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UNIVERSITÀ DI PISA Facoltà di Giurisprudenza

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Facoltà di Giurisprudenza

Dottorato di ricerca in Scienze giuridiche

Curriculum Giustizia costituzionale e diritti fondamentali

Indirizzo Diritto processuale tributario

Tesi di dottorato

LA TAX COMPLIANCE

UNA “RIVOLUZIONE”

NEI RAPPORTI TRA FISCO E CONTRIBUENTE

RELATORE:

Chiar.mo Prof. Giuseppe CORASANITI

CANDIDATO:

Roberta MISTRANGELO

(2)

I

INDICE

INTRODUZIONE………...1 PARTE PRIMA I PRINCIPI I. LA TAX COMPLIANCE

I.1 Il concetto di tax compliance……….4 I.2 La tax compliance nel contesto internazionale e sovranazionale…………...8 I.3 La tax compliance in Italia: alcuni cenni storici………..14

II. LO STATUTO DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE

II.1 “Robin Hood” del Fisco o modesto palliativo?...21 II.2 I principi sanciti dallo Statuto……….26 II.3 Le criticità e le prospettive dello Statuto………62

III. IL CONTRADDITTORIO ENDOPROCEDIMENTALE

III.1 Casi specifici di contraddittorio endoprocedimentale: controlli cartolari delle dichiarazioni; accertamento sintetico; studi di settore; indagini finanziarie; abuso del diritto; contestazione delle sanzioni………...67 III.2 Il contraddittorio endoprocedimentale nelle pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea: il requisito dell’utilità……….82 III.3 L’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente e il contraddittorio endoprocedimentale come principio generale dell’ordinamento………..86

(3)

II

PARTE SECONDA

I PRINCIPALI ISTITUTI DI TAX COMPLIANCE

IV. LA DICHIARAZIONE PRECOMPILATA, LE LETTERE DI COMPLIANCE E IL RAVVEDIMENTO OPEROSO

IV.1 La dichiarazione precompilata: dal controllo successivo alla

predisposizione preventiva………..96

IV.2 Le lettere di compliance: l’obiettivo perseguito e i risultati sinora conseguiti………..104

IV.3 Il ravvedimento operoso a seguito della riforma dell’art. 13 del d.lgs. n. 472/1997: un adempimento talvolta non molto spontaneo………...107

V. LA RIFORMA DEGLI INTERPELLI V.1 L’origine e l’evoluzione dell’istituto nel nostro ordinamento………...118

V.2 Gli obiettivi della riforma e la nuova disciplina generale…………...121

V.3 L’interpello ordinario “puro” e l’interpello qualificatorio……….130

V.4 L’interpello probatorio………...135

V.5 L’interpello anti-abuso………...139

V.6 L’interpello disapplicativo………...141

V.7 L’interpello sui nuovi investimenti e gli accordi preventivi per le imprese con attività internazionale……….151

VI. IL NUOVO REGIME DELL’ADEMPIMENTO COLLABORATIVO PER I GRANDI CONTRIBUENTI VI.1 Il progetto pilota del 2013……….158

VI. 2 La legge delega e il d.lgs. n. 128/2015………160

VI.3 I requisiti soggettivi e oggettivi di accesso (il Tax Control Framework)………...162

(4)

III

VI.4 La gestione del rischio fiscale (il Task Risk Management)…………..167

VII. LE PROSPETTIVE DI RIFORMA DEGLI STUDI DI SETTORE VII.1 Origine ed evoluzione degli studi di settore nel nostro ordinamento...172

VII.2 Dagli studi di settore agli indici sintetici di affidabilità fiscale: il passaggio da uno strumento di accertamento a un istituto di tax compliance………176

CONCLUSIONI……….182

BIBLIOGRAFIA………189

(5)

1

INTRODUZIONE

La tax compliance può essere definita come l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari da parte del contribuente, da incentivare attraverso la promozione “di forme di comunicazione e di cooperazione rafforzata”1 con il Fisco, aventi carattere preventivo.

La presente tesi di ricerca intende esaminare le numerose innovazioni introdotte al riguardo dalla recente riforma del 2015, che ha segnato una vera e propria svolta nel rapporto tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente, nell’ottica di dare piena attuazione ai principi di collaborazione e buona fede enunciati nella legge n. 212 del 2000.

Prima di esaminare nel dettaglio i diversi istituti mediante i quali il Legislatore ha cercato di rafforzare la tax compliance, ho però ritenuto opportuno ricordare brevemente l’esperienza sovranazionale in materia, analizzando sia l’evoluzione che si è registrata negli studi OCSE, dagli anni Novanta fino all’ultimo studio del 2016, sia le proposte di uno “Statuto europeo del contribuente” (Taxpayer’s Charter) e di un “Modello di Statuto” a carattere internazionale (Model Taxpayer Charter).

Per completare il quadro in cui si innesta la riforma, ho poi esaminato i contenuti della legge n. 212 del 2000 e le criticità emerse sino ad oggi nella sua attuazione, dedicando particolare attenzione alla delicata problematica del contraddittorio endoprocedimentale.

Delineato, dunque, il contesto in cui si stanno cercando di “rivoluzionare” i rapporti tra Fisco e contribuente (mediante il c.d. “cambia verso”), ho approfondito le novità rappresentate dalla dichiarazione precompilata e dalle cc.dd. lettere di compliance, la recente riforma del ravvedimento operoso e degli interpelli, nonché l’introduzione del nuovo regime dell’adempimento collaborativo per i contribuenti di maggiori dimensioni e la riforma degli studi di settore.

1 Così l’art. 3 del d.lgs. n. 128/2015, con cui è stato introdotto il regime di cooperative

(6)

2

Trattandosi, comunque, di un processo in itinere, nei prossimi mesi sarà interessante continuare a studiare gli ostacoli che si porranno e i progressi che si otterranno in questo percorso volto a modificare radicalmente il modo in cui è percepito il Fisco nel nostro Paese.

Il presente lavoro costituisce pertanto un mero punto di partenza nello studio della “rivoluzione” in corso.

Come altri hanno osservato, difatti, “Le cattive abitudini ereditate dal

passato non si cancellano nel lustro di una legislatura né si bruciano nel falò di una “grande riforma”. Per chi voglia costruire in Italia un sistema fiscale

compliant non ci sono bacchette magiche ma tanto lungo, paziente e tenace

lavoro”.2

2 S. MANESTRA, Per una storia della tax compliance in Italia, in Questioni di Economia e

(7)

3

PARTE PRIMA

CAPITOLO PRIMO

LA TAX COMPLIANCE

SOMMARIO:

1. Il concetto di tax compliance

2. La tax compliance nel contesto internazionale e sovranazionale

(8)

4

1. Il concetto di tax compliance

Con la locuzione inglese tax compliance si fa riferimento sia all’adempimento spontaneo degli obblighi tributari da parte del contribuente sia, in termini più generali, a un rapporto tra quest’ultimo e l’Amministrazione finanziaria caratterizzato dai principi di cooperazione e buona fede.

Nonostante l’espressione sia divenuta di moda nel lessico quotidiano solo recentemente, la tax compliance e il perseguimento degli obiettivi che le sono propri hanno un’esperienza ormai quasi trentennale nel nostro ordinamento. Correva invero l’anno 1990 quando il primo progetto di Statuto del contribuente (dal titolo “Rapporti amministrazione finanziaria-cittadini, uno statuto a difesa

del contribuente”) venne presentato alla Camera dei deputati.3 Ci volle tuttavia un decennio perché lo Statuto fosse definito nei suoi contenuti e approvato dal Parlamento. In tale periodo, però, il rapporto tra Fisco e contribuente continuò ad evolversi verso una collaborazione sempre maggiore, mediante l’introduzione dell’istituto dell’interpello4 e di una normativa specifica dedicata all’esercizio del potere di autotutela dell’Amministrazione finanziaria,5 nonché con la disciplina dell’accertamento con adesione6 e l’istituto del ravvedimento operoso.7

3 Il progetto fu presentato dall’on. Franco Piro: proposta di legge 20 settembre 1990, n.

5079 – Camera dei deputati. Altri momenti salienti per la definizione dello Statuto del contribuente furono scanditi dai lavori, nei primi anni Novanta, di alcune commissioni di nomina ministeriale (tra le tante si ricordano la Commissione Formica, la Commissione De Mita-Jotti e infine la Commissione D’Alema); per una più ampia ricognizione dei lavori svolti dalle Commissioni si veda G.VIZZARI, L’applicazione dei principi di buona amministrazione in materia tributaria: gli effetti sul contribuente, in R.FERRARA,F.MANGANARO,A.ROMANO TASSONE (a

cura di), Codice delle cittadinanze. Commentario dei rapporti tra privati ed amministrazioni

pubbliche, Giuffrè Editore, Busto Arsizio, 2006.

4 Fu la legge n. 413/1991 a introdurre per la prima volta, all’articolo 21, la possibilità per il

contribuente di interpellare l’Amministrazione finanziaria su specifiche tematiche e per particolari finalità (c.d. interpello antielusivo). Tuttavia, i relativi decreti attuativi furono promulgati solo nel 1997.

5 Nell’ordinamento tributario l’autotutela è stata introdotta in via generale dall’articolo 68

del d.P.R. n. 2877/1992, il quale stabiliva al primo comma che “salvo che sia intervenuto

giudicato, gli uffici dell’Amministrazione finanziaria possono procedere all’annullamento, totale o parziale, dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati con provvedimento motivato comunicato al destinatario dell’atto”. Successivamente, l’articolo 2-quater del d.l. n. 5649/1994 ha delegato l’allora Ministro dell’Economia e delle Finanze a individuare “gli organi

dell’Amministrazione finanziaria competenti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati. Con gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o

(9)

5

Le riforme attuate erano di tale portata che il Fisco con il quale i contribuenti dovevano confrontarsi al momento in cui stava vedendo la luce lo Statuto era, “in sostanza, profondamente diverso da quello a cui aveva fatto

riferimento l’originario progetto di legge”, tanto che il Legislatore fu costretto a intervenire “per aggiornare talune norme del progetto che suonavano ormai

anacronistiche nel mutato contesto delle regole del sistema tributario”.8

Di fronte a tali cambiamenti, l’allora Capo del Dipartimento per le Politiche fiscali, Giorgio Tino, rivendicava per l’Amministrazione finanziaria “un

ruolo non solo non ostile, ma addirittura propositivo nei confronti dello Statuto”, sottolineando come la legge n. 212/2000 non fosse “un provvedimento fatto “contro” l’Amministrazione ma “con” l’Amministrazione”.9

Già in quegli anni era dunque evidente la necessità per l’Amministrazione di passare dalla cultura del conflitto a quella del dialogo e di aumentare “la

capacità di informare e di assistere i cittadini, indispensabile per prevenire errori e accrescere la tax compliance”.10

Tuttavia, nonostante i notevoli progressi conseguiti nel corso degli anni in tale direzione, la concezione conflittuale, e quasi medievale, dei rapporti tra Fisco e contribuente non è stata del tutto superata e ancora oggi l’Amministrazione finanziaria continua troppo spesso a essere considerata alla stregua dello sceriffo di Nottingham. Occorre, dunque, proseguire nel percorso culturale intrapreso, che deve coinvolgere in primis proprio l’Amministrazione.

Per tale ragione, il Legislatore si è reso conto dell’opportunità, o meglio della necessità, di intervenire al fine di realizzare “un più evoluto modello di tax compliance, in cui vanno ad innestarsi, in favore del contribuente, nuovi e

si abbandona l’attività dell’amministrazione”. Il regolamento recante le norme relative all’esercizio del potere di autotutela è contenuto nel d.m. 11 febbraio 1997, n. 37.

6 Introdotto dagli artt. 2-bis e 2-ter del d.l. n. 564/1994 e in seguito riformato

significativamente dal d.lgs. n. 218/1997.

7 Introdotto dall’articolo 13 del d.lgs. n. 472/1997.

8 G.TINO, Lo Statuto del contribuente e il nuovo sistema della fiscalità, in Il fisco, 24/2001,

8475 e ss.

9 Ibid.

(10)

6

penetranti strumenti di analisi e interpretazione delle norme tributarie, da attuare in condivisione con la stessa Amministrazione finanziaria”.11

È in quest’ottica che devono essere lette le numerose riforme approvate in attuazione della legge delega n. 23/2014, e in particolare quelle attuate con il d.lgs. n. 128/2015, intitolato significativamente “Disposizioni sulla certezza del

diritto nei rapporti tra Fisco e contribuente”, mediante il quale, sulla scia delle indicazioni fornite dall’OCSE,12 è stato introdotto anche nel nostro ordinamento il regime dell’adempimento collaborativo (la c.d. cooperative compliance), con l’obiettivo di prevenire accertamenti e liti tra Amministrazione finanziaria e contribuente attraverso la condivisione delle scelte di pianificazione fiscale e l’individuazione preventiva della corretta interpretazione della normativa tributaria. Sebbene tale regime, allo stato attuale, sia riservato ai soli soggetti di “grandi dimensioni”,13 è evidente come sia proprio questo strumento a rappresentare “la nuova frontiera della compliance”,14 potendo essere esteso in futuro alle imprese di medie dimensioni.

Un segno ancora più evidente del c.d. “cambia verso” è poi rappresentato dalla dichiarazione precompilata, che ha modificato significativamente il paradigma in base al quale l’Agenzia delle Entrate in passato interveniva solo ed

11 M. LEO, Cooperative compliance: una strada lunga e impervia, in Il fisco, 38/2016,

3616.

12 Cfr. il report dell’OCSE, Study into the Role of Tax Intermediares, 2008, in

www.oecd.org, che mira a realizzare una “enhanced relationship” (ovvero “una relazione rafforzata”), in particolare con i contribuenti di grandi dimensioni, fondata sul concetto della fiducia reciproca.

13 Attualmente, difatti, possono accedere al regime solo quei soggetti che hanno i ricavi o il

volume d’affari superiori ai 10 miliardi di euro e i contribuenti che abbiano presentato istanza di adesione al progetto pilota del 2013 e che conseguono un volume d’affari o di ricavi non inferiore a un miliardo di euro. Per questo, in dottrina si è osservato che “Le limitazioni attuali previste

sembrano ridurre i soggetti interessati a una sorta di “circolo Pickwick”; situazione questa, che, a lungo andare, è incompatibile con l’ambizione di questo provvedimento di essere una sorta di “rivoluzione copernicana” nei rapporti tra Fisco e contribuente” (M. LEO, Cooperative

compliance: una strada lunga e impervia, cit., 3619).

14 Si v. il convegno organizzato dalla stessa Agenzia delle Entrate nel mese di giugno 2016

a Roma: “Adempimento collaborativo: nuova frontiera della compliance”, dove sono intervenuti in qualità di relatori, tra gli altri, il vice ministro dell’Economia e delle Finanze, Luigi Casero, il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, il consigliere economico per gli affari fiscali del ministero dell’Economia e delle Finanze, Vieri Ceriani, il direttore generale delle Finanze, Fabrizia Lapecorella, e il responsabile della Tax administration unit dell’OCSE, Thomas Brandt.

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7

esclusivamente in una fase successiva per controllare quanto dichiarato dal contribuente.

Lo stesso “cambio di direzione” si riscontra, inoltre, nella riforma degli interpelli, attuata con il d.lgs. n. 156/2015, che ha razionalizzato la disciplina vigente in materia, e nell’introduzione dell’interpello per i nuovi investimenti ad opera del c.d. decreto internazionalizzazione.

Altrettanto significativa è poi la riforma degli studi di settore, destinati a trasformarsi nei nuovi “indici di affidabilità fiscale”, con una metamorfosi che li porterà a essere veri e propri strumenti di compliance anziché di accertamento.

Il fine ultimo degli odierni interventi in campo fiscale, in ogni caso, si può già rinvenire nelle parole pronunciate all’alba della storia repubblicana da Ezio Vanoni: “Nel nostro Paese si ha spesse volte la sensazione che l’evasione

tributaria sia diventata un metodo di vita, un modo di agire contro il quale l’opinione pubblica non reagisce e che il singolo quasi considera una forma legittima di difesa contro un’imposizione ch’egli ritiene lesiva della sua sfera d’azione individuale (…) l’evasione tributaria assume le caratteristiche di una vera e sostanziale anarchia, di una negazione delle esigenze prime della convivenza sociale15 ed è appunto per questo che pare insopprimibile l’esigenza di arrivare ad un sistema nel quale non vi siano giustificazioni né morali, né tecniche per l’evasione e che porti alla più aperta condanna, morale prima che giuridica, per l’evasore stesso”.16

Oggi quell’esigenza è rimasta immutata e l’unica strada percorribile per soddisfarla, come aveva già compreso Vanoni,17 si deve fondare sulla correttezza e sulla buona fede reciproche tra Fisco e contribuente.

15 Come ricorda l’iscrizione presso la sede dell’Internal Revenue Service a Washington

D.C., “taxes are what we pay for a civilised society”, ovvero “le tasse sono quello che paghiamo

per una società civilizzata”. Se i contribuenti, per qualsivoglia ragione, non adempiono le loro obbligazioni fiscali, la collettività è privata delle risorse che potrebbero essere investite nella sicurezza, nella sanità, nel welfare o nell’educazione.

16 Resoconti parlamentari – Repubblica, Camera dei deputati, Assemblea, Discussioni, I

legislatura, seduta del 21 ottobre 1948, 3744, citato in S.MANESTRA, op. cit., 36.

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8

2. La tax compliance nel contesto internazionale e sovranazionale

La necessità di un nuovo rapporto tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente ha iniziato a essere avvertita a livello internazionale già a partire dalla fine degli anni Ottanta, quando l’OCSE18 avviò un’indagine sui diritti e i doveri dei contribuenti nei diversi ordinamenti, inviando un questionario ai Paesi membri.19

Dalle risposte ricevute emerse che alcuni Stati erano ancora sprovvisti di uno Statuto dei diritti del contribuente e, tra questi, vi era anche l’Italia, che, come si è detto, riuscì a colmare la grave lacuna solamente alle soglie del nuovo millennio, con l’emanazione della legge n. 212 del 2000. Tra gli altri Paesi “ritardatari” vi era la Spagna, che ci batté di poco sul tempo, approvando nel 1998 la “Ley de Derechos y Garantias de los Contribuyentes”,20 in seguito inclusa nella “Ley General Tributaria”, entrata in vigore nel 2004. Per contro, altri Paesi, e in particolare quelli dell’Europa del Nord, agli inizi degli anni Novanta disponevano già di significative tutele nei confronti dei contribuenti.21

In ogni caso, era sempre più evidente che “The conflict between the

obligation to pay tax and fundamental rights is not exclusive to one single country, but a global problem”.22

18 Al riguardo, v. C.MELILLO, L’evoluzione del rapporto Fisco-impresa secondo le linee

guida dell’OCSE, in Rass. trib., 2015, 932 e ss.

19 Cfr. il report dell’OCSE, Taxpayers’ Rights and Obligations – A Survey of the Legal

Situation in OECD Countries, 27 aprile 1990, in www.oecd.org. Non è un caso che proprio nel 1988, quando l’OCSE avviò l’indagine, negli Stati Uniti era stato appena approvato il primo

Taxpayer Bill of Rights (Pub. L. No. 100-647). Per un approfondimento al riguardo, si rimanda a G.TIEGHI, I taxpayers’ rights e il principio costituzionale di responsabilità alle radici della forma

di Stato costituzionale. Il contribuente customer, tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, Ciclo XXV.

20 Sull’iter della Ley General Tributaria si v. J.A. CORDERO GARCÍA, El procedimiento

sancionador tributario surgido de la Ley de derechos y garantías del contribuyente, Editorial Universidad de Almería, Almería, 2009.

21 Al riguardo, si rinvia a G. TIEGHI, Fiscalità e diritti nello Stato costituzionale

contemporaneo. Il contribuente partner, Jovene, Napoli, 2012, 275-276.

22 M.T.SOLER ROCH, Tax Administration versus Taxpayer. A New Deal?, in World Tax

Journal, 2012, 282. T.d.A.: “Il conflitto tra l’obbligazione di pagare i tributi e i diritti

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9

L’OCSE comprese dunque l’importanza di approfondire tale problematica e nel 2002 istituì il c.d. Forum on Tax Administration, prevedendo al suo interno un gruppo di lavoro che doveva occuparsi esclusivamente delle questioni concernenti il rispetto spontaneo degli obblighi tributari, il Compliance

Sub-group.

Nel 2004, il nuovo organismo pubblicò la Guidance note intitolata

“Managing and Improving Tax Compliance”, nella quale si suggerisce alle Amministrazioni finanziarie di adottare un approccio volto ad accrescere la fiducia dei contribuenti nei propri confronti. Al riguardo, nel documento si osserva che le persone che ritengono di avere ricevuto un trattamento corretto da parte di un’organizzazione tendono maggiormente a fidarsi di quest’ultima e ad accettare le sue determinazioni. Si precisa, poi, che il giudizio su un ente si fonda prevalentemente su tre fattori: l’esperienza personale maturata in precedenti occasioni, le esperienze di altre persone e le notizie riportate dai media. Da ciò discende l’importanza che l’Amministrazione finanziaria tratti i contribuenti con rispetto e imparzialità, ascoltandoli e fornendo loro spiegazioni. Pertanto, secondo l’OCSE, ogni incontro con il contribuente deve essere considerato come un’opportunità per rafforzare la sua fiducia e la sua predisposizione alla collaborazione.23

In seguito, l’OCSE si è resa conto che uno dei principali ostacoli per le Autorità fiscali è rappresentato dalla pianificazione fiscale aggressiva e, nel 2008, ha presentato un nuovo report, in cui ha suggerito lo sviluppo di un rapporto di collaborazione più forte (c.d. enhanced relationship) con i contribuenti di maggiori dimensioni, che nel nostro ordinamento si sta cercando di realizzare, a distanza di quasi dieci anni, con l’introduzione del regime di cooperative tax

compliance, fondato sulla comunicazione e la trasparenza.24

23 OECD, Forum on Tax Administration, Compliance Sub-group, Guidance note,

Compliance Risk Management: Managing and Improving Tax Compliance, ottobre 2004, 46-47,

Building community confidence, Act with fairness and integrity, in www.oecd.org.

24 Report dell’OCSE, Study into the Role of Tax Intermediares, 2008, cit. I pilastri su cui si

poggia questo nuovo rapporto sono cinque: comprensione del business (commercial awareness), intesa come capacità dell’Amministrazione finanziaria di conoscere il settore in cui un’impresa opera; imparzialità (impartiality); proporzionalità (proportionality); apertura e reattività (openess

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10

A dimostrazione della crescente attenzione dedicata alla problematica della

tax compliance, nel 2010 il Compliance Sub-group ha pubblicato un altro report, intitolato significativamente “Understanting and Influencing Taxpayers’

Compliance Behaviour”,25 seguito nel 2013 e nel 2016 da due ulteriori studi sull’adozione del modello di cooperative compliance nei vari Paesi OCSE.26

In tale contesto, tre associazioni professionali - l’“Associazione dei Consulenti Fiscali di Asia e Oceania” (AOTCA)27, la “Confederazione fiscale europea” (CFE)28 e l’“Associazione dei Consulenti in Gestioni Patrimoniali e di Trust” (STEP)29 -, che rappresentano oltre mezzo milione di consulenti fiscali nel mondo, hanno elaborato un “Modello di Statuto del contribuente”, il “Model

Taxpayer Charter”,30 con l’intento di proporre un sistema normativo che possa essere recepito dai singoli Stati al fine di disciplinare i diritti e i doveri del contribuente nei confronti del Fisco.31

and responsiveness); comunicazione e trasparenza (disclosure and transparency). Al riguardo, si v. M.LEO, Cooperative compliance: una strada lunga e impervia, cit., 3617-3618.

25 Obiettivo di questo report è stato essenzialmente quello di monitorare l’inclinazione dei

contribuenti ad adempiere l’obbligazione tributaria nei vari ordinamenti.

26 Report dell’OCSE, Co-operative Compliance: a Framework. From Enhanced

Relationship to Co-operative Compliance, 2013, e Co-operative Tax Compliance, Building Better

Tax Control Frameworks, 2016, in www.oecd.org.

27 L’AOTCA (Asia Oceania Tax Consultants’ Association) è un’associazione fondata nel

1992 che comprende 21 organizzazioni nazionali dei 17 Stati di Asia e Oceania e oltre 400.000 consulenti fiscali. Gli scopi dell’AOTCA, analogamente a quelli della CFE (Confédération Fiscale

Européenne), sono di riunire tutte le associazioni di consulenti fiscali dell’area, di tutelare gli interessi professionali dei consulenti e di garantire la qualità dei servizi fiscali offerti al pubblico.

28 La CFE (Confédération Fiscale Européenne) fu fondata a Parigi nel 1959 e comprende

33 associazioni nazionali di 25 Stati europei e oltre 180.000 consulenti fiscali.

29 La STEP (Society of Trust and Estate Practioners) fu fondata nel 1991e ha oltre 20.000

membri.

30 Il Modello di Statuto del contribuente ha un ambito di applicazione soggettivo

decisamente ampio, atteso che, ai sensi dell’art. 1, si applica non solo a tutti i contribuenti e alle Amministrazioni finanziarie degli Stati, ma anche agli Stati medesimi e a tutte le loro articolazioni amministrative che hanno il potere di imporre tributi, nonché ai consulenti fiscali dei contribuenti. L’ambito di applicazione del Modello è vasto anche dal punto di vista oggettivo, estendendosi a ogni tributo e a ogni pagamento, di qualsiasi natura, che nella sostanza sia assimilabile a un tributo.

31 Al riguardo, si rimanda ai seguenti approfondimenti: P. VALENTE, I. HAYES e D.

BARMENTLO, Il Model Taxpayer Charter - Statuto dei Diritti e dei Doveri del contribuente,

Cooperazione con il Fisco tra Tax Governance e Tax Compliance, in Il fisco, 36/2013, 5570 e ss.; P. VALENTE - I. HAYES - D. BARMENTLO, Il Model Taxpayer Charter: Statuto dei Diritti del contribuente tra Tax Governance e Tax Compliance, in P. VALENTE, Elusione Fiscale Internazionale, IPSOA, 2014, 3437 e ss.; e P.VALENTE, Il rapporto Fisco-contribuente secondo i

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La versione finale del Modello è stata presentata il 13 novembre 2015 e contiene anche un elenco dei Principi Fondamentali denominato, non senza ambizione, “I Dieci Comandamenti”, che individua dieci diritti e doveri fondamentali dei contribuenti e dell’Amministrazione finanziaria.

Come affermano gli Autori della “Carta”,32 “The overriding purposes of

the Charter are to foster a relationship of mutual trust, respect and responsibility between taxpayers and the State, regarding taxpayers’obligations to the State; and, on behalf of the State as to the rights of taxpayers, to codify certain duties of the tax administration. Through these means, it is suggested that it will reduce the costs of compliance, increase the quality and efficacy of willing compliance, and ensure that all taxpayers are treated equally and without bias or preference”.33

Per comprendere appieno le finalità perseguite nel redigere il Modello di Statuto, pare opportuno evidenziare che fonte di ispirazione dello stesso sono state anche la Dichiarazione sui diritti umani dell’ONU e le dichiarazioni dei diritti di numerosi Stati, tra i quali la Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti. In proposito, meritano di essere citate le parole di Ian Hayes, uno dei “Padri” del Modello:

“those declarations are general precepts that have their origin in political struggle and which result in the citizen as taxpayer establishing his/her right to be taxed only with consent. We think it is a fundamental precept that taxation raised without consent, either overt or tacit, lacks the balance necessary to achieve political harmony and thereby general prosperity for the good of all. A taxpayer’s charter, enacted as of right is one way to help secure such a balance”.34

32 Autori del Modello di Statuto e della Relazione sono Michael Cadesky (STEP), Ian

Hayes (CFE) e David Russell (AOTCA).

33 M.CADESKY,I.HAYES,D.RUSSELL, Towards Greater Fairness in Taxation: A Model

Taxpayer Charter, marzo 2016, in www.ibfd.org. T.d.A.: “Gli obiettivi prioritari del Modello

sono quelli di promuovere una relazione di fiducia, rispetto e responsabilità reciproci tra i contribuenti e lo Stato, con riferimento alle obbligazioni dei contribuenti nei confronti dello Stato; e, con riguardo ai diritti dei contribuenti, di codificare certi doveri dell’Amministrazione finanziaria. L’utilizzo di questi strumenti dovrebbe ridurre il costo della compliance, incrementare

la qualità e l’efficacia dell’adempimento volontario e assicurare che tutti i contribuenti siano trattati equamente e senza pregiudizi o preferenze”.

34 I. HAYES, A Model Taxpayer’s Charter - Why, in European Taxation, ottobre 2013.

T.d.A.: “queste dichiarazioni sono precetti generali che hanno la loro origine in lotte politiche e

che conducono i cittadini in qualità di contribuenti ad affermare il loro diritto di essere tassati solo con il proprio consenso. Noi crediamo che questo sia un precetto fondamentale in quanto la tassazione applicata senza consenso, esplicito o tacito, difetta dell’equilibrio necessario per

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Tra le previsioni più importanti introdotte nel Modello per conseguire i predetti fini, si può ricordare quella che impone al contribuente di cooperare per fornire tutte le informazioni necessarie per permettere ai verificatori di svolgere le opportune indagini e verifiche, sancendo, però, al contempo, l’obbligo per l’Amministrazione finanziaria di comunicare al contribuente le motivazioni dell’indagine o della verifica e di informarlo dei suoi diritti.35 Al riguardo, l’Autorità fiscale è tenuta, in particolare, a indicare nell’atto che reca la pretesa impositiva le ragioni sulle quali si fonda il provvedimento, riconoscendo al contribuente un congruo termine per eventuali controdeduzioni.36

Altro diritto fondamentale attribuito dal Modello di Statuto è quello di difesa,37 in virtù del quale il contribuente può impugnare l’atto emanato dall’Ufficio e far valere le proprie ragioni nei confronti dell’Autorità fiscale.

Altrettanto significativa è poi l’affermazione del principio della certezza del diritto, che, imponendo un’interpretazione della normativa fiscale uniforme e certa, dovrebbe consentire al contribuente di essere pienamente consapevole di quali siano gli obblighi fiscali a suo carico. A tal fine, assumono particolare rilevanza le circolari e le risoluzioni, che l’Amministrazione finanziaria deve portare a conoscenza dei contribuenti, nonché la possibilità per questi ultimi di conoscere previamente, mediante la proposizione di interpelli, quale sia la soluzione normativa che l’Autorità fiscale ritiene applicabile a una data questione. Tali strumenti consentono, peraltro, di garantire uniformità nell’interpretazione della legislazione fiscale adottata dai vari Uffici fiscali periferici nell’ambito dell’attività di accertamento.

In tale ambito, merita di essere menzionato anche il divieto di retroattività delle disposizioni tributarie, che costituisce, per l’appunto, applicazione del più generale principio della certezza del diritto.

conseguire armonia politica e, conseguentemente, prosperità generale per il bene di tutti. Uno Statuto dei diritti del contribuente, promulgato di diritto, è un modo per contribuire a garantire un tale equilibrio”.

35 V. l’art. 8 del Modello di Statuto.

36 In merito a tale previsione, si v. quanto si dirà nel terzo capitolo con riferimento alla

sussistenza di un obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale nel nostro ordinamento.

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13

Ciò posto, si deve ricordare che la necessità di ridefinire il rapporto tra il Fisco e il contribuente è stata messa in evidenza anche dalla Commissione europea, la quale, nell’ambito del piano di azione volto a rafforzare la lotta all’evasione e all’elusione fiscale,38 ha proposto l’adozione di uno Statuto europeo del contribuente.39

Scopo della Taxpayer’s Charter europea dovrebbe essere quello di rafforzare la fiducia dei contribuenti nell’operato dell’Amministrazione finanziaria, garantendo trasparenza e collaborazione mediante la definizione di principi sostanzialmente analoghi a quelli del Modello di Statuto proposto a livello internazionale. Tuttavia, resta ancora da appurare se la Commissione preferirà intervenire in tal senso mediante l’adozione di una Direttiva, vincolante nel risultato per gli Stati membri, ovvero se riterrà più opportuno muoversi sul piano della soft law, con l’emanazione di un Codice di condotta non vincolante.40

In ogni caso, preme sottolineare che, nonostante i principi e i diritti che si intendono tutelare con il Modello internazionale di Statuto del contribuente e con il futuro Statuto europeo possano apparire a prima vista “ovvi” e “scontati”, l’applicazione di alcuni di essi nel nostro ordinamento è tutt’altro che pacifica ed esente da dubbi interpretativi e contrasti giurisprudenziali: emblematica al riguardo, come si avrà modo di approfondire nel prosieguo, è l’annosa questione dell’esistenza o meno nel nostro ordinamento di un obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale; e non meno dibattuta è la problematica relativa alla possibilità di applicare i tributi in via retroattiva, talvolta persino con decreto legge,41 nonostante il disposto degli articoli 3 e 4 della legge n. 212 del 2000.42

38 European Commission, An Action Plan to strengthen the fight against tax fraud and tax

evasion – COM, 2012, 722.

39 Cfr. M. MARCHESELLI, Verso lo Statuto dei diritti del Contribuente europeo? Dalla

giurisprudenza francese uno spunto per la diretta applicazione delle norme Cedu in materia tributaria, in www.europeanrights.eu.

40 V. M.LEO, Cooperative compliance: una strada lunga e impervia, cit., 3643-3644. 41 Al riguardo, si veda quanto osservato da G. MARONGIU, Robin Hood Tax: taxation

without constitutional principles?, in Rass. trib., 5/2008, 1340; Id., La c.d. “Robin tax” al vaglio

della Corte costituzionale, in Dir. prat. trib., 6/2011, 1185.

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Pertanto, l’enfasi posta a livello internazionale e sovranazionale sul riconoscimento di diritti e doveri reciproci per il Fisco e il contribuente, nonché sulla definizione di principi generali che regolino il loro rapporto, non è per nulla superflua o ispirata da intenti meramente accademici, concretizzandosi in questioni che, per contro, sono sempre più all’ordine del giorno nel contenzioso tributario.

3. La tax compliance in Italia: alcuni cenni storici

L’11 marzo 1870 Quintino Sella, ministro del Regno d’Italia, al suo terzo mandato a Palazzo della Finanza, espone al Parlamento riunito una delle tecniche più comuni e diffuse – il “giuoco”, per usare le sue precise parole – con cui i “bottegai”, ovvero i commercianti, eludono l’imposta: “Vi ha un negozio intestato

a Tizio. Egli fa la sua dichiarazione: si fa l’accertamento. Si spicca la bolletta di pagamento; ed ecco che non più Tizio è il proprietario, ma Caio. – E l’antico proprietario? – Non vi è più. – Dov’è andato? - Io non lo so. – Ma vi è la tassa da pagare. – Andate a farvela pagare da Tizio: io sono Caio e non sono Tizio –”.43

Insomma, risultato finale di questa “curiosa speculazione” è che “la

finanza corre invano dietro quelli che devono pagare la tassa”, non riuscendo a venire a capo della girandola di proprietari, vecchi e nuovi, che si avvicendano nella gestione della medesima attività; e questo, secondo il ministro, è solo uno dei mezzi escogitati per “isfuggire” il Fisco.

43 Resoconti parlamentari – Regno, Camera dei deputati, Assemblea, Discussioni, X

legislatura, 2^ sessione 1869-70, seduta del giorno 11 marzo 1870, cit. in S.MANESTRA, op. cit.,

19, nota 1. In generale, sugli sforzi profusi da Quintino Sella per la costruzione di un sistema fiscale unitario, si v. F. SALSANO, Quintino Sella ministro delle Finanze. Le politiche per lo sviluppo e i costi per l’Unità d’Italia, Il Mulino, Bologna, 2013.

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15

La vivace descrizione che abbiamo citato ha il pregio di restituirci uno spaccato della realtà italiana post-unitaria, caratterizzata da un’evasione totale alquanto estesa e diffusa. 44

A dispetto di ciò, va rilevato come la percezione di studiosi, giuristi e politici dell’epoca (formatisi in un ambiente ideologico liberale) tendesse a considerare l’evasione e l’elusione alla stregua di fenomeni inevitabili e, in buona parte, persino congeniti a un sistema fiscale esoso, nato nel segno degli investimenti bellici e infrastrutturali del nuovo Stato.

La non compliance appariva dunque come “una conseguenza quasi

naturale (…) e solo in misura minore come una colpevole renitenza di fronte a tributi ritenuti moderni e giustificati”. In buona sostanza, “la “cattiva coscienza”

del legislatore “precedeva”, idealmente, quella del contribuente e, in una certa misura, la scusava (…) L’analisi del problema era nettamente, e quasi pregiudizialmente, a sfavore del fisco”.45

Si noti, peraltro, che tale rappresentazione era a tutti gli effetti “trasversale”, giacché la si riscontra, seppur con diverse sfumature, all’interno dei contrapposti schieramenti politici che si avvicendarono al governo all’indomani dell’Unità, la Destra e la Sinistra cosiddette storiche.46 Da questo punto di vista, le proposte portate avanti da entrambi gli schieramenti non seppero dare risposta alle criticità emerse; ciò, va detto, anche in ragione di fattori contingenti: l’esperienza di governo della Destra fu relativamente di breve respiro, mentre il programma della Sinistra soffrì la precaria situazione finanziaria (crisi del 1893-1894),47 col risultato che la politica crispina inasprì le imposte esistenti.

44 S.A, Curiosità statistiche della ricchezza mobile, Tipografia Eredi Botta, Roma, 1885,

7-11.

45 S.MANESTRA, op. cit., 20.

46 Al riguardo, si considerino ancora le parole di Quintino Sella, uno dei massimi

rappresentanti della Destra storica, che nel 1870 punta il dito contro l’eccessiva pressione tributaria affermando che “La corda della pazienza per le tasse e relative molestie è arcitesa; ci

vuole più poco a strapparla del tutto”; gli fa eco, nel 1875, l’esponente della Sinistra Agostino Depretis (che di lì a poco assurgerà alla carica di presidente del Consiglio dei ministri), per il quale la “gravezza” delle imposte è “stimolo tanto potente alla frode”, cit. in S.MANESTRA, op. cit.,

19-20.

47 Per un approfondimento sui differenti fattori che determinarono il “corto circuito

finanziario del 1893-1894” e sulle diverse interpretazioni formulate da storici ed economisti (così come sulla “difficoltà generale del ceto politico nazionale di ricondurre l’amministrazione

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16

Si può dunque affermare che nell’Italia post-unitaria il problema della

compliance rimase senza risposta.48

Un nuovo tentativo di affrontare la questione si ebbe all’indomani della Grande guerra, con la “restaurazione finanziaria” di Alberto de’ Stefani, ministro delle Finanze di Mussolini dal 1922 al 1925 e deciso fautore di soluzioni, volte alla diminuzione del prelievo diretto,49 che sapessero conquistare al regime la benevolenza dei contribuenti, ottenendone al contempo la “fedeltà tributaria”. Una speranza che però fu presto frustrata dai numeri.50

Al tentativo liberista di de’ Stefani, il fascismo fece seguire un approccio più severo e autoritario, giungendo persino a individuare negli evasori alle imposte dirette (così dichiarava Mussolini al Consiglio dei Ministri del 23 luglio 1928) “i peggiori parassiti della società nazionale”.51 Nel complesso, la nuova direzione imboccata vide il rafforzamento del corpo di polizia tributaria dell’economia sotto l’egida di una visione coerente e condivisa”), si veda P.FRASCANI, Le crisi economiche in Italia. Dall’Ottocento a oggi, Laterza, Bari, 2012.

48 Al riguardo, si rinvia all’approfondita ricostruzione di G. MARONGIU, in La politica

fiscale dell’Italia liberale dall’unità alla crisi di fine secolo, Leo S. Olschki editore, Firenze, 2010;

Storia del fisco in Italia, I. La politica fiscale della Destra storica (1861-1876), Einaudi, Torino, 1995; Storia del fisco in Italia, II, La politica fiscale della Sinistra storica (1876-1896), Einaudi, Torino, 1996.

49 In quegli anni, le indicazioni furono non solo di porre “fine a tutte le residuali bardature

di guerra”, ma anche di sostenere “tutte le forze produttive della Nazione”, raggiungendo “con la

maggiore celerità possibile il pareggio del bilancio statale”; per Mussolini, però, occorreva altresì “alleggerire la pressione di ordine tributario fiscale che abbiamo imposta al popolo italiano”. Così affermava nel suo discorso alla Camera del 29 novembre 1922; ritornando successivamente sull’argomento (all’assemblea dei cinquemila Sindaci, adunata nel Teatro Costanzi, il 24 marzo 1924), aggiunse di ritenere che “si debba marciare verso il pareggio, ma che bisogna arrivare al

pareggio in condizioni di discreta salute e non credo che sia nei piani del mio amico De Stefani fare arrivare la Nazione al pareggio boccheggiante, onde non si dica, come per certe operazioni,

che la clinica ha trionfato ma che il paziente è morto”, cit. in P.ORANO (a cura di), Economia fascista. Le direttive del Duce sui problemi della vita nazionale, Casa Editrice Pinciana, Roma, 1937, 13. Per un’esaustiva trattazione dell’argomento, si v. G.MARONGIU, La politica fiscale del fascismo, Lungro di Cosenza, Marco Editore, 2005, e anche Id., La disciplina delle sanzioni

amministrative tributarie nelle scansioni della storia patria, testo della relazione tenuta a Santena (Castello Cavour), il 23 settembre 2011, in www.dirittopenaletributario.net.

50 Con riguardo, ad esempio, alle agevolazioni concesse dal regime agli agricoltori, è

significativa la lamentala di Mussolini: “Il governo non ha soltanto accordato la quasi totale

franchigia agli agricoltori, ma ha accordato ribassi nei concimi chimici, nel trasporto delle derrate e delle macchine ecc. ecc. Sta di fatto che l’agricoltore italiano non dà un centesimo allo Stato e non dà più di un miliardo fra comuni e province”, cit. in G. TONIOLO, L’economia dell’Italia fascista, Laterza, Bari, 1980, 116, nota 80 e in S.MANESTRA, op. cit., 28, nota 7.

51 Atti e documenti parlamentari – Regno, Camera dei deputati, Raccolta degli atti stampati,

XXVII legislatura, 1^ sessione 1924-1928, n. 1647, 1, cit. in P.ORANO, op. cit., 77, e anche in S. MANESTRA, op. cit., 29.

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17

investigativa, la nascita del diritto penale tributario52 e il potenziamento degli strumenti di accertamento. De’ Stefani, ormai divenuto per il regime “l’uomo che

dice le cose più spiacevoli nei momenti più inopportuni”,53 fu dimissionato l’8 luglio 1925; la sua formula venne rigettata in toto54 e la nuova politica tributaria del regime fu improntata alla “colpevolizzazione del contribuente”.55 Da questo punto di vista, alcuni blandi progetti di collaborazione tra Fisco e contribuente, che videro la luce durante il dicastero di Paolo Thaon di Revel, restarono praticamente lettera morta. 56

Furono successivamente ripresi e ripercorsi, sebbene in un’ottica completamente diversa, 57 da Ezio Vanoni, ministro delle Finanze nel secondo dopoguerra.

Nel 1948, in un contesto ancora gravato dagli strascichi del conflitto, si sviluppò in ambito tributario un vivace dibattito che poneva alcuni ambiziosi

52 Al riguardo, si v. G.SPINELLI, Le preleggi penali finanziarie, commento alla legge 7

gennaio 1929, Cedam, Padova, 1933.

53 Il commento, attribuito a Mussolini dallo stesso de’ Stefani in una lettera all’economista

Pasquale Jannaccone (8 maggio 1953), è citato in A.R.RIGANO, Alberto de’ Stefani: un politico “accademico”, in P.BARUCCI,S.MISIANI,M.MOSCA (a cura di), La cultura economica tra le due

guerre, Franco Angeli, Milano, 2015, 470.

54 Sul finire degli anni Venti, il tema, caro a de’ Stefani, della riduzione della pressione

fiscale scomparve definitivamente dal dibattito. Ad ammetterlo esplicitamente fu lo stesso Mussolini, il quale (proponendo la nomina, nel 1928, del “senatore Mosconi, uomo di alte

capacità amministrative, quale nuovo Ministro delle finanze”) dichiarò che “un periodo della

finanza italiana si è chiuso e nella storia della finanza fascista ne comincia uno nuovo”. Obiettivo fondamentale diveniva la lotta agli evasori, ma “senza nessun aggravio fiscale” per i cittadini (P. ORANO, op. cit., 77). Successivamente, in un intervento al Senato, il 18 dicembre 1930, Mussolini

rassicurò “i contribuenti i quali devono sapere che essi saranno lasciati tranquilli perché la mite

ed obbediente pecora ha già dato tutta la sua lana preziosa”; soggiunse poi che “mettere nuove

tasse non è possibile e inasprire le attuali nemmeno essendo la pressione fiscale in Italia già fortissima” (P.ORANO, op. cit., 86).

55 S.MANESTRA, op. cit., 29.

56 A Thaon di Revel va senz’altro riconosciuto il notevole impegno profuso

nell’elaborazione di una codificazione tributaria, con la redazione, nel 1942, di un progetto di codice tributario ad opera di una commissione presieduta da Ezio Vanoni. Nelle ambizioni del Ministro, da ciò sarebbe dovuta scaturire una “Carta della Finanza”, come puntualizza P. SELICATO, La conciliazione giudiziale tributaria: un istituto processuale dalle radici

procedimentali, in S.CIVITARESE MATTEUCCI,L. DEL FEDERICO (a cura di), Azione amministrativa ed azione impositiva tra autorità e consenso. Strumenti e tecniche di tutela dell’amministrato e del contribuente, Franco Angeli, Milano, 2010, 234.

57 Si trattò, nel giudizio di alcuni, di una vera e propria “rivoluzione morale”; si v. ad

esempio G. VIGNA, Ezio Vanoni, il riformista che chiedeva una rivoluzione morale, Centro

Ambrosiano, Milano, 1997. Per una compiuta disamina dell’azione di governo di Vanoni, si v. l’esaustivo volume di G.MARONGIU, Ezio Vanoni ministro delle Finanze, Giappichelli Editore, Torino, 2016.

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obiettivi: dall’efficienza degli uffici e della burocrazia alle politiche di stimolo alla “fedeltà” del contribuente. Al centro della discussione tornò dunque, con forza, il tema della compliance: “Con la nascita della repubblica si accentuò la

chiamata in causa del contribuente […] La Costituzione del 1948 collegò (…) il dovere di contribuire alle spese pubbliche (…) al dovere di solidarietà: il sistema tributario cessò quindi di essere solo uno strumento di ripartizione del carico impositivo (…) e divenne anche un mezzo per ridistribuire la ricchezza, finanziando la tutela di diritti sociali e civili”.58

A mutare in maniera profonda e radicale fu innanzitutto la percezione stessa dei termini della questione, una sorta di “rivoluzione”, improntata al “senso

etico del tributo”,59 di cui proprio Vanoni fu artefice. La compliance diveniva una questione di coscienza del contribuente e, dunque, era alla collaborazione di quest’ultimo che, in definitiva, bisognava mirare, instaurando un rapporto di reciproca fiducia.

La legge n. 25 dell’11 gennaio 1951, detta anche della “Perequazione

tributaria”, sancì l’obbligo di presentare la dichiarazione unica annuale dei redditi e venne così definitivamente accantonato il vecchio sistema della conferma col silenzio del reddito accertato nell’anno precedente.

La portata di questa riforma, anche sotto il profilo di una maggiore equità della pressione fiscale, emerge dalle parole pronunciate da Vanoni nel suo ultimo discorso in Senato del 1956: “Quando sento in Parlamento che si parla di

oppressione fiscale nei confronti di un contribuente in arretrato da anni e anni nel pagamento delle imposte ordinarie (…) io mi rifiuto di pensare che il Parlamento compassioni queste e altre situazioni. Per il futuro non vi proponiamo strade colme di rose, ma (…) noi possiamo risolvere gran parte dei problemi del nostro Paese e li risolveremo nella misura nella quale (…) sapremo chiedere ad

58 S.MANESTRA, op. cit., 36.

59 F.GALLO, Ezio Vanoni e il senso etico del tributo, in Il Sole 24 Ore, 19 dicembre 2016,

dove l’Autore scrive che Vanoni fu uno dei primi a capire che il tributo deve essere “uno

strumento per correggere le distorsioni e le imperfezioni del mercato a favore delle libertà individuali e collettive e a tutela dei diritti sociali”.

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ognuno la sua parte di sacrificio, proporzionata alla sua capacità di sopportazione”.60

Non è esagerato dire, inoltre, che le misure di cui Vanoni fu animatore hanno fissato i punti essenziali su cui si è articolata la successiva riforma del 1972-73.61 Con essa, in particolare, è stato introdotto il principio dell’autoliquidazione delle imposte: da allora, il contribuente deve procedere autonomamente alla liquidazione, divenendo parte attiva di un sistema basato sull’adempimento spontaneo.

In questo modo, “milioni di contribuenti, di differente estrazione sociale e

di diversi livelli culturali, sono stati chiamati a dare un contributo decisivo alla realizzazione della pretesa fiscale. Essi non possono più limitarsi a dichiarare e a pagare quanto liquidato dall’Amministrazione finanziaria ma, per pagare, devono svolgere operazioni a complesso contenuto tecnico”.62

Come è logico, questa diversa impostazione ha incrementato le fattispecie di definizione del rapporto giuridico che implicano una collaborazione tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente.

60 Cit. in M. ADDIS, 150 anni di Unità d’Italia. Breve viaggio tra Fisco e storia, in

www.agenziaentrate.gov.it, 17.

61 La legge n. 825 del 9 ottobre 1971 diede incarico al Governo di emanare disposizioni

volte alla “riforma del sistema tributario secondo i principi costituzionali del concorso di ognuno

in ragione della propria capacità contributiva e della progressività”.

62 G.MARONGIU, Lo Statuto del contribuente: le sue “ragioni”, le sue applicazioni, in Dir.

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PARTE PRIMA: I PRINCIPI

CAPITOLO SECONDO

LO STATUTO DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE

SOMMARIO:

1. “Robin Hood” del Fisco o modesto palliativo? 2. I principi sanciti dallo Statuto

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1. “Robin Hood” del Fisco o modesto palliativo?

Lo scopo perseguito dai redattori dello Statuto dei diritti del contribuente era chiaro sin dalle prime proposte di adozione dello stesso:63 nella relazione al Senato per un disegno di legge costituzionale avente ad oggetto una possibile “Carta dei diritti del Contribuente”, si affermava: “L’attuale sistema tributario è sempre più condizionato dalle soluzioni, peraltro sempre più precarie e di emergenza, immaginate dalle forze di governo per far fronte ai problemi posti dalla ‘crisi fiscale dello Stato’.

In tale contesto è opportuno riportare al centro dell’attenzione l’esigenza di una piena realizzazione dei diritti dei cittadini nella coscienza che il ‘contratto sociale’ delle moderne società si regge essenzialmente sul ‘patto fiscale’, patto che implica ‘diritti’ e ‘doveri’ reciproci dello Stato e del cittadino. In tal modo si può meglio comprendere che praticare una politica dei diritti non significa affatto trascurare il momento della ‘responsabilità’ individuale o collettiva. Il presente disegno di legge prospetta quindi una ‘Carta dei diritti del contribuente’. […]

Il dato principale dal quale occorre muovere è che il vigente sistema fiscale incentra la fase di accertamento dei procedimenti tributari sulla attiva ed esclusiva collaborazione del cittadino-contribuente, sul quale ricade l’onere di conoscere ed interpretare una normativa vasta, frammentaria e complessa, fonte pressoché inesauribile di nuovi obblighi e vincoli di carattere spesso meramente formale.

Queste difficoltà di conoscenza e di intelligibilità della normativa rappresentano la causa prima della mancata conformazione dell’attività tributaria ai menzionati canoni di economicità, efficacia e pubblicità, così come la frammentarietà costituisce una delle principali cause tecniche delle diseguaglianze fiscali”.64

63 Si v. al riguardo G.MARONGIU, Contributo alla realizzazione della “Carta dei diritti del

contribuente”, in Dir. prat. trib., 1991, I, 585-636.

64 Relazione di accompagnamento al disegno di legge costituzionale del 4 gennaio 1992,

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Quando, otto anni dopo, lo Statuto vide finalmente la luce, si formarono due scuole di pensiero diametralmente opposte: la prima vedeva nella Carta “una

specie di Robin Hood del Fisco che travolge vecchie stratificazioni burocratiche, ristabilisce la legalità violata e fa finalmente giustizia di una prassi amministrativa basata sulla sistematica repressione dei diritti del cittadino”; la seconda, invece, considerava lo Statuto “nulla più che un modesto palliativo, un

“vorrei ma non posso” […] un’ennesima operazione di facciata, una riverniciatura di un edificio che al suo interno rimane assolutamente e desolatamente lo stesso […] una specie di pannicello caldo per ricoprire un malessere che resterebbe tale e quale a prima”.65

Entrambe le tesi difettavano, però, di oggettività, portando all’estremo alcuni elementi che caratterizzavano lo Statuto e il contesto in cui entrava in vigore e perdendo così di vista, da un lato, i notevoli progressi che si erano in realtà già conseguiti nel rapporto tra Fisco e contribuente e, dall’altro, l’importanza delle nuove disposizioni statutarie in materia di tutela dell’affidamento e della buona fede.

Se la concezione che enfatizzava la preesistente conflittualità con l’Amministrazione finanziaria era da rigettare, non si poteva dunque nemmeno negare che lo Statuto rappresentasse una tappa fondamentale verso “una diversa

concezione del rapporto tra cittadini e Stato, un rapporto ispirato ad un più elevato livello di civiltà giuridica, basato sulla presunzione di buona fede, sulla trasparenza, sulla eliminazione della conflittualità, sulla cortesia e attenzione per le esigenze dei cittadini, sull’imparzialità, sull’informazione accurata e sulla tutela”.66

Detto ciò, non vanno nemmeno sottaciuti i limiti dello Statuto, primo fra tutti quello di essere stato emanato con una legge ordinaria, anziché

dell’articolato, in Dir. prat. trib., 1993, I, 240-254, con un’osservazione di G. MARONGIU. L’estratto riportato nel presente lavoro è citato da G.MARONGIU, Lo Statuto del contribuente e i vincoli al legislatore, in Il fisco, 46/2008, 8271.

65 G.TINO, op. cit., 8475.

66 Senato della Repubblica, Relazione, 884^ Seduta Pubblica, Relatore Pasquini, mercoledì

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costituzionale, le cui disposizioni sono pertanto destinate a cedere dinanzi alle deroghe contenute in qualsivoglia legge di pari rango.67

Tale “peccato originale” ha indotto alcuni a definire i principi sanciti dallo Statuto, sin dalla loro emanazione, dei meri “proclami disarmati”.68

Gli anni successivi hanno dimostrato che non si trattava di una definizione del tutto priva di fondamento, in quanto la “flessibilità” della Carta del contribuente ha effettivamente permesso al Legislatore di aggirarne in diverse occasioni i precetti.

Al riguardo, la Corte di Cassazione ha affermato che le norme dello Statuto “non hanno rango superiore alla legge ordinaria; conseguentemente non

possono fungere da parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria per asserito contrasto con le stesse”.69

67 Si osserva che quantomeno con riferimento alle c.d. norme sulla normazione contenute

nello Statuto, si tratta di una caratteristica non insolita: come è stato rilevato in dottrina, invero,

“nel nostro ordinamento la maggior parte delle norme sulla normazione hanno rango primario”

(E.ALBANESI, La scrittura delle disposizioni tributarie. Profili di diritto costituzionale e tecnica legislativa, in AA.VV., Per un nuovo ordinamento tributario, atti preparatori al Convegno di Genova del 14-15 ottobre 2016, Fondazione Antonio Uckmar, 3 voll., Vol. I., 78. L’Autore menziona, come esempio principale, la legge 23 agosto 1988, n. 400, recante la Disciplina

dell’attività normativa del Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri.

68 M.F.RINFORZI, Proclami disarmati, in Il Sole 24 Ore, 14 luglio 2000, 21. Al riguardo

cfr. M.BASILAVECCHIA, Produzione e interpretazione delle norme tributarie, in AA.VV., Per un

nuovo ordinamento tributario, cit., Vol. I., 103, secondo il quale i primi quattro articoli dello Statuto del contribuente pongono regole “essenziali, ma troppo agevolmente derogate dalle leggi

speciali, nell’attuale loro valenza di norme di legge ordinaria”, ciò che renderebbe opportuno un intervento volto ad attribuire loro dignità costituzionale. Dello stesso avviso è E.ALBANESI, op. cit., il quale osserva che attualmente “L’unico organo che compie un regolare controllo sul

rispetto di tali norme è il Comitato per la legislazione”, il quale ha la funzione di esaminare la buona qualità dei progetti di legge. Tuttavia, puntualizza l’Autore, “Gli effetti dei pareri del

Comitato per la legislazione si producono (…) esclusivamente all’interno del procedimento legislativo, sono in ogni caso alquanto “blandi” ed il tasso di effettivo loro recepimento non può dirsi elevato”. In merito al valore costituzionale dello Statuto del contribuente, si rinvia a U.DE

SIERVO, Contributo al dibattito sulle norme sulla produzione normativa contenute in fonti

primarie (a proposito del c.d. statuto dei diritti del contribuente), in Osservatorio sulle fonti 2000, (a cura di) Id., Torino, Giappichelli Editore, 2001, 3 e ss.; C.PINELLI, Sulle clausole rafforzative dell’efficacia delle disposizioni sullo statuto dei diritti del contribuente (L. n. 212 del 2000), in

For. It., 2001, 102 e ss.; G.SERGES, Norme sulla normazione e limiti all’interpretazione autentica

(brevi riflessioni a margine del recente “Statuto dei diritti del contribuente”), in F.MODUGNO (a

cura di), Trasformazioni della funzione legislativa, Vol. II, Milano, Giuffrè Editore, 2000, 263 e ss.

69 Cass., sez. trib., 31 gennaio 2011, n. 221, in Corr. Trib., 12/2011, 937 e ss., con nota di

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24

Sul punto, si è logicamente espressa anche la Corte costituzionale, che ha chiarito che le disposizioni statutarie non possono neppure essere considerate norme interposte nel giudizio di legittimità.70

Secondo autorevole dottrina, tuttavia, il rifiuto di uno Statuto approvato con legge costituzionale è stato “ragionato”, in quanto “il suggerimento di

approvarlo con la veste di una legge costituzionale” costituiva, a ben vedere,

“una minaccia ancora più sottile e subdola delle dure resistenze, in specie burocratiche”. Il motivo è semplice: “l’“iter” normale di discussione e

approvazione è durato quattro anni, dal 1996 al 2000: i tempi si sarebbero raddoppiati e neppure nella tredicesima legislatura lo Statuto avrebbe visto la luce e, molto probabilmente, in una stagione (quali sono stati gli anni dal 2001 al 2005) connotata dall’uso e dall’abuso dei condoni, l’antitesi dei principi costituzionali, esso non avrebbe visto mai più la luce”.71

Peraltro, costituzionalizzare quanto disposto dagli articoli 3 e 4 dello Statuto sarebbe stato forse inopportuno “perché il divieto assoluto di retroattività

e di spiccare decreti legge in materia tributaria avrebbe costretto il legislatore ordinario in un inaccettabile e inopportuno letto di Procuste”, impedendo così di affrontare anche le situazioni di effettiva emergenza o di rimediare a errori commessi.72

Comunque la si pensi al riguardo, si deve in ogni caso riconoscere che la circostanza che lo Statuto sia stato approvato con una mera legge ordinaria non lo ha privato della sua peculiare autorevolezza, che deriva, in particolare, dall’autoqualificazione contenuta nel suo articolo 1, in virtù del quale le disposizioni dello Statuto costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate solo espressamente e mai da leggi speciali.

70 V. Corte Cost., 26 giugno 2009, n. 185; Id., 27 febbraio 2009, n. 58; Id., 27 febbraio

2008, n. 41; Id., 7 giugno 2007, n. 180; Id., 19 dicembre 2006, n. 428; Id., 6 luglio 2004, n. 216.

71 G.MARONGIU, Lo Statuto dei diritti del contribuente, in Il fisco, 1/2006, 20. Al riguardo,

cfr. anche F. D’AYALA VALVA, Il principio di cooperazione nello Statuto dei diritti del contribuente, La Forense, Roma, 2003, 46 e ss.

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25

Anche per tale ragione, la giurisprudenza di legittimità è ben presto giunta a riconoscere che lo Statuto del contribuente contiene norme che esprimono principi generali anche di rango costituzionale.73

Più in particolare, secondo la Cassazione,74 nell’ambito delle disposizioni statutarie si può operare una distinzione tra quelle che sono espressione di principi già immanenti nel diritto o nell’ordinamento tributario75 e quelle che, per contro, pur essendo state emanate in attuazione delle disposizioni costituzionali richiamate dallo Statuto, hanno un contenuto totalmente o parzialmente innovativo rispetto alla legislazione tributaria preesistente.76

Anche queste ultime, comunque, hanno una peculiare valenza in campo interpretativo.77 La Suprema Corte, difatti, ha espressamente riconosciuto “la

superiorità assiologica dei principi espressi o desumibili dalle disposizioni dello Statuto”, ai quali deve essere attribuita una “funzione di orientamento

ermeneutico, vincolante per l’interprete”, con la conseguenza che “il dubbio

interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla legge n. 212/2000 deve essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai principi statutari”.78

I principi espressi dallo Statuto hanno inoltre una funzione di indirizzo nei confronti del Legislatore: le sue disposizioni, a differenza di quelle contenute nella maggior parte degli Statuti adottati in altri ordinamenti, non si limitano a elencare i diritti dei contribuenti nei confronti dell’Amministrazione finanziaria,

73 Vedi per tutte le due pronunce delle Sezioni Unite della Cassazione del 17 febbraio 2010,

nn. 3676 e 3677.

74 Cfr. Cass., 14 aprile 2004, n. 7080.

75 Si pensi al principio di tutela dell’affidamento, su cui v. infra.

76 Tra cui può annoverarsi, ad esempio, il principio di irretroattività delle disposizioni

tributarie, su cui v. infra.

77 Sul punto, cfr. L.P.MURCIANO, Statuto del contribuente e fonti del diritto tributario:

un’ipotesi interpretativa sull’art. 23 Cost., in Riv. dir. trib., 2002, I, 921 e ss.

78 Cass., 10 dicembre 2002, n. 17576; in tal senso v. anche Cass., 30 marzo 2001, n. 4760.

In merito alla pronuncia citata, in dottrina si è osservato che con essa la Cassazione “ha condiviso

l’impostazione secondo la quale lo Statuto contiene disposizioni volte a orientare in senso garantistico tutta la prospettiva costituzionale del diritto tributario, per cui, dopo questa sentenza, il collegamento tra diritto tributario e diritto costituzionale appare più stretto e la Costituzione appare più vicina” (G.FALCONE, Statuto dei diritti del contribuente e Cassazione tributaria, in Il fisco, 15/2003, 2221; al riguardo cfr. anche Id., Il valore dello Statuto del contribuente, in Il fisco, 36/2000, 11038 e ss.).

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