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CAPITOLO III BONIFICA COSTITUZIONALE DELLE PRESUNZIONI IN MATERIA DI ESIGENZE CAUTELARI

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CAPITOLO III

BONIFICA COSTITUZIONALE DELLE PRESUNZIONI IN MATERIA DI ESIGENZE CAUTELARI

Sommario: §1. Considerazioni generali; §2. La discrezionalità del giudice e i

principi di adeguatezza e proporzionalità, e la loro progressiva erosione; §3. La prognosi sulla sospendibilità della pena; §4. La presunzione di adeguatezza della custodia cautelare nell’art. 275, 3° comma. La regola e le troppe eccezioni; §5. L’individuazione delle ragioni dell’illegittimità della presunzione assoluta di adeguatezza della custodia carceraria per i reati di violenza sessuale; §5.1. Custodia in carcere e rigidi automatismi: prosegue la sequenza delle declaratorie di incostituzionalità in riferimento al reato di omicidio volontario; §5.1.2. Ancora ristretto il campo di operatività della presunzione assoluta nei riguardi del delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope; §5.1.3. Ancora una declaratoria di incostituzionalità in riferimento al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina; §5.1.4. L’inadeguatezza della custodia cautelare nei reati di sequestro di persona a scopo di estorsione e violenza sessuale di gruppo; §5.1.5. La vicenda processuale e l’incostituzionalità della presunzione assoluta della sola adeguatezza della custodia cautelare in carcere per i reati di cui agli artt. 473 e 474 codice penale; §5.1.6. Reati di mafia e presunzione di necessità della custodia cautelare in carcere. Gli orientamenti della Consulta nella sentenza n. 57 del 2013; §5.1.6.1. Osservazioni conclusive; § 6. I limiti alla carcerazione in ragione della tutela del rapporto genitoriale con i figli minori e con lo stato di salute del detenuto.

§1. Considerazioni generali.

Uno dei principali ambiti da esplorare in tema di applicazione delle misure cautelari personali concerne l’individuazione di criteri utili alla scelta di quella maggiormente idonea, tra le tante annoverate, a tutelare le esigenze concretamente esistenti. Sono varie, infatti, le soluzioni cautelari contemplate dal sistema processuale; esse seguono una progressione restrittiva crescente, che le declina come fossero i

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gradini di una scala, al cui apice è collocata la custodia cautelare in carcere.

La pluralità di misure coercitive previste, peraltro, sottintende la volontà del legislatore di modulare la risposta cautelare a seconda della qualità e quantità dei pericoli effettivi che occorre tutelare. In quest’ottica, la traduzione normativa originaria dei principi costituzionali è stata, nonostante le inevitabili sfasature, coerente. Le molteplici manipolazioni legislative succedutesi negli anni hanno, invece, parzialmente disarticolato l’iniziale modello allontanandolo, in qualche modo, dai referenti fondamentali.

I profili connessi alla scelta cautelare sono, inoltre, particolarmente problematici e complessi; sia per la molteplicità dei versanti coinvolti, sia per l’articolazione delle questioni sottese all’esatta dosimetria restrittiva; si deve poi sottolineare la peculiarità delle valutazioni astratte e delle prognosi future che la caratterizzano. Da questo punto di vista, sarebbe auspicabile, quindi, una normativa chiara e semplice, al riparo da intemperie interpretative; invece, viene proposta una disciplina dalle implicazioni ermeneutiche complicate, non sempre lineari, e, soprattutto, rese più oscure dai continui disomogenei rimaneggiamenti.

Le disposizioni deputate alla regolamentazione delle questioni in oggetto, contenute nell’art. 275 c.p.p., sono, infatti, tra le più “tormentate nell’ambito della disciplina codicistica in materia di libertà personale”1. Ogni comma, e al suo interno, ogni segmento

1 Per una lettura generale della disposizione, particolarmente significativa in quanto a ridosso

dell’entrata in vigore del codice, prima che fosse martoriata da plurimi interventi riformatori, cfr. Chiavario M., sub art. 275, In Commentario al nuovo codice di procedura penale, a cura di Chiavario, III, Torino, 1990, 60 ss.; ma anche, per un esame della disposizione dopo la L. 332/1995, Marzaduri E., sub art. 275, In Commentario al nuovo codice di procedura penale, coord. da M. Chiavario, III, Agg., Torino, 1997, pp. 163 ss.

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normativo, è stato oggetto di interventi modificativi. “Molteplici novelle si sono succedute nel tempo2 e, in relazione alle specifiche esigenze di quel momento, hanno apportato una o più mutazioni, che in determinati casi hanno inciso sulla genetica stessa della disposizione”3.

La prima riflessione suggerita dalla struttura dell’articolo, via via formatasi per sovrapposizioni normative, determinate dalla pluralità degli interventi legislativi, muove dalla considerazione della conflittualità di cui è stato oggetto questo aspetto procedurale; sul quale si sono scaricate le maggiori tensioni politiche e si sono riversate le problematiche relative alla sicurezza dei cittadini. Le necessità – reali o presunte – indotte da fenomeni criminali particolari o da eventi drammatici si sono spesso riversate su questo settore, premendo alle porte del sistema, anche con insistenza4.

In questo modo, però, si è corso e si corre il rischio di perseguire una politica penale emergenziale, piuttosto che razionale, con una vocazione orientata a fornire, talvolta, risposte solo apparenti; di notevole impatto sociale, ma non sempre necessariamente efficaci. Questo modo di procedere propone soluzioni non sempre organiche, spesso collegate all’esemplarità più che all’efficienza; così facendo, si rischia di disorientare l’interprete, soprattutto attraverso le continue manipolazioni ed interpolazioni, prive di simmetria e di sistematicità5.

2 Sono infatti almeno sei le novelle che, con andamento pendolare, si sono succedute (senza voler

citare i vari decreti legge non convertiti): partendo dalla L., n. 203/91; quindi la L. 356/91; poi la L. 332/95; ancora la L. 213/99, la L. 4/2001 ed infine la L. 128/2001.

3 Chiavario M., op. cit.

4 Cfr. Giunchedi F., La presunzione di adeguatezza della custodia cautelare. Frammenti di storia ed

equilibri nuovi, Giur. It., 2013, 3.

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“La scelta della misura più aderente al caso concreto implica, naturalmente, una certa discrezionalità6; che – sebbene delimitata da numerosi “paletti” – coinvolge un territorio ampio. Si tratta di un fenomeno conosciuto, nell’ambito della giurisdizione penale, studiato e soprattutto collegato a punti noti: la individuazione delle fattispecie normative tipiche di riferimento; la delimitazione delle coordinate entro le quali ci si deve muovere; la necessità di dar conto del procedimento logico e giuridico adottato per approdare a determinate conclusioni; il controllo sulla decisione”7.

“Il rigore con il quale sono stati disegnati i presupposti e le condizioni per l’applicazione delle misure e con cui vengono poi individuati i criteri di scelta dimostra la volontà del legislatore di delimitare il territorio della discrezionalità entro ambiti ben visibili. Costituisce un’ulteriore dimostrazione di questa prospettiva la cura con cui viene regolata la motivazione del provvedimento cautelare ed il procedimento di controllo de libertate.

La necessità di stabilire criteri idonei a “guidare” tale discrezionalità nell’adozione delle misure cautelari era prevista da entrambe le leggi delega per l’emanazione del nuovo codice di rito penale (L. 108/1974, direttiva n. 54; L. 81/1987, direttiva n. 59): ove si insisteva sull’imprescindibile obbligo di contemplare una pluralità di misure e – nella logica di una graduazione in termini di

6 Il sistema codicistico è caratterizzato, in linea generale, dalla discrezionalità del potere

dell’autorità giudiziaria in attuazione della direttiva n. 59 della L. 81 del 1987, la dove si parla potere-dovere del P.M., di richiedere e del giudice di disporre la misura cautelare, in presenza dei presupposti di legge.

7

Cosi De Caro A., Presupposti e criteri applicativi, in AA.VV., Trattato di procedura penale, diretto da Spangher G., vol. II, tomo II, Le misure cautelari, a cura di Scalfati, Utet, 2008, p. 78; sul profilo della discrezionalità del giudice della cautela si veda Ferraioli L., Misure cautelari, in Enc. Giur. Treccani, vol. XX, Roma, 1990, p. 8; Marzaduri E., Misure cautelari personali (principio generali e disciplina), in Dig. disc. pen., vol. VIII, Torino, 1992, pp. 72 ss.

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progressività – sulla correlativa esigenza di misure alternative rispetto alle più severe, e in qualche modo estreme, forme di coazione personale ante sententiam”8.

La disciplina in tema di misure cautelare appare piuttosto rigorosa in ragione del rilievo costituzionale dei diritti che vengono ad essere sacrificati. Per questo, esse possono essere applicate soltanto nel pieno rispetto di determinati parametri legali, quali la presenza di gravi indizi di reità e almeno una delle esigenze cautelari indicate all’art. 274, c.p.p., norma cui appaiono riconducibili i criteri di scelta enucleati dall’art. 275, oggetto della nostra disamina.

Il giudice, nel valutare la misura cautelare più adeguata al caso concreto dovrà, oltre a non poter disporre una misura più gravosa di quella richiesta dal pubblico ministero, conformarsi ai seguenti canoni di scelta: adeguatezza, proporzionalità, gradualità; oggetto di approfondimento nel paragrafo successivo9.

Ulteriore indefettibile corollario dei principi costituzionali di riferimento, è che la disciplina della materia deve essere ispirata al criterio del ““minore sacrificio necessario”, per cui “ la compressione della libertà personale dell’indagato o dell’imputato va contenuta, cioè, entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari riconoscibili nel caso concreto””10.

Sul versante della “qualità” delle misure, ne consegue che il ricorso alle forme di restrizione più intense – e particolarmente a quella “massima” della custodia carceraria – deve ritenersi consentito

8 Pisani M., Cauzione e libertà personale. Spunti de iure condendo, in Riv. it. dir. e proc. pen.,

2003; il quale sottolinea come, in quest’ottica, potrebbe ripensarsi all’introduzione della cauzione eventualmente graduandone l’ammontare e i tempi delle relative corresponsioni in relazione alle capacità economiche dell’indagato.

9

Conso G., Grevi V., Bargis M., In compendio di procedura penale, 6ª edizione, 2012, p. 403.

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solo quando le esigenze processuali o extraprocessuali, cui il trattamento cautelare è servente, non possano essere soddisfatte tramite misure di minore incisività. Questo principio è stato affermato in termini netti anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale, in riferimento alla previsione dell’art. 5, paragrafo 3, della Convenzione, la carcerazione preventiva “deve apparire come la soluzione estrema che si giustifica solamente allorché tutte le altre opzioni disponibili si rivelino insufficienti”11.

Il criterio del “minore sacrificio necessario” impegna, dunque, in linea di massima, il legislatore, da una parte, a strutturare il sistema cautelare secondo il modello della “pluralità graduata”, predisponendo una gamma alternativa di misure, connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale12; “dall’altra, a prefigurare meccanismi individualizzati di selezione del trattamento cautelare, parametrati sulle esigenze configurabili nelle singole fattispecie concrete”13.

11 Corte eur., 2/07/2009, Vafiadis c. Graecia; C. eur., 8/11/2007, Lelièvre c. Belgio.

12 Cfr. Ingenito M., Presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere:

obbligatorio l’incidente di costituzionalità, Dir. Pen. e Processo, 2012, 8, 985.

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§2. La discrezionalità del giudice e i principi di adeguatezza e proporzionalità, e la loro progressiva erosione.

Sia il codice Rocco che il codice Vassalli “hanno dedicato alla “libertà” personale numerose disposizioni di legge che hanno costituito l’incipit di un sistema che ne legittima[va] la limitazione in presenza di particolari presupposti e condizioni”14.

“Le misure restrittive, quando vengono applicate nel corso del procedimento, segnano un punto di crisi della giurisdizione, dal momento che intervengono molto tempo prima che il processo realizzi la sua tipica funzione di accertamento della responsabilità dell’imputato”15

.

“Questa prerogativa tipizzava il sistema processuale penale previgente nel quale la limitazione della libertà personale rappresentava la regola strumentale per accertare i fatti”16: il codice Rocco prevedeva, “addirittura poteri restrittivi della libertà personale da parte del pubblico ministero, utilizzati, spesso, per finalità tipiche dell’accertamento ed in particolare al fine di ottenere la confessione, ritenuta in quel contesto ancora la regina delle prove”17.

Azione e giurisdizione venivano confuse e la natura “ibrida del pubblico ministero non faceva altro che amplificare tale confusione:

14 Cecanese G., La discrezionalità del giudice e il principio di proporzionalità-adeguatezza

nell’applicazione delle misure cautelari, Giur. It., 2005, 11.

15

Saraceni L., Il sistema cautelare nel nuovo processo penale: lineamenti generali e valori di fondo, in Cassazione Penale, 1989, p. 2112.

16 Riccio C., Ideologie e modelli del nuovo processo penale, Napoli, 1996, p. 295.

17 Riccio - De Caro – Marotta, Principi costituzionali e riforma della procedura penale, Napoli,

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nel contesto de libertate, poi, venivano amplificate esigenze inerenti all’azione e non alla giurisdizione”18

.

Insomma, il pubblico ministero aveva ampi poteri (discrezionali) che venivano utilizzati con grave nocumento dell’efficienza del processo e, soprattutto, delle garanzie di chi vi era sottoposto.

Occorreva, quindi, incidere sulla possibilità di utilizzare tali poteri e ciò è stato possibile grazie all’operazione di lifting dell’intera materia cautelare avviata dalla L. n. 330 del 1988 e proseguita con l’attuazione del nuovo codice di procedura penale del 1989 con cui si è giurisdizionalizzato il procedimento, affidando il potere di adottare i provvedimenti restrittivi della libertà personale ad un giudice collocato in posizione di terzietà19.

“Ma, la terzietà del giudice e la possibilità di sottoporre a controllo i suoi provvedimenti non erano sufficienti ad assicurare carattere di piena giurisdizionalità al sistema cautelare: per questo il legislatore ha codificato il principio di legalità (cfr. art. 272, c.p.p.) che si esprime, nel nuovo codice, attraverso la previsione di specifiche misure, di presupposti che ne giustificano l’adozione e di criteri che ne guidano l’applicazione”20

.

In questo modo, “la limitazione della libertà personale soggiace a particolari vincoli e, quindi, non costituisce piú la regola (come avveniva nella versione originaria del codice Rocco), potendo essere compressa soltanto in casi eccezionali, cioè nei limiti e alle condizioni fissate dal legislatore”21.

18

Cecanese G., op. cit.

19 In questi termini sempre Cecanese G., op. cit.

20 Ferraioli L., Misure cautelari, in Enc. Giur. Treccani, XX, Roma, 1996, p. 1.

21 Marzaduri E., Misure cautelari personali (principi generali e disciplina), in Digesto Pen., VIII,

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I ““vincoli legali” si riferiscono a tutte le misure restrittive della libertà personale, non solo a quelle attinenti alla libertà dell’individuo, intesa come libertà fisica di movimento.

Infatti, sono coperte dalla garanzia di legalità cautelare tutte quelle misure che sono in grado di incidere sulla libertà personale, sulla libertà di circolazione, sulla libertà di disporre di beni mobili ed immobili stante il collegamento funzionale della norma contenuta nell’art. 13 Cost., con le altre garanzie costituzionali”22

.

Direttamente connesso al principio della legalità della vicenda cautelare è il principio della discrezionalità, nell’esercizio del relativo potere, del giudice che applica il provvedimento restrittivo.

Ciò in simbiosi con la direttiva n. 59 della Legge delega n. 81 del 1987 che prevede il potere-dovere del pubblico ministero e del giudice di richiedere e disporre la misura cautelare soltanto in presenza dei presupposti di legge.

Quindi, “in attuazione degli artt. 275, 2° co., e 299, 2° co., del c. p. p., il giudice deve valutare la ragionevolezza del permanere della limitazione della libertà, in relazione al prevedibile risultato finale del processo: cioè, egli deve effettuare una previsione, provvisoria e circoscritta negli effetti, in ordine alla sanzione che potrà essere inflitta in caso di condanna e valutare se, tenuto conto della presumibile decisione finale e della durata che la misura cautelare ha già avuto, sia proporzionato (quindi ragionevole) il protrarsi della stessa.

Si tratta di un potere discrezionale meramente ricognitivo dei presupposti indicati dal legislatore”23 che si pone “in antitesi rispetto

22 De Caro, Libertà personale e sistema processuale penale, Napoli, 2000, p. 190. 23 Nappi A., Guida al nuovo codice di procedura penale, Milano, 2003, pp. 267 e ss.

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alla regola di automaticità dell’ordine di cattura obbligatorio, tipica del codice previgente”24.

Ovviamente, non si tratta di un potere discrezionale libero, bensí di un potere-dovere segnato dall’obbligo di adeguare la misura alle esigenze che la legittimano applicando, ove possibile, una misura coercitiva diversa dalla custodia cautelare, proporzionando la relativa decisione al presumibile esito del giudizio (cfr. art. 275, 2° co., c.p.p.), non potendo altresì disporre una misura più grave di quella richiesta dal pubblico ministero.

“Un regime cautelare completamente affidato al corretto esercizio del potere discrezionale ha determinato che il legislatore delegato alla riforma del codice di rito dettasse una serie di criteri, ispirati alla logica della adeguatezza e della proporzionalità, che devono di necessità essere tenuti presenti al momento della scelta della misura da adottare nel caso concreto”25.

Stante l’esistenza di un pluralità di cautele progressivamente graduate a seconda dell’intensità del sacrificio imposto viene anzitutto enunciato il principio di adeguatezza in forza del quale “nel disporre le misure, il giudice” deve tener conto “della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto” (cfr. art. 275, 1° co.), “con l’ovvia conseguenza che dovrà venire scelta la misura meno gravosa per l’imputato tra quelle di per sé idonee a fronteggiare le suddette

24 Il sistema dell’automatismo era stato accolto dal codice Rocco in sostituzione di una linea

pressoché costante delle legislazioni precedenti le quali, pur con notevoli diversità di disciplina, conoscevano come regola la facoltatività del mandato di cattura e come eccezione la sua obbligatorietà connessa di solito, alle condizioni soggettive dell’indiziato e talvolta, al tipo di reato. (AA. VV., La libertà personale dell’imputato verso il nuovo processo penale, a cura di Grevi, Padova, 1989).

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esigenze”26. Ovvio come di “questa operazione dovrà dar conto l’autorità giudiziaria in sede di motivazione del provvedimento cautelare, in modo da consentire il sindacato sulla congruità del sacrificio imposto alla libertà personale”27

; “e ciò anche ed indipendentemente dalla previsione di cui all’art. 292, 2° co., lett. c

bis, che impone, in caso di applicazione della custodia carceraria,

l’esposizione delle ragioni per le quali le esigenze cautelari non possono essere tutelate con altre e meno gravose misure, risolvendosi “in una sorta di ripetizione [...] del principio di adeguatezza di cui all’art. 275, 3° co.””28

. Nel senso che, tale articolo attribuisce “poteri discrezionali, ma non assoluti” sicché il giudice deve tener conto della specifica idoneità della misura rapportandola alle esigenze da tutelare e “la scelta si sottrae al controllo di legittimità solo se, sorretta da adeguata motivazione immune da vizi logici”29

.

In una tale prospettiva, nel caso in cui si prospetti “la sostituibilità della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, l’indagine che il giudice deve compiere, volta ad accertare l’adeguatezza o meno di quest’ultima, presuppone l’individuazione delle esigenze cautelari da soddisfare e l’indicazione delle ragioni per le quali essa viene ritenuta, in ipotesi, non idonea allo scopo né proporzionata all’entità e gravità dei fatti in contestazione; specificandosi, come ciò non implichi la necessità di “una analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura” meno gravosa rispetto a quella applicata, risultando sufficiente

26 Grevi V., Misure cautelari e diritto di difesa, Milano, 1996, p. 298. 27 Ancora Marzaduri E., op. cit., p. 73

28 Manzione D., sub art. 292, in Comm. Chiavario, III, agg., Torino, 1998, p. 240. 29 C. Cass., 19/11/2004, n. 275.

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l’indicazione degli “elementi specifici””30

che giustificano la valutazione di adeguatezza nel caso concreto. In particolare, poi, in ordine all’adeguatezza degli arresti domiciliari si è detto come questa vada “valutata anche facendo riferimento “alla prognosi di spontaneo adempimento da parte dell’indagato” dell’obbligo di non allontanarsi dal domicilio ovvero, più in generale, degli obblighi e delle prescrizioni imposte con la cautela”31. In riferimento alla custodia domestica va detto che può essere “ritenuta inadeguata a tutelare l’esigenza di cui all’ art. 274, lett. c, soltanto in presenza di “elementi specifici, inerenti al fatto, alle motivazioni di esso ed alla personalità del soggetto” che facciano ritenere il soggetto “propenso all’inosservanza dell’obbligo di non allontanarsi dal domicilio a fini criminosi, perseguiti ad ogni costo, in violazione delle cautele impostegli”; e ciò in ragione delle modifiche apportate dalla L. 8 agosto 1995, n. 332 all’art. 275, 3° co., che rafforzano la natura di misura “residuale e quasi eccezionale” della custodia carceraria”32. Mentre “l’astratta possibilità che per l’inefficacia dei controlli l’indagato possa allontanarsi dal domicilio non vale ad escludere l’idoneità degli arresti domiciliari a prevenire il pericolo di reiterazione della stessa specie”33. Possiamo richiamare anche un’altra sentenza della Corte la quale, ha escluso, che possa ritenersi astrattamente inidonea a fronteggiare il pericolo di fuga la misura degli arresti domiciliari presso un campo nomadi, in quanto spetta “al giudice valutare in concreto la idoneità di tale contesto abitativo ad assicurare le esigenze cautelari, tenuto conto delle sue caratteristiche

30 C. Cass., 19/10/2004, n. 44882. 31 C. Cass., 27/03/1998, n. 2170. 32 C. Cass., 05/11/2002, n. 34179. 33 C. Cass., 11/10/1996, n. 2449.

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ambientali e strutturali e della effettiva possibilità delle forze di polizia di eseguire i dovuti controlli”34.

Nella decisione in ordine all’individuazione della misura da adottare, oltre all’attitudine della medesima a soddisfare le esigenze cautelari verificate caso per caso, dovrà essere tenuta in doverosa considerazione la “sua congruità (sotto il profilo della diminutio

libertatis che ne deriva all’imputato) rispetto alla gravità del fatto

addebitatogli e, quindi, al quantum di pena che in concreto (alla luce della complessiva situazione processuale) possa essergli irrogata”35. È questo il c.d. principio di proporzionalità che con quello di adeguatezza “rappresentano i criteri da seguire nell’individuazione in concreto della misura tanto nel momento di applicazione ab

origine della cautela quanto in occasione dei successivi controlli sulla

sussistenza ex ante e sulla persistenza ex post dei presupposti che l’avevano giustificata”36

.

Per effetto della modifica introdotta all’art. 275, 2° co., “il principio di proporzionalità si estende a tutto il percorso che segue la misura cautelare e può incidere anche oltre la sostituzione della misura in esecuzione, fino alla stessa esclusione della restrizione là dove essa non appaia idonea a soddisfare l’esigenza di conformità alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata”37. Esso, invero, “postula un giudizio provvisorio sulla gravità del fatto imputato al soggetto e, quindi, una prognosi provvisoria sulla sanzione che potrà essere irrogata in caso di condanna. La valutazione prognostica del

34

C. Cass., 08/10/2002, n. 5371.

35 Grevi V., op. cit., p. 299. 36 Cecanese G., op. cit.

37 Marandola A., Sospensione condizionale della pena e misure cautelari, in Cass., pen., 1995, p.

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quantum di pena in concreto applicabile va condotta alla luce della

complessiva situazione processuale”38.

Tuttavia, qualora debbono essere applicate le misure cautelari di cui agli artt. 282 e 283, la valutazione in ordine alla proporzionalità deve riguardare solo “l’entità del fatto” e non “anche [la] durata della sanzione in concreto irrogabile”, in quanto si tratta di cautele meno afflittive per le quali “non opera la preclusione derivante dalla ingiustizia della detenzione oltre la durata della pena inflitta”39

; in caso di condanna, la verifica della sussistenza della proporzionalità della misura cautelare richiesta dall’art. 275, 2° co., “deve essere effettuata con esclusivo riferimento alla sanzione irrogata”40.

Quindi, punto centrale dell’analisi sulla discrezionalità, è il ““giudizio di valore” che il giudice è chiamato ad emettere tenendo conto che i presupposti legali predeterminati gli impongono un comportamento giuridicamente “doveroso””41

.

Si tratta di una “valutazione vincolata nell’an e nel quomodo, poiché l’ordinamento ne fissa in anticipo i parametri”42

attraverso cui si attua “un processo di eterointegrazione dello schema normativo, nel quale l’elemento estraneo è dato dall’attività raziocinante del destinatario del precetto”43. In particolare, “la presenza di indici di riferimento (cfr. artt. 273 e ss. c.p.p.) “guida ed orienta” la discrezionalità del giudice dal momento applicativo della misura cautelare sino al termine del processo in modo da consentirgli la possibilità di controllare la persistenza delle condizioni che legittimano l’adozione e la

38 Grevi V., Misure cautelari, in Conso-Grevi, Profili del nuovo codice di procedura penale,

Padova, 1993, p. 253.

39

C. Cass., 11/07/2003, n. 38748.

40 C. Cass., 20/01/2006, n. 10656

41 Cristiani A., La discrezionalità dell’atto nel processo penale, Milano, 1985, p. 61. 42 Riccio C., op. cit., p. 318.

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permanenza del provvedimento”44. Dunque, non potrà esservi alcuna richiesta (cfr. art. 291, c.p.p.), né il giudice potrà adottare alcun provvedimento, in assenza del presupposto probatorio incompleto (cfr. art. 273, c.p.p.) e dei pericula libertati (cfr. art. 274, c.p.p.) il cui simultaneo accertamento può autorizzare l’adozione della misura. La discrezionalità va, infine, riferita anche al tipo e al modo attraverso cui viene esplicato il potere: in questo ambito assume un ruolo importante la motivazione del provvedimento, libera, quanto alla valutazione dei presupposti e delle condizioni di legge, ma vincolata dalla necessaria aderenza ai principi di gradualità e di adeguatezza delle diverse misure45.

“In fondo, è il sistema normativo delle misure cautelari a pretendere che la scelta delle misure deve essere sorretta da una motivazione adeguata in modo da potersi sottrarre al sindacato di legittimità”46. Una particolare specificazione del principio di adeguatezza è contenuta nell’art. 275, 3° co., per cui: “la custodia carceraria, ovvero la più gravosa fra tutte le misure cautelari, può essere disposta “soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata”. Trattasi di una “regola decisoria [...] che individua nel ricorso alla carcerazione dell’imputato una vera e propria extrema ratio”, tale cioè da utilizzarsi soltanto qualora nello specifico le esigenze cautelari non possono venire soddisfatte “da nessuna diversa, o meno vessatoria, forma di limitazione della libertà””47

.

44 Galati A., La libertà personale dal codice Rocco al codice Vassalli, in Studi in onore di Giuliano

Vassalli, II, Milano, 1991, p. 271.

45 Cfr. Cecanese G., op. cit.

46 Marzaduri E., Art. 275 c.p.p., In Commento al nuovo codice di procedura penale, coord. da M.

Chiavario, III, Agg., Torino, 1997, p. 165.

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“Nell’apprezzare se, rispetto al soddisfacimento delle esigenze cautelari, ogni misura diversa dalla custodia cautelare in carcere risulti inadeguata, deve aversi riguardo ai criteri stabiliti dagli artt. 273 ss. c.p.p., non trascurano l’entità del tempo trascorso dalla commissione del reato”48

.

Tornando al tema del principio di adeguatezza, devono sottolinearsi le modifiche introdotte (a seguito della L. 26 marzo 2001, n. 128) sia attraverso il comma 1-bis, sia attraverso il comma 2-ter dell’art. 275. Entrambi si occupano dei criteri relativi alla scelta delle misure cautelari da disporre contestualmente ad una sentenza di condanna, dettando il primo un criterio di carattere generale e, il secondo, un criterio specifico per il casi di condanna in appello.

A norma del comma 1-bis è previsto anzitutto che contestualmente ad una sentenza di condanna, l’esame delle esigenze cautelari debba essere “condotto tenendo conto anche dell’esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate nell’art. 274, 1° co., lett. b e c”. “Al riguardo emerge evidente la preoccupazione legislativa di vincolare il giudice – una volta intervenuta la sentenza di condanna – a tener conto anche dei risultati del relativo accertamento, nonché di ogni altro elemento sopravvenuto, quali fattori rilevanti per la valutazione delle suddette esigenze cautelari”49.

Per altro verso, a norma del nuovo comma 2-ter, “qualora la condanna sia stata pronunciata in grado di appello è previsto che le misure cautelari personali debbano essere sempre disposte, contestualmente

48 C. Cass., 19/02/1998, n. 595.

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alla sentenza, quando, all’esito dell’esame condotto a norma del comma 1-bis, risultano sussistere esigenze cautelari previste dall’art. 274 e la condanna ha ad oggetto delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza o delitti non colposi consumati o tentati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti, ed il reato è compiuto da un soggetto che nei cinque anni precedenti è stato condannato, con sentenza definitiva, per i delitti della stessa indole”50. L’identità di indole può ricorrere quando viene violata la stessa disposizione di legge, vale a dire lo stesso titolo del reato o quando vengono violate norme incriminatici diverse, ma i reati presentano tratti essenziali comuni. Perché si possa parlare di ““stessa indole” è necessario che i reati commessi siano omogenei, e lo sono quando si costituiscono come espressione di uno stesso impulso antigiuridico, che mette in evidenza un’unica tendenza criminale: la valutazione dell’omogeneità degli illeciti deve essere effettuata avendo riguardo, non alle fattispecie legali, ma ai casi che concretamente si mostrano nella realtà fatturale e rileva, altresì, l’eventuale identica motivazione psicologica che spinge il soggetto agente a tenere il comportamento illecito”51. Sebbene questa disposizione non risulti di facile lettura, alla luce delle discussioni che l’hanno preceduta essa va intesa “come una sorta di risposta processuale, sul terreno cautelare, alle ricorrenti istanze politiche verso una anticipata esecuzione delle sentenze di condanna, peraltro non consentita dal nostro ordinamento costituzionale (art. 27, 2°co., Cost.): nel senso, cioè, che a fronte delle ipotesi descritte il giudice d’appello debba anche d’ufficio adottare i

50 Conso G., Grevi V., Bargis M., op. cit.

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provvedimenti ivi previsti. Ciò significa, in altri termini, che in deroga alla regola generale per cui il giudice procedente applica le misure cautelari su richiesta del pubblico ministero (artt. 279 e 291, 1° co.), nel caso di sentenza di condanna pronunciata in secondo grado, contestualmente alla medesima il giudice dovrà obbligatoriamente, anche in assenza di quest’ultima richiesta, valutare la sussistenza delle esigenze cautelari e degli altri presupposti indicati nel suddetto comma 2-ter, ed applicare sempre la misura cautelare personale più adeguata, ogni qualvolta tale valutazione abbia dato esito positivo”52. In ultima analisi, l’opinione a favore di un regime cautelare completamente affidato al corretto esercizio del potere discrezionale è progressivamente scemata, a seguito di numerosi interventi legislativi che negli anni hanno variamente inciso sulla validità in termini di “generalità” ed “astrattezza” dei criteri segnati da quelle disposizioni. In un susseguirsi di modifiche (a volte dettate dall’emergenza, altre volte da esigenze riparatorie delle situazioni di squilibrio createsi), l’art. 275 nel testo vigente è costellato di presunzioni di adeguatezza, di deroghe a questa e di regole in deroga alle deroghe, che dei criteri generali originariamente segnati si rischia di dover dire più in termini di indicazione tendenziale piuttosto che di effettività53.

“Una rivisitazione della materia si imporrebbe, anche al fine di ovviare agli inconvenienti dell’eccessiva casistica che, soprattutto in tema di disposizioni concernenti i soggetti portatori di gravi patologie, connota ormai la norma in esame, trasformando la stessa in una vera e propria trappola, nella quale situazioni essenzialmente simili sono

52 Conso G., Grevi V., Bargis M., op. cit.

53 In commentario al codice di procedura penale, art. 275, Banca dati on-line “Leggi D’Italia”, in

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trattate diversamente per il sol fatto che ad una soltanto fa (più che puntuale) puntiglioso riferimento il dettato normativo”54.

Con i diversi interventi normativi, a volte si è “esplicitamente stabilita una presunzione di adeguatezza che, pronubi formule sibilline, di fatto esclude totalmente (ovvero grandemente scema) la possibilità di scelta; altre volte, invece, attraverso l’inclusione quasi imposta di lettura di alcuni dati, si è guidata la valutazione, col risultato di compromettere la scelta”55. Esempio del primo genere, è, chiaramente, la disposizione di cui al 3° co., secondo periodo della norma in esame, di cui di dirà in seguito; esempi del secondo sono, invece, le disposizioni dei precedenti 1° comma bis e 2° comma ter, in relazione alle quali, va da subito evidenziato come esse sostanzialmente sviliscano la presunzione di non colpevolezza. Al di là delle formule, infatti, null’altro si vuole perseguire, almeno per taluna categoria di reati, che l’anticipazione della sanzione.

E ciò “risulta evidente dalla mera constatazione che, nel sistema, il momento di applicazione della misura in generale non è predefinito da alcuna disposizione, per cui, essa, ricorrendone le condizioni, è sempre possibile proprio a seguire le disposizioni generali”56, va detto come l’intervento del legislatore “più che normativo è pedagogico: non contiene infatti autentiche prescrizioni idonee a governare ed indirizzare i criteri di scelta della misura cautelare, ma contiene un invito al giudice su come debbono essere valutate le esigenze cautelari all’esito di un procedimento di condanna, non apportando

54 Fùrfaro S., Le limitazioni alla libertà personale consentite, in Spangher, Santoriello, Le misure

cautelari personali, Torino, 2009, p. 73.

55 In Commentario al c.p.p., art. 275, op. cit. 56 Fùrfaro S., op. cit., pp. 75-76.

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fondamentalmente nulla di nuovo rispetto a quanto già enucleabile dal sistema o a quanto sinora elaborato in sede giurisprudenziale”57.

Se ciò è vero, “la ragione per la quale le norme in esame richiamano la decisione di condanna non si giustifica diversamente che con l’attribuzione ad essa di un rilievo che, a mente dell’art. 27, 2°co., Cost., non può avere. Rimarcare l’avvenuta decisione di condanna – tanto da derivarne quasi un imperativo nel caso di appello – sta a significare che l’accadimento, lungi dall’inserirsi nel normale percorso segnato dal principio costituzionale, è assunto come momento rilevante in sé, seppure accortamente richiamato quale momento di riconsiderazione delle esigenze cautelari”58.

“Sia pure “mediata” – ma non ce n’era bisogno – dalla riconsiderazione delle esigenze cautelari a seguito delle decisioni di merito di condanna, il senso che si coglie è che sia quest’ultima ad essere, alla fin fine, considerata”, ma ciò vero, “il principio costituzionale risulta svilito della sua portata e, con esso, anche gli altri presidi che il sistema sovranazionale appresta avverso l’assimilazione – comunque proposta, perseguita e attuata – dell’imputato al condannato”59

.

Va opportunamente considerato, infatti, che accanto alla norma costituzionale, gli artt. 6, par. 2 Cedu e 14, par. 2 Patto ONU assumono l’ “innocenza” come situazione presunta “fino a quando la [...] colpevolezza non sia stata legalmente accertata”. È stato messo in luce, in proposito, come la considerazione a livello sovranazionale della suddetta presunzione si concretizza, più che nella necessità di

57

Alonzi F., L’adozione di misure cautelari all’esito di un provvedimento di condanna una discutibile novella, in AA. VV., Le nuove norme sulla tutela della sicurezza dei cittadini “c.d. pacchetto sicurezza”, Milano, 2001, p. 235.

58 In Commentario al c.p.p., art. 275, op. cit. 59 Fùrfaro S., op. cit., p. 60.

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evitare “gesti o parole [...] tali da propiziare [un] giudizio [di colpevolezza], nella “esigenza di evitare situazioni [...] tali da suonare come vere e proprie anticipazioni di un eventuale giudizio di colpevolezza”60

.

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§3. La prognosi sulla sospendibilità della pena.

Con l’introduzione ad opera della L. 8 agosto 1995, n. 332 del 2° co.

bis, dell’art. 275, attraverso il quale il legislatore ha voluto disporre

che: “non può essere disposta la misura della custodia cautelare se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena”, si è voluto in maniera espressa ed inequivocabile sancire la rilevanza, ai fini dell’adozione dei provvedimenti custodiali, della prognosi sulla sospendibilità condizionale della pena, dando in tal modo “risposta ad una questione destinata ad incidere in termini particolarmente significativi sulle sorti della libertà personale dell’imputato” e rispetto alla quale la giurisprudenza ante riforma “non è riuscita a fornire risultati rassicuranti, in considerazione della persistenza di contrasti tra pronunce””61.

E’ questa una norma che, “se da un canto corrisponde ad intuibili esigenze di equilibrio sotto il profilo del sacrificio della libertà personale dell’imputato, dall’altro può tuttavia prestare il fianco a fondate perplessità, anche prescindendo dalla sorprendente assenza di qualunque criterio sul quale il giudice possa operare la delicata valutazione prognostica che gli è affidata”62.

La norma, infatti, sembra ispirata ad una “concezione pressoché esclusivamente sostanzialistica della custodia cautelare (quasi si trattasse di una sorta di “anticipazione della pena”, peraltro contra

legem); ma trascura, nel contempo, l’eventuale profilarsi di esigenze

61 Marzaduri E., Sub art. 275, in Comm. Chiavario, III, agg, Torino, 1998, p. 166. 62 Conso G., Grevi V., Bargis M., op. cit. p. 404.

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cautelari di natura probatoria, che potrebbero, invece, concretamente sussistere in grado tale da rendere necessario il ricorso al carcere”63. Muovendo dal presupposto che l’art. 273, 2° co., esclude l’applicazione delle misure coercitive “se sussiste una causa di estinzione del reato” si è sostenuto che tale situazione ben può essere integrata qualora risulti prevedibile la concessione della sospensione condizionale della pena64; ed il fatto che l’art. 273, 2° co., richieda che “risulti” la causa di estinzione del reato o della pena non sta a significare che la causa del reato debba essere operativa immediatamente ab origine, ma va inteso nel senso che devono effettivamente sussistere i presupposti per l’applicazione della causa estensiva, così da rendere sproporzionata la misura65. Il che, del resto, emerge dallo stesso art. 275, 2° co., che fa riferimento alla “pena che si ritiene possa essere irrogata”66

.

In diversa prospettiva, si era, invece, “escluso la rilevanza della sospensione condizionale della pena ai sensi dell’art. 273, 2° co., sia sostenendo che non si tratterebbe di una causa estintiva immediatamente operante in quanto subordinata a valutazioni discrezionali effettuabili solo in sede di giudizio”67; di fatto “l’opzione interpretativa che esclude la sospensione condizionale della pena dalle cause di estinzione del reato rilevanti ex art. 273, 2° co., sarebbe confermata proprio dall’introduzione del 2° co. bis, dell’art 275 “che pone limiti, quando sia prevedibile la sospensione della pena,

63 Conso G., Grevi V., Bargis M., op. cit. p. 404. 64

C. Cass., 19/05/1999, n. 2416.

65 C. Cass., 05/04/1994, n. 1370.

66 Analogamente in dottrina Amato G., sub art. 273, In Comm. Amodio, Dominioni, II, Milano,

1990, p. 22; Chiavario M., sub art. 273, In Comm. Chiavario, III, Torino, 1990, p. 37.

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esclusivamente all’applicabilità delle misure cautelari più afflittive (detenzione in carcere e arresti domiciliari)””68

.

Quanto alla natura dell’accertamento richiesto, si è detto “come la formula utilizzata dal legislatore della riforma del 1995 appare troppo concisa, tanto da poter favorire uno svuotamento dei contenuti normativi”69; d’altra parte, “dire che è vietato applicare la misura “se il giudice ritiene” significa immaginare un divieto che nasce da una valutazione personale e intima del giudice”70.

Tuttavia dovendosi di necessità “inserire questa particolare ipotesi decisoria all’interno della disciplina delle misure cautelari personali” il giudice non può in nessun caso ritenere che la pena potrà essere sospesa “senza aver prima svolto un’indagine adeguata sui vari profili di fatto e di diritto che incidono sulla concessione del beneficio e la motivazione dell’ordinanza che respinge la domanda cautelare non può non atteggiarsi secondo le cadenze previste dall’art. 292, 2° co.”71.

Insomma, la decisione di non disporre la custodia cautelare presuppone “l’individuazione di elementi probatori tali da far ritenere allo stato degli atti non solo che la pena irrogabile rientri nei limiti stabiliti dall’art. 163 c.p., ma anche che sussistono le condizioni descritte dall’art. 164 c.p., tra le quali assume qui sicuramente connotati di maggiore problematicità la prognosi di non recidiva dell’eventuale colpevole. E ciò presuppone che siano stati acquisiti tutti gli aspetti della persona e della vicenda ex art. 133 c.p., dovendosi

68 C. Cass., 14/01/1997, n. 58. 69

D’ambrosio C., sub art. 4 L. 332/1995, In Italia Oggi, suppl., 9/08/1995, p. 7.

70 Frigo G., sub art. 4 L. 332/1995, in Il Sole 24 ore, suppl., 4/08/1995. p. 7.

71 Marzaduri E., op. cit., p. 174, il quale esclude che l’esistenza di un comune dovere

motivazionale comporti l’operatività della previsione sanzionatoria [id est: nullità] di cui all’art. 292, 2° co., stante il principio di tassatività ex art. 177.

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altrimenti escludere l’operatività del principio di proporzionalità nell’ipotesi considerata”72

. Né può fondatamente sostenersi che la discrezionalità del giudice sia destinata a trasformarsi in arbitrio: la formula utilizzata dal legislatore allude ad un giudizio avente ad oggetto “non la sussistenza della semplice possibilità che la sospensione condizionale venga concessa, bensì l’esistenza del potere del giudice che emetterà la sentenza di applicare il beneficio, sulla base dell’accertata presenza delle condizioni richieste per l’emissione di tale provvedimento”: insomma il giudice che non dispone la custodia cautelare ex art. 275, 2° co. bis, è un giudice che “se avesse i relativi poteri, ordinerebbe la sospensione dell’esecuzione della pena”73

In ambito giurisprudenziale, va detto, che in nessun caso nel valutare la possibile concessione del beneficio di cui all’art. 163 c.p., potrà essere tenuta in considerazione la preannunciata opzione dell’indagato per riti alternativi, trattasi, infatti, “di evenienze processuali future ed incerte che dipendono, oltre che da determinati presupposti obiettivi, da una espressa e formale manifestazione di volontà sia dell’interessato che del P.M.”74

. Si è altresì affermato che il giudizio prognostico sulla probabile concessione della sospensione condizionale della pena, e la conseguente operatività del divieto di cui all’art. 275, 2° co. bis, “implica l’esclusione del pericolo di reiterazione del reato, dal momento che la concessione della sospensione è indefettibilmente correlata ad una previsione favorevole in ordine alla condotta futura del condannato”75; di conseguenza, “una

72 Marzaduri E., op. cit., p. 173. 73 Ancora Marzaduri E., op. cit., p. 174. 74 C. Cass., 24/05/2007, n. 42682. 75 C. Cass., 19/05/1999, n. 2416.

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volta che il giudice, nel disporre il provvedimento di coercizione personale, abbia ritenuto l’esigenza cautelare di prevenire la reiterazione del reato, non sussiste obbligo di motivazione sul divieto di disporre la custodia cautelare nel caso di prognosi sfavorevole alla futura concessione della sospensione condizionale della pena previsto dall’art. 275, 2° co. bis”76

.

Quanto al rapporto tra presunzione di pericolosità ex art. 275, 3° co., e prognosi ex art. 275, 2° co. bis, si è affermato che “la verifica in concreto del giudice circa l’assenza di condizioni favorevoli allo status libertatis esaurisce la possibilità di qualsiasi prognosi favorevole all’imputato”77

.

Ogni qualvolta, poi, il giudice ritenga di non poter applicare a norma dell’art. 275, 2° co. bis, la custodia cautelare in carcere, “non può essere disposta ex art. 274, lett. b, nessun’altra misura coercitiva. Ed infatti, il divieto di ordinare la custodia in carcere se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena, e perciò possa essere irrogata una pena non superiore ai due anni di reclusione, stabilito dall’art. 275, 2° co. bis, va coordinato con l’art. 274, lett. b, che, nell’ipotesi di fuga o pericolo di fuga, espressamente vieta tutte le misure cautelari se il giudice reputi che possa essere inflitta un pena non superiore ai due anni di reclusione”78

. Nel senso che la limitazione di cui all’art. 274, lett b, “non impedisce radicalmente di ipotizzarne l’apprezzabilità a fronte di una pena sospendibile, dal momento che all’art. 163, 2° e 3° co., c.p., si

76 C. Cass., 20/05/1998, n. 2955. 77 C. Cass., 23/02/2004, n. 18933. 78 C. Cass., 07/12/1995, n. 4067.

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stabilisce che il beneficio de quo può riguardare pene che superano tale limite”79

.

La norma in esame, pertanto, non formula alcun parametro oggettivo cui il giudice debba ancorare il suo apprezzamento circa la prognosi di applicabilità del beneficio, ecco, perché è necessario fare riferimento ai limiti fissati dagli artt. 163 e 164 c.p. ed alla pericolosità dell’indagato, desumibile dagli indici di cui art. 133 c.p., inerenti al delitto contestato, alle modalità di esecuzione ed alla personalità dell’indagato medesimo, perché possa argomentarsi che l’autore del fatto si asterrà o meno dal commettere ulteriori reati.

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§4. La presunzione di adeguatezza della custodia cautelare nell’art. 275, 3° comma. La regola e le troppe eccezioni.

L’attuale codice di rito, rispondendo all’incipit della Direttiva n. 59 della Legge Delega n. 81 del 1987, in forza della quale vige il “divieto di disporre la custodia in carcere se con l’applicazione di altre misure di coercizione personale possono essere adeguatamente soddisfatte le esigenze cautelari”; l’art. 275, comma 3, prima parte, in totale armonia con tale disposizione, prevede che la “custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata”, scongiurando ipotesi di applicazione automatica. Ciò costituisce il c.d. principio di adeguatezza e risponde alla logica del minor sacrificio a fronte della pari idoneità ad assolvere alle esigenze cautelari da parte delle singole misure80.

Il carcere, cioè, deve costituire “l’espediente estremo”81 e non può consistere in una privazione della libertà eccessiva, qualora misure meno gravose assicurino parimenti la ratio cautelare82. Questo, peraltro, risponde ai connotati minimali richiesti in un sistema che costituzionalizza il diritto alla libertà personale (art. 13) e che, quali inviolabili ed irrinunciabili regole di garanzia, statuisce il principio di

80

Così, per tutti, Grevi V., Misure cautelari, in Compendio di procedura penale a cura di Conso e Grevi, Padova, 2003, p. 373.

81 Cordero F., Procedura penale, Milano, 2006, p. 479.

82 Quest’aspetto, peraltro, deve emergere dal contesto motivazionale dell’ordinanza impositiva del

vincolo cautelare ed in particolare di quella che dispone la custodia in carcere, dovendo essere esposte le “concrete e specifiche ragioni per la quali, le esigenze di cui all’art. 274 non possono essere soddisfatte con altre misure” [art. 292, comma 2, lett. c bis]. Sul punto Marzaduri E., voce “ misure cautelari personali (principi generali e disciplina)”, in Digesto Pen., VIII, Torino, 1994, p. 73.

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tassatività delle misure limitative della libertà (art. 272 c.p.p.) e di salvaguardia dei diritti della persona in vinculis (art. 277 c.p.p.)83. Tratto saliente complessivo del regime ora ricordato è quello di non prevedere né automatismi né presunzioni. Esso esige, invece, che le condizioni e i presupposti per l’applicazione di una misura cautelare restrittiva della libertà personale siano apprezzati e motivati dal giudice sulla base della situazione concreta, alla stregua dei ricordati principi di adeguatezza, proporzionalità e minor sacrificio, così da realizzarsi una piena individualizzazione della coercizione cautelare84. Il primo sviamento a tale binario procedimentale fu introdotto, nel 1991, in costanza della c.d. “emergenza mafiosa”85. Il legislatore del Decreto Legislativo n. 152 del citato anno (provvedimento poi convertito nella L. n. 203 del 199186) dispose di introdurre una deroga al sistema ordinario allorquando il delitto contestato fosse, lato sensu, riconducibile alla criminalità organizzata, in ordine ai delitti aggravati dall’uso del metodo mafioso o dalla finalità di agevolazione di un’associazione mafiosa (art. 416 bis, 3° co., c.p.), in virtù della quale – sovvertendo la scala di progressività afflittiva – vi sarebbe stata, in presenza di gravi indizi di colpevolezza, direttamente l’applicazione della misura custodiale carceraria, “salva l’acquisizione di elementi dai quali risulti che non sussistano esigenze cautelari ovvero che le stesse possano essere soddisfatte con altre misure”87

. Con un altro

83 Sul punto ancora Marzaduri e., op. cit.

84 Pulvirenti A., Materiale didattico, Rassegna ragionata di giurisprudenza sulle più importanti

questioni di procedura penale, Lumsa Università di Palermo, 2012/2013.

85

Balducci P., Custodia cautelare in carcere e omicidio volontario: la Consulta elimina l’obbligatorietà; Dir. Pen. e Processo, 2011, p. 1219.

86 Il quale imponeva la custodia in carcere per numerose fattispecie non omogenee fra di loro,

quali, la devastazione, il saccheggio, la strage, la guerra civile, l’omicidio, la rapina aggravata, l’estorsione aggravata, il sequestro di persona, l’associazione mafiosa (con l’intera gamma dei reati che vi sono intesi o defluiscono), la disciplina degli stupefacenti (artt. 73, 74 e 80, co. 2 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), la fabbricazione e il commercio delle armi.

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intervento leggermente posteriore88, il legislatore rese “la norma ancora più stringente, irrigidendo la presunzione di adeguatezza”89 e “limitando la prova contraria alla sola possibilità che l’indagato dimostrasse la totale insussistenza delle esigenze cautelari, con espunzione, dunque, della chance difensiva tesa ad offrire la prova della idoneità di misure meno gravose”90.

Com’è noto, smentendo la scelta compiuta dal legislatore del nuovo codice di rito, che aveva rigorosamente configurato la custodia cautelare come extrema ratio, cui ricorrere “soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata”, a neanche due anni dall’entrata in vigore dello stesso, i suddetti interventi normativi d’urgenza, emanati in rapida successione, sancirono per tali reati, predeterminati ex lege e considerati espressivi di una particolare pericolosità sociale91, “una duplice presunzione, relativa, quanto alla sussistenza dei pericula

libertatis, “che il giudice deve considerare sussistenti, quante volte

non costi la prova della loro mancanza” (prova di tipo negativo, dunque, che deve necessariamente proiettarsi su ciascuna delle fattispecie identificate dall’art. 274 c.p.p.), assoluta, quanto alla scelta dell’unica misura da applicarsi, “ove la (prima) presunzione non risulti vinta […], subentra un apprezzamento legale, vincolante e incontrovertibile, di adeguatezza della sola custodia carceraria a

88 Trattasi del D.L. 292 del 1991, convertito nella l. 356 del 1991. 89

Lozzi G., Lezioni di procedura penale, VII ed., Torino, 2009, p. 303 definisce il secondo periodo del comma 3 dell’art. 275 c.p.p, “una formula legislativa di natura ipocrita che, imponendo una vera e propria probatio diabolica in ordine alla insussistenza delle esigenze cautelari, sostanzialmente ripristina la custodia cautelare obbligatoria”. La giurisprudenza di legittimità sembra maggiormente orientata a ritenere riscontrata tale assenza allorquando vi sia la prova che l’accusato si sia distaccato in modo stabile e definitivo dall’associazione criminale; sul punto si veda Barrocu G., La presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere: evoluzione normativa e giurisprudenziale, Dir. Pen. e Processo, 2012. p. 225.

90 Lozzi G., op. cit.

91 V., al proposito il preambolo del D.L. n. 152 del 1991, nel quale si allude espressamente “alla

straordinaria necessità ed urgenza di far fronte a gravissimi fenomeni di criminalità organizzata e di assicurare la difesa della regalità.

(31)

fronteggiare le esigenze presupposte, con conseguente esclusione di ogni soluzione intermedia tra questa e lo stato di piena libertà dell’imputato””92

.

Il modello ora evidenziato “si traduce, sul piano pratico, in una marcata attenuazione dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti applicativi della custodia cautelare in carcere. Secondo un indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, difatti, in presenza di gravi indizi di colpevolezza per uno dei reati considerati, il giudice assolve il suddetto obbligo dando semplicemente atto dell’inesistenza di elementi idonei a vincere la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, senza dovere specificamente motivare sul punto; mentre solo nel caso in cui l’indagato o la sua difesa abbiano allegato

92

In questi termini, Corte cost., 21 luglio 2010, n. 265, in Giur. Cost., 2010, 3169. Sulla duplice presunzione, iuris tantum e iuris et de iure, così configurata, per tutti, Bassi, I presupposti delle misure, in Nuove norme sulle misure cautelari e sul diritto di difesa a cura di Amodio, Milano, 1996, pp. 21-22.

Per rilievi critici in ordine alla “prova negativa, suscettibile di tradursi, nei fatti, in una sorta di “probatio diabolica” richiesta all’imputato per superare la presunzione relativa di cui sopra, cfr. Paulesu P.P., La presunzione di non colpevolezza dell’imputato, 2ª ed., Torino, 2009, p. 144. L’automatismo nella scelta della misura carceraria così reintrodotto - fermamente escluso dalla stessa Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale (“Anche per i reati più gravi valgono dunque le regole generali, per cui […] resta pur sempre affidato alla discrezionalità del giudice […] il decidere se adottare o non adottare la misura massima tra quelle previste”, con correlativa “esclusione dell’“obbligatorietà della cattura”, nella tradizionale forma del congegno basato sull’automatismo di conseguenze tra la rilevazione di una situazione indiziante e l’adozione del provvedimento limitativo di libertà personale”) - ha indotto taluni a sottolineare l’avvenuta reintroduzione della “quasi obbligatorietà” della custodia carceraria, nuova riedizione dell’abrogato mandato di cattura obbligatorio (art. 253 c.p.p., 1930), fondata su una presunzione di pericolosità del soggetto accusato di fatti di reato particolarmente gravi.

Sul piano motivazionale, il meccanismo presuntivo in questione “si traduceva in una esenzione, per il giudice, dall’obbligo di dare conto delle esigenze cautelari, incombendogli solo l’obbligo di dare atto dell’inesistenza di elementi idonei ictu oculi a vincere la presunzione di legge, mentre l’obbligo di motivazione diventava più oneroso nell’ipotesi in cui l’indagato o la sua difesa avessero evidenziato elementi idonei a dimostrare l’insussistenza di esigenze cautelari, dovendosi allora addurre o, quanto meno, dedurre gli elementi di fatto sui quali la prognosi positiva poteva essere operata”; nel senso che sul giudice incomba “un vero e proprio onere di motivazione negativa, circa la (non) sussistenza in concreto di esigenze cautelari, tutte le volte in cui ritenga di non dover disporre quest’ultima misura”, Grevi V., Misure cautelari (Aggiornamento curato da Ceresa, Gastaldo), in Compendio di procedura penale a cura di Conso, Grevi e Bargis, 6ª ed., Padova, 2012, p. 407). A tali conclusioni erano già pervenute le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 5 ottobre 1994, Demitry, in Cass. Pen., 1995, 842).

Sul tema, v. Rombi, Sub art. 275 c.p.p., in Codice di procedura penale commentato a cura di Giarda e Spangher, 4ª ed., Milano, pp. 2010, 2921-2922.

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elementi di segno contrario, egli sarà tenuto a giustificare la ritenuta inidoneità degli stessi a superare la presunzione. Non vi sarà luogo, in ogni caso, ad esporre quanto ordinariamente richiesto dalla seconda parte delle lett. c e c-bis dell’art. 292, 2° co., c.p.p., rimanendo irrilevante, a fronte dell’apprezzamento legale, l’eventuale convinzione del giudice che le esigenze cautelari possano essere concretamente soddisfatte tramite una misura cautelare meno incisiva di quella massima”93.

Tale catalogo, “originariamente sorto per fronteggiare determinate forme di criminalità tendenzialmente caratterizzate dalla matrice mafiosa o comunque connotate da una forte caratura criminale del presunto autore, si è via via sia ristretto che espanso”94, in considerazione di provvedimenti legislativi95 alquanto “disomogenei e discutibili in relazione al tipo di intervento”96, “legati vieppiù alla necessità di placare pulsioni della collettività”97, spesso “conseguenza dell’enfatizzazione mediatica”98

, e talvolta “costituenti veri e propri

slogan politici”99, che hanno segnato “inesorabilmente la limitazione

93

Pulvirenti A., op. cit.

94 Giunchedi F., op. cit.

95 Il comma 3 dell’art. 275 c.p.p., è stato dapprima sostituito dall’art. 5 L. 8 agosto 1995, n. 332 e

successivamente modificato dall’art. 21 D.l. 21 febberaio 2009, n. 11, convertito in L. 23 aprile 2009, n. 38.

96

Moscarini P., L’ampliamento del regime speciale della custodia in carcere per gravità del reato, in Dir. Pen. e Processo, 2010, p. 233.

97 Preoccupazioni che emergono già in Grevi V., La libertà personale dell’imputato, in Enc. Dir.,

XXIV, Milano, 1974, p. 421.

98

Barracu G., op. cit., p. 226.

99 Mazza O., Viganò F., Introduzione, in il “pacchetto sicurezza” 2009 (Commento a D.L. 23

febbraio 2009, n. 11, conv. in L. 23 aprile 2009, n. 38 e alla L. 15 luglio 2009, n. 94) a cura di Mazza-Viganò, Torino, 2009, VII, in riferimento alle addende apportate dall’art. 275 c.p.p., dai provvedimenti emergenziali del 2009, spiegano che “non è facile tracciare le coordinate complessive di una congerie di norme miranti alla tutela della “sicurezza pubblica”: un bene così frequentemente invocato dai legislatori contemporanei — nostrani e non —, ma dai contorni irrimediabilmente imprecisi, e per ciò stesso agevolmente manipolabile dagli attori pubblici, che lo utilizzano strumentalmente come slogan attorno al quale aggregare consenso elettorale”. D’altronde che la materia sia fortemente caratterizzata da implicazioni politiche è fuor di dubbio in quanto su di essa “si scaricano le maggiori tensioni politiche e si riversano tutte le problematiche relative alla sicurezza dei cittadini. Ogni necessità — reale o, spesso, presunta — indotta da

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massima della libertà personale”100, senza “possibilità alcuna di considerare misure che garantirebbero ugualmente di assolvere all’esigenza cautelare individuata nell’ipotesi concreta. Si tratta di ipotesi in cui l’effettivo contrasto con i parametri costituzionali, più che dalla presunzione in sé, è rappresentato dalla assolutezza di questa”101.

Si fa esplicito riferimento in prima analisi, “all’intento garantistico e riformatore che aveva indotto il legislatore, attraverso la riforma del 1995”102, nell’ambito di un più generale “disegno di recupero delle garanzie in materia di misure cautelari, a delimitare in senso restrittivo il campo di applicazione della disciplina derogatoria, costituente un vero e proprio regime cautelare speciale di natura eccezionale, ai soli delitti di mafia e a quelli commessi con metodo e finalità mafiose”103. La previsione aveva superato indenne il vaglio di legittimità costituzionale e finanche quello della Corte europea dei diritti dell’uomo “in ragione delle peculiarità strutturali di tali fattispecie delittuose, contraddistinte da un’adesione permanente ad un sodalizio criminoso di norma fortemente radicato nel territorio, caratterizzato da

fenomeni criminali particolari o eventi drammatici si riversa su questo settore, premendo alle porte del sistema con una forza spesso dirompente. In tal modo, però, si insegue una politica penale emergenziale, non razionale e, soprattutto, incapace di “fare sistema”, con una vocazione orientata ad offrire risposte formali, sovente inutili (spesso dannose) ma apparenti e di notevole impatto sociale” (De Caro A., Presupposti e criteri applicativi, in Trattato di procedura penale diretto da Spangher G., 2.II, Le misure cautelari a cura di Scalfati, Torino, 2008, p.78).

100 Su questo punto si concentra Paulesu P.P., La presunzione di non colpevolezza dell’imputato,

Torino, 2009, p. 142.

101 Barrocu G., op. cit., p. 332, sottolinea che la mancanza di potere discrezionale in capo al

giudice porterebbe ad un paradosso nell’ipotesi in cui il P.M., domandasse, in ipotesi di reati previsti dall’art. 275, comma 3, secondo periodo, c.p.p., una misura diversa dalla custodia in carcere, imporrebbe al giudice di applicare l’unica possibile e cioè quella meno grave, in spregio al principio della domanda cautelare e al principio del favore rei, secondo cui nella scelta tra le due norme in contrapposizione il giudice deve sempre privilegiare quella con effetti più favorevoli per l’imputato.

102 Sottolinea le finalità garantistiche sottese alla legge 8 agosto 1995, recante “ Modifiche al

codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa”, tra gli altri, Moscarini P., op. cit., p. 228.

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una fitta rete di collegamenti personali e dotato di particolare forza intimidatrice, valeva a rendere “ragionevoli” – nei relativi procedimenti – le presunzioni in questione, e segnatamente quella di adeguatezza della sola custodia carceraria, trattandosi, in sostanza, della misura più idonea a neutralizzare il periculum libertatis connesso al verosimile protrarsi dei contatti tra imputato ed associazione”104.

In particolare, con l’ordinanza n. 450 del 1995, la Corte costituzionale “aveva escluso che la presunzione in parola violasse gli artt. 3, 13, 1° co. e 27, 2° co., Cost., rilevando che se la verifica della sussistenza delle esigenze cautelari (“l’an della cautela”) non può prescindere da un accertamento in concreto, l’individuazione della misura da applicare (“il quomodo”) non comporta indefettibilmente l’affidamento al giudice di analogo potere di apprezzamento, potendo la scelta essere effettuata anche in termini generali dal legislatore”, purché “nel rispetto del limite della ragionevolezza e del corretto bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti”105. Nella specie, deponeva nel senso della ragionevolezza della soluzione adottata ““la delimitazione della norma all’area dei delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso”, tenuto conto del “coefficiente di pericolosità per le condizioni di base della convivenza e della sicurezza collettiva che agli illeciti di quel genere è connaturato””106.

Analogamente, essendo rispettata la riserva di legge, una simile disciplina non poteva ritenersi in contrasto con la presunzione di non colpevolezza ex art. 27, 2° co., Cost., “data l’estraneità di quest’ultimo parametro all’assetto e alla conformazione delle misure restrittive

104 Pulvirenti A., op. cit.

105 In senso analogo, sul punto le ordinanze della C. Cost., ord., n. 130/2003 e n. 40 del 2002. 106 C. Cost., ord. n. 450 del 1995.

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