euro

(21)

Obbligo per il datore di lavoro di formare in maniera

adeguata e specifica gli addetti alla prevenzione antincendio e al primo soccorso.

Art. 37, comma 9 D Lgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 1.200 a 5.200 euro Obbligo per il datore di lavoro di formare in maniera adeguata

e specifica l’RLS. Art. 37, comma 10 D Lgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 1.200 a 5.200 euro

Sanzioni riguardanti la sicurezza sul lavoro

Valutare tutti i rischi presenti in azienda ed elaborare il DVR. Art. 17 comma 1 a) D Lgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da 2.500 a 6.400 euro Nominare un RSPP Art. 17 comma 1 b) D Lgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da 2.500 a 6.400 euro

Rielaborare il DVR in caso di modifiche,

significative dal punto di vista della sicurezza, del processo produttivo e dell’organizzazione del lavoro.

Art. 18, comma 1 z) Dlgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 1.500 a 6.000 euro

Indire almeno una volta l’anno la Riunione Periodica Annuale, per aziende con più di 15 lavoratori

Art. 18, comma 1, v) e art. 35 comma 1, D Lgs 81/08 e s. m. e i. Ammenda da 2.000 a 4.000 euro

Effettuare la valutazione dei rischi in collaborazione con l’RSPP e con il Medico Competente.

Art. 29 comma 1 D Lgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da 2.500 a 6.400euro

Consultare l’RLS prima di effettuare la valutazione dei rischi e stendere il DVR.

Art. 29 comma 2 D Lgs 81/08 e s.m. e i.

Ammenda da 2.000 a 4.000 euro

In caso di appalto di lavori all’interno della propria azienda, controllare l’azienda appaltatrice

acquisendone la documentazione necessaria.

Art. 26, comma 1 a) D Lgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 1.000 a 4.800 euro

In caso di appalto di lavori all’interno della propria azienda fornire all’appaltatore le informazioni necessarie sui rischi esistenti.

Art. 26, comma 1 b) D Lgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 750 a 4.000 euro

Obbligo dei datori di lavoro committenti e appaltatori (o subappaltatori) di cooperare e coordinare gli interventi di prevenzione e protezione in relazione ai rischi presenti nella azienda in cui si effettuano i lavori in appalto. Art. 26, comma 2 a) e b) D Lgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 1.500 a 6.000 euro

Redazione da parte del committente, in caso di appalto, del Documento Unico per la Valutazione dei Rischi da Interferenze(DUVRI), da allegare al

contratto di appalto. Art. 26, comma 3 D Lgs 81/08 e s.m. e i. Arresto da 2 a 4 mesi o ammenda da 1.500 a 6.000 euro

Redazione da parte del datore di lavoro di un’impresa affidataria o di un’impresa esecutrice del Piano Operativo di Sicurezza (POS), in riferimento al singolo cantiere temporaneo o mobile.

Art. 96 comma 1 g) D Lgs 81/08 e s.m. e i.

Arresto da 3 a 6 mesi o ammenda da 2.500 a 6.400 euro; o per casi gravi arresto da 4 a 8 mesi o ammenda da 2.000 a 8.000 euro;

(22)

5.7 IL CONTROLLO E L’ATTUAZIONE DEL MODELLO: I FATTORI DI RISCHIO ESISTENTI NELL’AMBITO DELL’ATTIVITÀ D’IMPRESA (ART. 30, LETT. A) - B) D. LGS. N. 81/2008)

L’rt. 30 lett. a) e b), prevede che il modello può avere una valenza esimente se è assicurato l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi:

- al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;

- alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti.

Sulla scorta delle Linee Guida di Confindustria, l’adozione e l’efficace attuazione di un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo (di seguito, anche ‘Modello’) deve essere preceduta da un’attività di risk assessment volta sia ad individuare, mediante l’inventariazione e la mappatura approfondita e specifica delle aree/attività aziendali, i rischi di commissione dei reati previsti dal Decreto; sia a valutare il sistema di controllo interno e la necessità di un suo eventuale adeguamento, in termini di capacità di contrastare efficacemente i rischi identificati.

Con precipuo riferimento ai reati in oggetto, le Linee Guida evidenziano, che non è possibile escludere aprioristicamente alcun ambito di attività, poiché tali reati potrebbero interessare la totalità delle componenti aziendali.

Per quanto attiene l’individuazione e l’analisi dei rischi potenziali, la quale dovrebbe considerare le possibili modalità attuative dei reati in seno all’azienda, le Linee Guida rilevano, con riguardo alle fattispecie previste dalla L. n. 123/2007, che l’analisi delle possibili modalità attuative coincide con la valutazione dei rischi lavorativi effettuata dall’azienda sulla scorta della legislazione prevenzionistica vigente, ed in particolare dagli artt. 28 e ss. TU.

In altri termini, i reati in oggetto, potrebbero astrattamente essere commessi in tutti i casi in cui vi sia, in seno all’azienda, una violazione degli obblighi e delle prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

5.8 LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA DELL’ENTE IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO (ART. 30, LETT. C) E COMMA 3 D.LGS. N. 81/2008)

L'art. 30, lett. c) richiede che il modello deve anche assicurare l'adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi: (…) alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso,

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gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.

Il comma 3 dell'art. 30, inoltre, prevede che il modello organizzativo deve in ogni caso prevedere, per quanto richiesto dalla natura e dimensioni dell'organizzazione e dal tipo di attività svolta, un'articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

Gli attori della struttura organizzativa

In materia di salute e sicurezza sul lavoro, la Società si deve dotare di una struttura organizzativa conforme a quella prevista dalla normativa prevenzionistica vigente, nell’ottica di eliminare ovvero, laddove ciò non sia possibile, ridurre – e, quindi, gestire - i rischi lavorativi per i lavoratori.

Terzi Destinatari

In aggiunta a quella dei soggetti sopra indicati, in materia di salute e sicurezza sul lavoro assume rilevanza la posizione di quei soggetti che, pur essendo esterni rispetto alla struttura organizzativa della Società, svolgono un’attività potenzialmente incidente sulla salute e la sicurezza dei Lavoratori (di seguito, collettivamente denominati anche ‘Terzi Destinatari’).

Devono considerarsi Terzi Destinatari:

a) i soggetti cui è affidato un lavoro in virtù di contratto d’appalto o d’opera o di somministrazione (di seguito, collettivamente indicati anche ‘Appaltatori’);

b) i fabbricanti ed i fornitori (di seguito, collettivamente indicati anche ‘Fornitori’); c) i progettisti dei luoghi, posti di lavoro ed impianti (di seguito, anche ‘Progettisti’);

d) gli installatori ed i montatori di impianti, attrezzature di lavoro o altri mezzi tecnici (di seguito, anche ‘Installatori’).

In particolare, per ciò che concerne i Terzi destinatari, la Società, in ossequio alla normativa specialistica ha predisposto una precisa regolamentazione sia con riferimento alla selezione dei soggetti terzi che svolgono la propria attività per la Società, sia con riguardo alla corretta regolamentazione e al costante controllo sull'esecuzione del rapporto.

In particolare, in ossequio alle disposizioni, tra le altre, di cui all'art. 26 del TU, la Società, in via esemplificativa e non esaustiva:

per ciò che concerne la selezione dei Terzi:

- verifica l'idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o mediante contratto d'opera o di somministrazione accertandosi del possesso dei requisiti di idoneità tecnico professionale;

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- fornisce ai terzi dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività;

- coopera all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto;

- coordina gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, si attiva per la reciproca informativa anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva

- promuove la cooperazione ed il coordinamento, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare e, ove ciò non e' possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze.

Per ciò che concerne la verifica dell'esecuzione della prestazione:

- effettua un primo monitoraggio mediante lo svolgimento di un sopralluogo iniziale;

- effettua un monitoraggio continuo dei rischi indicati nel DUVRI mediante la verifica da parte dei referenti aziendali competenti per lo specifico ambito e flusso di informazioni con il RSPP.

I doveri degli attori della struttura organizzativa

Nello svolgimento delle proprie attività e nei limiti dei rispettivi compiti, funzioni e responsabilità, i Destinatari devono rispettare, oltre alle previsioni ed alle prescrizioni del modello adottato dalla Società:

- la normativa vigente in materia di salute e sicurezza sul lavoro; - il codice Etico dell’ente;

- le procedure aziendali vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

5.9 I PRINCIPI E LE NORME DI COMPORTAMENTO DI RIFERIMENTO PER L’ENTE

L’ente si deve impegnare, come previsto dalla normativa vigente, a garantire il rispetto della normativa in tema di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché ad assicurare, in generale, un ambiente di lavoro sicuro, sano e idoneo allo svolgimento dell'attività lavorativa, anche attraverso: - la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza;

- la programmazione della prevenzione, mirando ad un complesso che, nell’attività di prevenzione, integri in modo coerente le condizioni tecniche, produttive dell'azienda, nonché l'influenza dei fattori dell'ambiente e dell’organizzazione del lavoro;

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- l'eliminazione dei rischi, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo (e, quindi, la loro gestione) in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico;

- il rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, anche al fine di attenuare il lavoro monotono e quello ripetitivo;

- la riduzione dei rischi alla fonte;

- la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è o è meno pericoloso;

- la limitazione al minimo del numero di Lavoratori che sono, o che possono essere, esposti a rischi; - compatibilmente con la tipologia della propria attività di impresa, l'utilizzo limitato di agenti chimici, fisici e biologici sul luogo di lavoro;

- la definizione di adeguate misure di protezione collettiva e individuale, fermo restando che le prime dovranno avere priorità sulle seconde;

- il controllo sanitario dei Lavoratori in funzione dei rischi specifici;

- l'allontanamento di un Lavoratore dall'esposizione al rischio per motivi sanitari inerenti la sua persona e, ove possibile, l’attribuzione ad altra mansione;

- la comunicazione ed il coinvolgimento adeguati dei Destinatari, nei limiti dei rispettivi ruoli, funzioni e responsabilità, nelle questioni connesse alla salute ed alla sicurezza sul lavoro; in quest’ottica, particolare rilevanza è riconosciuta alla consultazione preventiva dei soggetti interessati in merito alla individuazione e valutazione dei rischi ed alla definizione delle misure preventive;

- la formazione e l’addestramento adeguati dei Destinatari, nei limiti dei rispettivi ruoli, funzioni e responsabilità, rispetto alle questioni connesse alla salute ed alla sicurezza sul lavoro, al fine di assicurare la consapevolezza della importanza della conformità delle azioni rispetto al modello e delle possibili conseguenze dovute a comportamenti che si discostino dalle regole dettate dallo stesso; in quest’ottica, particolare rilevanza è riconosciuta alla formazione ed all’addestramento dei soggetti che svolgono compiti che possono incidere sulla salute e la sicurezza sul lavoro;

- la formalizzazione di istruzioni adeguate ai Lavoratori;

- la definizione di adeguate misure igieniche, nonché di adeguate misure di emergenza da attuare in caso di pronto soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei Lavoratori e di pericolo grave e immediato;

- l'uso di segnali di avvertimento a sicurezza;

- la regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, macchine e impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alle indicazioni dei fabbricanti.

Riferimenti

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